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Autore: Quasar93    29/06/2014    5 recensioni
Questa fanfiction sarà una raccolta di missing moments tra X-men first class e X-man days of future past. Come ha reagito Charles quando Erik fu sospettato dell'assassinio di Kennedy, come ha gestito i mesi dopo cuba? E se il momento in cui si sono rivisti al pentagono quando insieme a Pietro e Logan sono andati a liberare Erik non fosse stata l'unica occasione di parlare per il telepate e il manipolatore di metalli?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Dottor Henry 'Hank' McCoy/Bestia, Erik Lehnsherr/Magneto
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: Spoiler!
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Ecco il primo capitolo di una raccolta di missing moments tra cuba e l'incontro di Charles e Erik al pentagono. E' una raccolta ma in realtà sono vari capitoli della stessa storia che assumono sfumature un po' diverse.
Sappiate solo che l'ho scritta preparando un esame di psichiatria, questo dovrebbe dirvi tutto. Enjoy e se vi va lasciate un commento. Buona lettura:)

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Era trascorso quasi un anno da quando Erik se n’era andato lasciandolo agonizzante tra le braccia di Moira.
Charles aveva davvero creduto di aver trovato nel manipolatore di metalli un alleato, un amico, un fratello addirittura, con cui condividere il suo sogno di pace tra gli umani e i mutanti.
Ma poi Erik aveva rovinato tutto, aveva ucciso Shaw e non contento di aver portato a termine la sua vendetta personale aveva rivolto un attacco contro le due più grandi potenze mondiali, solo per dare un dimostrazione della forza dell’homo superior.
E la cosa peggiore era che non riusciva a capire quanto questo si distaccasse da quello che Charles stava tentando di costruire insieme a lui.
-Siamo fratelli, noi due – gli aveva detto quel giorno
–Vogliamo la stessa cosa-
-Oh, vecchio amico. Mi dispiace, ma non è così- gli aveva risposto Charles, senza indugio ma con il cuore pesante e i grandi occhi blu lucidi di lacrime. Aveva tracciato una linea, in quel momento e per sempre.
La sua strada si sarebbe separata da quella di Erik Lehnsherr, i loro ideali, i loro modi di agire, di pensare erano troppo diversi.
Charles aveva a lungo sperato di poter cambiare l’amico, di fargli capire che non c’erano solo dolore e rabbia nella sua vita, che poteva aspirare ad altro. Che poteva aspirare ad essere felice.
Ma aveva fallito. E si rese conto che forse il primo ad aver tracciato una linea era stato proprio Erik, uccidendo Shaw, incurante di quanto questo avrebbe significato per il resto del mondo.
Ed ora se ne era andato, portandosi dietro Raven, e per la prima volta fu lui ad essere solo.
 
Inizialmente aveva creduto di potercela fare.
Di riuscire ad andare avanti come se nulla fosse successo.
Aveva creduto di poter superare la perdita di Erik, di Raven, delle sue gambe.
Pensava, credeva, di essere forte abbastanza.
E in principio lo fu.
Continuò a reclutare giovani mutanti per la sua scuola e iniziò il primo semestre.
Finalmente stava realizzando il suo sogno. Era tutto perfetto. I ragazzi erano bellissimi e i professori erano fantastici. Non c’erano problemi e per un breve momento iniziò perfino a pensare che la convivenza pacifica fra umani e mutanti fosse così vicina da riuscire ad afferrarla soltanto allungando le mani.
Eppure.
Eppure Charles non riusciva ad essere felice.
Sorrideva, era vero.
Era cordiale e gentile con tutti. Sempre alla mano, sempre allegro, sempre disposto ad aiutare alunni e insegnanti.
Ma un sorriso non sempre è sinonimo di felicità.
Inizialmente non se ne rendeva nemmeno conto, si sentiva solo insoddisfatto, come se quello che faceva non fosse mai abbastanza, come se ci fosse sempre qualcosa che mancava, sempre un fattore in meno nella sua equazione di equilibrio.
Sempre una sensazione di vuoto.
Si rifiutava di pensare che la colpa di tutto fosse Erik Lehnsherr e la sua stupida ideologia e andava avanti, convincendosi che presto quella sensazione sarebbe passata e che sarebbe stato finalmente felice. Felice nonostante tutto quello che aveva perso, felice con la sua scuola, felice coi suoi mutanti.
Ma, a differenza di ciò che pensava, le cose non fecero che peggiorare.
Era una sera come tante quando iniziò a sentire delle voci nella sua testa.
Inizialmente le attribuì alla stanchezza, che non gli permetteva di controllare bene il suo potere, del resto con la scuola in attività lavorava molto e non dormiva a sufficienza.
Ma più il tempo passava più le voci aumentavano per intensità e frequenza. Più era stanco e peggio era, e anche riuscire a prendere sonno diventava sempre più difficile.
Nel giro di un mese le voci divennero insopportabili e l’insonnia lo lasciava sempre più stremato, così Charles si rivolse a Hank, che gli propose di nuovo il siero che aveva sintetizzato per permettergli di camminare di nuovo.
Quando gliel’aveva mostrato la prima volta l’aveva rifiutato, non voleva perdere i suoi poteri, gli servivano per trovare gli studenti e, ancora più importante, erano una parte di lui, l’avevano accompagnato per tutta la vita e non voleva rinunciarci.
Ma ora l’anno accademico era iniziato e quelle voci gli permettevano a malapena di condurre una vita normale, così decise di aggiungere un’altra voce all’elenco di ciò che aveva perso.
Iniziò a prendere il siero e nel giro di poco tempo riprese a camminare e a sentire la testa libera e leggera.
Per un breve periodo continuò anche a fare il professore, senza poteri ma libero da quella sedia a rotelle e soprattutto da quelle voci angoscianti nella testa.
Però ancora non era felice, ancora non era soddisfatto e ancora il perché gli sfuggiva inafferrabile, tanto che stava iniziando a domandarsi se davvero ci fosse una ragione e se non fosse solamente impazzito.
Perché non poteva essere felice nemmeno ora che il suo sogno si stava finalmente concretizzando?
Nemmeno ora che era riuscito a lasciarsi alle spalle Cuba e a riprendere la sua vita.
E più ci pensava più le voci tornavano a farsi sentire insieme con immagini di Raven e di Erik.
E ogni volta che uno tra sua sorella e il suo migliore amico faceva capolino nella sua testa Charles beveva, beveva per addormentarsi meglio, per non pensare a loro, anzi, per non pensare a niente.
Non ci volle molto perché sviluppasse una dipendenza dal siero principalmente e dallo scotch più tardi, ma era il solo a saperlo.
Visto da fuori era sempre il professor Charles Xavier, pulito e in ordine, intelligente e cordiale con tutti.
I momenti bui erano solo suoi, e li nascondeva a tutti, nel tentativo malriuscito di nasconderli anche a se stesso. Non voleva ammettere di avere qualcosa che non andava perché si sa, finchè non ammetti un problema è come se non lo avessi.
Continuava anche a tenere le lezioni come se niente fosse, mantenendo i dosaggi di siero al limite deciso da Hank era lucido e nessuno l’avrebbe scoperto.
Pensava di avere tutto sotto controllo e nonostante i ripetuti e preoccupati avvertimenti della Bestia non ne volle sapere di smettere nemmeno con lo scotch.
-Hank, vecchio mio, sto benone. Il siero è solo per le voci- ripeteva sempre, più per convincere se stesso che per convincere Hank.
-E riguardo allo scotch, ogni tanto ho bisogno anche io di staccare il cervello- ripeteva sorridendo con un sorriso così superficiale che se si fosse visto allo specchio non ci avrebbe creduto nemmeno lui.
 
Poi la guerra in Vietnam peggiorò.
Molti tra gli studenti e i professori vennero richiamati alle armi e Charles fu costretto a chiudere la scuola.
Era un pomeriggio di novembre quando insieme ad Hank uscì dal cancello della tenuta, armato di cacciavite e martello.
-Charles, cos’hai intenzione di fare con quelli?- chiese McCoy, ormai rimasto solo dopo che Charles aveva mandato a casa gli ultimi studenti rimasti.
-Concludo l’ennesimo fallimento della mia vita- disse incastrando il cacciavite dietro la placca che recitava “ Xavier school for gifted youngster” e iniziando a colpirne il manico col martello.
Hank pensò che per lo meno aveva iniziato ad ammettere di avere qualche problema, anche se aveva attaccato la questione dalla parte sbagliata. Doveva provare a farlo ragionare, di nuovo.
-Non penso che sia questo il modo. Hai un problema, Charles, e lo sai anche tu. Non è distruggendo tutto che troverai la pace che cerchi da un anno a questa parte.-
Hank era ancora giovane, ma era intelligente e ne sapeva abbastanza di psicologia da riconoscere una depressione mascherata quando ne vedeva una.
Anche se ormai anche quella maschera stava cadendo, lasciando intravedere l’oscurità che dilaniava il cuore di Charles dall’interno.
La Bestia aveva provato a parlarne delicatamente col telepate, ma questi non lo ascoltava, o gli rifilava sempre le stesse patetiche scuse.
-Finchè non ci provo non lo saprò mai- rispose dal canto suo Charles, riuscendo con un ultima e violenta martellata a staccare la placca dalla colonna, lasciandola cadere a terra.
Non abbassò lo sguardo sul suo sogno in frantumi nemmeno per un secondo mentre tornava verso la villa.
Quando entrò dal pesante portone di legno e fece per salire le scale disse solo due parole a un Hank che non sapeva più ne cosa dire ne cosa fare.
– Lasciami solo- disse, per poi rintanarsi in chissà quale stanza della villa
–da oggi qui non vive più nessun professore.-
 
Passarono giorni prima che Charles si facesse vedere di nuovo da Hank.
Indossava una canottiera bianca che probabilmente aveva indossato il giorno prima, e quello prima ancora e una vestaglia a fantasia con piccoli rombi verdi su sfondo rosso, i capelli in disordine e la barba non rasata.
-Charles…- si limitò solo a dire Hank – cos’hai fatto?-
-Siero, Hank. Me ne serve di più.-
-la scatola che ti avevo dato doveva durarti per tutto il mese. Sono passati solo10 giorni, non posso dartene altro.-
-Le voci, Hank! Le voci nella mia testa!- disse picchiettandosi freneticamente una tempia.
Era chiaramente ubriaco oltre che in principio di una crisi di astinenza.
-Charles devi calmarti, fatti dare un’occhiata- disse, allungando una mano verso il telepate che lo respinse con un gesto brusco della mano.
-Calmarmi? Hank non puoi capire!-
-Potrei, se solo tu mi spiegassi!-
-Ma vaffanculo- gli disse solo per poi andarsene di nuovo chissà dove.
Hank era molto preoccupato per la sua salute, e non tanto per le droghe o per l’alcol.
Avrebbe dovuto affrontare il nucleo della sua depressione prima che diventasse qualcosa di peggio di una sbornia di dieci giorni.
Prima che.. No, non voleva nemmeno considerare quell’eventualità.
Doveva assolutamente riuscire a parlare con Charles, con il vero Charles, prima che tentasse di affogare nello scotch anche se stesso, ma proprio non gli veniva in mente nulla. E dire che si vantava di essere molto intelligente.
Per distrarsi accese la televisione che teneva in laboratorio, mentre riprendeva a lavorare.
Forse pensare ad altro per un po’ gli avrebbe fatto bene.
L’apparecchio iniziò subito a gracchiare – notizia straordinaria! Il presidente! Hanno sparato al presidente!-
Hank si voltò di scatto verso la televisione, che aveva improvvisamente guadagnato il cento per cento della sua attenzione.
-Oggi 22 novembre 1963 il presidente Kennedy è rimasto vittima di un attentato terroristico. Sembra che il responsabile sia un mutante, già noto per aver commesso crimini minori..-
Quando la telecamera inquadrò due poliziotti che si trascinavano dietro un Erik incosciente ad Hank per poco non venne un infarto.
Il mutante aveva sempre considerato Erik poco affidabile ed estremamente impulsivo, ma arrivare a tanto? Non se lo sarebbe mai aspettato.
Subito dopo pensò a Charles, non doveva vedere quella notizia, non in quelle condizioni.
Avrebbe dovuto nascondere tutte le tv della villa fino a che non avesse trovato il modo di fargli metabolizzare la cosa o dio solo sa cosa sarebbe successo.
Corse immediatamente alla ricerca del professore, ma quella villa era enorme e Charles ci era cresciuto, sapeva bene come non farsi trovare.
Poi improvvisamente sentì il suono di un telegiornale provenire da dietro una porta di una stanza che credeva chiusa e inutilizzata da anni.
La sfondò in un attimo solo per rimanere sconvolto dalla scena che si trovò davanti. La prima cosa che lo colpì fu il forte odore di alcol che impregnava l’ambiente.
C’erano siringhe e fiale vuote sparse un po’ ovunque, mischaite a bottiglie mezze piene e a un gran disordine generale.
La tv continuava a parlare a un divano vuoto – Lehnsherr verrà portato in una prigione speciale per contenere i suoi poteri. Poteri mutanti. Si sta forse realizzando la più grande paura del popolo americano? Questi mutanti sono forse davvero una minacc…- Hank afferrò il telecomando e spense con un gesto di stizza l’apparecchio.
Ma fu quando girò l’angolo della stanza e alzò lo sguardo verso il balcone che il suo cuore perse un battito.
Charles se ne stava li, in piedi sul cornicione.
Una bottiglia ancora in mano e un sorriso rassegnato stampato in faccia.
-Charles, qualsiasi cosa tu stia pensando di fare non farla! Troveremo una soluzione, te lo prometto- urlò, cercando di mantenere la calma.
-No Hank, non sono di nessuna utilità a nessuno, non posso esserlo nemmeno per me stesso. Me l’hai detto anche tu prima no? Ho un problema. Non le senti? Queste voci?- rispose il telepate stringendosi la testa tra le mani.
-Sei solo ubriaco. E stai iniziando ad avere una crisi d’astinenza, vieni giù e… e ti prometto che ti darò un’altra dose. Non sentirai più le voci. Ma per l’amore del cielo scendi da quella balaustra-
-Anche se lo facessi? Non ho collezionato che fallimenti, Hank.
Ho riflettuto, come mi hai detto tu di fare. E ho capito. Guarda Erik, guarda cos’ha fatto. Volevo costruire un mondo di pace insieme a lui e invece ora sta distruggendo tutto. La pace non è mai stata un’opzione, mi disse, tempo fa. Avrei dovuto capirlo allora che non avremmo mai potuto condividere lo stesso sogno. E grazie a lui ora siamo una minaccia per tutto il mondo.- Rise amaramente – forse avrei dovuto lasciarlo morire quel giorno, mentre tentava di portare a termine la sua vendetta personale.- Una lacrima gli scese lungo la guancia.
-Non è colpa tua Charles, non potevi prevedere niente di tutto questo. Tu non sei così, tu non lasci le persone al loro destino, tu combatti perché è giusto così. Combatti ancora, Charles, forza, vieni via da li. Se la crisi peggiora inizierai a perdere la sensibilità alle gambe e..- mentre lo diceva successe, e quello che restava del professor Xavier perse l’equilibrio.
Hank si lanciò al volo per prenderlo e riuscì ad afferrarlo prima che precipitasse facendo un volo di diversi piani.
-Perché ti dai tanta pena per me, Hank. Non sono che un povero misero omuncolo che ha perso tutto.- disse guardando la bestia con gli occhi pieni di risentimento, senso di colpa e dolore così profondi che facevano male.
Hank non riuscì a controbattere a quest’affermazione. Anche perché era vero, di tutto ciò che aveva gli era rimasto solo lui.
Ovviamente sapeva benissimo perché valeva ancora la pena di lottare per Charles Francis Xavier, ma di fronte a quello sguardo non se la sentì di dire nulla. Nessuna parola sarebbe stata in grado di guarire le sue ferite, e non poteva dirgli che lo capiva perché non era così. Nessuno poteva capire quello attraverso cui stava passando.
Finalmente Charles cambiò espressione e si liberò di Hank che lo teneva ancora tra le braccia.
-Dammi il siero che hai con te e vai via, non voglio sentire questa gente nella mia testa un secondo di più.- disse alzandosi. Prese le siringhe che Hank gli passò e si lasciò cadere a peso morto sul divano.
Hank ancora senza parole uscì da quella camera degli orrori fermandosi solo un attimo sulla soglia.
Era vero, per Charles valeva ancora la pena lottare, ma chi era l’uomo in vestaglia che si stava stringendo una cinghia attorno al braccio, alle sue spalle?
 
  
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