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Autore: xAcacia    25/06/2014    1 recensioni
Cassie sa una cosa che in pochi sanno: i vampiri esistono, e sono pericolosi.
È proprio dopo un attacco di vampiri che Cassie scoprirà di non essere una comune mortale, bensì una Whitesun: una ragazza che con un pugnale specifico può uccidere tutti i vampiri e i lupi mannari che vivono su questa terra.
Però ora deve pensare a salvarsi. Le notizie corrono veloci quando si parla di Whitesun e lei è in pericolo. Dovrà andare in un Istituto pieno di ragazzi che combattono i demoni. Là capirà che a volte le persone non sono così male e che si può avere una famiglia anche senza legami sanguigni.
Come se non bastasse scoprirà anche che l'amore può essere per sempre, perché esistono le anime gemelle e lei ha trovato la sua. Si chiama Jeremy, ma il loro è un rapporto molto strano. Sembra una battaglia senza fine quella che si fanno loro due, soprattutto perché lei ha sempre visto la semplicità nei ragazzi come una caratteristica bellissima e lui invece cerca sempre la bellezza esteriore nelle ragazze. Per non parlare poi di come, lo stesso destino che li ha fatti incontrare, cerchi continuamente di separarli, in un modo o nell'altro.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1
Cambiamento radicale
 
  – Ciao, mi chiamo Cassie e… Ok, non so veramente cosa dire di me – borbotto io, rido imbarazzata mettendomi indietro i capelli. Vorrei solo finire di dire queste stupidaggini e andarmene da qua, andare dai miei amici, che non stanno in questa scuola, ovviamente.
– La tua data di nascita, le solite stronzate che si devono dire per una presentazione per bene – esclama il ragazzo con la telecamera in mano. Alzo il sopracciglio destro per far capire al ragazzo che ha appena detto una parolaccia davanti alla telecamera della scuola, che serve per registrare la mia presentazione nella mia nuova scuola. – Cazzo. – Rido. – Ok, ricominciamo. E… vai.
– Ciao a tutti, mi chiamo Cassie Moonic e ho quindici anni… tra tre mesi sedici. Mi sono dovuta trasferire in questa scuola per questioni private… —Il ragazzo mi ferma e faccio un’enorme fatica a non sbuffare. Di certo non andrò a dire a tutti il perché la mia vecchia scuola mi guardava come se fossi una specie di cucciolo smarrito.
– Questioni private? – chiede guardandomi con le sopracciglia alzate. Ed ecco la domanda che non avrà mai risposta. In questa scuola dovranno capire che non m’interessa essere “la sfigata della scuola”. Ho finito di pensare a queste idiozie tanto tempo fa, tipo un anno fa. Chissà, magari se a loro fosse successo quello che è successo a me ora non si comporterebbero così. Se invece continuassero, allora significherebbe che ha ragione la gente quando dice che siamo veramente la generazione dei menefreghisti e che non andremo da nessuna parte.
– Si. Private – ripeto io, già abbastanza irritata. Questa storia della registrazione per farmi conoscere dalla gente la trovo una vera cavolata, insomma io non voglio farmi degli amici! Non qua almeno, non dove tutti pensano di sapere la verità, quando non sanno un bel niente! Dio… quanto glie lo vorrei dire, lo vorrei urlare cosicché tutti capiscano che non siamo al sicuro. E magari nemmeno dormono più la notte, un po’ come me insomma. Chiamatemi egoista, ma sono stufa di far pensare alla gente che va tutto bene quando la verità è che siamo tutti spacciati.
– Va bene, come vuoi – bofonchia lui, ricominciando a registrare. A quanto pare nemmeno a lui interessa più di tanto fare questo lavoro. E allora, mi chiedo, che stiamo facendo qua? Di certo non è obbligatorio fare una presentazione. O almeno credo.
– Emh… io veramente avrei finito – dico io, un po’ in imbarazzo.
– Basta? Finito? – chiede lui, praticamente scioccato. Annuisco. – Bah – esclama spegnendo la telecamera. – Certo che sei proprio strana – borbotta a bassa voce. Lo guardo facendo un finto sorriso. Vorrei dirgli: veramente qua quello strano sei te, oltretutto pure sfigato, visto che se ti trovi davanti uno di quei mostri sei morto entro cinque secondi.
– Grazie – esclamo io tranquillamente, pensando alla sua imminente morte.
Alza lo sguardo e arrossisce un po’. – Scusami, ma è vero – balbetta quindi. Rido e mi alzo mentre penso che è anche vero che quando morirà io andrò al suo funerale e farò una mini-festa là dentro.
– Tranquillo, lo so – cerco di tranquillizzarlo io ridendo.
Vado nei corridoi, mi guardano tutti ed io, con lo sguardo a terra, me ne vado in bagno. Ok la verità? Non è come nei film, essere quella nuova fa schifo. Essere quella strana fa ancora più schifo e di sicuro non piace ai ragazzi, non che m’interessi. Twilight? Tutte cavolate. Ma io sono così e basta, i ragazzi che si vantano mi stanno antipatici e di certo non gli vado dietro. Quelli troppo belli non mi fanno sentire a mio agio e odio stare con tante persone. Sono la vera persona strana, nessun film che parla di questo ti dice la verità. Forse – e dico forse – quel film che parla di quella ragazza che fa finta di essere una poco di buono, una prostituta, una puttana? Come la vogliamo chiamare? Ci sono varie parole, non certo carine, ma che ci posso fare io? Mica le ho inventate io! Comunque, si chiama… girl, no… Easy Girl! Si, ma giusto il fatto che la gente ti disprezza o cose simili, in verità non ho mai visto dei veri ragazzi cattolici a scuola che cantano, forse non ci ho mai fatto caso. Boh, vai a capire.
Altra verità? I bagni fanno schifo. Non starai mai sola nei bagni, perché quanti siamo a scuola? Dai cinquecento agli ottocento ragazzi? E dai, è una cosa impossibile! Come può non esserci nessuno in un bagno per una scuola di 500 ragazzi? È ridicolo.
– Te sei quella nuova, giusto? – mi chiede una ragazza praticamente vestita tutta di rosa con una minigonna che potrebbe sembrare l’indumento che ha sotto la gonna.
– Si, perché? – chiedo io guardandola. Deve essere una ragazza popolare, sicuro. Sennò non si spiegherebbero tutte le ragazze che le stanno dietro, alcune sembrano sbavare per lei, altre sembrano spocchiose tanto quanto lei.
– Piacere, io sono Diana – esclama stringendomi la mano e senza rispondere alla mia domanda, cosa che odio.
– Cassie – mi presento io. Sorride e se ne va con tutte le ragazze.
Dopo quattro ore di scuola e presentazioni me ne vado a casa… se così si può chiamare.
– Sono a casa – avverto io, mettendo apposto le chiavi. Faccio un respiro profondo e mi decido ad andare in salone, dove sono sicura che ci sarà la persona che purtroppo in quest’ultimo periodo non sto amando, cosa che dovrei fare.
– Ciao – borbotta l’uomo che chiamo “padre”.
– Ciao – lo saluto io buttando per terra la borsa. – Hai finito? – chiedo. Annuisce e così prendo la lattina di birra e la butto. – Io esco – annuncio subito. Prendo le chiavi della “mia” macchina e il cellulare. Lo so, ho solo quindici anni e qua, in America, non si potrebbe avere una macchina, io, oltre ad essere brava a guidare, ho una patente finta. Idem con il documento. Secondo loro ho sedici anni.
– Ok – mormora mio padre. Sto per uscire quando sento lui urlare: – No, no! Sta ferma!
Chiudo la porta e ritorno dentro casa sbuffando. – Papà… -- borbotto, stufa. Vado in salone e lo guardo con le braccia incrociate. Dovrei pensare: “Oddio, cos’ha che non va? Forse dovrei rimanere a casa e stare con lui fino a quando non si sente meglio” e invece non faccio altro che pensare che se continuiamo così farò tardi a lezione.
– Tua madre è morta. Non puoi uscire – balbetta, in preda al panico.
– Papà, lo so che è morta ma devo andare a lezione.
Ride. – Ancora credi a queste cazzate – esclama lui prendendo un’altra lattina di birra. Si siede un’altra volta sulla poltrona e inizia a bere la birra.
– Queste cazzate me l’hai insegnate te – ringhio io.
– Ok – borbotta alzandosi. – Ora ti dirò una cosa – annuncia venendo davanti a me un po’ traballante. – O sai sparare o non sai sparare. Non hai bisogno di tremila lezioni per questo.
– Papà, io voglio vendicare la morte di mamma, che ti piaccia o no – ringhio alzando la voce. Mi sono stufta dei suoi comportamenti da stronzo, la mamma è morta ed io ho bisogno di lui. Dopotutto ho quindici anni! Non me la posso cavare da sola! Manca anche a me la mamma, ma non ho intenzione di buttarmi giù come ha fatto. Siamo qua, tanto vale combattere. Sennò che viviamo a fare? Non ho intenzione di diventare una ragazza che non fa altro che bere per dimenticare, soprattutto perché alla fine non si dimentica veramente. Muori e basta, sia dentro che fuori. Quindi, se proprio devo morire, o mi sparo oppure faccio in modo che ne sia valsa la pena. Come per esempio per aver vendicato la morte di mia madre.
–  Fai quello che ti pare, ma quando ti avranno morsa, perché credimi che lo faranno, non venire da me. – Ecco quello che ho: un padre ubriaco dalla mattina alla sera che non mi aiuterà mai e poi mai.
–  Ok – ringhio io. Esco senza salutarlo ed entro in  macchina.
Sono arrivata al magazzino ma non sento nessuno sparo. Niente di niente. Mi guardo intorno e vedo che ci stanno tutte le macchine, quindi forse stanno facendo uno di quei lunghi discorsi, forse perché ci stanno dei ragazzi nuovi.
Così entro, ma vedo tutti corpi per terra. Il mio cuore si ferma e mi ritrovo a piangere con una mano davanti alla bocca. Riesco a sentire la voce di mio padre mentre mi dice che sicuramente mi morderanno e che quando lo faranno io rimarrò del tutto sola. Qualcuno tossisce e così corro verso quel rumore. Vedo che è Iris, la mia migliore amica.
– Iris, Iris – la chiamo io prendendole il viso. – Iris, che è successo? – Tossisce un’altra volta, guardo tutto il suo corpo e vedo che l’hanno morsa. Mi alzo di scatto con le lacrime agli occhi.
Qualcuno per mi chiama: è il mio maestro. Mi guardo intorno. – Maestro? – lo chiamo io, ancora sotto shock.
–  Sotto la cattedra, Cassie – mormora lui. Corro verso la cattedra e lo vedo: è ridotto malissimo.
–  Che è successo? – chiedo io. Cerco di non urlare ma è praticamente impossibile. Come ho già detto, sono sotto shock e non ho praticamente nessun controllo del mio corpo.
–  Ci hanno scoperto – risponde tremando. – Ci hanno scoperto, te ne devi andare.
– Ma ci deve essere qualcuno ancora vivo – urlo io, ora in preda al panico.
–  No, non c’è nessuno. Anzi, si stanno per trasformare alcuni, te ne devi andare – mi avverte lui, già bianco cadaverico. Cerco di vedere se l’hanno morso ma è cosparso dal sangue e non riesco nemmeno a capire se è il suo o quello di qualcun altro!
– E lei come farà? – chiedo, non sapendo se si sta trasformando o no.
– Devi pensare a te, adesso.
– No – dico piangendo. – Venga. – Così lo prendo e lo aiuto ad alzarsi, ci giriamo e vedo un uomo venire verso di noi. – Oddio! – Per qualche strano motivo sembro una ragazzina che non ha la minima idea di quello che si trova davanti, ma questo non è possibile, perché io sono la più brava del mio corso!
– Scappa – mi ordina lui, tra un colpo di tosse e l'altro.
– Ma... ma cos'è? – chiedo guardando quella cosa.
– Sono quelli che non si possono guarire – risponde con la voce rauca. È una caratteristica di chi si sta trasformando, ma non posso lasciarlo. Non posso lasciare lui come non posso lasciare la mia migliore amica, Iris.
Devo pensare. Devo pensare. Cosa posso fare? Ok. Ho un’idea. – Mi dia la sua pistola – dico io, come se lui potesse muoversi...
– Non ce l'ho – mi annuncia lui. Continua a tossire, maledizione.
– Oddio – dico, ancora più agitata. – Ok, ok. – Lo faccio sdraiare a terra. – Arrivo subito – lo avverto io, e così corro verso la prima pistola che vedo. Il mostro viene verso di me. – Vieni un po' più vicino – borbotto io, e così fa. Sparo ed esso cade a terra, sospiro sentendomi un pochino meglio. Sento qualcuno dietro di me che respira sulla mia pelle; così, spaventata, mi giro e vedo – Iris – mormoro, con le lacrime agli occhi. Decido di  scappare, mi giro e vedo il maestro alzarsi, anche lui è andato, perduto. Prendo la pistola e sparo al maestro chiudendo gli occhi, con le mani tremanti.
Poi vedo Iris venire sempre più vicino a me. – Non farmelo fare, Iris – piagnucolo guardandola. – Per favore. – Ma lei continua a venire vicino a me, alzo la pistola un'altra volta, ma dopo pochissimo tempo la riabbasso capendo di non riuscire a sparare alla mia migliore amica. – Iris – la chiamo piangendo, – non farlo, per favore – dico io, ma vedo lei continuare ad avanzare. Altre “persone” si alzano e mi guardano, così chiudo gli occhi.
È finita.
No! - urla qualcuno. Cosa? Apro gli occhi e vedo un ragazzo davanti a me, quelle cose se ne vanno via solo dopo averlo guardato, sembrano spaventate a morte. Spalanco gli occhi e alzo subito la pistola vedendo le sue mani bianche, lui si gira e fa un passo indietro. – Ti... ti ho appena salvato la vita e mi ringrazi così? – chiede lui, incredulo. Come se mi facesse pena, come se mi facessero pena. Schifosi mostri, sempre pronti ad uccidere pur di sopravvivere in una vita inutile come la loro. Come fanno a vivere l'eternità in questo modo? Sapendo che se vogliono vivere per sempre devono uccidere qualcuno? Io non ce la farei, io mi ucciderei.
– Tu non provi nessun sentimento, perché mi hai salvata? – chiedo, ancora concentrata sulla pistola. Come se non sapessi la risposta: perché mi vuole uccidere lui. Il mio odio per questi mostri è ovvio, si può sentire pure nella mia voce. In pochi odiano… ormai odiavano i mostri, molti ne avevano paura; io ero quella che odiava quei così più di tutti.
– Forse perché quello che pensate voi non è vero – risponde lui. Rido nervosa. Sono stufa dei loro giochetti, manipolano la gente, ma con me non funziona. Non ci riusciranno mai.
– Oh si, che è vero – ringhio io continuando a tenere la pistola puntata sul suo cuore. Se fa anche solo un singolo passo lo uccido, premo il grilletto e lo ammazzo. Un solo passo ed è morto.
– E allora perché ti ho salvata? – chiede, con quello sguardo con cui mi fa capire che mi sta sfidando.
Lo guardo ancora negli occhi, insospettita. – Vattene – gli ordino, fredda.
 Ride alzando le mani al cielo e poi le posa un'altra volta vicino i suoi fianchi. Ma cosa sta facendo? Mi sta prendendo in giro?! Che stronzo! – Perché me ne dovrei andare? – chiede lui sorridendo come se mi stesse prendendo in giro. Questo oggi vuole proprio morire.
– Perché ti sto salvando la vita – rispondo io facendo finta di premere il grilletto.
Ride. – Ah, si? Dai – mi sfida lui mettendosi perfettamente davanti a me. – Spara, vediamo che sai fare. – E così faccio. Sparo ma dopo pochissimi secondi non lo vedo più e sento qualcuno tenermi il collo. – Ora potrei benissimo morderti o spezzarti il collo. – Abbasso la pistola con il cuore che batte più veloce di prima. – Ma decido di non farlo, solo perché sennò quell'urlo non sarebbe servito a niente e avrei usato le mie corde vocali per niente. – Mi lascia, ne approfitto e mi giro per guardarlo. – Scappa, su.
Inizio a correre, ma mi fermo pensando a Iris, così mi giro ma lui non c'è più. Spalanco la bocca, voglio solo piangere, e piangere, ma questo non è di certo il posto adatto così decido di andarmene a casa.
 
– Sono a casa – dico io facendo finta di niente, come se non fossi sporca di sangue, come se non avessi tutto il trucco colato per essermi messa a piangere come una bambina dentro quella schifosa macchina che per qualche motivo puzza di alcol.
– Com'è andata? – chiede, ma in verità non gli interessa veramente.
Vado davanti a lui. – Papà... il maestro e tutti gli altri sono stati attaccati. – Lo guardo per vedere la sua reazione, il maestro era sua amico. Lui apre un'altra lattina. – Credo sia morto, papà, gli ho dovuto sparare.
Ride. – È tutta colpa tua, è sempre colpa tua – risponde. Il mio cuore fa un balzo sentendo quello che mio padre pensa di me. L'ho sempre saputo, ho sempre saputo che lui ce l'aveva con me per quello che era successo a mia madre, mi ha sempre dato la colpa ma non lo diceva; e adesso, sentirlo dire da lui fa male. Ma dopotutto cos'è che non fa male quando mi parla da ubriaco? Anch'io mi sono sempre data la colpa della morte di mia madre, per qualche motivo io c’entro, lo so e so che nessuno me lo vuole dire. Ma gli occhi di mio padre parlavano e parlano chiari: è colpa mia.
– Cosa? – chiedo io, con le lacrime agli occhi.
– È sempre colpa tua – urla lui. – Quando tua madre è morta, è morta per salvarti e te adesso ti stai praticamente suicidando! È colpa tua se è morta! È colpa tua se il mio amico è morto! –  Scoppio a piangere ma lui decide di continuare come se non glie ne fregasse più niente di me. Forse ormai è vero. – È tutta colpa tua – continua lui, si alza dalla sedia e viene davanti a me. –  Vai fuori da casa mia. Ora! – urla un'altra volta mentre io guardo per terra, ma decido di fare quello che vuole: me ne vado, nonostante non sappia dove andare.
Esco di casa sbattendo la porta, faccio un paio di passi ma sento subito una voce – Mi dispiace – dice quel vampiro. Mi giro di scatto prendendo la pistola, ma lui ride un'altra volta. – Calma. Metti giù – dice mettendo una mano sulla mia pistola. – Metti giù – ripete quando vede che io non nessuna intenzione di fare come dice lui.
– Perché dovrei? Vattene – ringhio io. – Che ci fai qua? – chiedo dopo un po'.
– Volevo controllarti... magari uno di noi ti aveva seguita – risponde facendo spallucce.
Si, ed io sono Jennifer Lopez. – Perché dovresti? – chiedo, se avessi avuto il potere di sputare acido in questo momento lo starei facendo. Odio quando cercano di persuadermi, come se io fossi così stupida da credergli.
– Perché sennò avrei sprecato le mie corde vocali e, credimi, per un uomo morto valgono molto. – Sorride. – Cavolo, io non parlo con un umano da un po' di tempo e quindi non so bene cosa dire, ma te sei veramente deprimente.
Abbasso la pistola. – Anche tu lo sei, tutti voi lo siete – ringhio. Ride un'altra volta, ma io decido di camminare per cercare un qualche posto per dormire.
– Dove vai? – chiede venendo con me. Alzo gli occhi al cielo chiedendo a Dio di fulminare questo povero cristo che non ha più uno scopo nella vita e di certo non può chiedere perdono a lui, come di certo non è più cristiano o altro.
– Vado a cercare un posto per dormire e quindi mi devo concentrare. È stato bello vederti. –  Mi fermo e così si ferma pure lui. – Anzi no, non è stato bello vederti, ma fa niente. Ciao. – Mi guarda e poi scoppia a ridere. Cosa c'è da ridere? Ti sto dicendo che non ti voglio, che mi stai antipatico, che mi fai schifo e te ti metti a ridere? Dov'è la coerenza?
– Ok, volevo solo farti un po' di compagnia – dice lui continuando a prendermi in giro. Come se io volessi la sua compagnia, preferirei buttarmi da un ponte che stare in compagnia di un vampiro.
– Non ho bisogno di compagnia – dico, arrabbiata. – Non ho bisogno della compassione di nessuno, io.
– Spiegami solo come fai a trovare un posto per dormire senza soldi e... perché non stai prendendo la tua macchina – ribatte lui. Guardo la mia macchina, ha ragione. Perché stavo andando a piedi?!
– Non sono affari tuoi – sbotto io prendendo le chiavi dalle mie tasche e aprendo la macchina, ride. – Potrei benissimo dormire qua, non sono affari tuoi, quindi perché non mi fai il piacere di andartene? Perché se non lo fai ti sparerò un'altra volta, e questa volta potrei riuscirci.
– Mm – Viene in un secondo dietro di me, ma toglie subito le mani dal mio collo. – Non è possibile – bisbiglia indietreggiando, incredulo. Mi giro verso di lui. – No, no, no – urla lui per poi scappare.
– Cosa... – dico io non capendo. – Ehi! – urlo io al ragazzo che ormai se n'è andato, o almeno credo. Rabbrividisco, questi mostri oltre ad essere inutili sono pure fuori di testa. Chissà il perché è scappato, non che non mi faccia piacere, ma si è spaventato. Io l’ho spaventato, per qualche strana ragione. Vorrei sapere di cosa si tratta, cos’ho di così spaventoso; o almeno cos’ho fatto di così spaventoso, così almeno lo faccio ogni volta che ne vedo uno, anche se preferirei ucciderlo che farlo scappare.
– Cas... – Mi giro sentendo una voce un po' strozzata e vedo Iris.
– Iris – la chiamo, incredula.
– Aiuto – balbetta lei per poi cadere. L'abbraccio per sorreggerla. – No! – Mi ritrovo per terra a un metro di distanza con tutto il corpo dolorante. – Scusa – piagnucola lei. Mi alzo e vado da lei. – Non avvicinarti a me! – urla, così mi fermo prima di farmi spingere un’altra volta dall’altra parte del pianeta da lei. – Ho fame.
– Ok, entra in macchina – le ordino, seria. Davvero posso farlo? Posso davvero avere una migliore amica vampira? Posso davvero aiutarla a sfamarla? Dio, no, perché mi hai fatto questo?! Ma mi viene un'idea, so dove portarla. 
– Perché? – chiede guardandomi.
– Andiamo da uno come te – rispondo. Devo aiutarla, dopotutto è sempre stata lei quella che aiutava me. Glielo devo, anche se ora è un mostro, magari può diventare più umana, ma ha bisogno di qualcuno come lei che l'aiuti e so esattamente da chi portarla. – Entra in macchina –  ripeto, entro e lei mi segue.
Arriviamo al campo di addestramento. Spero non ci siano ancora i nostri vecchi compagni, ormai mezzi morti. Per fortuna quando entro non vedo  nessuno; faccio sospiro per il sollievo che sto provando, ma non c'è nemmeno quello che mi ha salvato la vita.
– Ehi! – urlo io, arrabbiata. – So che sei qui! Mi devi aiutare. – La verità è che non ho la più pallida idea di quello che sto facendo, potrei benissimo star parlando da sola e questo di certo mi farebbe ridere… se solo non stesse succedendo tutto questo.
– Che c'è? – Mi giro di scatto e lo vedo.
– Perché voi dovete per forza apparire di dietro?! Non potete apparire semplicemente davanti a me?!
Ride. Ok, la potrebbe veramente aiutare se solo lo volesse. Sarei disposta a pregarlo, a baciargli i piedi, tutto quello che vuole, pur di salvare la mia migliore amica. – Non sarebbe nemmeno un po' divertente così – risponde lui accennando un sorriso.
– Senti, puoi aiutare la mia amica? – chiedo indicandola mentre trema. – Per favore – lo prego, mi guarda ancora un po' stranito. Chissà che è successo prima, chissà perché è scappato così.
– No, mi dispiace – risponde, freddo. – Te ne devi andare – balbetta.
Aggrotto la fronte, questi vampiri oltre ad essere dei mostri sono pure fuori di testa. Prima vuole “farmi compagnia” ed ora mi dice di andarmene, non è normale. Ma che mi aspettavo? Stiamo parlando di vampiri! Non sono ne affidabili ne nient'altro. Sono mostri che uccidono persone innocenti per sopravvivere, non eroi. Mi dimentico per la seconda volta in un giorno che questo non è Twilight e che qua i cattivi sono tutti i vampiri, nessuno escluso.
– Perché? – chiedo continuando a sperare in una cosa che non succederà mai. Twilight magari è vero, magari è una storia vera. Per quanto mi riguarda potrebbe esserlo! Deve essere così. Perché la mia migliore amica non può essere un mostro assassino.
– Perché devi stare lontana da me – mi avverte, quasi in preda al panico; la voce gli trema.
Lo guardo non capendo questa risposta. Ok, è veramente lunatico, dopotutto è un vampiro. Come fa a non essere lunatico?– Ti prego, lei è tutto per me – continuo guardandola mentre trema e si abbraccia da sola. Da quando in qua i vampiri hanno freddo? – Non farmi pentire di non averti ucciso – scherzo io.
Ride. – Va bene... ma te ne devi andare – ripete.
Annuisco. – Ok – rispondo guardandolo dritto negli occhi. Ce l'ho fatta, magari alcuni di loro non sono così cattivi, magari alcuni di loro non volevano diventare quello che sono. Magari alcuni bevono sangue animale senza nemmeno ucciderlo. Per la prima volta dopo la morte di mia madre riesco a vedere una piccola luce infondo al tunnel.


Angolo Autrice:
Ciao a tutti! Da dove cominciare? Allora, inizio col dire che questa è la mia prima storia, ma l'ho iniziata a scrivere circa un anno fa. Alcuni mesi fa ho finito di scriverla e solo oggi mi sono decisa a pubblicarla. Spero vi sia piaciuta, se avete qualche commento vi prego di recensire. Ho veramente bisogno di sapere cosa ne pensate, anche se il vostro è un commento negativo.
  
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