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Autore: Edelvais    25/06/2014    2 recensioni
[...] A quei tempi, Camden Town era il punto di ritrovo degli anticristi dell'eleganza e della sobrietà.
Creste e acconciature impossibili, doverosamente dipinte di colori altrettanto assurdi; piercing e tatuaggi, punk rock e anarchia. Era questa l'aria che si respirava a Camden. Soprattutto nei locali come il Velvet, rampa di lancio per le band emergenti londinesi.

[...] Duncan ghignò. «Sono un ragazzo molto cattivo, streghetta, dovresti avere paura di me».
Gwen gli assestò un leggero pugno sul braccio, ridacchiando. «Sei solo uno stronzo».
Lui fece spallucce, sorridendo sornione. «Un ragazzo stronzo e molto cattivo, ricercato da una banda di ragazzi ancora più cattivi. E tu sei proprio in sua compagnia, di notte e sotto un ponte».

[ Duncan/Gwen | OS | Londra 1979 ]
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Courtney, Duncan, Geoff, Gwen | Coppie: Duncan/Gwen
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Londra, 1979
 

«La morettina al bancone ti punta da più di un'ora».
Duncan ripose la chitarra nella custodia e, mentre si destreggiava meccanicamente tra i cavi delle casse, sollevò lo sguardo e inarcò un sopracciglio in direzione di Geoff, batterista del gruppo.
L'esibizione si era appena conclusa e l'ora di chiusura del locale era vicina.
A parte qualche ubriacone collassato con la testa riversa sul tavolino e due ragazzi fatti fino al midollo che cercavano di attirare l'attenzione di un unicorno invisibile, i presenti erano quasi tutti usciti o si apprestavano a farlo. Non c'era quindi da sbagliarsi: la ragazza in questione era seduta compostamente al bancone, un drink in mano e l'aria di chi è abituato a ottenere ciò che vuole. Abito corto, stretto ma essenziale ed elegante, senza sfociare nella volgarità.
Una tipa snob.
Cosa diamine ci fa una come lei nella bettola più infame di Camnden?
A quei tempi, Camden Town era  il punto di ritrovo degli anticristi dell'eleganza e della sobrietà.
Creste e acconciature impossibili, doverosamente dipinte di colori altrettanto assurdi; piercing e tatuaggi, punk rock e anarchia. Era questa l'aria che si respirava a Camden. Soprattutto nei locali come il Velvet, rampa di lancio per le band emergenti londinesi.
Quindi, in quel momento la vista della tizia in abito da sera strideva fastidiosamente con lo sfondo.
Duncan quasi sentì gli occhi di lei chiedergli, anzi, implorargli un giretto nel suo letto. Perché in realtà, sotto quel viso angelico e quell'aria distinta, Duncan avrebbe scommesso la sua preziosa cresta che fosse una gran porca. Sogghignò, distogliendo lo sguardo da lei.
Un tempo avrebbe accettato la sfida; l'avrebbe raggiunta con passo lento e sfrontato e le avrebbe sussurrato all'orecchio una delle sue frecciatine migliori. Poi con falso disinteresse sarebbe uscito dal locale e l'avrebbe attesa di fuori, certo di aver fatto breccia.
Ma era cambiato tutto.
«Che c'è, il Maestro è andato in pensione?»
Duncan scosse la testa, amareggiato, all'angolo della bocca pendeva una sigaretta ancora spenta.
I tempi d'oro del Maestro, quella parte di Duncan che fino a poco tempo fa aveva dominato incontrastato facendogli condurre una vita ai limiti della lussuria era andato, scomparso.
«Non ne ho voglia, stasera» rispose, sistemandosi la chitarra sulle spalle.
Geoff rise. «Stai perdendo colpi, amico» disse, con il tono di chi la sa lunga. «C'è qualcun altro?»
Scacco matto.
Duncan simulò una risata beffarda. «Intendi una ragazza fissa? Io?» intuendo che Geoff non era poi così stupido da cascarci, si arrese. «Okay, sì, c'è una tipa».
Si passò una mano fra la cresta verde, imbarazzato.
«Tu. Con una ragazza fissa» Geoff scoppiò in una risata che risuonò nel locale ormai vuoto. «Sapevo che tramavi qualcosa, ma non riesco proprio a immaginarti nella parte di "bravo fidanzato"».
Già, nemmeno lui. Duncan però aveva giurato una cosa a se stesso, nel momento in cui aveva capito che l'era del Maestro era conclusa: non sarebbe mai diventato come Geoff. Il batterista e la sua relazione con Bridgette erano praticamente uno dei motivi per cui Duncan rigettava le coppie fisse. Diamine, bisognava essere proprio idioti per farsi trascinare in giro come un cagnolino!
«Sappi che non farò mai cose del genere» replicò Duncan mentre uscivano dal locale per immergersi nel caos di Camden. «Piuttosto l'astinenza».
«Non è poi così male. Farei qualsiasi cosa per far felice Bridgette».
Oh, no, eccolo che ricominciava. Duncan rabbrividì. Da quando quei due stavano insieme Geoff si era rammollito sempre di più. "Arriverà a suonare l'arpa, al posto della batteria" si ritrovò a pensare Duncan, sogghignando.
«Allora, chi è la preda?» domandò Geoff, ricomponendosi dall'espressione sognante. «Ti prego, dimmi che non ti sei innamorato di una puttana».
No, non poteva dirglielo. Il suo migliore amico era più pettegolo delle megere che aveva avuto per vicine di casa a Brighton. Ma ormai aveva cominciato l'interrogatorio e non avrebbe desistito facilmente.
«È la ragazza più strana che abbia mai conosciuto» non appena lo disse, Duncan sentì il suo petto ribollire. Peggio degli adolescenti alle prime cotte.  «L'ho incontrata al Mc Lawrence, alcune settimane fa. Ci ho subito provato, ma lei ha abbattuto ogni mia frecciatina con altrettante frecciatine».
«È da sposare» commentò Geoff, sorpreso. «È carina?»
Domanda idiota. Se Duncan l'aveva adocchiata senza averla mai conosciuta prima, un motivo doveva esserci. In quanto a superficialità era un campione.
«Dovresti vederla! Bassina ma non troppo, magra; ha dei capelli fantastici: neri e... »
Blu. Duncan rimase a bocca aperta, lasciando la frase a galleggiare mezz'aria, mentre i suoi occhi fissavano un punto sul marciapiede opposto. Dove appunto una ragazza bassa, magra, dai capelli neri striati di blu correva a perdifiato. Duncan la indicò all'amico, incapace di aprir bocca.
Geoff non riuscì a reprimere una fine esclamazione di sorpresa. «Cazzo! Corrile dietro, cosa aspetti?!»
Senza troppi complimenti, Duncan si ritrovò catapultato in mezzo alla strada sotto la spinta del batterista. Evitando un paio di macchine, raggiunse la parte opposta della via e la chiamò.
«Gwen!»
Ma la ragazza parve non sentirlo e proseguì dritto fino a fermarsi davanti a un locale. Precisamente il locale dove la sua band aveva appena concluso una serata.
Accidenti! Pensò, innervosito. Poi si ritrovò a ghignare, sornione: pochi giorni fa le aveva detto che avrebbero suonato al Velvet e lei, con l'aria misteriosa e sardonica che aveva colpito e affondato Duncan, aveva replicato che forse avrebbe fatto un salto.
Sbracciandosi salutò Geoff dall'altra parte della strada e si precipitò al Velvet. Facendosi strada fra gruppetti di punk ubriachi fradici, qualche bottiglia rotta per terra e un paio di musicisti di strada, finalmente la raggiunse.
«Giusto un po' in ritardo, streghetta» berciò scherzosamente quando giunse a pochi passi da lei, cercando di reprimere il fiatone.
Dovrei proprio smettere di fumare, cazzo.  
Gwen distolse lo sguardo dalla porta chiusa del locale e lo posò su Duncan. I suoi occhi di ghiaccio indugiarono sui quelli di lei, neri e impenetrabili.
«Duncan!» esordì, sorpresa. «Cosa ci fai qui?»
Come se non lo sapesse.
Lui sghignazzò, avvicinandosi a lei. «Non giocare con me, streghetta» disse. «Avevi voglia di vedermi suonare ma hai fatto tardi, perdendoti lo spettacolo».
Gwen gli puntò un dito al petto, assumendo un'espressione arrabbiata ma leggermente divertita. «Sei l'essere più egocentrico che abbia mai avuto la sfortuna di conoscere!» berciò. «Stavo correndo qui perché avevo appuntamento con una mia vecchia compagna di liceo e sì, ho fatto tardi».
Duncan aggrottò la fronte, perplesso. Poi ricordò: l'unica ragazza seduta al bancone che lo aveva fissato per tutto il tempo, a detta di Geoff. Ma certo!
«Già, uno schianto di morettina che mi ha osservato per tutto il tempo con aria vorace. Peccato abbia l'aspetto di una delle ragazze più viziate e perfettine dell'intero universo».
Ecco, con questa perla, Duncan era sicuro di averla in pugno.
Ribolle di gelosia!
Invece Gwen scosse lievemente la testa, guardandolo ora con espressione... delusa. «Sai, avevo ragione su di te» disse. «Pensavo che questo tuo atteggiamento fosse solo una maschera da finto "duro", ma evidentemente non lo è. Sei davvero un bastardo insensibile».
Duncan rimase per un momento immobile, interdetto. Cosa stava succedendo?
Ma mentre lui arrancava verso la soluzione, Gwen era già a qualche metro da lui e si stava allontanando sempre più, palesemente disgustata dalla sua presenza.
«Gwen, aspetta!» esclamò, infine.
Prima che potesse rincorrerla, due mani lo afferrarono per le spalle e lo trattennero sul posto.
«Non è una buona idea, amico» sentì la voce di Geoff vicinissima al suo orecchio.
Duncan sbuffò, liberandosi dalla stretta. «Sono un'idiota».
«Sì, lo sei» Geoff si appoggiò con la schiena al muretto. «Insomma, hai quasi fatto colpo e salti fuori con la storia della morettina? Hai detto che il Maestro non funziona con lei».
Il Maestro poteva anche andare a farsi fottere. Al contrario di quanto pensava, l'era del Maestro non era affatto  tramontata. Tornava a tormentarlo nei momenti in cui era di troppo, abbandonandolo invece quando ne aveva bisogno.
«È diversa dalle altre» mormorò Duncan, indeciso se esserne appagato o frustrato.
Non aveva ceduto, ma nemmeno lo aveva rifiutato. Era questo che lo aveva colpito.
«Proprio per questo devi essere delicato» ribatté Geoff, con l'aria di chi la sa lunga. «Non è una delle tue tipe da una notte e via, è chiaro».
Delicato.
Le ragazze che era abituato a frequentare erano in cerca di una sola cosa. E non era certo delicatezza che volevano.
«'Fanculo» sbuffò. «Io ci rinuncio».
Geoff scoppiò a ridere di gusto. Per un attimo Duncan fu tentato di spegnergli la sigaretta sul braccio scoperto.
«Che cazzo ridi?» berciò Duncan, sempre più infastidito.
Il ragazzo si asciugò teatralmente le lacrime dagli occhi, poi batté ripetutamente la mano sulla schiena dell'amico, che nel frattempo stava meditando il suo omicidio.
«Sei un'idiota colossale, amico» disse. «Fra tutte le stronzate che potevi dire hai scelto la peggiore».
Duncan allargò le braccia in segno di resa. «Sono settimane che provo a chiederle un appuntamento, e quando arriva l'occasione giusta mando tutto a puttane» calciò una lattina di birra con tanta violenza da scagliarla dall'altra parte della strada, dritta dritta a colpire lo stinco di uno skinhead di passaggio.
«Non è vero» mormorò Geoff, gli occhi spalancati fissi sul soggetto colpito. «Dimmi che non è vero».
Il ragazzo si girò di scatto, e il suo sguardo si posò subito su di loro. Duncan ingoiò un'esclamazione di sorpresa mista a rabbia; era lo stesso skinhead a cui dovevano ancora cento sterline per l'erba che aveva venduto loro.
Roger Wave: alto e imponente, la testa interamente rasata e un tubero calpestato al posto del naso. Non sarebbe stato un grande problema se non fosse perennemente attorniato dai suoi scagnozzi. Tre ragazzi di cui due gemelli bassi e tarchiati, e il tipico ragazzo-pertica che superava il capobanda di almeno due spanne. Con loro, altre due skinhead dal famoso taglio di capelli Chelsea.
«Porca puttana!» gridò il punk, prima di afferrare Geoff per la maglia e tirarselo dietro per la strada. «Corri!»
Consiglio che seguì anche la banda di skinhead.
I due si fecero spazio fra la gente, confondendosi come poterono in mezzo alla miriade di ragazzi notturni.
«Se ci prendono siamo morti» ansimò Geoff.
«E allora sbrigati!» replicò Duncan, svoltando l'ennesimo vicolo.
Si fermarono.
Un bivio.
Geoff e Duncan si scambiarono una rapida occhiata d'intesa, poi si divisero.
La strada di destra si rivelò proficua.
Duncan affilò lo sguardo e vide il ponte che portava alla zona dei mercatini in avvicinamento.
Wave avrà seguito me, poco ma sicuro.
La sua cresta era un segno particolare molto più particolare dei comuni capelli biondi di Geoff, e Duncan aveva l'impressione di essere il preferito di Roger Wave.
Non vede l'ora di mettermi le mani addosso.
Si guardò alle spalle per un momento, per vedere quanto vantaggio aveva, e quel momento di distrazione bastò per urtare qualcosa - o meglio, qualcuno - e cadergli addosso.
Per fortuna riuscì ad appoggiarsi con le mani e le ginocchia al terreno, evitando di schiacciare con il suo peso lo sventurato che aveva travolto.
O meglio... la sventurata.
«Gwen?»
La ragazza giaceva sotto di lui, il viso pallido a pochi centimetri dal suo.
«In carne e ossa, bello» replicò lei, guardandolo di sbieco. «Ora che mi hai riconosciuta potresti, gentilmente, levarti?»
Duncan obbedì, rialzandosi rapidamente da terra e tendendole una mano per aiutarla a fare lo stesso. Gwen la ignorò bellamente.
«Cosa ci fai qui, Duncan?» berciò, acida, mentre ripuliva la gonna nera dalla polvere. «Mi sembrava di averti dato del bast-»
Duncan si riscosse, ricordandosi improvvisamente dei suoi inseguitori. Afferrò Gwen per un polso e la trascinò sotto il ponte, zittendola.
Aveva perso troppo tempo, ormai la banda  aveva recuperato il suo vantaggio.
«Lunga storia» sussurrò posando l'indice sulle labbra.
Gwen imbastì un'espressione confusa, ma obbedì ugualmente, appiattendosi contro il muro. Duncan la imitò, sporgendo il capo per gettare qualche occhiata di tanto in tanto.
Dopo qualche secondo di attesa, eccoli arrivare. Le loro voci e i loro passi veloci rimbalzarono verso Gwen e Duncan quando i ragazzi percorsero il ponte correndo.
Sono salvo.
Nel momento in cui il silenzio ripiombò su di loro, Duncan distese i muscoli ed esalò un sospiro di sollievo.
«Si può sapere dove diamine stavi correndo?» Gwen incrociò le braccia al petto, assottigliando lo sguardo. «O chi ti dava la caccia?»
«Una banda di skin» rispose lui appoggiandosi al muretto e distendendo le gambe davanti a sé.
«Cos'hai combinato di tanto grave?»
Ora nei suoi occhi era apparsa una punta di curiosità, oltre all'indignazione che continuava a persistere, irremovibile.
Duncan ghignò. «Sono un ragazzo molto cattivo, streghetta, dovresti avere paura di me».
Gwen gli assestò un leggero pugno sul braccio, ridacchiando. «Sei solo uno stronzo».
Lui fece spallucce, sorridendo sornione. «Un ragazzo stronzo e molto cattivo, ricercato da una banda di ragazzi ancora più cattivi. E tu sei proprio in sua compagnia, di notte e sotto un ponte».
«Sì, certo» berciò la ragazza, sempre più curiosa. «Sul serio, cos'hai combinato?»
Duncan estrasse una sigaretta dal pacchetto ormai vuoto e la accese. Il fumo fuggì dalle sue labbra, confondendosi con il buio della notte. «Due mesi fa io e la mia band abbiamo comprato da Roger Wave un po' di erba, che ancora non abbiamo pagato. E, sai com'è, i bastardi come lui non hanno molta pazienza».
Gwen scosse la testa, incredula. «Sei un idiota».
«Che c'è?»
«Avete comprato della roba che sapevate di non poter pagare?»
Duncan fece spallucce. «Avremmo dovuto esibirci al World's End qualche sera dopo, ma alla fine è saltato tutto e addio alle cento sterline che ci avevano promesso. In ogni caso, con la serata di oggi ci manca poco per saldare il debito».
«Allora farete bene a barricarvi in casa» rispose lei. «Quelli hanno tutta l'aria di volervi cambiare i connotati».
Duncan rise.
Seguirono lunghi attimi di silenzio, interrotti soltanto dallo scorrere dell'acqua del fiumiciattolo e dal ronzio di qualche zanzara.
Alla fine, fu Gwen a spezzarlo, alzandosi da terra. «Forse è meglio che vada; non so nemmeno perché hai trascinato qui anche me».
A quelle parole, Duncan scattò in piedi e le afferrò il polso prima che potesse lasciarlo solo. Di nuovo.
«Aspetta» sussurrò, quasi avesse paura di parlarle. «Io volevo... ecco... Mi dispiace per quello che ho detto prima. Non avrei dovuto comportarmi così con te, perché...»
Gwen lo guardò, confusa, esortandolo ad andare avanti.
«Perché sei diversa» spostò il peso da un piede all'altro, cercando di prendere coraggio. «Mi hai colpito fin dal primo istante; sei divertente, carina e... diversa. Non ho mai incontrato una come te».
«Una che ti resiste, vuoi dire».
«Beh, ammetto che non mi era mai capitato prima» un sorriso sghembo si dipinse sulle sue labbra.«Ma davvero, Gwen, mi piaci».
Nonostante il buio, Duncan poté giurare di aver visto un sorrisetto compiaciuto guizzare sul viso della ragazza.
«E credimi se ti dico che in queste settimane mi hai fatto dannare più di Roger Wave».
Ora la risata di lei giunse forte e chiara alle orecchie di Duncan.
«Allora, sono perdonato?» mormorò alla fine, scostando una ciocca di capelli dalla fronte di Gwen.
Sotto i suoi polpastrelli, la pelle della ragazza avvampava.
«Forse» sussurrò lei in risposta, prima di colmare la distanza tra le loro labbra.
Duncan, sorpreso dalla mossa inattesa della ragazza, passò le braccia attorno alla vita di Gwen, stringendola a sé.
È quella giusta, lo so.
Le labbra di lei sapevano di chewing gum alla menta, notò Duncan, e pensò che fosse il sapore più buono che avesse mai sentito. Il sapore della vittoria.
Ce l'ho fatta.


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Buongiorno/sera/notte a todos ^^
Eccomi tornata nel mio primo vero fandom, con la mia prima vera ship! Mi era davvero mancato scrivere qualcosina su questi due!
Anyway, volevo ringraziare tutti coloro che hanno stretto i denti e sono giunti fin qui, reduci da questa lettura. Meritate una medaglia al valore, amici miei :')
Quest'anno ho avuto la fortuna di visitare Londra per ben tre volte, e con lei soprattutto la zona di Camnden Town, che fa da sfondo alla storia. Se mai doveste andare a Londra, vi consiglio vivamente di fare un salto a Camden, la parte "ribelle" della città (o meglio, lo era un bel po' di anni fa). L'atmosfera degli anni '70/'80 mi ha sempre affascinato, soprattutto se collocata nella capitale britannica; quindi, perché non scriverci una storia sopra con il punk più amato del reality? :)
Spero che questo mio piccolo lavoro vi sia piaciuto! 
Per quelli che stanno seguendo il mio racconto originale Fallen Angels, non preoccupatevi: sono ancora viva e sto continuando a scrivere! Ho solamente messo giù la penna per qualche giorno in modo da terminare questa piccola cosina nata questa primavera dalla mia mente malsana.
Bene, credo di aver detto tutto. Come al solito vi lascio i link per contattarmi fuori da Efp :)
Grazie a tutti per l'attenzione, ora mi eclisso 


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