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Autore: Sherlocked_96    27/06/2014    2 recensioni
[Commedia Scolastica]
Jérome, insegnante dal passato travagliato da poco trasferito in un college a Parigi, si aspetta di voltare pagina e cominciare una nuova vita nella capitale francese, ma dovrà fare i conti con le voci di corridoio sul suo conto. E tra un'eccentrica sorella, un preside arcigno, gli invadenti professore di lettere e bibliotecaria scolastica, incontrerà uno studente diverso da tutti gli altri, che sarà in grado di cambiarlo completamente.
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3
 
«Credo che andrò a stare al college, per un po’ almeno, forse cercherò una sistemazione migliore in seguito, ma non voglio esserti di peso adesso, Cendrine»
«Ma cosa stai dicendo? Non mi sei affatto di peso. Ma davvero si può dormire al college?» la donna alzò lo sguardo dal giornale per posarlo su suo fratello, abbandonato con rassegnazione ai compiti di matematica da correggere.
«Sì, me l’ha detto Amèlie. Sai, la bibliotecaria scolastica. Ci pranzo insieme domani»
«Uh uh, ma allora fai conquiste!»
Jérome posò bruscamente la penna rossa.
«Non ne ho alcuna intenzione e, soprattutto, avrà dieci anni meno di me! Ha preso da poco una laurea in medicina e sta cercando lavoro, diamine, non ho voglia di iniziare un rapporto del genere! E poi mi sembra timida, forse mi ha chiesto di uscire solo perché mi vede come un punto di riferimento, ma io non posso essere un buon sostegno proprio per nessuno, a malapena riesco ad esserlo per me!»
«Va bene, va bene, ma non ti arrabbiare»
Jérome riprese a correggere i compiti sbuffando.
«Fatto sta che domani ci pranzi»
Rialzò gli occhi. La piaga in mezzo alla fronte segnalava tutta la sua esasperazione per quella conversazione.
«Sì, domani ci pranzo, chiuso il discorso. Invece, non mi hai ancora detto cosa pensi del fatto che andrò a vivere al college»
«Bah, magari ti farà bene. L’importante è che tu non la usi come scusa per segregarti in un posto e dimenticarti di avere una vita. Non mi lascerai abbondata alla noia però, vero? Gestire una farmacia a lungo andare annoia. Quando ti trasferirai?»
«Tranquilla, ti verrò a trovare. La data precisa non la so, è una decisione che ho preso oggi. Domani m’informerò meglio in segreteria»
Seguirono diversi minuti di silenzio, finché il telefono di Jérome vibrò. Il professore inforcò gli occhiali per leggere il messaggio che era appena arrivato.
 
Vieni al consiglio d’istituto alle 17:30? È una gran seccatura… Alain
 
Certo che ci andrò, dovresti venire anche tu. Chi ti ha dato il mio numero?
 
Amélie. Va bene, vengo. So dove abiti (la bibliotecaria è una gran risorsa), ti passo a prendere alle 17:15.
 
D’accordo. Con i compiti di matematica ho quasi finito.
 
«Con chi messaggi, Jérome? Con Amélie?» lo punzecchiò la sorella
«No Cendrine, in realtà è un mio collega. Mi passa a prende tra mezz’ora, andiamo al consiglio di classe»
«Che cosa noiosa»
«Non lo è»
 
Non ho mai capito niente di matematica. Il professore al college mi tirava i cancellini quando sbagliavo i procedimenti risolutivi alla lavagna. Non farlo con i tuoi studenti, eh.
 
Non lo farò.
 
Devo prenderlo come un troncamento di conversazione?
 

 
Va bene, passo tra poco.
 
«I tuoi alunni sono davvero così negati come dici e vuoi far credere?» chiese Cendrine osservando i compiti costellati dalla drammatica impronta d’inchiostro rosso di 4 e 5.
«In realtà no, alla fine sono bravi. Stai vedendo quelli della pila degli irrecuperabili. Qui ci sono cose interessanti. Alcuni manifestano una certa fantasia, nonostante sia matematica, chissà»
«Mhm»
Jérome si tolse gli occhiali.
«”Mhm” cosa?»
«Da quando insegni in quella scuola, sei cambiato»
«Cambiato?»
«Sì, ma in meglio. Sei più… aperto, ecco, forse addirittura tenero»
«Ma smettila»
 
Il campanello della casa suonò.
«Deve essere Alain» disse il professore guardando l’orologio «Un po’ in anticipo, ma comunque» abbandonò i compiti da correggere e si infilò una giacca blu mentre usciva sul pianerottolo gridando: «A dopo, Cendrine!»
In strada c’era una sorpresa ad attenderlo.
«Prof Jérome!» esultò un ragazzino riccioluto.
«Claude? Cosa fai qui?»
«Sono rimasto chiuso fuori, prof»
«Non sono un tuo prof. E sto uscendo. Tua madre a che ora torna?»
«Tardi, dopo cena. Mi sono dimenticato di prendere le chiavi»
«Bravo, proprio un bello sbadato sei! E cosa avresti intenzione di fare?»
«Salire a casa sua!»
«Ma se ti ho detto che sto uscendo!»
«Sì, ma…»
«Jérome, cosa combini?» la sagoma alta di Alain parve sbucare dal nulla.
«Alain! Bentrovato. Ho un inconveniente, questo ragazzino…»
«Mi chiamo Claude!»
«…Claude, sarebbe…»
«Piacere Claude!»
«Piacere!»
«Qual è il problema?»
«Se mi facessi finire…»
«Volevo sentirlo dal ragazzino»
«Claude»
«Sì, da Claude»      
Jérome sbuffò mettendosi le mani nei capelli.
«Ecco, sono rimasto chiuso fuori, di solito in questi casi vado dal prof»
«Non sono un tuo professore!»
«Non scaldarti, Jérome» intervenne pacato Alain «Può sempre venire con noi, no? Al massimo aspetta fuori, in segreteria, con la portinaia. Con me è cattiva, ma con i ragazzi è simpatica. Dà anche la pizza»
«Non saprei…» l’insegnante di matematica osservò i grandi occhi scuri di Claude, poi quelli di Alain «E va bene! Ma fa’ il bravo»
 
Mentre per strada i due docenti commentavano le classi e i colleghi, il ragazzino riccioluto trotterellava allegro al loro fianco, senza dire una parola.
Quando l’imponente edificio scolastico si stagliò all’orizzonte, Jérome cominciò ad agitarsi.
«Dannazione, non lo faranno rimanere, ne sono sicuro…»
«Oh, ma quanto sei fiscale, Jér»
«“Jér”?»
«Non ti piace?»
Il professore di matematica guardò per un attimo quello di lettere.
«No, va bene»
Claude spostava lo sguardo dall’uno all’altro, incerto su dove avrebbe aspettato il ritorno di sua madre.
«Non ti preoccupare, Claude» disse Alain come se gli avesse letto nel pensiero «Troveremo un posto dove metterti».
In portineria, la portinaia – una donna massiccia e tarchiata, sulla sessantina – sbraitava come al solito, e il tema di quel giorno era “dove cazzo ha messo le chiavi il coglione di scienze?”.
«Soave come al solito, Brienne» salutò Jérome
«Salve ‘pressore, può dirlo lei al collega suo de scienze ‘ndo ha messo ‘e chiavi, che no’ ‘e trovo!»
«Vedrò di provvedere, appena lo vedo glielo chiederò. Potresti farmi un favore?»
«Be’, che ne so, dipende»
«Dovresti tenermi qua questo ragazzo, si può fare? Solo per la durata del collegio…»
«E chi è, tu figlio?»
«No be’, non proprio»
«Be’ ‘pressore, ‘n so mica se se può fa…»
«Per favore, Brienne» intervenne candidamente Alain «Non vorrai mica lasciarci nei guai? Se vogliamo rimorchiare qualche collega o bibliotecaria non possiamo certo farci vedere con un bambino…»
«Ma sta’ zitto, va, che ‘o sanno tutti che si’ frocio»
Jérome guardò il collega con le sopracciglia alzate «Seriamente?»
Alain annuì con un mezzo sorriso.
«Vabbe’, e dateme ‘sto ragazzetto, annate, va. Te piace ‘a pizza?»
Claude confermò con trasporto mentre i docenti salivano le scale.
Per un po’, l’unico rumore fu quello dei passi sugli scalini.
«Brienne… ti stava prendendo in giro, oppure…?» lo interruppe Jérome, schiarendosi la gola imbarazzato.
«Riguardo a cosa?» Alain sembrava non capire.
«Be’, a… insomma…»
«Che sono gay?»
L’insegnante di lettere si era fermato sulle scale e Jérome si voltò dai due scalini più in alto a cui era arrivato, tentando di guardare altrove per non dimostrare il suo imbarazzo.
«Certo che sono gay»
Gli occhi sgranati del professore di matematica incontrarono stupiti quelli del collega, che riprendendo a salire le scale commentò solo: «Caspita, Jér, non ti facevo omofobo»
«N-no, ovvio che… insomma, non sono omofobo, assolutamente!» biascicò confusamente seguendolo «È che ti immaginavo un tipo molto da donne, non so come spiegarmi, sei…»
«Virile?»
«Ehm, sì, be’…»
«In ogni caso pare che mi piacciano gli uomini, mi dispiace deluderti»
Alain sfoderò un sorriso candido prima di prendere a fischiettare nei pressi del secondo piano.
Qualcosa di strano cominciava a montare nel petto di Jérome, come un senso di fastidio; lui assolutamente non era omofobo, non lo era mai stato. Avvertiva però che la figura alta e abbronzata davanti a lui gli avrebbe creato parecchi problemi.
Arrivarono in silenzio fino all’aula del collegio, dove trovarono tutti gli altri docenti ad attenderli.
«Vi stavamo per dare dispersi!» brontolò il preside
«Come mai a fare la strada con te si arriva inevitabilmente in ritardo?» chiese tra i denti Jérome ad Alain
«Credo sia da apprezzare che sia venuto, piuttosto che sgridarmi; è una delle prime volte che partecipo» rispose l’altro in un sussurro mentre prendevano posto.
Il professore di matematica scosse la testa rassegnato, tirando fuori i suoi registri dalla ventiquattrore nera che si portava appresso.
Con un sonoro sbadiglio e una sorsata di caffè, Fabrice, il collega di arte, borbottò con una certa impazienza: «Allora, possiamo iniziare sì o no?»
«Giusto non perdiamo altro tempo, stasera c’è la partita» assentì il preside «Alain, visto che è la prima volta che ti degni di venire, farai tu da relatore»
Stava per protestare, ma Jérome fu più veloce: «Insomma, da che sezione cominciamo?» 
«Andiamo in ordine, su. La A tanto è facile, a me non dà problemi, a voi?»
«No, è una sezione fantastica, sono tutti molto partecipativi, ascoltano, studiano quasi tutti… insomma, belle classette»
«Voi dite? Io ho un problema con la II, in particolare con questo studente, Lucas, non so, non mi dà mai attenzione, non fa i compiti, risponde male!»
«Con me sta sempre zitto»
«Forse perché gioca col cellulare e non te ne accorgi, l’ho beccato almeno cinque volte!»
«Non credo che sia così, nella mia materia va bene»
«Però ha ragione la collega, anche nella mia materia è un disastro!»
«Scusate, scusate, potreste parlare un po’ più lentamente?» interruppe Alain mentre la sua penna percorreva velocemente il foglio del verbale del collegio docenti.
«Chi ha dato all’italiano il compito di relazionare?» sbraitò Fabrice
«L’italiano ci sente benissimo» ribatté Alain
«Allora, allora, calmiamoci tutti» intervenne prontamente Jérome «Questo Lucas con me personalmente ha un rendimento sufficiente. Poco costante, ma quando si applica riesce ad ottenere buoni risultati. Non penso sinceramente che si debba ricorrere a provvedimenti disciplinari»
Tra i professori calò il silenzio per qualche secondo, poi tutti assentirono e si passò alla sezione B, e sia quella che la C non causarono particolari discussioni.
«Adesso… la D, giusto?» disse il preside passandosi una mano sulla fronte, sollevando gli occhiali.
«Quella sì che è una sezione terribile» cominciò in tono grave la professoressa d’inglese, Marlene.
«È vero. Tranne la IV, le altre fanno completamente come pare loro!»
«E non credere che neanche quella sia proprio di angeli, eh…»
«Bah, a me la VII non è sembrata male, riescono a seguire tranquillamente le lezioni e ad apprendere con creatività, spesso. Alcuni prendono quasi più di quanto gli si dia» considerò Jérome con un cappuccino bevuto a metà stretto tra le mani, che le riscaldava dal freddo d’ottobre.
«A proposito di te, Jérome, e di quella sezione, c’è qualcosa che non mi torna» disse Frank, il consulente psicoanalitico a disponibilità della scuola. Tutti si voltarono nella sua direzione: solitamente non parlava mai e se lo faceva era solo per dire qualcosa di grave o importante.
«Sì?» incoraggiò Jérome con un sopracciglio alzato.
«Be’, l’altro giorno era il turno della VII D di fare consulenza psicoanalitica per coloro che lo desiderassero, e si sono effettivamente presentati alcuni»
«Chi?» Jérome aveva adesso le sopracciglia inarcate.
«Non posso rivelarlo e non è neanche importante. Il punto è che qualcuno ha detto di provare una certa… attrazione, per te. Ora, io so benissimo che i casi di transfert sono molto facili a verificarsi, soprattutto nell’età dell’adolescenza, ma visto che sei il nuovo arrivato qui, volevo chiederti: fai qualcosa in particolare per essere… “desiderato”?»
Un silenzio imbarazzato scese tra loro. Jérome sbatteva le palpebre, rifiutandosi di comprendere quella domanda fino in fondo.
«Frank, non sono un pedofilo. Non toccherei con un dito nessuno di quei ragazzi. I casi di transfert capitano, non è il caso di farne un dramma»
Alain aveva smesso di scrivere e spostava lo sguardo dal collega al consulente psicoanalitico.
Il docente di matematica si schiarì nervosamente la gola. Non avrebbe mai pensato che qualcuno potesse sospettarlo di una cosa simile.
«Va bene, scusa, ritenevo importante esserne certo» si capiva che Frank stava troncando la conversazione, ma non sembrava molto convinto.
Di lì a poco il collegio docenti finì, lasciando la mano di Alain libera dal verbale e la mente di Jérome affollata dai pensieri.  
«Non ascoltare Frank» disse l’insegnante di lettere al collega «È un frustrato che scopa poco e si diverte a mettere nei guai la gente, anche gli studenti»
Jérome annuì distrattamente scendendo le scale.
In portineria trovarono ad aspettarli Claude, che sbocconcellava fieramente un pezzo di pizza.
«Ciao prof! Mentre ti aspettavo ho fatto amicizia con questo ragazzo, dice di conoscerti!» esclamò il bambino appena li vide.
Solo allora Jérome si accorse della figura di spalle che subito si voltò, tirando fuori un impeccabile sorriso.
«Buonasera, professore»
L’insegnante lo squadrò per un attimo.
«Ciao Henri, cosa posso fare per te? Vuoi un chiarimento sugli esercizi che ti ho dato quando sei stato diviso nella mia classe?»
«In realtà no, volevo parlarle da solo, le va di fare due passi?»
Jérome guardò pensieroso Alain, che per tutta risposta disse a Claude che loro due avrebbero fatto meglio ad avviarsi in fretta.
«Pare che possa. Ma cerchiamo di non far tardi, Henri»
  
NOTE DELL’AUTRICE
Salve! Eccomi qui col terzo capitolo, finalmente libera dagli esami!
Be’, volevo farvi sapere che se la storia vi piace (o, nell’eventualità, non vi piaccia) gradirei che me lo faceste sapere con una recensioncina o un messaggio, altrimenti non sono sicura che la continuerò, nonostante abbia in mente la trama.
Detto questo, buone vacanze a tutti!    
 
  
  
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