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Autore: Sheep01    27/06/2014    6 recensioni
Si concentrò sulla schiena solida del fratello. L’unica cosa concreta a dargli un senso di stabilità e calore.
Barney era tutto per lui. Fratello, amico, consigliere, padre e madre assieme. Lui che del padre ricordava solo la voce tonante e l’alito che sapeva di alcool e il peso delle sue percosse. Che della madre ricordava solo il profumo dei suoi capelli e i singhiozzi spezzati, umiliati, nella notte. Il fratello era stato il pilastro della sua vita, l’unico esempio da seguire. Protettore e cavaliere dall’armatura scintillante. Ed ora il suo salvatore.
[A Tribute to Clint Barton]
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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EPILOGO

 

[Hawkeye]

 

“Devo credere in un mondo fuori dalla mia mente, devo convincermi che le mie azioni hanno ancora un senso, anche se non riesco a ricordarle. Devo convincermi che, anche se chiudo gli occhi, il mondo continua ad esserci... allora sono convinto o no che il mondo continua ad esserci? ...c'è ancora? ...sì. Tutti abbiamo bisogno di ricordi che ci rammentino chi siamo, io non sono diverso... Allora, a che punto ero?”

(Memento)

 

*

 

A New York faceva caldo. Innaturalmente caldo per essere l’inizio di Aprile.

Clint indossava degli abiti che più che renderlo irriconoscibile lo facevano somigliare a un senzatetto particolarmente freddoloso.

L’unico tocco primaverile al look era un berretto da baseball di fattura tutt’altro che moderna con cui si faceva aria, di tanto in tanto, in attesa su quella macchina che odorava di Arbre Magique scadente.

 

Il suo ritorno a casa era stato lungo e travagliato. Non poche difficoltà per rientrare in possesso di documenti che lo avrebbero riportato in terra natia. Negli Stati Uniti.

Non di meno quella di mantenere un’identità che non gli apparteneva. Il timore che si fosse bruciato tutti gli alias che aveva tenuto segreti in anni di missioni, era piuttosto consistente.

Gli era andata bene al secondo tentativo.

Il primo… meglio dimenticarlo.

Durante le operazioni di rimpatrio aveva appreso tutto ciò che si era perso in quelle settimane.

Del crollo definitivo dello SHIELD, del Soldato d’Inverno, dell’ingratitudine degli Stati Uniti nei confronti di Steve Rogers che aveva impedito, in parte, l’ennesima catastrofe americana, della collaborazione della Vedova Nera, dell’arrivo di un tizio che gli aveva quasi rubato il nickname di battaglia… e della morte di Nick Fury.

Non ci aveva voluto credere finché non era andato a constatare di persona, per una fugace visita a Washington, che esisteva la tomba, provvista di lapide. Con una citazione così da Fury che quasi si era messo a ridere per la sagacia.

E non ultimo era venuto a conoscenza del fatto che ora tutti i dati sensibili su agenti, dipendenti o simpatizzanti dello SHIELD erano stati liberati nella rete globale.
Non che fosse particolarmente reticente a svelare i suoi trascorsi, ma il fatto che chiunque, giornalisti da strapazzo compresi, avrebbe potuto spulciare nei suoi file senza chiedergli il permesso e rigirarli come più gli sembrava comodo o conveniente fare, gli faceva – senza perifrasi - girare i coglioni.

 

Lucky ansimava accalorato al suo fianco. Era quasi certo che non lo avrebbe riconosciuto così conciato com’era (la barba gli era cresciuta davvero, i capelli ancora mantenevano, in parte, la tinta scura creata appositamente per la missione in Europa), aveva capito poi che i ricettori dei cani son ben diversi da quelli degli esseri umani. Gli era corso incontro, assaltandolo con una profusione di lappate e scondinzolii – un benvenuto così ti faceva venir voglia di piangere dalla gioia. Ma si era trattenuto. Aveva dovuto letteralmente rapirlo dalla trappola dei suoi vicini per impedir loro di braccarlo in cerca di spiegazioni sul suo rientro. Aveva lasciato loro un post-it, appeso sul frigorifero. Ci sarebbe stato tempo e modo di mettere insieme una valida scusa per la sua assenza. O per il fatto che fosse riuscito ad entrare in casa loro. Furto con scasso.

Aveva racimolato un bagaglio essenziale, arco e frecce (quanto gli erano mancati!), il barattolo di vetro colmo ormai di cinque centesimi, caricato tutto sulla macchina che aveva noleggiato ed era ripartito, abbandonando il suo appartamento senza lasciare tracce troppo evidenti.

Infine aveva cercato di contattare Barney.

 

“Clint? Clint sei tu?”

“Proprio.”

“Dio… che sollievo. Nessuno sapeva darmi notizie, ho scatenato la CIA, pur di scoprire dove diavolo ti eri andato a cacciare.”

“Adesso capisco tutti i casini che ho dovuto affrontare per superare le frontiere.”

“Dove diavolo eri?”

“Non vorresti saperlo.”

“Ma… stai bene?”

“Fisicamente alla grande.”

“Perché non vieni a Washington? Potrei darti una mano… con tutto quello che è successo.”

“Preferisco di no, Barney.”

“Clint…”

“Barney. Non ho bisogno di niente. Solo il tempo di riflettere, carburare e ripartire.”

“Come desideri.”

“Barney…”

“Dimmi.”

“Ti voglio bene, fratello.”

“Adesso… sì che sono preoccupato.”

 

La prima persona con cui avrebbe voluto parlare di persona, però, sembrava evaporata.

Natasha aveva cambiato casa.

Nessuno aveva saputo dargli indicazioni a riguardo. La donna che le aveva affittato l'appartamento, lo aveva liquidato con un ben poco criptico: “Io con gli assassini non voglio avere niente a che fare.”

Natasha si era guadagnata un gruppo fornito di nuovi nemici.

La gente tendeva a dimenticare un po’ troppo facilmente i favori fatti nel nome della giustizia, a prescindere dai trascorsi.

Non aveva però dovuto faticare troppo per rintracciarla nuovamente. Aveva preferito non  chiamarla. Era possibile che non lo avrebbe accolto granché bene: appurato il fatto che fosse sopravvissuto, si sarebbe potuto aprire un dibattito più o meno acceso sulle motivazioni che lo avevano voluto lontano dagli eventi di Washington. E Fury non era lì per confermare la sua innocenza.

Vero, c’era un certo, consistente numero di dati che smentivano un coinvolgimento con l’Hydra, ma avrebbe sempre potuto cedere al lato oscuro all’ultimo minuto. Non sarebbe stato comunque un caso isolato. Purtroppo.

Una camera d’albergo. Forse stava solo aspettando l’occasione buona per mettere insieme le idee e reinventarsi. Un po’ come sarebbe toccato fare a lui, almeno per le prime settimane, almeno finché la tempesta non si fosse placata… almeno… in parte.

 

Aprì la portiera della macchina per accogliere una folata di vento benefica, appena percepita dal finestrino aperto.

Decise di scendere a sgranchirsi le gambe. Lucky sbucava con tutta la testa dal finestrino. Aveva abbaiato due volte.

Due volte prima che Clint sentisse il rumore del caricatore di un’arma e la pressione della canna di una pistola alla nuca.

Si stava stiracchiando e rimase con le braccia a mezz’aria. Decidendo di non muovere un muscolo per evitare di scatenare reazioni azzardate.

Quel profumo. Il passo felpato. L’inclinazione dell’arma che premeva sul cranio. Una persona di bassa statura. Con una presa solida. Decisa.

“Natasha…” disse solo, senza esitazione.

La completa assenza di risposta fu solo una conferma.

“Sono… Clint.” Aveva specificato, nel caso le fosse sembrato irriconoscibile. Plausibile, visto il modo in cui se ne andava in giro ultimamente, “Clint… Barton.”

“Lo so chi sei.” Natasha aveva parlato con una tonalità così bassa che faticò a percepirne il tono.

“Bene. Dunque... anche io… sono contento di vederti.”

“Voltati. Lentamente.”

Un ordine che Clint non si sentì di trasgredire.

Fece come lei gli aveva suggerito: lentamente, con cautela, mentre la sequenza di paranoie che lo avevano accompagnato nel suo tragitto fino a lì si concretizzavano, una per una.

Natasha sospettava di lui: indecisa se catalogarlo o meno come nemico. Si domandò se avrebbe fatto lo stesso al suo posto o se si sarebbe rifiutato di credere a una realtà tanto cruda e spietata.

Quando fu completamente voltato nella sua direzione, il solo vederla deformò il mezzo sorriso che aveva tentato di regalarle. La spavalderia, la finzione, la rassicurazione, tutto svanito, nell’istante in cui si era reso conto, veramente, che Natasha era lì, viva, di fronte a lui… una sopravvissuta.

Non disse niente. Si lasciò scrutare.

La freddezza di Natasha sembrò sbiadirsi con l’ennesimo battito di ciglia. La torbida tempesta dei suoi occhi verdi, andò a ritirarsi come una marea.

Comprese immediatamente di essere stato scagionato da qualsiasi accusa o sospetto.

Quando le vide abbassare l’arma non ebbe più bisogno di dire nulla.

Però era risorto quel sorriso un po’ sghembo con cui aveva combattuto prima. Ora più spontaneo, sollevato.

“Che cosa hai fatto alla faccia?” la sentì domandare, un soffio impercettibile che gli fece tremare le ginocchia per il modo in cui aveva percepito la sua voce.

“Un cambio di look. Non ti piace?” e nel dirlo si era massaggiato le guance lì dove era cresciuta quella faticosa barba.

“Per niente.”

“Buono a sapersi…”

Natasha gli si avvicinò, gli prese il viso fra le mani, ne scrutò i lineamenti. Fece passare le dita su quella minuscola cicatrice alla guancia (quella del proiettile dell’Hydra. Sarebbe sparita, ma forse sarebbe sempre stata visibile, al sole) e poi fra i capelli, su quella ruga sulla fronte che non era sicura di aver mai visto prima, come se stesse prendendo confidenza con la sua nuova presenza.

Solo quando venne a capo di quella minuziosa ispezione si tirò su, sulle punte dei piedi e lo abbracciò stretto, aggrappandosi con le dita alla sua giacca, posando la fronte sulla sua spalla, inspirandone il suo profumo così familiare.

Clint si sentì come rigenerato da quell’abbraccio. Assurdo come fino a quel momento non si fosse reso conto di averne un disperato bisogno.

La frustrazione, la paura, il senso di colpa, il dolore… si concentrarono in un’unica sensazione, venendone assorbiti. Riplasmati.

 

Fu il caldo o forse i latrati forsennati di Lucky che li riportò nelle condizioni di separarsi. Di tornare a fronteggiare quell’assolata giornata di inizio aprile.

 

“Una Dodge Challenger, del ’70, eh? Non avevi sempre detto di volere una Mustang?” Natasha si risolse a dire, pronta a rimettere in moto gli ingranaggi che li facevano funzionare con familiarità, da sempre.

“Quello era il giovane me… ora sono uno da Dodge Challenger.”

“Carina.”

Clint era convinto non le piacesse poi tanto.

“Hai già un piano, Nat?” le domandò poi, dal nulla, non aveva la forza di mantenere la volontà di rimandare, di essere meno diretto, più prudente.

La donna che si era concessa una pausa per dare una grattatina a Lucky era tornata a guardarlo.

“Forse…” Clint annuì, senza forzarla a confessargli cosa avesse intenzione di fare. “Se mi dai un paio di minuti e un passaggio, recupero la mia roba e te lo spiego.” Gli disse.

A Clint non ci volle molto per sganciarle un cenno d’assenso.

 

*

 

“Dove andiamo?” Clint aveva messo in moto. Il motore fece i capricci un paio di volte, prima di decidersi a partire.

Natasha aveva recuperato il berretto consunto dell'uomo e se lo era infilato in testa, stringendosi nelle spalle.

“Prima di tutto, ci liberiamo di quella barba.”

“Ah sì? E se a me piacesse?”

“Non ti piace.”

Non riuscì a smentirla.

“Poi, un taglio di capelli.”

“Ah, pure? Non credevo il tuo piano riguardasse la mia tosatura.”

Natasha gli rivolse uno sguardo rapido ma significativo.

“Non devi nasconderti da nessuno, Clint.” L’uomo non nascose un cipiglio incomprensibile. “Non dobbiamo, nessuno di noi.”

“E’ pieno di gente che non vede l’ora di farcela pagare, là fuori.”

“Non è sempre stato così?”

Clint volse appena il capo nella sua direzione.

Natasha aveva trovato il suo barattolo stracolmo di monetine e ci stava giocando.

“Non dobbiamo permettere a nessuno di metterci nelle condizioni di dubitare delle persone che siamo. Che eravamo… ma soprattutto delle persone che siamo diventate.”

“È cambiato tutto, Nat. Non siamo più SHIELD, non c’è più nessun Nick Fury…”

“Non siamo mai stati solo lo SHIELD”, Clint in quell’unica, definitiva frase percepì una verità quasi assoluta. Avvertì chiaramente qualcosa incrinarsi in tutti i dubbi che aveva partorito in quelle lunghe giornate di solitudine. E forse era un ragionamento che Natasha stessa aveva elaborato a lungo, prima di convincere anche se stessa.

Non erano mai stati solo lo SHIELD. Non erano mai stati solo due agenti operativi. La loro esistenza non si esauriva certo con il fallimento dell’organizzazione che aveva salvato loro la vita. Avrebbero dovuto ricominciare, riconsiderare la conseguenza delle loro scelte, ma non certo quella delle convinzioni che li avevano spinti fino a quel punto.

Clint non avrebbe dovuto rimpiangere proprio un bel niente, ma convivere con la placida meschinità dei suoi sensi di colpa, riconsiderare se stesso come essere complesso che non doveva nascondersi, non trasformarsi in qualcosa di estraneo.

Avrebbe dovuto cominciare a pensare a se stesso non in comparti stagni: non solo come un orfano. Non la stella di punta del circo di Carson, non solo un fratello minore, un figlio maltrattato, un ladro, un cecchino, un alcolizzato, un depresso, un agente operativo, un collega, un migliore amico, un assassino, un amante, un eroe. Un arciere.
Ma la somma di tutto questo. Di ogni singola caratteristica del suo essere.

Clint Barton non aveva mai dovuto nascondersi dietro a un nome in codice.

Clint Barton viveva anche nel suo nome in codice.

Occhio di Falco era Clint Barton.

Clint Barton era Occhio di Falco.

E nessuno mai avrebbe potuto portar via ciò che era o obbligarlo a nasconderlo. A fuggirne. Men che meno un’organizzazione criminale che aveva fatto dell’inganno e della morte il suo baluardo.

Non aveva più paura. Non più amarezza. Non rimpianto.

Si sentì rinfrancato dal pensiero.

Sentì i polmoni riempirsi d’aria. Come se non avesse mai imparato a farlo, prima.

Capì di aver trattenuto il respiro troppo a lungo, per troppi anni.

Un sorriso riaffiorò sulle sue labbra, mentre la strada li stava conducendo lontano. Che fosse il prossimo taglio, una doccia, una cena, comunque ci sarebbe stata la previsione di un futuro così ricco di incognite e possibilità da risultare quasi inebriante, ubriacante.

Un po’ brillo, lo si sentiva davvero, dopotutto.

“E a proposito di Fury…” Natasha “O di Phil Coulson…”

Clint serrò la presa al volante quando sentì risalire dal suo petto una sensazione bizzarra.

Mentre la ragazza parlava si lasciò abbracciare dalla sorpresa, premendo finalmente sull’acceleratore.

Il barattolo ricolmo di cinque centesimi, sfuggito alla presa di Natasha, si rovesciò in un fracasso cristallino… il tintinnio di ogni moneta a fondersi col fragore della sua risata.

 

___

 

N.d.A: Siamo giunti davvero alla fine. E ne sono in egual modo felice e triste.

Triste perché, ovviamente, si tratta della fine di un’avventura che mi ha tenuto compagnia per settimane e mi ha spinta a stimolare la mente, la creatività, in cerca sempre di nuove trovate.

Ma felice perché mi sono sbloccata, a livello del tutto personale… dopo anni di inattività.

E la cosa mi ha dato un’immensa soddisfazione. Mi era mancato un po’ questo mondo, e oltre a me stessa ringrazio Clint (un personaggio a cui adesso devo molto più che un caffè al bar), perché non ci fosse stato lui a punzecchiarmi, forse avrei tenuto le idee nel cassetto e tanti saluti.

Ma veniamo a tutto il resto… devo davvero ringraziare tutti quanti hanno seguito la storia, ma soprattutto chi mi ha reso partecipe delle sue opinioni, perché anche se uno fa il sostenuto alla: “no, ma le recensioni non mi interessano”, in realtà mente. Perché alla fine fanno tanto piacere, anche solo per avere la certezza di poter condividere qualcosa con qualcuno che ha le tue stesse identiche passioni. E quindi GRAZIE, a tutti quanti, davvero, perché questa partecipazione mi ha dato una spinta in più per arrivare alla fine!
Poi… non mi sono dimenticata di te, mia cara Sere, che non solo hai betato tutta la storia, dandomi anche dei buoni consigli, ma hai fatto il tifo più sfrenato e mi hai sopportato e ancora adesso mi sopporti, anche quando ho i miei momenti molto no o quelli fin troppo sì. Se siamo amiche e condividiamo passioni e fandom (e Budapest), da quasi dieci anni, senza nemmeno vivere nella stessa città, un motivo ci sarà, suppongo. Perciò GRAZIE anche e soprattutto a te. E mi raccomando SCRIVI, che sennò poi io vado in astinenza.
E infine, per la serie: piccolo spazio pubblicità, segnalo due storie che sto seguendo (sempre dedicate a questo fandom, nello specifico), e che penso valga proprio la pena leggere.

La prima: Don’t Get Too Close (It’s Dark Inside).
La seconda: La Leggenda degli Straordinari Vendicatori.

Non aggiungo altro, solo la speranza che vogliate provare a cliccare sui link.

Io, per ora, sparisco. Ma giuro, non per troppo. Il fumetto, mia prima passione e lavoro a tempo (dis)perso, richiede la mia attenzione, più, ahimè, delle fanfiction (sigh). Però bolle qualcosa in pentola sia sul lato prettamente personale (non smetto di tormentare con le mie balzane idee fanficcose, Clintasha is in the air) sia su quello collettivo in società con la mia beta. Dunque, se siete curiosi di leggere qualcos’altro di nostro, tenete sott’occhio questo profilo - BlackEyedSheeps - perché c’è del delirio puro, pronto ad esplodere, su questi schermi.

In conclusione, lancio i miei saluti a tutti quanti e spero di non avervi annoiato con una nota finale ben più lunga del capitolo. Scusa Clint, non volevo rubarti la scena.

Alla prossima dunque, ci si sente in questi canali… SOON.

  
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