'Cause these words are knives and often leave scars.
Avevo
preso la mano guantata di madame Simza nella mia. Sentivo lo sguardo
del mio amico addosso, ma non doveva preoccuparsi: lui restava
ovviamente e comunque il mio accompagnatore preferito.
Lui restava
la promessa sempre infranta di chi, come me, aveva paura di cadere.
La promessa sempre infranta e mai lasciata andare.
La parte del
mio cervello che non era impegnata a tentare di capire chi di quegli
aristocratici invitati potesse essere la chiave per evitare un
conflitto mondiale registrò la possibile informazione che in
realtà
Watson fosse geloso.
Be', e io cosa avrei dovuto dire, a vedere
quella fascetta d'oro che gli stringeva l'anulare ogni giorno?
Quella
fede non era un testimone eliminabile, purtroppo. E mi doleva
ammetterlo, ma anche difficilmente ignorabile.
Ma Watson era mio,
ed io ero suo. Eravamo nostri.
Non doveva preoccuparsi.
«Io
non conosco questo ballo.» Il sussurro della zingara
catalizzò una
parte della mia attenzione, mentre il mio sguardo si muoveva sulla
sala, soffermandosi su ogni invitato, scandagliando quante
più
persone riuscivo nel minor tempo possibile.
Molte altre coppie
erano già in pista, muovendosi ignare a ritmo con quella
musica da
sala così gradevole e praticamente inutile.
Io abbassai lo
sguardo su di lei, posandole la mano che fino a quel momento avevo
tenuto al petto attorno alla sua stretta vita, mentre con l'altra
intrecciavo le sue dita con le mie.
Era una mano troppo piccola.
Il vestito troppo vaporoso.
«Deve solo seguire me.» Lo dissi a
ritmo con i nostri passi che si facevano elegantemente ciondolanti,
seguendo le note su cui ormai tutti i ballerini del caso si stavano
concentrando. La musica ebbe un virtuosismo e fu allora che entrammo
nel circolo, in quel cerchio perfetto composto di trine, sottogonne e
noia sapientemente e ragionevolmente riposta sotto sorrisi di
cortesia e posture rigide.
Ci muovevamo, il mio cervello era ormai
scollegato dalle mie gambe.
Lo sfarfallio di una mano vicino
all'elsa di una spada. Un sorriso nascosto dietro ad un bicchiere.
Una risata di una donna celata dall'inutile sventolio di un
ventaglio.
Avanti, indietro, di lato.
Lo avevo insegnato anche
a Watson.
«Che cosa vede?» La voce di madame Simza mi
raggiunse
da lontano, mentre un uomo sussurrava qualcosa di evidentemente molto
interessante all'orecchio di un altro.
«Tutto.»
Guanti.
Bottoni. Applicazioni di medaglie – riconoscimenti militari,
ovvio.
Baffi arricciati.
«Questa, è la mia condanna.»
Aggiunsi poi,
tornando ad osservare il viso della donna che stavo continuando a
guidare, sollevato verso il mio.
«Ma non vede quello che
cerca.»
Osservò lei. Solo un attimo. Quell'uomo ha battuto le
ciglia.
No, non vedevo quello che cercavo e necessitavo della mia
compagnia.
Quella di cui avevo bisogno in ogni singolo istante
della mia vita.
Riaccompagnai madame Simza a bordo pista. Dovevo
farlo. Un'ultima volta, prima di Moriarty. Uno stupido capriccio
personale da un lato ed un aiuto indispensabile al mondo
dall'altro.
Stavolta il turno di ballare con me era di chi mi era
entrato sottopelle.
Porsi a lui la mano, mentre il dottore la
guardava con le sopracciglia lievemente inarcate verso l'alto. Poi
accettò il mio invito, prendendo posto davanti a me.
«Pensavo
non me lo chiedesse.»
No, non era vero. Watson sapeva
perfettamente che avevo bisogno di lui. Della sua mano sul braccio,
del suo respiro che si mischiava col mio, del suo corpo.
Per non
cadere. Non era ancora il momento, non con lui lì.
Una volta
ancora.
Nascosi il sorriso che mi stava incurvando gli angoli
della bocca umettandomi le labbra, prima di guidarlo in
pista.
Stavolta andava bene, quella danza. Andava bene in
tutto.
«Dietro le mie spalle.» Richiesi la sua attenzione
in
ogni forma, solo per me, Watson, stringendo delicatamente le dita sul
suo fianco.
«Un giovane. Uniforme tedesca. – proseguii, e
stavolta il mio sguardo era fisso sul suo viso. – Spada da
cerimonia.» Aggiunsi alla fine, e lui annuì una
sola volta e mi
sorrise, rivolgendomi un'occhiata che ad un esterno sarebbe potuta
sembrare imbarazzata.
Apparenze. Di questo si trattava.
«Visto.»
Mi confermò.
«Opinione professionale?»
Domandai quindi, e
Watson si voltò verso l'uomo che gli avevo indicato, mentre
il mio
viso si avvicinava impercettibilmente al suo collo.
Il suo
profumo.
«Vasto trauma... ferito gravemente. Eccellente
riparazione chirurgica.»
Era esatto tutto ciò che mi aveva
detto, anche se non avevo subitamente capito quanto in effetti fosse
stata grande la ferita. Mi perdevo in quei pensieri distratti mentre
il mio sguardo vagava altrove e quello di Watson tornava a fissarsi
su di me; due respiri. Quattro battiti di cuore.
Si illuminò:
aveva capito.
«Il dottor Hoffmanstal!»
Ottima deduzione,
Watson.
Annuii, prima di rispondergli: «Ha detto lei che era
all'avanguardia nelle scoperte mediche; abbiamo già visto un
esempio
della sua perizia.»
Mi interruppi, lasciando un accennato sorriso
a presenziare sulle mie labbra. Lui parve pensarci qualche istante,
la musica completamente cancellata dalle mie percezioni ed i nostri
piedi che ormai seguitavano autonomamente a muoversi.
Supponevo
fossero abituati gli uni al ritmo degli altri.
«Quei gemelli non
erano gemelli?» Me lo domandava, ma dal tono di voce si
capiva
chiaramente che sapeva già la risposta. Io fui pronto di
nuovo a
confermargliela, comunque. Come sarei sempre stato fino a quando il
mondo me lo avrebbe permesso. Non molto ancora, ma fino a che non
sarebbe scattato l'ultimo secondo, sarei stato lì.
Lì, perché il
mio posto era ovunque, ma lì ero perfetto in ogni mia
più piccola
sfaccettatura.
Tirai su col naso prima di parlare.
«I miei
sospetti sono nati a Haimbrunn, quando uno dei due non ha soccorso
l'altro.»
Com'è possibile lasciare nelle braccia della morte una
persona a cui si tiene? Purtroppo sì, devo ammettere che
anch'io ho
qualcuno a cui tenere. Ed è secondo la mia personale
esperienza che
ho potuto asserire con sicurezza che quei due non erano gemelli.
L'uno senza l'altro è un qualcosa di impensabile, a chi
tiene
davvero.
Risollevai lo sguardo sul suo viso, stringendo la mano
nella sua: «Ho anche notato la piega discreta ma
inconfondibile
dietro l'orecchio, dov'è stata tirata la pelle. Avrei dovuto
capirlo
subito che erano frutto di un esperimento.»
Conclusi infine,
attendendo che Watson speculasse il tempo che necessitava. Poi
incatenò le sue iridi blu nelle mie nere.
«Per vedere se è
possibile rendere un uomo uguale ad un altro...»
Io mi limitai,
un'ennesima volta, a murare di verità le sue corrette
intuizioni:
«Il viso di Reneé non è più
il suo. Quale modo migliore di
garantire la sua guerra mondiale che trasformare l'omicida...»
«...In
uno degli ambasciatori.» Concluse Watson per me, mentre
smettevamo
di ballare e scandagliavamo entrambi ciò che ci stava
intorno. Senza
perdere il contatto del suo fianco contro la mia mano, però.
La
tolsi solamente per voltarmi distrattamente verso di lui, avviandoci
verso Mycroft e madame Simza.
«Questo restringe le possibilità
ad uno su sei. – e poi mi voltai verso di lui, mentre mi
guardava.
Occhi negli occhi, un'ultima volta. – lei e Sim troverete suo
fratello. Su questo non ho dubbi.»
Il tempo scorreva. Mi diedi i
momenti di cui avevo bisogno per imprimermi il suo volto nella
mente.
Lui non sembrava molto convinto mentre infossava il capo
nelle spalle e poi protendeva il viso verso di me, sottolineando a
quel modo la differenza d'altezza tra noi due.
«Holmes.» Mi
richiamò, osservandomi e dicendomi tutto. Poche parole,
ormai, ma
chiare: Holmes, non vada. Holmes, resti qui. Holmes, non
perdiamoci.
Sta cadendo a pezzi.
«Conosce i miei metodi.»
Non
posso, Watson. Non possiamo.
Sto per cadere a pezzi.
«E so
dove andrà.»
Già. Sapevo che lo sapeva.
L'unico che forse,
un giorno, avrebbe mai potuto capirmi completamente e
davvero.
«Nessuna soluzione poteva essermi più congeniale
di
questa. – un altro sguardo. Per dire tutto, per dire nulla.
Arrivederci, Watson. – a proposito, chi le ha insegnato a
ballare?»
I suoi occhi si strinsero, formandovi delle rughe
d'espressione intorno. Distolse un istante lo sguardo, ed era un vero
peccato. Gli occhi di Watson sapevano di vita, per quanto illogico e
irragionevole fosse un pensiero del genere.
Gli occhi di Watson
erano miei.
«E' stato lei.» Un sorriso che mi sapeva di
ciò che
per me era ciò che più simile al mio cuore
possedessi. Un sorriso
imbarazzato. Un sorriso grato. Un ultimo sorriso.
«Bravo! Ho
fatto un ottimo lavoro.»
E l'avevo fatto davvero.
Su me
stesso, su me e Watson. Stavamo bene, anche se c'ero anch'io in quel
"noi" – la persona più geniale e irritante della
Terra.
Il dottore me lo diceva sempre.
Eravamo stati bene, ma ora era
arrivato il momento di disgregarsi.
Lui, comunque, sarebbe andato
avanti anche per me.
Ci guardammo per ancora un istante. L'ultimo
che mi era concesso. Quando capì, quando capimmo, io mi
allontanai
da lui e lui non si voltò.
Ma il sorriso gli era scomparso dalle
labbra.
«Stia attento.»
Ci avrei provato, ma quella volta le
probabilità non erano a mio favore. Un giorno mi avrebbe
perdonato.
Non mi fermai un secondo di più. Watson restò
indietro, e non sapeva. O forse si immaginava, ma non voleva credere.
Alle volte la mente umana fa di questi processi, per autodifesa.
Rimpianti, mentre lasciavo sala del ricevimento e mi chiudevo
fuori dalla mia stessa vita?
Be', sì. Due: la mia pipa e il non
aver sentito un'ultima volta le sue labbra sulle mie.
Walking_Disaster's corner:
Bonsoir!
Parto per scrivere una cosa e viene fuori un'altra – tipico.
Ma
sono felice di tornare in questo fandom, ogni tanto. E' da qui che ho
ricominciato, no? Un mio pezzo di cuore è tra questi titoli.
Del
testo non ho davvero niente da dire stavolta, se non che spero che
l'angoscia e la tristezza che provavo io mentre scrivevo possa
giungere anche a voi. Non odiatemi, pls, è solo il desiderio
di
un'autrice disperata! Ah, i dialoghi sono quelli precisi del film.
Il titolo è preso da This is gospel, dei
Panic! At the disco, ed in effetti scrivevo mentre ascoltavo la
canzone a ripetizione, sarà anche per questo che ci sono
alcuni
riferimenti alla lontana e sporadici nella ff.
Ovviamente Holmes
e Watson non mi appartengono (purtroppo) e questa storia non
è stata
scritta a scopo di lucro.
Ditemi che ne pensate, sono
felice di ascoltarvi :)
See u soon e grazie a chi leggerà,
WD