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Autore: Walking_Disaster    29/06/2014    3 recensioni
Cosa pensa Holmes durante il ricevimento a Reichenbach? Come darà il suo addio a Watson?
OS completamente introspettiva ed incentrata in prima persona sui pensieri di Holmes durante il ballo che prima fa con Simza e che poi fa con Watson. Soprattutto quello che fa con Watson.
Dal testo: "Avevo preso la mano guantata di madame Simza nella mia. Sentivo lo sguardo del mio amico addosso, ma non doveva preoccuparsi: lui restava ovviamente e comunque il mio accompagnatore preferito.
Lui restava la promessa sempre infranta di chi, come me, aveva paura di cadere. La promessa sempre infranta e mai lasciata andare."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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'Cause these words are knives and often leave scars.








Avevo preso la mano guantata di madame Simza nella mia. Sentivo lo sguardo del mio amico addosso, ma non doveva preoccuparsi: lui restava ovviamente e comunque il mio accompagnatore preferito.
Lui restava la promessa sempre infranta di chi, come me, aveva paura di cadere. La promessa sempre infranta e mai lasciata andare.
La parte del mio cervello che non era impegnata a tentare di capire chi di quegli aristocratici invitati potesse essere la chiave per evitare un conflitto mondiale registrò la possibile informazione che in realtà Watson fosse geloso.
Be', e io cosa avrei dovuto dire, a vedere quella fascetta d'oro che gli stringeva l'anulare ogni giorno?
Quella fede non era un testimone eliminabile, purtroppo. E mi doleva ammetterlo, ma anche difficilmente ignorabile.
Ma Watson era mio, ed io ero suo. Eravamo nostri.
Non doveva preoccuparsi.
«Io non conosco questo ballo.» Il sussurro della zingara catalizzò una parte della mia attenzione, mentre il mio sguardo si muoveva sulla sala, soffermandosi su ogni invitato, scandagliando quante più persone riuscivo nel minor tempo possibile.
Molte altre coppie erano già in pista, muovendosi ignare a ritmo con quella musica da sala così gradevole e praticamente inutile.
Io abbassai lo sguardo su di lei, posandole la mano che fino a quel momento avevo tenuto al petto attorno alla sua stretta vita, mentre con l'altra intrecciavo le sue dita con le mie.
Era una mano troppo piccola. Il vestito troppo vaporoso.
«Deve solo seguire me.» Lo dissi a ritmo con i nostri passi che si facevano elegantemente ciondolanti, seguendo le note su cui ormai tutti i ballerini del caso si stavano concentrando. La musica ebbe un virtuosismo e fu allora che entrammo nel circolo, in quel cerchio perfetto composto di trine, sottogonne e noia sapientemente e ragionevolmente riposta sotto sorrisi di cortesia e posture rigide.
Ci muovevamo, il mio cervello era ormai scollegato dalle mie gambe.
Lo sfarfallio di una mano vicino all'elsa di una spada. Un sorriso nascosto dietro ad un bicchiere. Una risata di una donna celata dall'inutile sventolio di un ventaglio.
Avanti, indietro, di lato.
Lo avevo insegnato anche a Watson.
«Che cosa vede?» La voce di madame Simza mi raggiunse da lontano, mentre un uomo sussurrava qualcosa di evidentemente molto interessante all'orecchio di un altro.
«Tutto.»
Guanti. Bottoni. Applicazioni di medaglie – riconoscimenti militari, ovvio. Baffi arricciati.
«Questa, è la mia condanna.»
Aggiunsi poi, tornando ad osservare il viso della donna che stavo continuando a guidare, sollevato verso il mio.
«Ma non vede quello che cerca.»
Osservò lei. Solo un attimo. Quell'uomo ha battuto le ciglia.
No, non vedevo quello che cercavo e necessitavo della mia compagnia.
Quella di cui avevo bisogno in ogni singolo istante della mia vita.
Riaccompagnai madame Simza a bordo pista. Dovevo farlo. Un'ultima volta, prima di Moriarty. Uno stupido capriccio personale da un lato ed un aiuto indispensabile al mondo dall'altro.
Stavolta il turno di ballare con me era di chi mi era entrato sottopelle.
Porsi a lui la mano, mentre il dottore la guardava con le sopracciglia lievemente inarcate verso l'alto. Poi accettò il mio invito, prendendo posto davanti a me.
«Pensavo non me lo chiedesse.»
No, non era vero. Watson sapeva perfettamente che avevo bisogno di lui. Della sua mano sul braccio, del suo respiro che si mischiava col mio, del suo corpo.
Per non cadere. Non era ancora il momento, non con lui lì.
Una volta ancora.
Nascosi il sorriso che mi stava incurvando gli angoli della bocca umettandomi le labbra, prima di guidarlo in pista.
Stavolta andava bene, quella danza. Andava bene in tutto.
«Dietro le mie spalle.» Richiesi la sua attenzione in ogni forma, solo per me, Watson, stringendo delicatamente le dita sul suo fianco.
«Un giovane. Uniforme tedesca. – proseguii, e stavolta il mio sguardo era fisso sul suo viso. – Spada da cerimonia.» Aggiunsi alla fine, e lui annuì una sola volta e mi sorrise, rivolgendomi un'occhiata che ad un esterno sarebbe potuta sembrare imbarazzata.
Apparenze. Di questo si trattava.
«Visto.» Mi confermò.
«Opinione professionale?»
Domandai quindi, e Watson si voltò verso l'uomo che gli avevo indicato, mentre il mio viso si avvicinava impercettibilmente al suo collo.
Il suo profumo.
«Vasto trauma... ferito gravemente. Eccellente riparazione chirurgica.»
Era esatto tutto ciò che mi aveva detto, anche se non avevo subitamente capito quanto in effetti fosse stata grande la ferita. Mi perdevo in quei pensieri distratti mentre il mio sguardo vagava altrove e quello di Watson tornava a fissarsi su di me; due respiri. Quattro battiti di cuore.
Si illuminò: aveva capito.
«Il dottor Hoffmanstal!»
Ottima deduzione, Watson.
Annuii, prima di rispondergli: «Ha detto lei che era all'avanguardia nelle scoperte mediche; abbiamo già visto un esempio della sua perizia.»
Mi interruppi, lasciando un accennato sorriso a presenziare sulle mie labbra. Lui parve pensarci qualche istante, la musica completamente cancellata dalle mie percezioni ed i nostri piedi che ormai seguitavano autonomamente a muoversi.
Supponevo fossero abituati gli uni al ritmo degli altri.
«Quei gemelli non erano gemelli?» Me lo domandava, ma dal tono di voce si capiva chiaramente che sapeva già la risposta. Io fui pronto di nuovo a confermargliela, comunque. Come sarei sempre stato fino a quando il mondo me lo avrebbe permesso. Non molto ancora, ma fino a che non sarebbe scattato l'ultimo secondo, sarei stato lì. Lì, perché il mio posto era ovunque, ma lì ero perfetto in ogni mia più piccola sfaccettatura.
Tirai su col naso prima di parlare.
«I miei sospetti sono nati a Haimbrunn, quando uno dei due non ha soccorso l'altro.»
Com'è possibile lasciare nelle braccia della morte una persona a cui si tiene? Purtroppo sì, devo ammettere che anch'io ho qualcuno a cui tenere. Ed è secondo la mia personale esperienza che ho potuto asserire con sicurezza che quei due non erano gemelli. L'uno senza l'altro è un qualcosa di impensabile, a chi tiene davvero.
Risollevai lo sguardo sul suo viso, stringendo la mano nella sua: «Ho anche notato la piega discreta ma inconfondibile dietro l'orecchio, dov'è stata tirata la pelle. Avrei dovuto capirlo subito che erano frutto di un esperimento.»
Conclusi infine, attendendo che Watson speculasse il tempo che necessitava. Poi incatenò le sue iridi blu nelle mie nere.
«Per vedere se è possibile rendere un uomo uguale ad un altro...»
Io mi limitai, un'ennesima volta, a murare di verità le sue corrette intuizioni: «Il viso di Reneé non è più il suo. Quale modo migliore di garantire la sua guerra mondiale che trasformare l'omicida...»
«...In uno degli ambasciatori.» Concluse Watson per me, mentre smettevamo di ballare e scandagliavamo entrambi ciò che ci stava intorno. Senza perdere il contatto del suo fianco contro la mia mano, però. La tolsi solamente per voltarmi distrattamente verso di lui, avviandoci verso Mycroft e madame Simza.
«Questo restringe le possibilità ad uno su sei. – e poi mi voltai verso di lui, mentre mi guardava. Occhi negli occhi, un'ultima volta. – lei e Sim troverete suo fratello. Su questo non ho dubbi.»
Il tempo scorreva. Mi diedi i momenti di cui avevo bisogno per imprimermi il suo volto nella mente.
Lui non sembrava molto convinto mentre infossava il capo nelle spalle e poi protendeva il viso verso di me, sottolineando a quel modo la differenza d'altezza tra noi due.
«Holmes.» Mi richiamò, osservandomi e dicendomi tutto. Poche parole, ormai, ma chiare: Holmes, non vada. Holmes, resti qui. Holmes, non perdiamoci.
Sta cadendo a pezzi.
«Conosce i miei metodi.»
Non posso, Watson. Non possiamo.
Sto per cadere a pezzi.
«E so dove andrà.»
Già. Sapevo che lo sapeva.
L'unico che forse, un giorno, avrebbe mai potuto capirmi completamente e davvero.
«Nessuna soluzione poteva essermi più congeniale di questa. – un altro sguardo. Per dire tutto, per dire nulla. Arrivederci, Watson. – a proposito, chi le ha insegnato a ballare?»
I suoi occhi si strinsero, formandovi delle rughe d'espressione intorno. Distolse un istante lo sguardo, ed era un vero peccato. Gli occhi di Watson sapevano di vita, per quanto illogico e irragionevole fosse un pensiero del genere.
Gli occhi di Watson erano miei.
«E' stato lei.» Un sorriso che mi sapeva di ciò che per me era ciò che più simile al mio cuore possedessi. Un sorriso imbarazzato. Un sorriso grato. Un ultimo sorriso.
«Bravo! Ho fatto un ottimo lavoro.»
E l'avevo fatto davvero.
Su me stesso, su me e Watson. Stavamo bene, anche se c'ero anch'io in quel "noi" – la persona più geniale e irritante della Terra. Il dottore me lo diceva sempre.
Eravamo stati bene, ma ora era arrivato il momento di disgregarsi.
Lui, comunque, sarebbe andato avanti anche per me.
Ci guardammo per ancora un istante. L'ultimo che mi era concesso. Quando capì, quando capimmo, io mi allontanai da lui e lui non si voltò.
Ma il sorriso gli era scomparso dalle labbra.
«Stia attento.»
Ci avrei provato, ma quella volta le probabilità non erano a mio favore. Un giorno mi avrebbe perdonato.
Non mi fermai un secondo di più. Watson restò indietro, e non sapeva. O forse si immaginava, ma non voleva credere. Alle volte la mente umana fa di questi processi, per autodifesa.
Rimpianti, mentre lasciavo sala del ricevimento e mi chiudevo fuori dalla mia stessa vita?
Be', sì. Due: la mia pipa e il non aver sentito un'ultima volta le sue labbra sulle mie. 





Walking_Disaster's corner:


Bonsoir! Parto per scrivere una cosa e viene fuori un'altra – tipico. Ma sono felice di tornare in questo fandom, ogni tanto. E' da qui che ho ricominciato, no? Un mio pezzo di cuore è tra questi titoli.
Del testo non ho davvero niente da dire stavolta, se non che spero che l'angoscia e la tristezza che provavo io mentre scrivevo possa giungere anche a voi. Non odiatemi, pls, è solo il desiderio di un'autrice disperata! Ah, i dialoghi sono quelli precisi del film.
Il titolo è preso da This is gospel, dei Panic! At the disco, ed in effetti scrivevo mentre ascoltavo la canzone a ripetizione, sarà anche per questo che ci sono alcuni riferimenti alla lontana e sporadici nella ff.
Ovviamente Holmes e Watson non mi appartengono (purtroppo) e questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.

Ditemi che ne pensate, sono felice di ascoltarvi :)
See u soon e grazie a chi leggerà,
WD

   
 
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