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Autore: serClizia    30/06/2014    9 recensioni
Elena è una piccola Grifondoro. Ama la sua migliore amica, Bonnie, ed odia i Serpeverde.
Damon, ovviamente, è un Serpeverde.
AVVISO: storia sospesa. Sono in completo disamore (?) con TVD al momento. Sorry, un abbraccio grande.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Damon/Elena
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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CHAPTER ONE

Titolo: È solo il vento
Fandom: The Vampire Diaries
Pairing: Damon/Elena 
Genere: Romantico, Crossover
Rating: Per il momento, teen.
Warnings: teen AU, possibilissimo OOC, fluff, sperando di trattenere l’angst dalle mie dita.
Prompt: Elena è una piccola Grifondoro. Ama la sua migliore amica, Bonnie, ed odia i Serpeverde.
Damon, ovviamente, è un Serpeverde.
Chapter: 1/?

Note: Innanzitutto, chiedo scusa a tutte le persone che ho ammorbato in questi mesi con storie che ho iniziato ma non pubblicato. Purtroppo, c’è un grande piccolo problema: in questo periodo della mia vita non riesco a scrivere di angst. O meglio, ci riesco benissimo, ma poi sto male XD Avevo bisogno di fluff, di felicità, di cose semplici e non impegnative (quando troverò il coraggio di pubblicare il resto delle cose che ho scritto, capirete), e questo è il risultato.
È una specie di diario (LOL) interiore di Elena. Non è un gran capolavoro, è più che altro per tenermi in allenamento e cercare di esser più serena possibile (che poi come vedrete un po’ di angst ce l’ho messa lo stesso, ma tant’è).
È la mia seconda pubblicazione dopo Summer, quindi sono un po’ agitata. Spero che nonostante sia teen, fluff ed easy, vi piaccia lo stesso.
P.S.: il lessico è volutamente semplice e pieno di ripetizioni, cercando di adattare il personaggio al linguaggio di quell’età.

 

 

                                                                                                   **

 

 

Va tutto bene, non mi sono persa. Va tutto bene.
Forse se me lo ripeto abbastanza spesso, finirò per crederci.
Bonnie deve avermi letto nel pensiero, perché mi scruta un po’. “Non ti sei persa, vero, Elena?”
Guardo il corridoio stretto intorno a noi, stringendo i libri. È tutto così scuro che fa quasi paura.
Stiamo andando a studiare per i compiti di fine anno, e Bonnie mi aveva detto di andare nella Sala Comune o in biblioteca, ma c’è sempre troppa gente.
L’ho convinta a venire con me da un’altra parte, ma me ne sto già pentendo amaramente. “Noo, certo che no. So benissimo dove siamo. Stiamo andando a…”
“E voi cosa diavolo ci fate, qui?”
Una voce ci sorprende alle spalle, e la mia amica ed io ci voltiamo contemporaneamente verso un ragazzo appena sbucato da una delle porte.
La chiude docilmente dietro di sè, e la sua maglietta nera e verde ci comunica che è un Serpeverde. Naturalmente.
Bonnie si fa subito stizzita e lo apostrofa malamente, mentre io mi stringo ancora di più contro i libri sotto quello sguardo congelatore. “Magari non sono affari tuoi, Serpe.”
Il ragazzo si avvicina – sembra più grande di noi – e comincia a spingerci dalla parte opposta.
“Magari invece sono proprio affari miei, rossa.”
“No, non lo sono davvero.” Bonnie cerca di liberarsi dalla sua presa. “Ma qual è il tuo problema?”
Di solito non intervengo mai durante scambi del genere. Bonnie sa essere molto tagliente, io preferisco lasciar perdere ogni conflitto. Proprio non mi va.
Il ragazzo intanto ci ha portate in un altro corridoio - che da’ verso la Sala Grande - e finalmente torno a respirare. So dove siamo. So come tornare indietro.
“Io non ho nessun problema. Adiòs.” E dopo averci mollate lì, si volta e se ne va in un’altra direzione ancora.
Bonnie nel frattempo sta borbottando, mentre mi segue di nuovo, magari stavolta convinta che io sappia veramente dove andare. “Che razza di maleducato… E poi cosa ci faceva lì, quelli sicuramente non erano i sotterranei dei Serpeverde...”
“Sarà stato lo studio di qualche professore.” Azzardo, mentre la guido verso il giardino. Meglio andare a studiare fuori che ripartire alla ricerca di una classe vuota che una volta avevo trovato per puro caso.
È quasi la fine del secondo anno, eppure ancora non abbiamo imparato bene come muoverci nel castello.
Ok, va bene, io non ho imparato bene come muovermi.
Imparerò. Ne ho altri cinque per farlo - penso, stancamente.
Bonnie intanto era stata zittita dalla mia frase, ma non è convinta.
“È un Serpeverde. Secondo me stava tramando qualcosa. Dovremmo avvisare qualcuno.“
La mia amica è sempre stata una pratica. E i Serpeverde, dopo tutti i guai di Voldemort, sono visti ancora più di cattivo occhio.
Anche se la scuola, dopo la guerra, è rimasta tranquilla. Tutti aspettano con ansia il momento in cui i figli di Harry Potter saranno abbastanza grandi da frequentarla.
Ma nel frattempo, non succede niente di che. È come se tutti fossero scesi in una specie di trance, in attesa, incapaci di fare alcunché finché loro non abbiano messo piede qua dentro.
Quindi non c’è nessun motivo per avercela con i Serpeverde. Sono tranquilli pure loro. In attesa pure loro. Appena varcato il portone, il sole primaverile mi porta a stringere un po’ gli occhi.
“Non lo so, Bon. Non sono affari nostri.”
Bonnie si pianta sui piedi e mi ferma afferrandomi il braccio. “Certo che lo sono! Siamo Grifondoro, dobbiamo difendere la scuola e i suoi allievi!”
“Da un ragazzo che esce da una porta?”
Non voglio andare dalla preside. Non voglio vedere nessuno, parlare con nessuno.
La mia rossissima amica si mordicchia un po’ la guancia. “Forse hai ragione. Ma lo terrò d’occhio. Ho avuto una brutta sensazione.”
“Che sensazione?”
“Che fosse solo l’inizio.”
Scrollo le spalle e continuo a camminare. A volte Bonnie mi inquieta, soprattutto perché Divinazione è il suo forte.

L’anno finisce abbastanza tranquillamente. Riesco a ricevere dei buoni voti in quasi tutte le materie.
Tranne Storia della Magia, che proprio non riesco a seguire né a farmi entrare in testa. Anche l’anno scorso è stato così.
Quando prendiamo il treno per tornare a casa, sono un po’ triste.
Anche se Bonnie continua a scherzare, si toglie pure le scarpe e mette i piedi sul sedile di fronte. “Tanto ci siamo solo noi, in questo scompartimento.”
Quando ci rimettiamo i vestiti babbani, li guardo un po’ stordita. Non voglio tornare a casa.
Bonnie sembra leggerlo chiaramente sul mio volto. “Non ti preoccupare, Elena. Ti verrò a trovare quest’estate, ok? E ci scriveremo tante lettere.”
Le annuisco, e sorrido, grata che non mi abbia chiesto di andare a trovare lei, perché sa benissimo che non ho i soldi per farlo. Zia Jenna mi ci manderebbe, anche solo per vedermi meno musona in giro per casa, a leggere libri di cui non vuole sapere nulla.
“Tutti i tuoi coetanei stanno fuori a giocare.” Mi ripete sempre. Beh, i miei coetanei hanno anche una mamma e un papà da cui tornare, ma questo non lo dico.

Tornare a casa è strano. Jeremy però è contento di vedermi, e allora per un po’ sono contenta anche io. Prima che partissi per la scuola, litigavamo sempre.
La zia prepara i miei piatti preferiti e mangiamo mentre Jer mi racconta della scuola e dei suoi nuovi amici. A un certo punto, mentre Jenna è indaffarata in cucina con qualcosa, mi tira la manica per portare la bocca al mio orecchio. Mi abbasso, sperando che non sia uno dei suoi scherzi. Una volta ha fatto così solo per ruttarmi in faccia.
“Non sono ancora riuscito a fare nessuna magia.” Mi confessa invece, in un sussurro.
“Non ti preoccupare, è ancora presto. Alla tua età nemmeno io le facevo.”
“Davvero?” Un guizzo di felicità nei suoi occhi mi fa sentire meno in colpa per la mezza bugia.
“Davvero.”
In effetti, non ho mentito. A otto anni non facevo magie. Ma solo perché i miei genitori non c’erano più, e in qualche modo io non riuscivo più nemmeno a far volare un filo d’erba del prato. E dire che già a tre anni avevo fatto delle magie incredibili, o così diceva di aver sentito zia Jenna dalla mamma.
Ma chissà, forse era una bugia.
Gli adulti mentono, come ho scoperto poi.
E anche i ragazzi, a quanto pare, visto che avevo appena mentito a Jeremy pure io.

Alla fine Bonnie ha mantenuto la sua promessa. Ci siamo scritte, tantissimo. Siamo anche state parecchio tempo al telefono, e la zia non è stata molto contenta.
Ho cercato di prendere le telefonate in camera e sussurrare nella cornetta, ma quando mi ha scoperta si è arrabbiata parecchio.
Diceva che avrei svegliato Jeremy, anche se lui dormiva come un sasso lì accanto.
“Non vedo l’ora di avere una camera tutta mia.” Ho detto a Bonnie, una sera.
Ha fatto finta di niente, quindi mi sa che lei, una stanza tutta per sé, ce l’ha già.
Un fine settimana poi è venuta a trovarmi – dopo essere passate a comprare libri e quant’altro per la scuola - lamentandosi dell’umido della Virginia.
Io non sapevo nemmeno che fosse umido in Virginia prima che me lo dicesse lei.
Poi abbiamo mangiato e riso un sacco. Jenna ci ha lasciato guardare la TV fino a tardi e Jeremy le ha tirato un po’ i capelli.
È stato brutto quando se n’è andata. I mesi sembrano non scorrere mai, senza di lei.

Il primo di Settembre sono di nuovo sul treno verso Hogwarts. E sono felice.
Salutare Jeremy è stato triste, certo - ci siamo pure abbracciati un pochino e non succedeva dal funerale – ma mi mancava la scuola, mi mancava Bonnie.
E l’estate in generale non mi piace particolarmente. Non c’è mai niente da fare. L’estate scorsa, senza nemmeno Bonnie, è stata un incubo.
Comunque abbiamo trovato uno scompartimento vuoto e ci siamo messe subito la divisa, ridacchiando felici. Anche a Bonnie mancava la scuola e mancavo io, me l’ha detto. “Più te, che la scuola.”
Penso che quest’anno non sarebbe stato lo stesso se non me la fossi fatta amica.
Il primo anno, nessuno parlava con nessuno. Non veramente. È stato strano. Tutti facevano i compiti e si mangiava insieme e si chiacchierava, ma non mi è sembrato di vedere qualche vero contatto umano. Forse eravamo tutti spaventati. Io non ero nemmeno convinta di poter essere ammessa alla scuola, visto che non ero più riuscita a far volare niente, a casa.
Infatti, all’inizio dalla bacchetta non usciva niente. Ero molto triste. E non ho voluto avvicinare nessuno.
All’inizio del secondo anno, invece, è successo. Ho trovato lei. Siamo compagne di stanza, ci siamo trovate al tavolino vicino a mensa e poi a lezione come vicine di banco. Abbiamo cominciato a parlare, tutto lì. Mi è piaciuta subito la sua forza d’animo.
Forse sono un po’ invidiosa perché vorrei avercela anche io.
Guardo fuori dal finestrino, nella campagna che scorre a vista d’occhio. C’è silenzio perché abbiamo parlato tutta l’estate. Poi mi viene in mente che avremo delle nuove materie, dei nuovi corsi. Magie più difficili. Glielo dico.
Bonnie spalanca gli occhi. “Hai paura anche tu?”
“Di cosa?”
“Di non essere capace.”
“Sempre.”
“Anche io. Sempre.”
Ecco perché è la mia migliore amica. Il resto del tempo parliamo del futuro, e delle magie che vorremmo imparare, e quando arriva il carrello, Bonnie compra delle cioccorane per tutte e due.

Il castello è sempre uguale. La torre di Grifondoro è sempre la stessa, anche se cambiano le stanze o le parole d’ordine. Mi è un po’ dispiaciuto il fatto di avere dei dormitori diversi rispetto allo scorso anno, e sapere che il prossimo ne avrò un altro ancora.
Preferivo avere una stanza sola per tutti e sette.
La cerimonia di apertura è buffa – è buffo vedere dei ragazzi arrivare e mettersi sotto il Cappello Parlante tutti timorosi. Cioè, fa ridere il pensiero di esserci passati solo due anni fa.
Bonnie una volta mi ha confessato che il Cappello la voleva mandare a Tassorosso, ma che lei era così determinata a voler entrare in Grifondoro che ha desistito. Io avevo paura solo di essere messa in Serpeverde.
Dopo lo smistamento, mangiamo, ed io sento vociare le ragazze sedute intorno a noi.
“E poi, dovessi vedere che faccia ha fatto!”
Risatine. “Dai, non ci credo!”
“Ti dico di sì! L’ho baciato!”
Bonnie mi guarda e alza gli occhi al cielo. Un altro anno a sentire tutte le conquiste di Caroline Forbes. Ottimo.
Che poi io non l’ho mai vista con nessuno. Secondo Bonnie si inventa tutto. Io invece penso che si nasconda perché non vuole farsi vedere dagli altri mentre da’ tutti quei baci.
Io non ho mai baciato nessuno, ma nei film di mamma una volta ho visto che c’è un sacco di saliva, quindi suppongo che non sia bello farsi vedere salivare nella bocca di qualcun altro.

“Oggi sarà una cosa facile, tranquilla.”
Bonnie mi rassicura mentre camminiamo verso la serra. Lo sa che Erbologia mi mette ansia. Non so perché.
La ringrazio e vorrei quasi appiccicarmi al suo braccio e non staccarmi più, mentre entriamo.
La professoressa è già qui, ci aspettava. Ci parla di travasare delle piante di cui non so e non voglio sapere nulla. Mi metto a pensare all’ultimo libro che ho letto, così mi distraggo. È un libro babbano. La mamma ne aveva un sacco ed io ho cominciato a leggerli tutti da quando non c’è più. Più che altro rileggo sempre gli stessi, perché mi piacciono, ma va beh. Sto pensando intensamente alla tristezza di quando è morto Zanna Gialla quando qualcuno mi tocca il gomito.
“Forse dovresti stare attenta. Stava per caderti il vaso.”
Due occhi azzurrissimi mi guardano. Un ragazzo bellissimo, biondo, con un sorriso che mi fa istantaneamente venire da sorridere anche a me.
“Grazie.”
“Non c’è di che.”
Sono arrossita? Mi sa che sono arrossita. Mi sento calda nella testa. Non mi era mai capitato di fare così davanti ad un ragazzo. Il suo sorriso però è così dolce…
Mi sento toccare di nuovo il gomito. “Sono Matt, comunque.” I suoi denti sono bianchissimi.
“Elena.”
“Piacere di conoscerti, Elena.”
“Piacere…”
E visto che siamo in classe insieme di Erbologia, non devo nemmeno preoccuparmi che sia un Serpeverde.

Bonnie mi si avvicina appena finita l’ora, io stavo uscendo senza aspettarla e non me ne sono neanche accorta.
“Elena? Tutto bene?”
“Eh?”
Mi era venuto d’istinto di seguire la schiena di Matt. Ha una schiena bellissima. La mia amica segue il mio sguardo e mi sa che capisce.
Mi sgomita. “Oooh. Ti sei presa una cotta?”
Ha capito. “Mi sa di sì…”
“Ho visto che ci parlavi, ma non pensavo…” Mi stritola. “Che ti ha detto? Raccontami tutto!”
Alla fine della mattinata, sto ancora finendo di descrivere tutte le sfumature di azzurro che sono riuscita a vedere nei suoi occhi prima di abbassare lo sguardo.
“Non avrei dovuto abbassare lo sguardo. Ma era come un sole. Non ce la facevi a guardarlo.”
Bonnie sospira, sognante. “Che bello. Chissà se capiterà mai anche a me.”
“Penso proprio di sì, Bon!”
Lei si fa tutta scura in volto e stringe le spalle. “Non lo so. A me i maschi sembrano tutti scemi.”
Sono tutti scemi. Tranne Matt.”
“Tranne Matt.” Mi sorride, e siamo a tavola a bisbigliare perché non siamo Caroline Forbes.

Matt è fantastico. Adesso si siede più vicino possibile a me e fa sempre in modo di dirmi qualcosa. “Ciao, Elena.” “Buongiorno, Elena.” “Buon appetito, Elena.”
Bonnie ed io squittiamo sempre appena rimaniamo da sole. Anche Erbologia adesso non mi fa più ansia. Non vedo l’ora di sentirlo vicino a me che sposta cose e quando lo guardo, mi sorride.
L’ho già detto che ha dei denti bianchissimi?
Stasera la Sala Comune è affollata, ma Bonnie ed io siamo riuscite a spuntare il posto vicino al camino dai più grandi, per fare i compiti. Novembre, maledetto freddo Novembre. “Ma come fai d’inverno se hai già freddo ora?”
“Non lo so.” Gemo. È veramente un problema che mi pongo spesso. Un inverno o l’altro morirò congelata.
“Beh, magari quest’anno Matt ti riscalderà.”
Ridacchiamo nei palmi delle nostre mani, eccitate e spaventate da un’idea del genere. O almeno, io sono spaventata.
“Matt chi?”
Una testa bionda si sporge dallo schienale della poltrona.
“L’amico di Tyler?” Caroline sta praticamente scodinzolando.
Io non so di chi stia parlando. “Chi è Tyler?”
La bionda sbuffa, mentre Bonnie è tutta irrigidita al suo posto. Proprio non la regge, quella. “Dai, Tyler Lockwood. L’animagus. Una volta l’ho baciato.”
Il silenzio che segue le fa capire che non ce ne frega niente. Sbuffa di nuovo. “Vabbè, se Matt è il tuo ragazzo, digli che Tyler è uno stronzo. E che non è vero quello che va a dire in giro.”
Mi si stringe lo stomaco in una sensazione sfarfallosa. “Non… non è il mio ragazzo.”
Caroline fa una smorfia. “Beh, tu diglielo lo stesso. Io non le faccio certe cose. Era solo un bacio.”
Annuisco, anche se non ho idea di cosa stia parlando. Incredibilmente, Caroline mi sorride, prima di voltarsi e riprendere la conversazione dove l’aveva lasciata, con le amiche vicino a lei.
“Io proprio non la reggo, quella.” Mi sibila Bonnie.
Io mi stringo nelle spalle. Mi è appena venuto in mente che il primo anno, quindi molto prima di fare amicizia con Bonnie, mi aveva sorriso nello stesso modo.
Ero appena uscita dal bagno - dove mi ero rintanata per piangere un po’ - e l’avevo trovata vicino al lavandino. Non aveva detto niente, mi aveva sorriso ed era uscita.
“Forse non è poi così tanto male.”
Bonnie prima sgrana gli occhi, e quando mi vede abbassare lo sguardo, sospira. “Forse hai ragione. Alla fine è una Grifondoro. Se fosse così pessima, sarebbe in Serpeverde.”
Annuiamo entrambe con foga, mi piace quando la pensiamo uguale.
Sto per rimettermi a fare i compiti quando Bonnie fa’ uno strano verso soffocato. Sta fissando dietro di me, alla mia sinistra. Mi guarda, concitata. “Sta venendo qui! Sta venendo qui!”
“Chi?”
Ma non fa in tempo a rispondermi perché qualcosa mi tocca il gomito. Mi si strozza l’anima in gola.
Mi giro e c’è Matt. Lo sapevo. Non so cosa dire.
“Ciao, Elena.”
Mi sorride e mi si scioglie tutto. Gli sorrido anch’io. “Ciao.”
“Posso… puoi venire con me un momento?”
Ecco, questo non me l’aspettavo. Mi volto verso Bonnie. Lei annuisce ed io mi sento meglio. Se per lei va bene, vuol dire che non sto per fare qualcosa di pericoloso o sbagliato.
Però sono un po’ titubante lo stesso.
“Dove andate?” Bonnie, la voce delle mie paure.
Matt sorride, ed è contagiosissimo, perché anche il cipiglio della mia amica si distende. “Solo qua fuori, nel corridoio.”
Bonnie annuisce di nuovo guardandomi fissa. Ho la sua benedizione. Vado.
Mi alzo, e Matt si fa da parte per farmi posto tra lui e la poltrona.
“Da questa parte.” Si fa largo tra la folla, sicuro di sé, e mentre guardo la sua schiena che si muove in modo particolare, in un modo che non so descrivere, mi viene in mente che è molto atletico perché gioca a Quidditch. È come se fosse… fluido.
Nessuno della nostra Casa si interessa a noi mentre usciamo dal ritratto della Signora Grassa. Lei brontola qualcosa sugli studenti fuori a quell’ora, ma la ignoriamo.
Io comincio a tirare le maniche sulle mani perché sono nervosa. In effetti, è tardi. Lui si avvicina ad una finestra e si volta verso di me; mi sorride ancora. Non poi così tardi, però.
Mi fa segno di avvicinarmi, forse vuole farmi vedere qualcosa. Lo affianco, sempre titubante, anche un po’ infreddolita.
“Scusami se ti ho fatto venire via…” Comincia, ma il suo sorriso è così contagioso e che scaccio via le sue preoccupazioni con un gesto della mano.
“Vedi là?” Mi indica allora un punto fuori dalla finestra. Io non vedo niente. È buio.
“Mmh?”
“C’è il campo da Quidditch da quella parte.”
Oh.
“Volevo chiederti… volevo chiederti se ti va… di venire a vedermi giocare, domani.”
Ah.
Non mi sento più lo stomaco. Dicono che ti vengono le farfalle, ma secondo me è direttamente volato via.
Mi strofino il naso con la manica del maglione. “Sì.” È tutto quello che riesco a dire.
Il suo sorriso ancora più raggiante e con ancora più denti è la cosa più bella del mondo.

Matt è fantastico. Alla partita fa un sacco di… cose. Di sicuro volteggia bene sulla scopa, ma non capisco niente del gioco e delle sue regole. So soltanto che siamo contro i Serpeverde, quindi voglio che vinca ancora di più.
Il tizio che ci aveva fermate nei corridoi sta giocando, ma a parte lui non riconosco nessuno dell’altra squadra. Non li voglio nemmeno mai guardare, quelli.
Alla fine vinciamo, ed io e Bonnie ci sbracciamo dagli spalti per esultare.
Matt mi raggiunge dopo la partita, ancora sudato. È bellissimo anche così.
“Stiamo organizzando una festa in Sala Comune.” Ci riesce a dire, tra gli ansimi. “Venite, vero?” Mi guarda. “Vieni?”
Non posso fare a meno di annuire, felice. Lui fa di nuovo quel suo sorrisone magnifico e corre verso gli spogliatoi.
“Ma quanto è bello?” Dico a Bonnie.
“Sarà. Io preferisco quello.” Mi indica qualcuno, ma io sto ancora fissando il punto dove è scomparso Matt.
“Chi?” Mi volto finalmente verso di lei e seguo il suo sguardo.
Ci sono un sacco di persone e un sacco di schiene, sotto lo stadio, dopo una partita.
“Ah, mi sa che se n’è andato. Pazienza.”
È la prima volta che mi indica qualcuno però, quindi sono curiosa. “Com’era?”
“Era un Grifondoro.” È l’unica risposta che ricevo.

Matt è… sì, è fantastico. La Sala Comune è piena di gente eppure lui sta tutto il tempo vicino a me. Mi porta da bere il succo di zucca, il mio preferito, e mi protegge da chi balla o festeggia troppo sbracciatamente.
Bonnie ci segue da lontano con lo sguardo, e quando Matt non ci fa caso, mi mima parole di incoraggiamento o squittisce, anche se muta. Cioè, io so che sta squittendo da come si muove, da come piega le gambe e la schiena e le mani davanti alla bocca, a coppa.
“Allora…” Matt richiama la mia attenzione. “Ti è piaciuta la partita?”
“Sì.”
Dio mio, cosa non sono quegli occhi.
“Verrai a vedere anche la prossima?” E il suo sguardo è così tenero, vorrei sciogliermi.
Strofino una mano sul maglione rosso della Casa. Ero stata fierissima di portarlo, di unirmi al resto del rosso sugli spalti, un unico grande incitamento alla squadra e a Grinfondoro. “Sì.”
I suoi occhi si stringono un pochino, e allunga una mano a prendere la mia.
Matt mi sta tenendo la mano. È calda, dura, probabilmente per via della presa sulla scopa, e stringe la mia in modo dolcissimo.
Oh, Matt… ricambio la stretta, evitando il suo sguardo. Annego nel mio succo di zucca.
Nessuno dei due dice più niente tutta la sera. Ci teniamo la mano così, in silenzio, finché tutti vanno a dormire. E quando Bonnie mi viene a chiamare e ci lasciamo andare, con un rumore un po’ sudaticcio, mi da’ la buonanotte ed io mi sento il cuore leggero.
In camera, mi butto sul letto e sospiro, guardandomi la mano. La mano che lui ha stretto. Con quel suo sorriso dolce e lo sguardo ancora più dolce.
Bonnie intanto è in pigiama e sta già andando sotto le coperte. La guardo. “Bon?”
“Mh?”
“Io lo amo.”
Lei ride. “Notte, Lena.”
“Notte.”
Ma non riesco a dormire.

Vorrei riuscire a spiegare a Bonnie cos’è. Cos’è questa cosa nuova che ti succede quando incontri un ragazzo e ti fa nascere tutte queste cose nella pancia. Quando scopri che poi ce l’ha anche lui nella pancia per te. Una volta - a colazione - ci provo, e lei continua a sorridere, contenta per me. “Sono sempre più convinta che non mi succederà mai.”
Secondo me invece troverà un ragazzo meraviglioso che si prenda cura di lei e non la farà mai più sentire sola. Però Bonnie non si sente sola, ora che ci penso. Forse.
“Tu ti senti sola?”
Mi sembra stupita dalla mia domanda. “No, certo che no. Ho te. Perché?”
Scrollo le spalle, lasciando perdere. Anche io ho lei, e sicuramente sto meglio di prima, mi sento più sicura, però mi sento lo stesso sola. Ma non saprei come spiegarglielo. Non vorrei farla rimanere male.
Poi stiamo anche passando meno tempo insieme perché io e Matt ci sediamo sempre vicini a lezione, adesso. E fuori da scuola, a volte mi porta a fare delle passeggiate. Quando arriviamo al posto che ha scelto, se siamo soli, mi tiene la mano.
Non riesco mai a dire niente, con lo stomaco tutto sotto sopra.
Lui mi fa un sacco di domande, ed io rispondo.
Bonnie ha quasi finito la sua colazione, ma io non riesco a toccare cibo. Sto mangiando pochissimo, ultimamente. “Bon…”
“Mh?”
“Matt mi fa sempre un sacco di domande, sai? Mi chiede qual è il mio colore preferito e cose del genere.”
La mia amica deve notare che ho uno sguardo strano. “È una cosa buona, no?”
“Non lo so. Mi è appena venuto in mente che io invece non gli chiedo mai nulla.”

Matt è fantastico. Bonnie mi ha scritto un fogliettino con tutte le domande da fargli – le abbiamo scelte insieme – così ogni tanto quando mi sento di parlare o quando c’è un silenzio troppo prolungato, gliene faccio una. Se non mi guarda, lo tiro addirittura fuori dalla manica.
Però non importa, perché tanto me lo sono imparato a memoria.
Il suo colore preferito era il rosso, anche se adesso è il marrone ma non ha voluto dirmi perché. Sorrideva in modo compiaciuto mentre lo diceva, come se dovessi capire qualcosa di segreto, ma io non l’ho capito.
Il suo migliore amico è Tyler, e ha voluto cambiare argomento quando ho tirato fuori Caroline. Ha borbottato qualcosa a proposito di ‘fare cose volgari’, ed è finita lì.
Gli piace il Quidditch e non gli piace la scuola. Gli ho detto che quella non piace a nessuno e lui ha riso. È il suono più bello di tutto il mondo.
Vive con sua mamma, d’estate, e ha una sorella più grande - ma è una Maganò, quindi va a una scuola per babbani. Ha fatto una faccia strana, quindi secondo me c’è qualcosa che non mi ha detto. Alla fine io pure ho detto poco della mia famiglia, quindi non ho insistito.
La sua mano è sempre sudaticcia dopo un po’ che me la tiene, ma tanto fa freddo e appena ci lasciamo, la mia si raffredda e asciuga subito.
Non mi da’ fastidio, però mi sono chiesta se le mani di tutti sono sudaticce. Bon ha detto che non lo sa.

A Natale Matt mi ha fatto un regalo.
“Non ci posso credere.” Ha detto Bonnie. Non ci posso credere nemmeno io. Eppure è lì, ai piedi del mio letto. C’è scritto ‘Per Elena. Con affetto, Matt.’ E il pacchetto è rosso e giallo.
È un po’ sformato, quindi mi sa che l’ha fatto lui con le sue mani. Me lo porto alla guancia. “Non lo voglio aprire.”
La mia amica ridacchia. “Non vuoi sapere che cos’è?”
In effetti, questa cosa mi convince. Lo apro. È un braccialetto bellissimo.
Me lo allaccio e lo guardo sognante per almeno un quarto d’ora. Tanto, a parte quello di Bon e di Jenna, non ho altri regali. Bonnie invece ne ha un sacco pieno, e continua a scartarli con meticolosità.
Per lo più sono libri di magia di sua nonna, che da quanto ho capito è una strega potentissima.
Mi assale improvvisamente il panico. “Bonnie!”
Lei trasalisce, spaventata. “Cosa?”
“Non gli ho fatto un regalo!”
Non ci avevo proprio pensato! Che stupida. Ma non sapevo di doverlo fare. Alla fine ci teniamo solo per mano. Non sono mica la sua ragazza. Non me l’ha chiesto.
La rossa sospira, e si alza per venirmi a mettere una mano sulla spalla. “Sinceramente, non penso che gli importi.”
“Sicura?”
“Sicurissima.”

Infatti, non gli importa. Mi ha portata fuori – dopo la cena di Natale - e nevica. Gli ho detto che non gli ho fatto un regalo e che mi dispiace, e lui ha sorriso con quel suo sorriso meraviglioso e mi ha detto che non lo voleva. Che non funziona così, coi regali.
“Si fa perché si vuole, non perché ci si aspetta qualcosa indietro.”
Io mi sento comunque in colpa perché lui ha pensato a farmelo ed io no, però non mi sembra il caso di continuare a insistere.
Poi è così contento che mi sia piaciuto e che lo sto indossando. È una catenina di argento semplicissima.
Siamo quasi arrivati al lago, e c’è un sacco di vento.
Ho cominciato a tremare, mi sa, perché si è tolto il mantello e me lo ha messo sulle spalle.
Si è fermato davanti a me per allacciarmelo e per un attimo ho creduto che mi volesse baciare. Mi sono irrigidita tutta e lo stomaco è evaso di nuovo dal mio corpo. È così vicino…
Ha avvicinato la mano alla mia guancia, e mi ha dato un buffetto. “Hai tutte le gote rosse…”
Oddio, sta per succedere – non sono pronta, sì sono pronta. Si è chinato… e mi ha stampato un bacio sulla fronte, ridacchiando. “Andiamo dentro, prima che congeli.”
Ok.

Il 31 Dicembre, alla festa di Capodanno, Matt mi bacia per la prima volta.

“Matt è fantastico.”
Bonnie sbuffa. “Lo so, me l’hai già detto.”
“Davvero?”
La mia amica annuisce, e continua a fare i compiti sorridendo, mentre io giocherello con il mio braccialetto.
“È che è un ragazzo davvero fantastico. E premuroso. E gentile. E dolce. E vorrei baciarlo tutto il tempo.”
La mia ultima frase mi regala una smorfia. “Che schifo.”
E invece non è così schifoso. Cioè, c’è sempre un sacco di saliva coinvolta, ma Matt è stato sempre dolcissimo. Quando mi devo asciugare la bocca, però, mi giro per non farglielo vedere.
Non vorrei che ci rimanesse male.
“Quando ti capiterà, non dirai più così.”
“Certo, certo.” Bon ormai è sempre più rassegnata. Si china sul tavolino della biblioteca. Io sono indietro coi compiti, ma non ce la faccio a stare concentrata. In più mi sa che Bonnie alla fine farà anche i miei. Di nuovo.

Il 23 Gennaio, purtroppo, arriva. Come tutti gli anni.
È la data più triste del mondo, eppure per gli altri è un giorno normale come tanti. L’anno scorso mi ero defilata dalla mia amica accampando una scusa che non ricordo.
Il primo anno di scuola, non avevo nessuno a cui dover dare spiegazioni. Ed è stato ancora più triste, in qualche modo.
A casa, almeno, zia Jenna mi veniva sempre a cercare e mi riportava a casa, se stavo fuori troppo a lungo.
Quest’anno non so come fare.
Cerco di evitare Matt il più possibile, il che ovviamente lo fa insospettire e cercare di starmi più vicino. Continua a chiedermi che cos’ho, durante tutte le lezioni. Continuo a rispondergli ‘nulla’, e a forzare un sorriso. Non ce la faccio a parlargliene. Non voglio vederlo stare male.
Bonnie invece sa e non dice nulla. Non sa perché gliel’ho detto io, ma l’ha capito da sola. Capisce sempre tutto. Cerca di aiutarmi a trattenere la preoccupazione di Matt, ma lui è come una calamita. E non riesco a staccarmelo di dosso.
Alla fine sussurro a Bonnie di inventarsi un malore e scappo dalla cena, dopo una giornata sfiancante.
Matt fa segno di alzarsi e seguirmi e Bon lo ferma, parlando fitto. Sento la sua voce mentre mi allontano a passi lunghi dalla Sala Grande, ma non riesco a carpire cosa gli dica. Mi riprometto di ringraziarla, più tardi.
Ho solo bisogno di stare un po’ da sola, con i miei pensieri. Con la mia tristezza. È l’unico giorno in cui mi consento di sentirla.
Punto dritta verso la Torre di Astronomia. Lì non ci vado mai, nessuno mi verrà a cercare. Nessuno che conosca mi rivolgerà la parola, come sempre. Apro la porta, e il vento mi colpisce subito, facendomi svolazzare i vestiti.
Il posto è deserto, per fortuna. So che qui è morto il vecchio Preside, quindi non ci va più molta gente.
In qualche modo è un posto perfetto. Anche gli altri anni sono venuta qui. A pensare alla morte in un luogo di morte.
Mi sporgo dalla balaustra e fisso il cielo, stringendomi nel mantello. Fa freddissimo e il vento mi sferza la faccia. Allora chiudo gli occhi, e lasciano che le lacrime scendano, finalmente libere.
Finalmente libera.

Un suono alle mie spalle mi risveglia dal mio stato, dal volo pindarico dei miei pensieri e riapro gli occhi. Non so quanto sia passato, ma mi sento tutta acciaccata – come se avessi passato molto tempo nella stessa posizione.
Quello che mi fa voltare è un suono di suole di scarpe, come se qualcuno fosse atterrato agevolmente sul pavimento. Infatti, è così. Una persona è appena scesa da una scopa. Un ragazzo.
I miei occhi si adattano al buio e lo riesco a vedere, seppure nella penombra. È quel Serpeverde che ci aveva riportate sulla strada giusta quando ci eravamo perse, io e Bon.
Anche lui ovviamente mi ha notata. Ci siamo solo noi due lassù, d’altronde.
Sembra che stia riflettendo e alla fine mi indica. “Tutto bene?”
Oh. Stava indicando le mie lacrime.
Alzo le spalle e annuisco. Non sono sicura di sapere mentire ad alta voce, in questo momento.
Lui guarda la scopa che ha in mano ed io lo prendo come una fine di conversazione – mi volto di nuovo verso la balaustra, verso quel cielo stellato. Anche se stasera non riesco ad apprezzare appieno quanto sia bello.
Sento un fruscio di vestiti e il ragazzo mi si avvicina. Sento anche che trascina la scopa dietro di sé, facendola grattare sul pavimento. Si posiziona a una distanza di due persone e mezzo, una mano sulla balaustra.
“Sicura di stare bene? Hai un aspetto orribile.”
Mi volto verso di lui, che sta guardando il cielo a sua volta. Lo squadro. Non capisco perché si interessi alle mie lacrime. Altre persone mi hanno vista piangere e non se ne sono curate. Gli sconosciuti, di solito, non lo fanno. Anzi, cercando di far presto a sparire, con la paura che magari uno attacchi bottone e gli racconti le sue pene. Così almeno aveva detto zia Jenna, una volta.
Si vede che il mio silenzio non lo convince, quindi si volta verso di me. Deve notare che sono accigliata, perché si acciglia a sua volta. “Cosa? Non è che di solito vado a importunare la gente per i fatti propri. Ma magari ti è successo qualcosa e ti hanno molestata o qualcosa del genere. Non posso mica lasciarti qui se il tuo assalitore si ripresenta, no?”
Molestata? Non mi è mai passato nemmeno di mente. Perché mai qualcuno dovrebbe molestarmi? Sto con Matt, poi, andiamo in giro sempre mano nella mano. La gente lo sa, no? O con Bonnie. Se non con lui, sono sempre con Bonnie. Non sono mai da sola.
Tranne in quel momento.
Forse vuole molestarmi lui? Alla fine, è un Serpeverde…
“Non fare quella faccia spaventata, ragazzina. Non sono io a volerti molestare. Era un esempio. Non so cos’altro potrebbe far stare una persona così male.”
E scuote la testa, come a liberarsi di qualche pensiero. Lo faccio anche io a volte.
“Non mi ha molestata nessuno.” Non so nemmeno perché decido di dirglielo. “È l’anniversario della morte dei miei genitori.”
Non ce la faccio a guardarlo in faccia però, infatti sto di nuovo osservando il cielo.
“E quindi hai pensato di venirli a piangere qui tutta sola sul tetto?”
Il tono della sua voce mi ferisce. Mi sta deridendo. Non capisco perché. Chiudo di nuovo gli occhi, non gli rispondo. Maledette serpi.
“Non lo sai che le persone normali di solito stanno con gli amici, piangono sulla loro spalla?”
Mi stringo nelle spalle. “Si vede che non sono normale.”
Lui fa una pausa. “No, si vede di no. Ma d’altronde, chi lo è?”
La sua riflessione mi porta a fare una domanda. In effetti, io sono sola sul tetto, con un motivo ben preciso.
“Tu invece?”
“Io cosa?”
“Sei arrivato con la scopa. Eri a farti un volo nei dintorni?”
Lui ridacchia, ha un suono strano. Tira fuori una sigaretta e se l’accende, lasciandomi completamente stupefatta. Non ho mai visto nessuno fumare, a Hogwarts, prima d’ora.
“Più o meno.” Risponde soltanto, enigmatico.
“Ti ho visto alla partita di Quidditch.”
Chissà perché, mi riesce facile parlare con questo sconosciuto. Forse perché è proprio uno sconosciuto, e non mi fa volare via lo stomaco, e non mi devo preparare delle liste per fargli le domande.
Poi è un Serpeverde, ok, ma almeno abbiamo stabilito che non mi vuole molestare. E una volta mi ha aiutata quando ero persa, quindi sarà per quello.
Il ragazzo – mi sono appena accorta che non so il suo nome – scrolla le spalle.
“Tanto l’ho mollata, la squadra.”
“Ah.”
Sbuffa più volte il fumo, mentre stiamo in silenzio - forse attende che io gli chieda qualcosa. Sinceramente non so cosa. Non mi interessa sapere perché ha lasciato, avrà avuto i suoi motivi.
E non è Matt, a lui lo chiederei. Ma Matt non lascerebbe mai la squadra.
Sbuffa l’ennesima volta una nuvoletta grigia e si volta verso di me. Nota che lo sto guardando e sghignazza. “Ti piace quello che vedi?”
“In che senso?”
Non smette di ridere. “Nel senso se ti piace quello che vedi.”
“Non mi piace vedere le persone fumare, se è quello che mi stai chiedendo.”
È impossibile che mi stia chiedendo se è carino, non è mica una ragazza. I maschi non le fanno mica certe domande. Matt comunque non le farebbe mai.
Si avvicina strisciando la pancia sulla balaustra di ferro finché non mi è a fianco. “Non è quello che ti sto chiedendo.”
Ha un odore strano. Di fumo, ma non di fumo. Non so, non l’ho mai sentito, ma è pungente.
“Che cosa mi stai chiedendo, allora?”
Comunque anche lui non è normale, non so se è per quella sua teoria che nessuno lo è.
Io sto sinceramente cercando di capire. E lui ride. Anche se da vicino posso vedere che non ride con gli occhi. È una cosa che ho imparato dopo che sono morti i miei – e il cuore mi si stringe di nuovo in una morsa di tristezza – che a volte le persone ridono ma non ridono davvero. Lo faccio anche io a volte.
“Niente. Mi stavi guardando fisso, magari ti piace guardarmi. Vuoi un tiro, ragazzina?”
Scuoto la testa. “Ti guardavo perché stavo pensando.”
“A cosa pensavi?”
“Che non mi interessa perché hai lasciato la squadra, magari hai i tuoi motivi. Ti sembra così strano? Bonnie ha detto che a volte è strano che io fissi le persone mentre penso qualcosa su di loro.”
Un altro tiro alla sigaretta, stavolta senza distogliere lo sguardo. “Bonnie è la tua amica dai capelli rossi?”
Annuisco. Strano che si ricordi, comunque. Ho un’improvvisa intuizione: magari gli piace. Magari è l’uomo perfetto che lei sta aspettando, come io con Matt.
Sto per aprire bocca e dirgli qualcosa - tipo se domani gli va di vederci a pranzo tutti insieme così gliela presento - quando mi viene in mente che non solo non so nulla di lui - il suo nome, quanti anni ha - ma soprattutto è un Serpeverde. Bonnie preferirebbe tagliarsi un dito che uscire con lui.
Allora lascio perdere, e ricomincio a fissare le stelle.
“Com’è successo?” Dice d’un tratto, contemplando gli stessi punti che sto contemplando io. O forse è una fantasia mia, non sai mai quale esatta porzione di cielo si sta guardando. Me ne sono accorta d’estate, quando ci sono le stelle cadenti. Jeremy mi indicava un punto, urlando “Eccone una! Eccone una!” e io guardavo ma era sempre distante da dove pensavo che fosse.
“Com’è successo cosa?”
“Dei tuoi.”
Ah.
“Non mi va di parlarne.”
Lui annuisce, prima di buttare la sigaretta, che si frantuma contro la barriera protettiva della scuola.
“Quindi tu ogni anno vieni qui, stai da sola a piangere, non ne parli con nessuno e poi torni di sotto come se niente fosse?”
In effetti, è una sintesi piuttosto accurata. Alzo le spalle.
“Per lo meno hai smesso di piangere.” Commenta dopo un attimo.
È vero, non ci avevo fatto caso. Torno a guardarlo, sospettosa. Forse mi ha fatto smettere di piangere di proposito, facendomi pensare ad altro? No, non ha senso. Sennò non mi avrebbe chiesto come è successo dei miei, subito dopo.
“Ti dava fastidio vedermi piangere?”
Scrolla le spalle. “A tutti da’ fastidio vedere una ragazza piangere.”
“Non è vero.”
Ridacchia di nuovo. “Hai ragione, non è vero.”
Non commenta il fatto che però a lui sì, e nemmeno io. È un peccato che sia Serpeverde, a Bonnie piacerebbe uno a cui non piace vedere le ragazze che piangono.
Restiamo zitti per un po’. Si fuma un’altra sigaretta, e guardiamo in alto.
Il suo silenzio mi da’ modo di pensare ai miei genitori. Penso a quanto mi mancano. A quanto è ingiusto quello che è successo. Penso a Jeremy e a zia Jenna. Mi scendono un altro po’ di lacrime, e lui mi offre un’altra volta una sigaretta, muto, ed io di nuovo scuoto la testa.
Dopo un po’ sono stanca. E infreddolita, visto che comincio a stringermi convulsamente nel mantello.
Maledetto freddo invernale. Prima o poi mi congelerà.
Mi stacco dalla balaustra e guardo il ragazzo, che sta ancora lì piegato in avanti a dare gli ultimi tiri. Aspetto che finisca, non voglio disturbarlo. Lui ha fatto lo stesso con me, d’altronde.
Quando anche questa sigaretta si infrange e svanisce, si volta e si appoggia con i gomiti al ferro, di schiena.
“Io vado a letto.” Annuncio. “Grazie…”
Ma mi interrompe, sventolando una mano. “Non dirlo neanche, ragazzina. Avevo voglia di fumare un po’ e ho fumato, tutto qui.”
Mi stringo nelle spalle.
Sono quasi alla porta quando mi riviene in mente, e decido di chiederglielo.
“Come ti chiami?”
Lui sorride, non ha cambiato posizione. “Damon.”
“Io sono Elena.”
“Piacere di conoscerti, Elena.”
Annuisco e sparisco oltre l’uscio, esausta. Non vedo l’ora di rivedere Matt, domani.




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NB:  lo so che Hogwarts è teoricamente in Inghilterra, ma sto ignorando i fondamenti della Geografia per questa storia.

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Note ulteriori:

Chiedo scusa alla mia Beta everlily, che stasera era occupata, per non averle fatto leggere questa pazzia prima di pubblicarla, ma è stata una decisione improvvisa. Per farmi perdonare, invito tutti caldamente ad andare a leggere la sua meravigliosa Stubborn Love
No, seriously... se siete in questo fandom e non l'avete ancora letta, andate dietro la lavagna e vergognatevi.
Secondariamente ringrazio l'altra mia Beta e moglie Soteira, il mio Beta best buddy Pippo e il TNE tutto.

Se posso continuare con i suggerimenti, go check out Bloodstream e Soqquadro <3

  
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