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Autore: RowanDarkstar    26/06/2014    2 recensioni
[What if, ambientata un giorno o due dopo la 2x09, Regina di Cuori]
Così, fu Regina ad esserle vicina quando Emma si destò per lo spavento.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: David Nolan/Principe Azzurro, Emma Swan, Regina Mills
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER: “Once Upon a Time” e tutti i suoi meravigliosi personaggi appartengono all’ABC, ad Adam Horowitz e ad Edward Kitsis, ecc… io li prendo in prestito con amore.

AMBIENTAZIONE: Un giorno o due dopo l’episodio 2x09, “Regina di Cuori” (what if).



Touch

Il momento fu così breve. È strano, il modo in cui azioni che durano ore potessero scivolare dalla memoria come raso tra dita incerte, mentre il più piccolo dei gesti poteva bruciare come un faro attraverso la percezione e la memoria.

Era successo così tanto nei precedenti cinque giorni (e settimane). Emma non era ancora sicura di cosa fosse reale e di dove i suoi sogni si ingarbugliassero con la realtà. Niente seguiva le regole del mondo conosciuto, non più.

Un piano per proteggere Henry si era trasformato in una sessione notturna per pianificare come proteggere tutti loro da Cora. Gli adulti si erano raccolti nello studio dello Sceriffo (e non sembrava tutto questo appartenere a una vita fa, rivestire il ruolo di Sceriffo in una piccola città nel Maine, come se lei non fosse la figlia di Biancaneve e del Principe Azzurro), mentre Henry dormiva in un semplice letto da Granny in fondo alla strada. Cappuccetto Rosso lo aveva accompagnato ed era rimasta con lui sinché non era stato fuori gioco.

Alla fine, esausta per giorni su settimane di follie, era Emma che si era addormentata con la testa sulla sua scrivania durante una pausa nella conversazione mentre i suoi genitori e qualche nano e la Regina Cattiva si muovevano attorno a lei. In quei giorni essere sveglia sembrava più un sogno.

L’incubo fu inaspettato. Henry. Fuoco. Cora e il respiro che veniva strappato dal petto di Emma da una sorta di nebbia verde, infida, che le si avvolgeva attorno alle gambe come un serpente. Cercare di raggiungere Henry, essere incapace di respirare, incapace di muoversi. Urlare.

Si svegliò di soprassalto in un ufficio dello Sceriffo debolmente illuminato. La folla si era dispersa, lasciando solamente suo padre in un angolo lontano, un nano da qualche parte, e Regina seduta sul bordo della scrivania di Emma. Così, fu Regina ad essere vicina quando Emma si destò per lo spavento. Una Regina ammorbidita dalla notte, la giacca del completo che penzolava dalle spalle e il trucco sbiadito e leggermente colato all’angolo degli occhi di cioccolato.

L’ex Sindaco abbassò lo sguardo su Emma con una lieve grinza di preoccupazione sulla fronte. «Stai bene?» chiese, la voce roca per l’ora tarda, per i giorni di preoccupazione. L’intimità del tono, l’inaspettata familiarità era stranamente confortante.

Emma sentì suo padre stare in guardia, guardando dall’angolo. Ma lui non si avvicinò di più che di un passo. Questa tregua era disorientante. Emma non era inconsapevole del cambiamento che era avvenuto in sua assenza.

Trasse un respiro profondo, cancellando i pezzi sfocati del sogno dai margini della sua visuale. Distese le spalle indolenzite. «Sì» disse sommessamente. «Solo… non un gran sogno».

Regina annuì, l’espressione ancora lievemente preoccupata, che mancava del sarcasmo che una volta aveva offuscato ogni respiro tra le due donne. «Mia madre ha questo effetto sulle persone» disse Regina alla fine, un’affermazione semplice e brutale.

Emma rilasciò uno sbuffo di respiro attraverso il naso e si strofinò le guance raggrinzite dal sonno.

Il momento fu breve. Senza guardare Emma, girandosi verso il muro lontano, spostandosi come se stesse per alzarsi dal suo posto sulla scrivania, Regina allungò il braccio e appoggiò una mano confortante sul retro della testa di Emma. Il tocco indugiò per un momento, poi lei mosse le dita in una tenera carezza lungo i capelli di Emma mentre si raddrizzava per mettersi in piedi. Regina si allontanò dalla scrivania.

Emma trattenne il respiro. Il tocco era stato così materno. Caldo. Il genere di tocco che Emma aveva sentito così raramente in vita sua, il genere che aveva sognato nei momenti di tarda notte in cui si era permessa di desiderare i suoi veri genitori, di desiderare che l’avessero amata abbastanza, di desiderare che sarebbero arrivati e l’avrebbero salvata, trascinata via verso il suo lieto fine. Regina era la madre del suo bambino.

La carezza confortante che indugiava sullo scalpo di Emma era stata un’abitudine molto allenata, semplice istinto. Qualcosa che Regina aveva fatto così tante volte che in questa notte tarda e stanca aveva agito prima di ricordare perché forse non avrebbe dovuto.

A causa di Henry.

Terrori notturni e disappunti e disillusioni e malattie e paure. Quel tocco magnificamente caldo aveva stabilizzato i giorni e le notti di Henry dalla tenera età di tre settimane. Emma guardò mentre la donna più scura passeggiava pigramente lungo la stanza, faceva scivolare le braccia nelle maniche della giacca del suo completo.

«Penso che abbiamo fatto abbastanza per stanotte» disse quietamente Regina a David, e il padre di Emma annuì. Regina s’infilò le mani nelle tasche e fissò i propri stivali coi tacchi.

Emma non riusciva a strappare gli occhi da Regina.

Certi momenti erano così brevi.
  
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