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Autore: Lotiel    27/06/2014    6 recensioni
Pioveva.
Non sapeva nemmeno da quanto le sue mani erano state lavate dal sangue di quell'uomo ne di quanto tempo fosse passato a lavare il suo, versato per quella causa.
Ne sentiva ancora le urla stridule, simili a quelle delle streghe che giungevano nei suoi incubi di ragazzina e che non la facevano dormire la notte.

Questa storia partecipa al contest indetto dal gruppo Facebook “La crème de la crème di EFP” con il titolo: L'EPOCA VITTORIANA E I SUOI SEGRETI.
Genere: Dark, Mistero, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo





1-Aqua

 
Coalbrookdale, Shropshire
Ottobre 1861
 
Pioveva.
Non sapeva neanche da quanto tempo il cielo aveva cominciato a piangere.
Aveva sollevato lo sguardo e l’acqua le aveva bagnato il volto ancora da bambina.
Pioveva.
Non sapeva nemmeno da quanto le sue mani erano state lavate dal sangue di quell’uomo ne di quanto tempo fosse passato a lavare il suo, versato per quella causa.
Ne sentiva ancora le urla stridule, simili a quelle delle streghe che giungevano nei suoi incubi di ragazzina e che non la facevano dormire la notte.
La pioggia non cessava da giorni e non ricordava da quando il cielo aveva cominciato a piangere insieme a lei. Proprio come quel giorno, aveva chiuso gli occhi a fessura e aveva compreso che sarebbe stata lei la Prescelta.
Proprio lì. Sull'Iron Bridge.
 

2 - Terra

Wheterby, West Yorkshire
 Gennaio 1845
 
Era il 1845 e nei sobborghi, o meglio, nei bassifondi di Wheterby, nel West Yorkshire.  Stava correndo insieme agli altri ragazzi, ricordava di avere solo quattordici anni e lavorava in una delle miniere vicino alla sua cittadina.
Sì, in quel periodo non potevamo permettersi certo di andare a scuola e dovevano aiutare la famiglia così come potevano, trasportando i carrelli con sola forza di schiena e gambe, lungo angusti corridoi che risalivano in superficie. I più fortunati e i più agili facevano gli spazzacamini. Lei non era ne agile e ne forte, e quello nelle miniere, era l’unico lavoro a cui poteva aspirare.
Il boom della rivoluzione industriale era ormai una eco lontana, da quando le fabbriche avevano aperto tutto era cambiato. Dalle campagne le persone si erano riversate all’interno delle città in cerca di un lavoro più redditizio e molti ne erano rimasti completamente delusi. Ma dopotutto era un lavoro e non potevano permettersi di lasciarlo.
Molti di loro morivano per le esalazioni all’interno delle miniere o investiti da qualche masso, o semplicemente rimanevano bloccati nei macchinari delle fabbriche. Era una cosa forse usuale a quei tempi e nessuno osava ribellarsi, anche perché il progresso era andato avanti.
Questa era una cosa che Bernedette non riusciva a comprendere, poiché lei non era mai stata istruita e lavorava dall’età di otto anni. Nessuno si era mai accorto che i bambini dei bassifondi non sapevano né leggere e né scrivere. Ma forse era meglio così.
La ragazza aveva gli occhi puntati davanti a sé, fissi. Non era molto alta e sotto le vesti pesanti si poteva notare un corpo smagrito dalla fame. Non mangiava ogni giorno e i turni alla miniera erano sempre più pesanti. Glielo avevano detto che non era adatta a quel lavoro, ma cos’altro poteva fare per aiutare la famiglia?
Sapeva di alcune ragazze che vendevano il proprio corpo e come lavoro non ci voleva assolutamente pensare. In fondo aveva una sua dignità di lavoratrice. Anche se sembrava bruttina, sotto tutta quella polvere e sotto la fuliggine che coprivano i capelli biondi, c’era una ragazza che aveva dei sogni e delle speranze, che al momento sembravano offuscarsi come quando i condotti delle miniere venivano invase dal fumo.
Ne aveva visti tanti morire sotto le pietre o per la poca accortezza che c’era in quel mestiere.
Però quello che le premeva di più era stato quell’incontro che ricordava vivido nella sua mente. L’uomo che aveva incontrato pochi giorni prima che aveva fissato i suoi occhi, rossi come il sangue, in quelli azzurri di lei.
Al sol pensiero Bernedette aveva ancora i brividi.
Ricordava tutto di lui. Si ricordava il suo cilindro enorme, nero, con un grande fiocco blu. L’abito era scuro e nascondeva la sua pelle così bianca da sembrare morta e che si intravedeva dal volto appena coperto dal cilindro. Ricordava il suo bastone da passeggio con un meraviglioso intarsio in avorio come manico. Ricordava anche la sua andatura, tranquilla e serena, come qualcuno che non ha nulla da perdere ma soprattutto molto da dare.
Lo aveva osservato quel giorno, ritornando a casa dal lavoro. Aveva fatto tardi anche quella sera e per strada non c’era quasi nessuno, ma soprattutto perché i signori di altre classi sociali solitamente si tenevano ben lontani dai puzzolenti e malfamati bassifondi di quella zona.
Era per questo che lo aveva notato, soffermandosi per qualche istante. Non sapeva come, ne ebbe immediatamente timore, perché dalla sua figura traspariva qualcosa di più pericoloso della morte stessa.
Così come lo aveva visto, così scomparì quella sera, lasciando dietro di sé una scia di nebbia e fumo. Ma ciò che la rese inquieta fu lo sguardo fisso su di lei.
La ragazza allargò gli occhi per lo stupore e , successivamente, per la paura. Solo poche persone popolavano quella via e doveva affrettarsi,altrimenti sarebbe incappata in altri spiacevoli incontri. Infatti era già pieno di prostitute e persone di dubbia fama e quindi, si avvolse i capelli nel suo fazzoletto lacero e sporco, lasciò di gran fretta quel luogo. Fortunatamente tutti erano stati rapiti dalla visione di quell’uomo ben vestito e molti gli si erano avvicinati.
Non sapeva perché, ma si era poggiata in un angolo con il fiatone come se avesse corso per un miglio intero. Quell’uomo l’aveva destabilizzata e non ne capiva il motivo. Era come se lo conoscesse da una vita, ma se l’avesse già incontrato in qualche altro luogo non se lo ricordava proprio.

 
3 - Focus
 
Wheterby, West Yorkshire
Agosto 1848
 
Mentre in Europa si scatenavano le rivoluzioni, l’Inghilterra stava vivendo un periodo di industrializzazione e del calo della manodopera grazie alle macchine a vapore che moltiplicavano la produzione.
E Bernedette era sempre lì, nella miniera di Wheterby. Aveva appena finito di lavorare ed era stanca, come sempre in quei giorni di agosto. Sudava e credeva di essere anche malata. Si guardò le mani sporche e le strofinò per qualche istante alla gonna pesante. Poi posò la mano sulla fronte e sentì che era molto calda, ma diede la colpa alla calura che stava sopportando e il caldo che vi era all’interno dei cunicoli. Quel giorno aveva trasportano più di quindici carichi di pietre e voleva solo riposarsi, insieme ai suoi fratelli, nell’unico letto disponibile all’interno della casa. Non che fosse un giaciglio comodo. Era solo un materasso riempito di paglia e posato in un angolo della stanza che era la loro casa.
Era sera, come sempre del resto e improvvisamente, in un momento di sbandamento le sembrò di vedere fumo e nebbia e uno strano odore di fuoco.
Prese un leggero respiro e si sentì come chiusa in una morsa di paura che le era scaturita dal nulla. Cos’erano quelle spire che la stringevano fino a non farla neanche respirare?
Cos’erano quegli occhi che la fissavano fino a scavarle nell’anima?
Socchiuse gli occhi per qualche istante e non riuscì neanche a parlare quando nuovamente di fronte a lei, vide l’uomo dal cilindro nero e il grande fiocco blu.
Erano passati poco più di tre anni e la paura era la stessa sentita quel giorno.
La ragazza si era acquattata lungo il muro. Aveva sentito la paura scivolare lungo la spina dorsale, tanto che le mani avevano cercato di stringersi la gola perché si sentiva mancare l’aria. E solo poco dopo le stesse mani si spostarono sul muro, a palmo aperto, come se cercassero una via di fuga che in effetti non c’era.
Bernedette si guardava intorno e gli occhi, contornati dalle occhiaie, scorrevano lungo i muri bui e poco illuminati. In quelle zone l’illuminazione era anche un lusso.
-Chi sei?
La ragazza aveva gridato con tutti il fiato che aveva in corpo, anche se gliene restava davvero poco e rischiava di svenire. Non era mai stata una persona coraggiosa. Gli impavidi erano gli altri, quelli che se lo potevano permettere.
La figura dell’uomo scivolò verso di lei, come un’ombra che ghermisce le ombre, e solo pochi istanti dopo se lo ritrovò davanti senza neanche accorgersene.
Bernedette lo stava guardando negli occhi color sangue. Lui invece di rimando la stava fissando con un sorriso disegnato sulle labbra scure come la pece.
-Shh! Potrebbero sentirti.
Lo sguardo della ragazza si spostò intorno a lei cercando quella fuga che adesso le sembrava quanto mai lontana.
-Non ho soldi.
Lo aveva detto non pensandolo davvero. Non le sembrava un ladro. Sembrava più un qualcuno che volesse farle del male, del vero male fisico.
L’uomo chinò il capo su un lato, portando il dito sulle labbra della ragazza. Aveva i guanti e non lo aveva notato subito. Scuri, in contrasto con la sua pelle chiara.
-Non dire sciocchezze.
L’uomo scosse il capo in segno di diniego e staccandosi infine da lei, allargando le braccia e facendo un lieve inchino, portando il bastone con la punta verso l’alto. Non alzò il busto, ma solo il volto e quella bocca nera mostrò due file di denti bianchissimi.
-Cosa vuoi allora?
Non si era accorta di tremare come una foglia e di non avere neanche più la forza di dire frasi di senso compiuto.
Lei che si era sempre tenuta lontana dai libri e dall’istruzione. Non perché non volesse poter andare a scuola, ma non le era assolutamente permesso perché doveva aiutare la famiglia.
-Sono qui per farti un dono.
Bernedette aveva allargato gli occhi e sollevato le sopracciglia senza credere alle parole dell’uomo. Anzi le fecero ancora più paura. L’uomo invece si riportò dritto e dalla mano libera dal bastone, iniziò a formarsi un lieve globo di fuoco e luce.
La ragazza non poteva credere ai suoi occhi. In quel globo riusciva a vedere un’anima rinchiusa. Aveva le sue stesse fattezze e quel globo illuminava in modo sinistro il volto dello sconosciuto che, non se ne era neanche accorta, si era avvicinato. Due profonde occhiaie delineavano il contorno degli occhi rossi.
-Adesso, mia cara. Osserva all’interno e ti racconterò una storia.
Bernedette non fece altro che fissare il suo sguardo all’interno del fuoco e, come attirata da un vortice che l’aveva ipnotizzata, cadde in un sogno buio e scuro.
L’uomo aveva cominciato a raccontare.
 
“Quando fu il tempo perduto in cui la magia era la sovrana che comandava ogni cosa, non è dato a nessuno saperlo.
Pochi erano coloro che potevano permettersi di possederla e il destino decideva chi doveva schierarsi per il bene o per il male. Dipendeva tutto dall’animo di colui che accoglieva la magia e che l’assoggettava per i suoi scopi o per aiutare il prossimo.
Noi esuli di quel tempo perduto continuiamo a reincarnarci in corpi sempre differenti e deboli. Molti di noi a volte non ce la fanno neanche a sopportare ciò che ci viene donato e tu, ragazza, riuscirai a trattenere in te ciò che ti voglio donare?
Io sono un Guardiano del Tempo, tuo guardiano, e ti cercavo da molto tempo. Ti ho tenuta d’occhio.
Sì, ti stavo cercando.
Volevo vedere, dopo millenni che ti seguo, in chi avevi avuto l’onore di reincarnarti e tu, maga nobile del tuo tempo, ti punisci riportandoti sempre in corpi che non sono degni del tuo essere.
Questo corpo, forse, è uno dei pochi che sia almeno presentabile.
Hai capito o ancora stenti a farlo?
Le due forze si sono risvegliate e la nostra forza avversaria sta già iniziando ad imparare nuovamente come comandare i poteri e usarli contro di noi.
Sei pronta a riceverli e ad avere il tuo addestramento?
 
La ragazza aveva delle immagini nella testa. Di un mondo che stentava a riconoscere.
Non capiva assolutamente le parole di quell’uomo, di cui non conosceva neanche il nome.
E solo poco dopo che egli ebbe finito di parlare, si sentì sconquassare il petto. Divorare le carni da un fuoco fatuo che rese il suo volto caldo, pronto a sciogliersi da un momento all’altro. Non gridò, perché anche se sentiva il suo corpo non risponderle più, non sentiva dolore.
Aveva aperto gli occhi e fu allora che comprese tutto. Una nuova via le si aprì davanti e il mondo che aveva intravisto in quel sogno aveva un senso. Aveva tutto un senso adesso.
Gli occhi sbarrati guardavano l’uomo e lo sguardo di lui era compiaciuto, anche senza sentirne le parole si vedeva che lui era fiero di ciò che aveva fatto.
Bernedette aveva preso le sue sembianze. I vestiti e il cilindro nero con un grande fiocco blu. Vestita da uomo e un bastone nelle mani, simile a quello che aveva lui. Non sembrava neanche più una ragazza ormai.
Le sue mani, coperte da guanti, andarono a sfiorare la propria pelle. Lei non poteva vedere, ma i lunghi capelli biondi erano gli unici ad essere rimasti di quel colore, raccolti nel cappello, dove ne sfuggivano alcune ciocche. Gli occhi rossi e la bocca nera. La pelle così chiara da sembrare morta.
-Ora che sei tornata alle tue vere sembianze, quali sono le tue parole?
L’uomo si era chinato verso avanti e aveva allargato le braccia.
Bernedette si guardò le mani di nuovo e un sorriso sfiorò le sue labbra. Una risata sconquassò il suo petto, rendendola diversa dalla ragazza che era prima. Una ragazza donata ai lavori forzati per un bene che credeva superiore. Quella stessa ragazza non esisteva più ormai. Una consapevolezza diversa le si era dipinta sulle labbra.
Mosse velocemente una mano e un leggero fuoco fatuo scaturì da questa e fluttuò sopra il proprio palmo.
-Kalsifer, è arrivato il momento!

 
4 – Aer

Coalbrookdale, Shropshire
Aprile 1861
 
Quel momento lo aveva ricordato per tutto il tempo in cui si era allenata.
Quel momento in cui la sua anima era stata restituita al corpo che aveva scelto e alla ragazza  che aveva pensato di essere fino a quel momento.
Aveva proprio bisogno, dopo tutto quel tempo rimasta addormentata, di provare il suo potere. Anche se le persone non dovevano sapere che i maghi erano tra loro.
Si credeva, erroneamente, che i maghi fossero coloro che richiamavano le anime dal regno dei morti. Questo, a Bernedette, l’aveva fatta sorridere. La sua anima secolare aveva visto tanti maghi susseguirsi, che quei ciarlatani non si avvicinavano nemmeno alla metà di quelli dei tempi passati.
L’anima non moriva, ma rimaneva nelle mani dei Guardiani del Tempo e solo loro aveva il potere di restituirla e di sentire il richiamo del corpo che l’anima aveva scelto. Non era poi così difficile capirlo e quei menagrami che tentavano di fare ciò che un custode faceva da ormai millenni, era simbolo di capire poco della magia e della forza che li circondava.
Camminavano lungo le strade di Coalbrookdale e cercavano sempre di tenersi in disparte dagli sguardi delle persone. In quelle strade che neanche i loro dei avrebbero percorso. Dove la malvagità era tale da sentirsi come l’aria che si respirava.
Bernedette fece roteare a mezz’aria il bastone con l’intarsio di una fenice che l’accompagnava e volse il capo verso Kalsifer, proprio accanto a lei e suo protettore.
-Certo che questo non sono le strade che percorrevano secoli fa.
La voce da bambina era ancora persistente e un broncio delicato e pestifero, le si era disegnato sulle labbra nere.
-Il tempo passa. Anche tu hai scelto un luogo insolito questa volta.
La ragazza annuì. Volse il capo verso l’alto, verso una luna brillante e bellissima. Gli occhi rossi di lei si posarono in quelli del Guardiano.
-Avevo bisogno di cambiare. Ero stanca dei soliti abiti dentro i quali mi nascondevo. Volevo provare la povertà e la fame questa volta.
L’aveva detto con una innocenza disarmante e una tranquillità che non lasciava adito a dubbi che fosse davvero quello il suo desiderio.
Avevano entrambi un pastrano e l’aria era pregna di umidità che attecchiva anche le ossa più forti. In lontananza la sagoma dell’Iron Bridge, si stagliava nel fulgore lunare.
-Dovremo incontrarlo lì, non è vero?
Kalsifer si voltò verso il ponte che si ergeva sul fiume Severn e non poté far altro che annuire. Non le aveva dovuto spiegare nulla. Lo aveva percepito da sola.
Bernedette fece un rapido sospiro e si soffermo qualche istante, anche con i passi, guardando verso il ponte.
-Dimmi, Kalsifer.
E anche l’uomo si soffermò, osservando la ragazzina.
-Perché proprio quel ponte?
E curiosa fissò l’uomo con gli occhi rossi come il sangue.
-Perché quello è il Collegamento.
La ragazza assottigliò gli occhi e le sopracciglia si corrucciarono. Schiarì la voce e poi, come se la consapevolezza le fosse arrivata in quel momento, capì. Non c’era bisogno di essere uno come loro per capire. Solo pochi istanti dopo, il cielo si oscurò e iniziò a piovere.
-La fine è vicina. Dobbiamo andare.
Kalsifer aveva tratto un respiro profondo e indicò il ponte. Le fece solo segno di seguirlo poi infine scomparirono così com’erano arrivati. Nelle strade della piccola cittadina si sentì solo un tuono feroce e un lampo che squarciò il cielo.
 
 
 
5 – Spiritus

Coalbrookdale, Shropshire
Ottobre, 1861
 
Bernedette era arrivata all’Iron Bridge insieme a Kalsifer, suo fedele guardiano ormai da secoli.
Il cielo era pieno di nuvole, una classica giornata inglese, e storse appena le labbra. Non le era mai piaciuta la pioggia, neanche ricercando nei meandri della sua testa ricordava di aver amato quel tempo atmosferico, ricercando sempre, nella battaglia, un posto dove il sole potesse trionfare.
-Siamo in anticipo.
La ragazza si era voltata verso il Guardiano e si era tenuta il cappello nero con il grande fiocco blu con entrambe le mani. Le stava per volare.
-Odio il vento e odio la pioggia.
Mise un leggero broncio come i bambini e alla fine fece roteare il bastone, sorridente, e vi si poggiò con tutto il peso.
Il cielo stava diventando via via più scuro e più minaccioso e le poche persone che ancora lo stavano attraversando, si apprestavano a tornare a casa. Si stava per prevedere un tempesta molto violenta e quindi tutti si erano già sbarrati in casa per evitare il peggio.
Bernedette lì guardò di sfuggita, cercando di mascherare quel che l’avrebbe fatta apparire un mostro. L’unica cosa che la magia non poteva fare era cambiarsi d’aspetto. Alle persone apparivano solo come delle persone un po’ esuberanti.
-Com’è che ci chiamano?
L’aveva chiesto a Kalsifer e lui aveva leggermente sorriso. Anche perché anche lui aveva notato lo sguardo di qualche donna che, mentre lì guardava, confabulava con il marito che le teneva gentilmente il braccio piegato per sostenerla.
-Dandy.
La ragazza fu scossa leggermente da una risata, trattenuta e coperta con una mano. Rimase poggiata al bastone per diverso tempo e quella risata, che aveva coinvolto anche il suo Guardiano, scomparve improvvisamente, con l’arrivo della prima pioggia e un fulmine che aveva squarciato il cielo.
Ed eccolo. Di fronte a lei. Vestito nello stesso modo in cui era vestita lei e di fianco la sua Guardiana, che sembrava essergli molto affezionata.
Kalsifer le si pose accanto, mentre i loro sguardi si incrociarono. Non ci volle molto per riconoscersi e per scrutarsi, ma entrambi sapevano che erano molto diversi da come si ricordavano. Entrambi avevano l’aspetto di due ragazzini ancora nel pieno dell’età. L’ultima volta erano due adulti formati e la volta prima ancora erano due maghi anziani e rachitici.
Bernedette prese il cappello e lo portò davanti a sé per fare un inchino, allargando appena il bastone verso l’esterno. Lo guardava fisso e attese uno scambio di cortesia a quella mostrata. Un solo istante, quando vide che la sua Guardiana gli si era avvicinata e gli aveva sussurrato qualcosa all’orecchio.
Per le strade non c’era più nessuno, e la pioggia iniziava a battere forte. Lampi e tuoni facevano sentire la loro potenza e i fulmini illuminavano il cielo come a giorno. Questo, ai due ragazzi, non importava.
-Cara Bernedette. Ci si rivede nuovamente.
-Frederich.
Aveva accompagnato la parola con un cenno del capo. Il cappello nuovamente in testa e il grande fiocco blu che svolazzava ad ogni folata di vento.
Le labbra nere di entrambi i ragazzi non fecero che allargarsi e, a quel punto, non ci fu più bisogno di parole. Perché già sapevano che i loro destini erano già.
Lo scontro fu duro, almeno il primo impatto.
Si erano mossi alla velocità della luce e avevano cozzato i loro bastoni l’uno contro l’altro, a proteggersi guardandosi fissi negli occhi rossi.
I due Guardiani stavano solo a guardare. A braccia conserte e i loro sguardi si spostavano l’uno verso l’altra, in una continua ricerca di una risposta.
Fu un lampo ed entrambi si allontanarono dal punto di impatto. Avevano già il fiatone, perché la magia consumava l’anima e la pelle. Quella che risucchiava di più le forze era la magia nera. Colui che ha scelto la magia per il suo scopo.
Entrambi sentivano un grande peso sul petto e i loro palmi bruciavano come se tizzoni ardenti vi si fossero poggiati sopra.
Poi fu un attimo ancora. Dopo i vari attacchi fisici che vi erano stati.
Il combattimento stava per considerarsi concluso. I guardiani diventarono lampi di luce e l’ultimo scontro si apprestava a vedere un vincitore.
Colava il sangue dalle mani di entrambi, poiché la magia stava divorando la pelle. I lampi di luce li avvolsero e si unirono in un unico corpo.
Si erano allenati per questo da tanto tempo.
Fu solo un istante quando qualcosa simile a un fulmine partì dalle mani di Bernedette e Frederich. Fu solo un istante che tutto si zittì.
Anche il cielo aveva smesso di lamentarsi.
Gli occhi rossi di entrambi si guardarono. Quelli di Frederich si allargarono e con un urlo animalesco si accasciò a terra.
La ragazza si portò entrambe le mani sulle orecchie, mentre Kalsifer e la Guardiana uscivano dai loro corpi. Un urlo che non aveva sentito neanche nei suoi peggiori incubi.
Il suo guardiano le si mise accanto e posò una mano sulla spalla.
Gli occhi di Frederich ripresero il colore naturale che quel ragazzo aveva avuto fino a poco tempo prima. Il colore della terra e si chiusero. Sulle labbra rosee vi si disegnò un sorriso.
La Guardiana di Frederich in quel momento parlò.
-Questa battaglia è tua.
Detto questo si dissolse, non senza portare l’anima del ragazzo con sé.
Bernedette si inginocchiò a terra e prese a respirare affannosamente, fino a quando l’urlo non si chetò anche nella sua testa e il suo corpo non smise di tremare. Finalmente il tanto atteso momento era giunto al termine.
Ogni volta la sua anima si sentiva più sporca e ogni volta lei sorrideva appena, per poi far scendere quelle lacrime che aveva tenuto a freno per molto tempo.
Kalsifer le si avvicinò. La sua voce era fredda. Proprio come quando l’aveva incontrato la prima volta.
-Ti ci abituerai. All’inizio è sempre così.
Il male questa volta aveva vinto.




Note dell'autrice

Perché ho scelto i cinque elementi e perché il pentagono?
Mi sono ispirata a quest’ultimo per il significato di magia che ha per me. La perfezione concentrata all’interno di una stella circoscritta all’interno di un cerchio.
Ogni punta rappresenta un elemento, che ho cercato di descrivere con le varie parti della storia, lasciando a voi le varie interpretazioni.
Il quinto elemento. Lo Spirito che è inteso come l’insieme di tutto è ciò che è tutta la storia, l’Epilogo della storia di Bernedette.
Nel fantasy e soprattutto nei giochi di ruolo (a cui ho giocato per molto tempo) il pentacolo riverso è invece considerato il caos degli elementi, che non riescono più ad essere gestiti dallo Spirito.
Ecco. E’ questo per me il pentacolo e ciò che rappresenta per la magia, intesa a mio modo.
Se mai volete qualche informazione non esitate a chiedere.
Faccio riferimento anche ad un collegamento, ma do a voi la scelta di intendere ciò che volete. Dopotutto Kalsifer e Bernedette lo pensano. Ognuno può capire.
Alla fine il nome Kalsifer l'ho gentilmente "rubato" dal film di animazione di Hayao Miyazaki "Il Castello errante di Howl" per rendere un  mio piccolo tributo a questo personaggio. Anche se l'ho modificato appena.
Infine vi informo che questa storia partecipa al contest indetto dal gruppo Facebook  “La crème de la crème di EFP” con il titolo: L'EPOCA VITTORIANA E I SUOI SEGRETI.
Infine vi invito sulla mia pagina FB dove scoprire curiosità e altro sul personaggi e sulle mie storie.
Lotiel Scrittrice - Com pioggia sulla neve


 

   
 
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