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Autore: NCSP    23/06/2014    1 recensioni
Missing Moment ambientato durante la 4x18
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Un messaggio. Una richiesta d'aiuto. Una storia finita, e nonostante tutto non si può pensare di abbandonare la persona che si ama quando non si sa se la si rivedrà viva.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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B: Ci sono stati degli spari nei corridoi. Ho paura. Non posso dirti dove sono ma tu lo sai. Non so se riuscirò ad uscire di qui, ma devi sapere che ti amo. (15.45)

 

Quando lesse il messaggio il telefono gli cadde di mano.

«Che succede?» chiese Rachel alzando gli occhi dallo spartito che stava studiando.

Scosse la testa, incapace di parlare.

«Allora? Hanno cancellato lo spettacolo per cui avevamo preso i biglietti?»

Scosse di nuovo la testa e senza sapere bene come riuscì a sporgerle il telefono, ma non appena lo sfiorò con la punta della dita arrivò un altro messaggio.

 

B: C’è stato un altro sparo. Ti prego, rispondimi. (15.46)

 

Fissò sconvolto lo schermo, poi le sue dita si mossero di propria iniziativa.

 

K: Sto arrivando. Ti amo. (15.47)

 

«Si può sapere cosa è successo?» sbuffò Rachel, anche se vedeva dalla sua espressione che non si trattava dello spettacolo di quella sera.

«H-hanno sparato. A scuola. Sono chiusi in aula canto.» si alzò in piedi, tremante, andando a prendere la propria giacca.

«Oddio! Stanno tutti bene?» balzò in piedi anche lei.

«Non lo so.» rispose atono, componendo velocemente un numero sul palmare, raccattando il proprio portafoglio dal tavolo e una sciarpa da una sedia.

«Cosa stai facendo?» domandò senza capire il suo atteggiamento.

«Sto andando là.» detto ciò uscì semplicemente dalla porta, mettendosi a correre per le scale, troppo spaventato da cosa stava succedendo per sopportare l’attesa dell’ascensore; persino restare fermo in taxi sembrò un’impresa titanica, proprio come quella di non insultare l’autista che si fermava a ogni semaforo e a ogni stop – nessun tassista a New York aveva mai rispettato un segnale stradale, questa nuova moda doveva iniziare proprio quel giorno? – e non osava nemmeno immaginare come sarebbe stato attendere in aereo.

Gettò un’occhiata al cellulare, ma non erano arrivati nuovi messaggi.

Sentì il sangue defluirgli dalle guance. Che chi aveva sparato fosse entrato nell’aula di canto? Che avesse di nuovo sp-…? No. No, non poteva nemmeno pensarci.

Però aveva paura, paura che fosse successo qualcosa a Blaine mentre lui non era lì, che fosse successo l’irreparabile. In un gesto privo di qualunque pensiero avviò una chiamata, ma non appena si rese conto di cosa stava facendo quasi lanciò via il cellulare: se il pazzo con la pistola fosse stato vicino e lui avesse fatto suonare il telefono di Blaine lo avrebbe trovato subito, e non voleva nemmeno pensare a cosa sarebbe successo dopo.

 

B: Non chiamarmi, se suona qualcosa non so cosa potrebbe succedere. (15.53)

 

K: Va bene, andrà tutto bene, sto arrivando. (15.53)

 

Sospirò di sollievo e quasi saltò giù dal taxi non appena arrivarono all’aeroporto.

Il viaggio in aereo gli sembrò il più lungo della sua vita, ma finalmente riuscì ad arrivare, ad affittare una macchina e a lanciarsi in una folle corsa verso la sua vecchia scuola; quando arrivò davanti al McKinley fu bloccato dalle auto della polizia schierate come una barriera davanti alle porte, come se quello servisse a qualcosa. Il pericolo era dentro, non fuori, perché non entravano a liberare chi era dentro? Che chi aveva sparato avesse preso degli ostaggi? E se tra quegli ipotetici ostaggi ci fosse stato…

No, non poteva pensare nemmeno a questo.

Uscì di corsa dalla macchina sbattendo la porta, ma quando provò ad avvicinarsi alla porta principale della scuola fu fermato da un agente.

«Non può entrare.» disse semplicemente, come se credesse che tre parole simili fossero sufficienti a farlo calmare e desistere dal suo intento di tirare fuori Blaine da lì.

«Io devo entrare, lì dentro c’è… il mio ragazzo.»

Perché sì, anche dopo mesi in cui aveva provato a dimenticarselo e a convincersi che tra loro era tutto finito non ci riusciva, prova ne era cosa era successo al fallito matrimonio qualche manciata di settimane prima. Adesso, messo di fronte a una situazione simile in cui non sapeva se sarebbe più riuscito a vederlo o se avrebbe avuto un altro morto da piangere, si rendeva conto di quanto il tempo e i fatti non erano riusciti a cambiare i suoi sentimenti nemmeno di una virgola.

«Può esserci chi vuole lì dentro, ma non può entrare lo stesso.»

«Senta, abbiamo litigato, non posso permettere che…» non riuscì a continuare, fermato da un nodo in gola che gli affievolì la voce fino a renderla inesistente.

«Mi ascolti: non può entrare nessuno nell’edificio finché non sarà controllato e gli studenti non saranno fatti uscire, quindi mi faccia il favore di restare qui, di restare calmo, e di non intralciare il nostro lavoro, altrimenti le cose per chi si trova all’interno si potrebbero mettere male.»

Annuì a fatica e dopo avergli dato una pacca su una spalla l’agente si allontanò per andare a ispezionare il perimetro e assicurarsi che tutto fosse a posto.

Rimase ad attendere per quelle che gli sembrarono ore, il cuore che batteva nel petto come impazzito, il respiro che lottava per uscire dalla sua gola, le dita tremanti strette attorno al telefono che non suonava più da tempo, da troppo tempo; però non c’erano stati altri spari, quindi il fatto che Blaine non gli stesse scrivendo non voleva dire niente.

“Non solo le pistole uccidono…” sussurrò una voce maligna nella sua mente, facendolo rabbrividire al solo pensiero.

Si prese la testa tra le mani, stringendosi le tempie nel tentativo di zittire quella voce, cercando quanto meno di non mettersi a piangere per la disperazione e per la paura.

 

K: Andrà tutto bene, coraggio. (17.22)

 

Attese con il cuore in gola, pregando il proprio telefono di portargli una risposta, ma quello rimaneva silenzioso, lo schermo spento.

Si passò una mano tra i capelli, le mani intrecciate tra loro per contenere la paura e il dolore finché le nocche non gli divennero bianche.

 

B: Grazie. (17.29)

 

Sospirò di sollievo e si concesse di sedersi sul bordo di un marciapiede, aspettando insieme a tutta la folla di gente che si era riunita lì intorno che succedesse qualcosa, che finalmente qualcuno dicesse loro che era finita e che le persone che amavano stavano bene.

 

K: Sto morendo di paura, non posso nemmeno immaginare cosa stai passando tu. (17.31)

 

B: Non so nemmeno cosa fare, ho paura da così tante ore che non riesco più nemmeno a rendermi conto di cosa sta succedendo. Se non dovessi uscire di qui sappi ancora che ti amo. (17.33)

 

K: Smettila. Non pensare nemmeno di non riuscire a uscire di lì, la polizia vi tirerà fuori. (17.33)

 

K: Ti amo anch’io. (17.35)

 

Aveva dovuto aggiungerlo, ma era stato difficile. Sì, certo, glielo aveva già scritto prima, ma ripeterlo era diverso dal dirlo una sola volta.

Attese una risposta, ma con molta probabilità il telefono di Blaine si era scaricato quindi ora non avrebbe più potuto avere la certezza o quantomeno la vaga impressione che stesse andando tutto bene – per quanto le cose potessero andare bene in una simile situazione.

Sospirò la propria paura e ansia nell’aria che si stava facendo via via più scura, ma proprio in quel momento sentì delle grida alzarsi dalla massa di persone raccolta intorno a lui. Inizialmente sentì lo stomaco stringersi ancora più di quanto non avesse già fatto in quelle ore, il cuore sprofondare in basso nel petto, ma poi le porte della scuola si aprirono e non ne uscì nessuna barella coperta da un telo, ma una piccola valanga di ragazzi terrorizzati, che tremanti si stringevano l’uno all’altro nella speranza di dimenticare.

Rimase fermo, incapace di sperare finché non lo avesse visto davanti a sé, ma poi i suoi occhi si soffermarono sul suo viso familiare contorto dalla paura, e non poté trattenersi dal corrergli incontro proprio come stava facendo il resto della gente che come lui si trovava al di qua del cordone di polizia; gli corse incontro e prima che potesse anche solo accorgersene lo stava stringendo tra le braccia.

«Stai bene.» singhiozzò contro il suo collo continuando ad abbracciarlo, ad accarezzargli la schiena, e inspirare il suo profumo che gli era mancato così tanto.

«C-Che ci fai qui?» domandò stupito prima di ricambiare la stretta e di lasciarsi del tutto andare tra le sue braccia.

«Mi hai detto che c’erano stati degli spari e che eri chiuso qui, come potevo non fare di tutto per essere qui?» gli passò una mano tra i capelli che la paura aveva già sciolto dalla loro solita forma e poi lo baciò, a lungo, intensamente, la mano che non si trovava tra i suoi capelli premuta contro la sua schiena per tenerlo il più vicino possibile e non lasciarlo più andare per nulla al mondo.

Il moro dopo un attimo di stupore ricambiò il bacio con slancio e passione riuscendo finalmente a rilassarsi contro di lui e a dimenticare almeno per qualche momento ciò che aveva appena passato in quell’aula che per loro due aveva significato tanto.

«Ti amo, Kurt.» ansimò quando riuscì di nuovo ad avere il controllo delle propria bocca.

«Lo so.» appoggiò la fronte alla sua, e sapeva che l’altro aveva capito anche ciò che non aveva detto.

«Vedo che l’ha trovato.» una voce li fece sobbalzare, e quando Kurt riuscì a distogliere lo sguardo dal ragazzo tra le sue braccia riconobbe l’agente con cui aveva dato in escandescenza prima; gli sorrise avvolgendo un braccio attorno alle spalle di Blaine.

«Sì, fortunatamente sì.»

L’uomo li salutò con un cenno, andando poi a compilare un verbale richiesto da un suo superiore.

«Chi era quello?»

«Non importa.» appoggiò la testa alla sua e gli baciò una tempia «Stai bene?»

«Diciamo che sto meglio, ora.»

«Dove sono i tuoi genitori? Saranno in pensiero visto che io ti ho monopolizzato.» gli accarezzò uno zigomo con un pollice, incapace di lasciarlo andare e di non toccarlo anche solo per un secondo.

«Non sono qui, sono in viaggio e torneranno solo domani. Il problema è che non so come tornare a casa.»

“E nemmeno come fare a stare da solo fino a domani.” pensò, ma non si azzardò a dirlo.

«E quindi stasera tu dovresti stare da solo a casa dopo ciò che è successo?»

«Sì, sempre se riesco a tornare a casa.» accennò al tremore che lo scuoteva leggermente e di cui si rendeva conto solo perché vedeva Kurt oscillare un po’ davanti a sé.

«Ci penso io.» sempre tenendolo avvolto con un braccio lo allontanò dalla folla nel piazzale che si stava lentamente diradando.

Gli lanciò uno sguardo confuso ma lasciò che si prendesse cura di lui come meglio credeva; a ben vedere gli bastava che fosse lì, poi andava tutto bene.

«Intanto ti porto a casa, poi vediamo cosa fare.»

«Sei venuto in macchina?» chiese quando Kurt gli aprì la portiera.

«Come avrei fatto ad arrivare da New York in macchina in un’ora?»

«Vero…» entrò nell’auto e si abbandonò contro lo schienale.

«Dai, andiamo a casa.» gli posò una mano su una gamba e la strinse leggermente, cercando di infondergli calore e di fargli capire che ora era tutto passato.

Gli sorrise brevemente, poi chiuse gli occhi e rimase in silenzio fino a quando non sentì la macchina arrestarsi nel vialetto di casa sua; sapeva che avrebbero dovuto parlare, che avrebbe dovuto dire qualcosa per convincerlo a restare, che avrebbe dovuto scusarsi ancora una volta, ma non ce la faceva proprio ad affrontare una conversazione simile in quel momento.

«Blaine?» lo chiamò piano, con un sussurro dolce volto a farlo sentire il più rilassato possibile.

«Mmh?»

«Siamo arrivati, scendiamo?»

Annuì e con aria assente e aprì la portiera, trafficando con la fibbia della tracolla per riuscire a recuperare le chiavi, ma le mani che ancora gli tremavano gli impedirono di riuscirci.

«Lascia, faccio io.» posò una mano sulle sue, spostandogliele in modo che non lo intralciasse.

«Sono nella tasca a…»

«So dove sono.» gli sorrise usando ancora quel tono dolce che lo faceva sentire così bene.

In un attimo ebbero le chiavi e Kurt aprì la porta prima di spingerlo all’interno.

«Ora sei a casa, va tutto bene.» lo rassicurò. Ormai aveva messo da parte la propria paura, riconoscendo – seppur inconsciamente – che ora non poteva dimostrarsi scosso per cosa era successo e che doveva essere il punto di appoggio del suo ragazzo.

No, un momento. Non poteva averlo di nuovo definito il suo ragazzo. Perché loro non stavano insieme, non importava cosa era successo al matrimonio fallito di Shuester, loro non stavano più insieme da quando Blaine lo aveva tradito e anche se lo aveva perdonato questo non voleva dire che potessero tornare insieme.

«Devi già andare via?» domandò piano, non riuscendo a parlare più forte dopo ore passate a sussurrare.

«C’è un volo a breve, ma posso rimanere con te se mi vuoi.»

Non gli rispose nemmeno, si limitò a gettarsi di nuovo tra le sue braccia alla ricerca di tutto il calore e la sicurezza che poteva dargli.

«Ho capito, ho capito, resto qui.» lo avvolse in un abbraccio e gli fece posare la tracolla a terra «Ora vieni con me, stai tremando ed è meglio se ti rilassi un po’.» lo condusse gentilmente nella sua camera e lo fece sedere sul letto prima di andare a prendere una coperta nell’armadio in cui avvolgerlo.

Lo guardò senza dire niente, in evidente stato di shock. Era riuscito a non crollare di fronte agli altri, a rassicurarli, ma ora che era tutto finito la paura si era riversata completamente su di lui come un fiume in piena, lasciandolo spossato e incapace di fare altro se non di stare in silenzio mentre qualcuno si prendeva cura di lui. Ebbe solo la lucidità di togliersi le scarpe prima che Kurt lo facesse sdraiare sul letto e gli stendesse la coperta addosso.

«Forza, adesso è passato.» si sfilò anche lui le scarpe e andò a rannicchiarsi accanto a lui, prendendolo tra le braccia e cullandolo piano. Quel letto conteneva tanti ricordi per loro, ricordi importanti e indimenticabili, ma ora anche se quel pensiero aveva sfiorato la mente di entrambi non era al centro dell’attenzione.

Blaine rimase in silenzio, con gli occhi chiusi, semplicemente accoccolato contro la persona che amava e che avrebbe sempre continuato ad amare, cercando di calmarsi tramite il battito regolare del suo cuore contro il suo orecchio.

«Vuoi mangiare qualcosa? Penso di poter riuscire ad arrangiare un piatto senza dar fuoco a niente.»

«Resta solo qui, per favore.»

«Certo.» gli accarezzò una guancia e quando alzò Blaine il viso verso di lui lo baciò dolcemente, in un modo che aveva quasi dimenticato «Non farmi mai più una cosa simile.»

«Evito volentieri, fidati.» riuscì a ridacchiare contro il suo mento.

«Sarà meglio, o sarà solo colpa tua se mi verranno le rughe per la preoccupazione.»

Sorrise. Gli era mancato il suo Kurt, che nascondeva le cose più importanti dietro commenti frivoli ma che ora si stava prendendo cura di lui come mai aveva fatto prima; forse nemmeno quando lo avevano operato all’occhio era stato così presente e attento, ma la situazione ora era decisamente un’altra. Bisognava però considerare che non stavano più nemmeno insieme.

«Mi dispiace.»

«Non ne puoi niente, non dispiacerti.»

«Non per oggi.»

Sospirò «Sai che ti ho perdonato.»

«Non lo hai veramente fatto.»

«Se non lo avessi fatto non sarei qui.»

«Scusa.» concluse lasciandosi andare con la schiena contro il materasso «Sei corso qui perché ti ho detto che ero in pericolo e ora ti stai prendendo cura di me come se non fosse successo niente, non dovremmo parlarne.»

«Ascolta,» si puntellò su un gomito per guardarlo e lo costrinse a spostare il braccio con cui si era coperto gli occhi «Sarei corso qui comunque e mi starei comunque prendendo cura di te, perché siamo amici.»

«Sì, amici.» sospirò.

«Amici.» si sporse a baciarlo ancora una volta «Con qualche eccezione nella definizione.»

 

 

 

Trascorsero il resto del pomeriggio stretti l’uno all’altro, scaricando la paura di quel pomeriggio ed esorcizzandola con dei lunghi baci che ricordavano a entrambi quel bel periodo in cui stavano ancora ufficialmente insieme; era così facile tornare a quel periodo che ora sembrava perfetto nonostante i suoi alti e bassi, era così facile abbandonarsi all’illusione che nulla fosse cambiato, era così facile tornare a stare insieme.

«Kurt, davvero, se devi andare vai posso cavarmela da solo.»

«Non ci penso nemmeno.» lo baciò di nuovo «Sono corso qui pensando che mi sarebbe venuto un infarto per la paura che ho provato sapendoti chiuso a scuola con qualcuno armato, perciò ora penso che resterò con te fino a quando potrò.»

«E noi saremmo solo amici?» si portò sopra di lui impedendogli di scappargli e di distogliere lo sguardo dal suo.

«Di sicuro non stiamo di nuovo insieme.» lo allontanò con uno spintone giocoso ma il ragazzo riuscì ad afferrarlo per la camicia e a trascinarlo su di sé.

«Sai, dicono che bisognerebbe assecondare le persone sotto shock.» si sporse a dargli un lento bacio bagnato sulle labbra a cui Kurt non riuscì a resistere.

«Le persone sotto shock dovrebbero anche strare rannicchiate in un angolino a piangere.»

«Preferiresti?»

«Assolutamente no.» lo abbracciò stretto e affondò il naso nel suo collo prima di iniziare a lasciarvi piccoli morsi e baci, non potendo trattenersi dal lasciare il proprio segno su di lui.

«Ehm… hai il telefono in tasca, vero?» chiese quando sentì qualcosa vibrare contro la sua coscia.

«Perché…? Oh, sì.» si spostò di lato per prendere il cellulare e rispondere alla chiamata che gli era appena arrivata, senza però poter nascondere un sorrisetto divertito per l’espressione vagamente delusa che si era dipinta sul volto dell’altro.

«Kurt, si può sapere perché non mi hai risposto?!» la voce di Rachel lo investì così forte che anche Blaine sobbalzò, probabilmente non riuscendo ancora a sopportare bene i rumori forti e improvvisi.

«Io, ecco…»

«Stanno tutti bene? Dove sei? Cos’è successo?» il suo tono si fece sempre più concitato ma almeno scese di volume, permettendo al più giovane di tornare a rilassarsi contro i cuscini.

«Sì, stanno tutti bene, non ci sono stati feriti e sono usciti tutti. Sono a casa di Blaine, non sapeva come tornare e gli ho dato un passaggio, poi ho deciso di fermarmi un po’ qui per non lasciarlo da solo.»

«Come sta? Me lo puoi passare?»

Lanciò uno sguardo al ragazzo per cercare una conferma ma questo scosse la testa con espressione stanca.

«Al momento sta dormendo, ma sta bene, è solo un po’ provato per cosa è successo. Non aspettarmi sveglia stasera, non so quando tornerò, devo ancora cercare gli orari dei voli.»

«Se vuoi li cerco io.»

«Lascia stare, ci penso io. Adesso ti lascio, non lo voglio svegliare. A dopo.» la salutò e concluse la chiamata, andando ad accarezzare il petto del su-… del ragazzo «Cosa c’è?»

«Non ho voglia di parlarne, e Rachel sa essere parecchio… insistente.» cercò la parola che potesse sembrare meno un insulto e scelse quella.

«Puoi anche dire “petulante”, sappiamo che è la verità.» rise baciandolo ancora una volta, sentendo le mani dell’altro stringersi attorno al suo viso.

«Mi manchi così tanto…» mormorò.

«Non ora, Blaine.»

«Ora sei qui, poi tornerai a New York e non appena proverò a riprendere questo discorso tu mi attaccherai il telefono in faccia e non riuscirò più a dire niente.» si cimentò nella sua migliore esibizione dei propri occhi da cucciolo ma fallì quando l’altro distolse lo sguardo dal suo. Kurt sapeva che se gli avesse permesso di guardarlo ancora così lo avrebbe incantato e lui non sarebbe più riuscito a resistere visto che già faceva fatica senza il suo contributo.

«Non ora, dico davvero.» si separò da lui «Non puoi accontentarti del fatto che sono qui?»

«No, ho bisogno di sapere che le cose torneranno come prima.»

Sospirò e si tirò a sedere, passandosi poi una mano tra i capelli. Non ce la faceva a negargli qualcosa che volevano entrambi, ma non poteva nemmeno cedere e permettere che tutto tornasse al suo posto come se niente fosse accaduto.

Al suo posto.

Ecco, questa era la definizione giusta: ora era tutto confuso, in disordine, perché le loro strade si erano divise e continuavano a incrociarsi fin troppo spesso ma al tempo stesso troppo di rado. C’era voluta una sparatoria per farlo tornare una volta, cosa sarebbe accaduto dopo? Blaine avrebbe dovuto minacciare il suicidio per potergli di nuovo parlare faccia a faccia?

«Senti, ho bisogno di tempo, okay?»

«Questa frase non significa né sì né no, vero?»

Annuì, sapendo già che la speranza di aver concluso così la conversazione era più che vana.

Stranamente si sbagliava.

«Sempre meglio di un no.» sorrise dal suo posto contro i cuscini «Ora torneresti qui, per favore?» gli fece un cenno e il ragazzo non esitò nemmeno un istante a tornare contro di lui, godendosi la sensazione di vicinanza che provava in quel momento.

«Che ne dici se ordiniamo una pizza?» domandò dopo un po’ Kurt, rendendosi conto che nessuno dei due era nello stato di poter cucinare.

«Basta che non suonino il campanello per consegnarcela. Ho sempre odiato quel suono e a quanto pare oggi non riesco a gestire bene i rumori improvvisi.»

«Sono sicuro che con il tempo si sistemerà tutto.» disse con voce calda, e nonostante non volesse rendersene conto non stava parlando solo della situazione di quel pomeriggio.

Quando sentirono la macchina del fattorino Kurt si alzò per prevenire il maledetto rumore e tornò con i cartoni della pizza in mano, dando così via alla loro prima cena insieme da soli da… beh, sapevano entrambi da quando.

Non si resero nemmeno conto di quando iniziarono a sentire la stanchezza della giornata, ma comunque finirono con l’addormentarsi uno tra le braccia dell’altro, beandosi di quella sensazione così familiare e piacevole. Kurt seppe solo che a un certo punto si svegliò sollevando il viso dai capelli di Blaine per dei rumori che provenivano dall’ingresso; sbadigliò cercando di scuotersi il sonno di dosso, ma prima di alzarsi per andare a controllare cosa fosse successo si fermò, non volendo svegliare l’altro che sentendolo muoversi si era rigirato nel sonno e aveva continuato a dormire stringendolo con più decisione a sé.

Non ce la faceva proprio a disturbarlo quando dormiva – aveva un’espressione troppo adorabile – quindi si limitò a sporgere la testa verso la porta per capire quale fosse il problema; inoltre non gli sembrava il caso di farlo ancora preoccupare dopo ciò che era già successo.

«Blaine! Blaine, tesoro, stai bene?» una voce femminile si avvicinò alla stanza e Kurt iniziò a sentirsi morire per l’imbarazzo.

«Abbiamo letto i tuoi messaggi e sentito… oh, Kurt, che ci fai qui?» domandò stupita.

«Ehm, salve signora Anderson.» cercò di tirarsi almeno a sedere ma rinunciò quando il ragazzo si lamentò di nuovo nel sonno.

«Perché sei qui?» chiese di nuovo, le sopracciglia sollevate per lo stupore.

«Mi ha scritto dicendomi cosa stava succedendo, non potevo non venire qui, e quando mi ha detto che era da solo fino a domani considerando cos’è successo non mi sembrava il caso di andarmene.» spiegò cercando di scusarsi e pregando mentalmente che non arrivasse anche il padre del suo ex-ragazzo.

«Ma non vi eravate lasciati?»

Ecco, appunto.

«Beh, sì, ma considerando cosa è successo non mi sembrava importante.» si strinse nelle spalle e poi non poté non imprecare tra sé e sé quando anche il padre di Blaine comparve sulla porta.

«Tu che ci fai qui?» chiese sospettoso.

«Non potevo certo lasciarlo da solo dopo ciò che è successo oggi pomeriggio.» si difese.

«Ora ci siamo noi qui, quindi puoi anche andare.» lo congedò bruscamente.

Tirò il proprio viso in un sorrise cortese, cercando in tutti i modi di non insultarlo «Preferirei non svegliarlo, non so se riuscirebbe a tornare a dormire.»

«Penso che riuscirà a dormire anche senza di te.»

«Io non credo.» si frenò dal dire anche tutto il resto che spingeva per uscirgli dalla gola, visto che forse non era la cosa migliore.

«Caro, penso sia meglio non svegliarlo, Kurt ha ragione.»

Il ragazzo si trattenne dal ringraziarla e quando quei due uscirono finalmente dalla stanza chiudendo la porta tirò un sospiro di sollievo perché sapeva che non li avrebbe sopportati ancora a lungo; ai genitori di Blaine la loro relazione non era andata molto a genio nemmeno quando stavano insieme, ora che si erano lasciati non si facevano più alcun problema a dimostrare la propria contrarietà, o quantomeno il padre del suo ex non se ne faceva, sua madre sembrava conservare ancora un minimo di cortesia.

«Che succede?» borbottò il moro rigirandosi per poterlo guardare.

«Sono arrivati i tuoi.» non gli servì aggiungere altro, Blaine aveva capito.

«Cosa hanno già detto?»

«Che non sono il benvenuto qui, ma la cosa non mi stupisce. Ora però abbassa la voce.»

«Perché?»

«Ho convinto tua madre a farmi restare qui finché dormi, quindi non dobbiamo farci sentire a parlare.»

«Non vedo il problema.» sorrise brevemente prima di baciarlo e da frenare così ogni parola che si sarebbe potuta mettere tra di loro.

«Sai che devo andarmene prima o poi.»

«Meglio poi.» sembrò quasi incollarsi addosso a lui per non lasciarselo scappare.

«Blaine, non stiamo insieme.» gli ricordò, ma le dita con cui gli scompigliò i capelli sembravano affermare il contrario.

«Lo so, smettila di ricordarmelo.» chiuse gli occhi appoggiando la fronte all’incavo del suo collo e non dando cenno di volersi più muovere di lì.

Sorrise contro di lui e si decise a lasciare perdere, rendendosi conto che era molto meglio per entrambi se si concedevano di tornare alla normalità almeno per qualche momento.

«Devo tornare a casa, Blaine.»

Mugolò di disapprovazione «Però tornerai a trovarmi, vero? Non smetterai di rispondermi quando ti chiamo?»

«No.»

«Promesso?»

«Promesso.» strusciò il naso contro il suo e prima di alzarsi lo baciò ancora una volta, sapendo che avrebbe dovuto farsi bastare quel ricordo di lui a lungo, perché non poteva cedere di nuovo e permettergli di tornare subito nella sua vita come era successo quel giorno.

Fu così che Blaine riuscì a ringraziare i colpi di pistola di quel pomeriggio e a smettere di sobbalzare ogni volta che suonava il campanello.

 

 

 

 

Note della Vecchia Volpe

Salve! Questo è il mio debutto nel fandom di Glee dopo essermi fatta una maratona che in una settimana mi ha portata a vedere tre stagioni (e a perdere qualche diottria).

In questa puntata nessuno ha nemmeno considerato le reazioni di chi si trovava a New York, e il mio primo pensiero è stato questo, spero che non vi sia dispiaciuto.

Ringrazio tutti coloro che hanno letto, e se accidentalmente aveste voglia di lasciarmi un commentino per farmi sapere se devo proseguire in questo fandom mi fareste un grande favore.

  
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