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Autore: Martowl    25/06/2014    3 recensioni
Mentre un numero decreterà quanto valgano, due cuori solitari e silenziosi si ritroveranno tra le pareti di una biblioteca e durante le prove scritte del tanto atteso ed agognato esame di maturità.
Così Medea e Sebastiano si ritroveranno, dopo mesi di distacco; si ritroveranno ma non si staccheranno perché ognuno di loro riuscirà a trovare il giusto pezzo che completa il puzzle della propria anima.
E tra ansia e caffè, tra autori e filosofi, tra gatti e silenzi, due ragazzi inizieranno a capire qual è il proprio posto.
***
Nessuno dei due si mosse.
Rimani con me, pensava Medea.
«Non me ne vado» sussurrò Sebastiano.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Oser.
 
 

***
 
 
 
Erano giorni pieni di ansia, quelli.
L’esame si avvicinava e portava con sé l’angoscia che Medea riservava alle occasioni importanti. E quella, era un’occasione importante.
«Non mi ricordo niente» sbuffò, appoggiando la testa sulle mani.
«Lo avevi detto anche prima che ti chiedessi di ripetere Svevo e ci mancava davvero poco che tu mi dicessi quante volte si era masturbato Zeno, pensando ad Ada» rispose Sebastiano, continuando a girare imperterrito le pagine di quel libro di italiano.
Non l’aveva mai usato in tutto quell’anno e quasi si chiedeva dove fosse stato lui mentre la prof spiegava Pirandello e Quasimodo.
«Carani, la tua volgarità quasi non mi sfiora oggi. Sono talmente depressa da Hegel che quasi quasi vado a comprarmi una pillola di cianuro. Magari due».
«Fai pure» concluse Seb, attendendo la sfuriata della ragazza.
Sfuriata che non arrivò e ciò lo sorprese.
Medea riusciva, in qualche modo, a lasciarlo senza parole. Quando pensava di averla in pugno, di conoscere ogni suo piccolo difetto, lei riusciva a ribaltare le carte in gioco e a dimostrargli che c’era sempre l’altra faccia della medaglia.
Sebastiano scosse la testa, divertito; dopodiché l’abbassò e l’appoggiò sul libro.
«Le nozioni non ti entreranno per osmosi, Carani» le disse.
«Fammi fare un tentativo» borbottò, con le labbra attaccate alle pagine.
«Non funzionerà. Per quanto il tuo cervello abbia tanto spazio vuoto a disposizione, tutta quella poetica non ti entrerà in testa per magia» concluse, con un sorriso sornione.
Era divertente punzecchiarsi e, doveva ammetterlo, le era mancato terribilmente. Naturalmente questo non l’avrebbe detto ad alta voce.
Erano mesi che quei due non si ritrovavano per conto proprio. Tra una cosa e l’altra, spesso erano condivisi dai compagni di classe e, piano piano, anche le loro conversazioni telefoniche avevano iniziato a diminuire fino a rasentare lo zero. Una o due volte si erano ricercati, chiedendosi da dove uscisse tutto quel silenzio e nessuno dei due aveva trovato risposta. Chiacchieravano per qualche ora, per poi ricominciare con il loro silenzio.
In fin dei conti andava bene così, il loro rapporto era fatto di silenzi, ma non quelli oppressivi bensì quelli che ti danno la possibilità di pensare, di perderti e ritrovarti. Medea e Sebastiano, in quei silenzi, si erano persi per poi ritrovarsi mesi dopo, con la maturità alle porte, tra i tavoli di una biblioteca cittadina e caffè offerti ad ogni ora del giorno. Passavano le giornate a passarsi vecchi appunti e a ripetere nozioni di ogni materia. Passavano le giornate mandandosi occhiate e sorridendo per ogni strano individuo che incontravano per strada e, anche lì, i loro silenzi spiegavano più di mille parole. Non c’era bisogno di commentare ad alta voce, quando le anime sono in sintonia. Poi c’erano quelle prove, quelle versioni da tradurre e quell’ansia ma lì i due usavano le parole perché era come rivelare al mondo il loro segreto. Il loro silenzio rappresentava la loro unione, e se qualcuno ne fosse venuto a conoscenza, avrebbe cercato un modo per partecipare e avrebbe, inutilmente, rovinato tutto.
In compagnia di altre persone, erano come semplici conoscenti. A volte capitava che qualcuno dei due rimanesse incantato, perso nei propri pensieri e l’altro, seppur senza farlo notare, cercava di captare la profondità, riuscendoci quasi sempre. Poi interveniva un estraneo che, con le maniere rudi e le parole, irrompeva e faceva scoppiare la loro bolla. Perché di questo si trattava, una bolla pronta a scoppiare.
Si ritrovavano così qualche ora dopo, rivolti sui libri, un caffè in mano e qualche sorriso in tasca.
 
Il giorno precedente l’orale di Medea, la situazione era degenerata.
L’ansia le faceva da padrone e il silenzio era solo un lontano ricordo.
Sebastiano però, con propria grande sorpresa, si rese conto che quelle parole non pesavano come un macigno ma passavano tranquille su di lui come una folata di vento, o meglio, come un sospiro di ciliegia, al sapore del profumo di Medea.
Sapeva che non era ciliegia ma lui l’aveva sempre definito così e tale sarebbe rimasto.
Era solo l’ennesima cosa che apparteneva solo a loro due.
«Domani finirà tutto ed io non sono pronta» l’aveva chiamato Medea.
«Finirà e sarai pronta per una nuova sfida. Non ti farai mettere sotto da un semplice esame, vero Austegni?» la sfidò Seb.
«Potrei pur sempre mettere sotto te, Carani» rispose prontamente lei.
In qualche angolo remoto della mente del ragazzo, un’immagine di lui sottostante il corpo nudo di lei fece capolino, ma Sebastiano non ne era al corrente, tanti erano i muri che si ergevano in quella testa.
«Mio padre mi ha chiamato da Bucarest, dicendomi che avrei spaccato tutto, ma l’unica cosa che sono in grado di spaccare in questo momento è quell’orribile quadro che ho sopra la testa».
Seb era entrato una sola volta in quella camera ma aveva subito notato quell’immagine. Una piccola bambola di porcellana troneggiava al centro di un’immensa poltrona. Lui sapeva quando Medea odiasse le bambole, cosa che invece non conosceva la prozia che glielo aveva regalato.
«Questa casa è buia, vuota e l’unica cosa che mi viene in mente di fare è urlare».
«Quando avrai intenzione di farlo, per favore, chiudi prima questa chiamata e non salutarmi nemmeno, non mi offendo»
«Mi sento più sola di Leopardi, in questo momento» ammise, a bassa voce.
La conversazione terminò, non prima che Sebastiano potesse sentire l’inizio di un grido liberatorio.
 
Aveva bevuto un bicchier d’acqua, indossato un paio di pantaloncini ed una maglietta larga e, scalza, si era indirizzata al suo letto. Mentre spostava il lenzuolo, un leggero bussare la fece spaventare.
Dopo aver preso il manico della scopa, si era indirizzata verso il portone cercando di fare meno rumore possibile.
«Austegni, metti giù qualsiasi arma contundente e aprimi questa porta che qui dentro si muore e io aspiro a quel ventilatore che tieni in camera».
Medea non si sorprese a sentire la giusta descrizione di quel momento. Sebastiano era così, era lei. Era la sua anima.
Girò lentamente la chiave e lasciò entrare il ragazzo, chiudendo immediatamente il portone dietro, evitando di far entrare il caldo afoso.
Nel frattempo Sebastiano si era indirizzato senza problemi verso l’unica camera aperta e si era posizionato, a braccia aperte, davanti al ventilatore.
«Mi raccomando non condividere, profugo» berciò dietro lei.
Lui, in pantaloncini corti della Nike e maglia scolorita del vecchio campo estivo in cui lavorava, si era introdotto in casa sua senza degnarla di una spiegazione.
«Per quanto sia, non avevo intenzione di averti sulla coscienza, Austegni».
«L’unica cosa che devi avere sulla coscienza è quel gattino che ti sto chiedendo da mesi e che tu non mi hai ancora regalato, Carani» disse, sottolineando il cognome.
«Non voglio collaborare al tuo piano di voler diventare una zitella con dodici gatti neri» rispose lui, buttandosi malamente sul letto.
«Undici neri e uno rosso, per essere puntigliosi» puntualizzò e, come risposta, ricevette solo una sbuffata.
Si buttò così nel suo letto, spostando di peso il ragazzo che si trovò quasi a terra.
«Mio letto, mie decisioni» sbuffò prima di girarsi di schiena, lasciando però un piccolo spazio per il ragazzo.
In fin dei conti, apprezzava il suo gesto ma mai glielo avrebbe detto a voce alta.
Sebastiano si tolse le scarpe e si sistemò meglio sul letto, rimanendo in silenzio.
Guardava dritto il muro, pensando a quanto non si trovasse fuori posto.
Prima di partire da casa sua, aveva pensato di essere invadente ed inopportuno ma lei, nei suoi silenzi e magari anche senza saperlo, c’era sempre stata per lui.
Aveva fatto un giro leggermente più lungo, passando per casa della nonna, per poi fermarsi davanti casa della ragazza, tentennando per un minuto.
«Oggi ho ritrovato la foglia che mi hai regalato ad inizio anno» sussurrò lui per far calmare quel cervello che, ne era certo, cercava di ricordarsi più cose possibile.
«Una foglia si conserva meglio di un fiore» ricordò la frase che gli aveva detto quel giorno, dopo che lui gli aveva passato una margherita appena raccolta.
Era difficile che Sebastiano la sorprendesse, introverso e abitudinario com’era, però c’erano dei momenti nella vita di tutti i giorni, nei quali anche lui staccava da se stesso, dal ruolo che si era imposto di ricoprire ed era una persona nuova.
Non migliore o peggiore, semplicemente un nuovo pezzo di lui. Solo per Medea.
Era così che, con il sorriso sulle labbra, Medea aveva disteso il braccio e aveva, per caso, incontrato le dita di lui.
Nessuno dei due si mosse.
Rimani con me, pensava Medea.
«Non me ne vado» sussurrò Sebastiano.
Si girò lentamente verso l’orecchio di Medea e le chiese solo un momento; dopodiché scomparve. Sentì solo una porta aprirsi e dei passi pesanti per le scale.
Non si chiese cosa fosse appena accaduto perché il loro rapporto era così. Una storia senza punti, senza fine. Un groviglio di punti e virgola, dove nessuno era obbligato ad essere il continuo di un vecchio momento, l’importante era che i soggetti rimanessero invariati.
Dopo un leggero rumore, si ritrovò il ragazzo nuovamente accanto che, tra le mani, teneva un piccolo gatto rosso.
«Se mi prometti che non saranno dodici, se mi prometti che non ti riserverai nulla nella vita, che sia una scopata o una serata di castità, lui è tuo».
Medea sorrise; sorrise con la bocca, sorrise con le mani tremanti, con gli occhi pieni di gioia ma, soprattutto, sorrise con il cuore.
«Ciao Oser» sussurrò, mentre accarezzava la sua piccola testa.
«Come l’hai chiamato?» chiese, sbigottito il ragazzo.
«Oser. Osare. Nessun rimpianto, promesso».
Fu così che si sorrisero e dove parlarono, con i loro silenzi.
In quel momento un piccolo cuore correva all’impazzata mentre gli altri due, iniziavano a correre all’unisono.
Oser imparò a conoscere la nuova stanza e i suoi nuovi padroni, come li aveva già classificato, iniziavano a prendere conoscenze di nuove possibilità, un nuovo pezzo di entrambi che si amalgamava alla perfezione con l’altro.
E mentre in cuore suo Sebastiano pensava “non fermarmi”, Medea diede voce ad entrambi.
«Continua» sussurrò tra le braccia di lui.
 
Una promessa era una promessa e quella aveva tutta l’aria di essere mantenuta.
 
 
***
 
L’angolo di Martowl.
 
E’ mezzanotte e dieci e questa storia ha avuto origine ben mezz’ora fa.
E’ venuta fuori da sola, racchiudendo momenti reali di Sebastiano e Medea per poi essere romanzati a dovere.
Non ho molte parole per voi, perché loro sono sempre loro e, come giusto che sia, non hanno bisogno di vere parole.
Non so come sia uscita questa oneshot, ammetto di avere dei dubbi riguardo al finale perché, in un modo o nell’altro, questi due finiscono sempre a letto insieme.
 
Medea e Sebastiano stanno affrontando la maturità e non so per quanto tempo ancora si possano vedere, non so per quanto ancora io potrò scrivere di loro ma spero di mantenerli sempre con me, di farmeli comparire in sogno e viverli nella mia mente.
 
Ah, volevo anche chiarire che non ho citato la presenza della madre di Medea in casa perché sono divorziati ma non mi sembrava necessario chiarire, all’interno della storia, questo particolare, però mi pareva giusto dirvelo almeno qui, nelle note.
 
Non ho ancora risposto alle recensioni delle vecchie oneshot e vi chiedo perdono ma quando le leggo, piango e mi sento troppo emotiva, quindi preferisco rimandare.
Datemi il tempo di finire questa maturità e poi sarò tutta vostra.
 
Ad ogni modo, spero che questo loro piccolo momento sia di vostro gradimento (?).
Spero, da cara scrittrice, di poter trovare qualche piccola recensione perché grazie a voi riesco a continuare a scrivere, a parlare di loro!
 
Ah, ultima cosa poi vi lascio, sto aspettando che Erika mi cambi nome quindi non sarò più Martowl, ma diventerò “mamihlapinatapei”, ossia “Guardarsi reciprocamente negli occhi sperando che l'altra persona faccia qualcosa che entrambi desiderano ardentemente, ma che nessuno dei due vuole fare per primo”.
 
Detto ciò, non vi disturbo più,
spero che qualche anima pia recensisca.
 
Tanti abbracci e un sentito In bocca al lupo a tutti i maturandi!
 
Ancora per poco, la vostra Mart.
   
 
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