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Autore: Alex96_    30/06/2014    11 recensioni
[AU della 1x08 Day Trip]
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Dal testo:
“Dobbiamo raggiungere Monte Weather, Bellamy! L’inverno si sta avvicinando e noi abbiamo bisogno di quelle provviste!”
Clarke era esausta ed esasperata: dalla tempesta e l’operazione di Finn erano passati solo quattro giorni, ma erano stati talmente pieni di cose da fare – ricostruire la barriera, dare a tutti un compito da svolgere, controllare le condizioni di Finn – che non poteva fare a meno di sentirsi priva di forze. Avrebbe voluto ritirarsi nella sua tenda e dormire per giorni interi, invece era nella navicella a litigare con Bellamy di fronte ai suoi amici solo per convincerlo a fare qualcosa che era necessario.
“Sei impazzita principessa? Tu e Spacewalker ci avete già provato una volta e avete fallito. Quello è territorio dei Terrestri, non possiamo andare lì!”
Mentre urlava il ragazzo le si era avvicinato notevolmente e lei poteva notare i suoi occhi scuri fiammeggiare dall’ira; qualsiasi altra persona sarebbe indietreggiata di fronte a quello sguardo così sicuro e rabbioso ma non lei.
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Storia partecipante al contest "Le Mille e una Ship" indetto da funny1723
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: AU, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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“Dobbiamo raggiungere Monte Weather, Bellamy! L’inverno si sta avvicinando e noi abbiamo bisogno di quelle provviste!”
Clarke era esausta ed esasperata: dalla tempesta e l’operazione di Finn erano passati solo quattro giorni, ma erano stati talmente pieni di cose da fare – ricostruire la barriera, dare a tutti un compito da svolgere, controllare le condizioni di Finn – che non poteva fare a meno di sentirsi priva di forze. Avrebbe voluto ritirarsi nella sua tenda e dormire per giorni interi, invece era nella navicella a litigare con Bellamy di fronte ai suoi amici solo per convincerlo a fare qualcosa che era necessario.
“Sei impazzita principessa? Tu e Spacewalker ci avete già provato una volta e avete fallito. Quello è territorio dei Terrestri, non possiamo andare lì!”
Mentre urlava il ragazzo le si era avvicinato notevolmente e lei poteva notare i suoi occhi scuri fiammeggiare dall’ira; qualsiasi altra persona sarebbe indietreggiata di fronte a quello sguardo così sicuro e rabbioso ma non lei. Aveva imparato a capire meglio Bellamy negli ultimi giorni e sapeva che quella manifestazione di rabbia non era diretta a lei, ma alla sua stessa frustrazione: comprendeva ciò di cui avevano bisogno e i rischi della missione, ma non voleva arrendersi all’evidenza. Dannato testardo, aveva pensato tra se e se.
Per provare a convincerlo gli aveva posato una mano sull’avambraccio e l’aveva guardato negli occhi cercando di trasmettergli tutta la sua convinzione.
“Bellamy, dobbiamo farlo.”
Lui non aveva distolto lo sguardo e, come aveva preso a fare spesso quando stava evidentemente ponderando un suo suggerimento – o come in questo caso una sua richiesta disperata –, aveva iniziato a cercare una risposta nei suoi occhi. Non le dava fastidio essere guardata così da lui, ma le provocava uno strano senso di soggezione e di calore nel corpo. Lo conosceva abbastanza da sapere però che se avesse interrotto quello scambio di occhiate lui l’avrebbe interpretato come un segno di debolezza e avrebbe posto fine alla discussione non considerando affatto la sua proposta. Così si era fatta coraggio e, strizzandogli senza neanche rendersene conto il braccio, l’aveva guardato con tutta la sicurezza di cui era capace mostrandogli che sapeva quello di cui stava parlando e che era completamente certa della sua decisione.
Dopo quelle che sembravano ore ma che, più realisticamente, erano stati solo qualche manciata di minuti avevano percepito qualcuno schiarirsi la gola e la voce di Raven era arrivata alle loro orecchie.
“Per quanto veder crescere la vostra tensione sessuale sia affascinante, avete preso una decisione o dobbiamo restare qui tutto il giorno?”
Era stato Bellamy il primo a voltarsi in direzione della mora e a fulminarla con lo sguardo.
“Stiamo per decidere se vogliamo lanciarci in una missione suicida o meno, non credi anche tu che abbiamo il diritto di prenderci qualche minuto per pensarci bene?”
Raven aveva alzato gli occhi al cielo chiaramente annoiata dal tono usato dal loro leader e Clarke si era trovata a sorriderne. Avrebbe preferito di gran lunga che la ragazza fosse una completa stronza, perché il fatto che invece fosse molto divertente e coraggiosa le rendeva il compito di odiarla impossibile. Sapeva che non era lei quella che avrebbe dovuto odiare in ogni caso, ma il solo pensare a Finn la metteva in uno stato mentale troppo emotivo che spesso coinvolgeva lunghi pianti e lei non poteva assolutamente permettere a se stessa di abbandonarsi così al suo dolore. Così si era voltata nuovamente verso Bellamy, ansiosa di scoprire il suo responso.
“Allora? Ha ragione Raven, se dobbiamo partire è meglio farlo adesso.”
Il moro l’aveva studiata per qualche secondo e poi aveva annuito una sola volta, in un gesto secco e deciso.
“Muoviamoci.”




Si erano ritrovati mezz’ora dopo al cancello principale circondati da Octavia, Jasper, Monty, Raven, Finn – che riusciva a stare in piedi solo grazie al supporto della sua fidanzata – e Monroe.
Clarke non aveva notato subito i loro zaini ma quando l’aveva fatto i suoi occhi erano scattati nuovamente su Bellamy.
“Non passeremo mai inosservati se andiamo tutti! I Terrestri ci noteranno assolutamente!”
Il ragazzo sembrava essersi accorto dei loro amici come lei solo in quel momento, ma aveva recuperato immediatamente il controllo e con voce ferma e decisa – lo stesso tono che usava per impartire ordini – si era rivolto alle persone radunate intorno a loro.
“Bene. Spacewalker ci rallenterebbe e basta, quindi resta. Il meccanico deve fare l’infermierina oggi. Monroe, ho bisogno che tu guidi il campo finché non sarò tornato.”
Clarke l’aveva visto in difficoltà quando si era voltato verso Octavia e, a conoscenza come tutti nel campo della furiosa lite tra i due fratelli Blake, gli si era affiancata e aveva rivolto la sua attenzione verso la ragazza cercando di risparmiare a tutti un’altra discussione.
“Octavia, tu sei l’unica di cui il Terrestre sembra fidarsi. Devi trovare un modo per farlo parlare, abbiamo bisogno di sapere più cose possibili della Terra se siamo determinati a vivere qui. Monty, Jasper voi siete gli unici che conoscono le piante, siete troppo preziosi per le persone del campo.”
Beh, questo lasciava solo lei e Bellamy. Dovrebbe essere divertente, si era ritrovata a pensare mentre il moro si voltato verso di lei.
“A quanto pare questa sarà una missione per due persone, principessa. Te la senti?”
Aveva faticato a non storcere il nome davanti a quel soprannome affibbiatole da Finn e si era limitata ad asserire con il capo.
“Sì, dovremo avviarci se vogliamo passare il fiume prima che faccia troppo buio.”
Bellamy aveva annuito ma non si era mosso e lei si era ritrovata a chiedersi perché se ne restasse impalato con lo sguardo che oscillava dal cancello a sua sorella, troppo intenta a parlare con Jasper per notarlo. Ma certo! La missione sarebbe potuta essere potenzialmente mortale e lui non voleva che le sue ultime parole con Octavia fossero di odio. Nuovamente si era trovata ad andargli incontro schiarendosi la voce e rivolgendosi a Raven a pochi metri da lei.
“Raven, se non dovessi tornare affido a te i contatti con l’Arca. Assicurati che quando arriveranno qui perdoneranno tutti i nostri crimini e che rispetteranno le nostre leggi… e dì a mia madre che la perdono.”
La mora aveva annuito con un cenno del capo e lei stava per passare a dare istruzioni a Monty e Jasper su come utilizzare le piante curative quando Finn si era staccato dalla sua ragazza  e aveva compiuto un passo nella sua direzione.
“Clarke non parlare così, non ti succederà niente.”
Le era servita tutta la forza di cui era capace per non capitolare alle sue parole e si era sforzata di utilizzare un tono neutro.
“Non puoi saperlo Finn, mi sto solo assicurando che nel caso in cui l’eventualità si dovesse presentare, tutti voi saprete cosa fare.”
Finn sembrava essere sul punto di prenderle la mano e lei aveva dilatato gli occhi dallo shock, ma proprio in quel momento Bellamy l’aveva affiancata poggiandole una mano sulla spalla come aveva fatto qualche giorno prima davanti al Terrestre.
“Tranquillo, non le succederà niente. La principessa è in ottime mani.”
Sebbene il suo tono era derisorio e sarcastico, la leggera pressione della sua mano le trasmetteva conforto e sicurezza. Sapeva che Bellamy non l’avrebbe lasciata morire, in fondo in fondo era una brava persona.
Il ragazzo aveva lasciato cadere la mano dopo qualche secondo quando Finn si era calmato e aveva guardato sua sorella con un’espressione talmente afflitta e vulnerabile che uno strano impulso nella sua mente voleva spingerla ad afferrargli la mano.
“O.”
La mora doveva aver analizzato attentamente la sua espressione come lei perché gli era corsa incontro e gli aveva gettato le braccia al collo, lasciandosi stringere dal suo unico fratello per quella che, anche se sperava vivamente di no, poteva essere l’ultima volta.
Quando i due si erano staccati la sedicenne gli aveva sorriso con occhi lucidi.
“Sono ancora arrabbiata da morire con te Bell, ma sei mio fratello e ti voglio bene. Devi saperlo.”
Bellamy aveva annuito e le aveva baciato la fronte.
“Lo so, O.”
Clarke si era voltata per aprire il cancello quando la voce della mora le era arrivata alla orecchie, costringendola a girarsi per poterla guardare negli occhi.
“So che è un coglione e che lo odi, ma non lasciar morire mio fratello Clarke.”
Aveva sentito una morsa stringerle il cuore perché, sebbene non aveva mai provato un amore del genere per qualcuno, riusciva a percepire la necessità bruciante nelle parole di Octavia che, infondo, era ancora la stessa ragazzina che aveva vissuto per la maggior parte della sua vita sotto le assi di un pavimento con l’unica compagnia di due persone – delle quali una per altro era già morta. No, non le avrebbe fatto sperimentare quella terribile esperienza un’altra volta.
“Non lo farò Octavia, te lo prometto.”
 



Avevano camminato per tutto il giorno ed erano entrambi esausti e spossati dal continuo guardarsi dietro le spalle alla ricerca di Terrestri che avrebbero potuto infilzarli con delle lance, quando aveva iniziato a piovere. Senza bisogno di parlarsi, entrambi avevano iniziato a correre e dopo neanche cinquecento metri erano riusciti a trovare una piccola grotta che sarebbe stata il rifugio perfetto per la notte.
Bellamy si era messo subito al lavoro e aveva acceso un fuoco e Clarke vedendolo indaffarato non aveva potuto fare a meno di darsi dell’idiota per restarsene lì immobile all’entrata della grotta senza far nulla; così aveva tirato fuori il cibo che aveva portato con sé e l’aveva diviso in due razioni eque. Quando però aveva cercato di coprire il più possibile l’entrata della grotta con i rami delle piante lì vicino, aveva finito per ferirsi il braccio.
“Dannazione!”
Sapeva di star sanguinando senza il bisogno di guardare la ferita: l’intenso bruciore si era esteso già a tutto il braccio. Non si era accorta della vicinanza di Bellamy finché il ragazzo non le aveva afferrato l’arto, esaminando con occhio critico la ferita.
“Non è grave, ma è abbastanza profondo da infettarsi. Dobbiamo disinfettarlo.”
Si era ritrovata ad annuire e con fatica aveva usato il braccio sano per cercare nella sua borsa il kit medico che aveva accuratamente messo insieme la mattina, ma Bellamy sembrava essere irritato dalla sua lentezza perché l’aveva fatta spostare con una spallata e aveva preso il suo posto riuscendo a trovare in pochi istanti le bende, le garze e l’antisettico di cui avevano bisogno. Clarke aveva trovato una pietra dall’aspetto abbastanza confortevole che le avrebbe permesso di potersi sedere e aveva aspettato che il suo inaspettato guaritore si mettesse all’opera per occuparsi della sua ferita ma, quando dopo qualche secondo non era successo nulla, gli aveva lanciato un’occhiata interrogativa.
Il moro aveva sogghignato e, con un leggero colpo di tosse, aveva indicato la sua maglia.
“Devi togliertela principessa.”
Non aveva avuto bisogno di chiedere a Bellamy perché fosse scoppiato in una fragorosa risata – che aveva messo in mostra le sue fossette e la dentatura perfetta –, sapeva perfettamente di essere arrossita furiosamente. Il ragazzo non le aveva fatto un’avance ma le aveva semplicemente fatto notare che in ordine di poter pulire il brutto taglio che si era procurata sul braccio, l’area doveva essere libera. E lei non era neanche una persona particolarmente pudica, ma c’era qualcosa di incredibilmente imbarazzante nel rimanere in reggiseno in presenza di Bellamy Blake in una grotta illuminata solo dal fuoco che avevano precedentemente acceso. Bellamy era lo stesso ragazzo che, per quanto potesse essere irritante e insopportabile, era responsabile insieme a lei dei cento delinquenti spediti sulla Terra come esperimento. E, non poteva ignorarlo, era anche piuttosto attraente. Ok, è molto più che «piuttosto attraente», si era ritrovata a correggere se stessa mentre un nuovo rossore le affluiva alle guance. Nonostante l’ondata di imbarazzo che l’aveva avvolta, si era sfilata ugualmente la maglia facendo particolare attenzione al braccio ferito e aveva preferito rimuovere dalla sua mente l’immagine dello sguardo predatorio che il ragazzo di fronte a lei le aveva dedicato. Lei e Bellamy non si piacevano, non sarebbe stata un po’ di carne in mostra a cambiare le cose. Aveva puntato gli occhi davanti a sé e si era morsa un labbro quando aveva sentito il tipico bruciore dell’antisettico; stava quasi per far notare al suo guaritore improvvisato che poteva essere più delicato, quando aveva sentito un soffio fresco alitarle sulla pelle. Uno strato sottile di brividi aveva ricoperto la sua epidermide e si era ritrovata a sorridere del gesto gentile. Così, quando qualche minuto dopo il suo braccio era disinfettato e fasciato a dovere, aveva puntato gli occhi chiari in quelli profondi di Bellamy e l’aveva ringraziato con un accenno di sorriso sulle labbra. In cambio aveva ricevuto solo un’occhiata divertita e una scrollata di spalle.
“Nessuno vorrebbe mai che la principessa si beccasse un’infezione. Il nostro piccolo reame mi si rivolterebbe contro.”
Clarke aveva faticato a soffocare un grugnito per niente femminile, ma le possibilità che qualcuno si rivoltasse contro Bellamy erano pari a zero. Lui era un leader carismatico, colui che aveva preso le redini del gruppo dal primo momento in cui avevano messo piede sulla Terra. Anche con il suo motto «facciamo tutto quello che vogliamo» era riuscito ad unire le persone. Lei d’altro canto poteva contare solo su una manciata di persone leali che l’ascoltavano. Gli altri la tenevano in considerazione solo per questioni mediche; tutto il resto del tempo era considerata come «La Principessa», una privilegiata che veniva da Phoenix e non aveva niente a che fare con loro. Se ultimamente avevano iniziato ad ascoltarla quando parlava pubblicamente, a far affidamento su di lei come leader era solo perché Bellamy lo faceva. Loro si fidavano del suo giudizio.
Era talmente assorta nei suoi pensieri che non si era resa conto della maglietta che le aveva porto il ragazzo – la sua era completamente rovinata e non poteva essere riutilizzata.
“Grazie.”
Nuovamente non aveva ricevuto una risposta ma d’altronde non ne aspettava neanche una. Si era infilata velocemente la maglia a maniche lunghe di Bellamy e aveva sbuffato per come il tessuto cadeva lento sulle sue spalle: sembrava una bambina con indosso i vestiti del padre. Aveva scosso la testa e si era affrettata ad aprire il suo sacco a pelo, l’indomani prospettava una giornata lunga e faticosa che avrebbe potuto potenzialmente volgersi con la sua morte. Aveva bisogno di riposarsi almeno un po’ e recuperare le forze o non sarebbe mai stata in grado in affrontarla.



 
Una mano calda e forte l’aveva scossa con delicatezza, svegliandola dall’orribile incubo che stava avendo.
Riportata improvvisamente nel mondo della veglia, Clarke si era ritrovata a boccheggiare e ad ansimare. In cerca di un appiglio che la potesse ancorare alla realtà e non alla produzione distorta creata dai suoi sogni, aveva trovato la mano di Bellamy, attualmente posizionata sulla sua coscia. L’aveva afferrata senza neanche rendersene conto e aveva cercato gli occhi del ragazzo che, nell’oscurità, sembravano risplendere.
“Clarke, è solo un sogno. Respira.”
Aveva annuito ma a causa dell’ansia aveva dovuto attendere qualche minuto prima di sentire il suo respiro tornare calmo e regolare. Di nuovo si era trovata a ringraziare nel giro di poche ore Bellamy e aveva dato un’ultima strizzata alla sua mano prima di lasciarla. Anche la presa del ragazzo su di lei si era affievolita finché non era tornato nel suo sacco a pelo senza aggiungere un’altra parola. Lei però non riusciva a riprendere sonno e sentiva il bisogno di aggiungere qualcosa, di spezzare l’assordante silenzio della grotta e di provare al suo co-leader che non era una debole ragazzina che si faceva spaventare da qualcosa così infantile come la sua immaginazione.
“Stavo sognando quando mio padre è stato lanciato.”
Aveva sentito Bellamy muoversi e aveva immaginato che si fosse girato su un fianco ma non aveva osato fare lo stesso per incontrare il suo sguardo, non sarebbe stata in grado di sostenerlo senza impedirgli di vedere la tristezza che sapeva essere presente nei suoi occhi.
“Non devi giustificarti con me. Ci hanno spediti su un pianeta che poteva essere ancora radioattivo, credi che nessuno al campo abbia avuto incubi?”
Si era trovata a sospirare: avrebbe preferito di gran lunga sognare di Terrestri che la uccidevano, di mancanza di cibo o di animali modificati, ma rivedere notte dopo notte da quando era successo più di due anni prima la porte di suo padre era decisamente straziante. Stava per dirlo ad alta voce quando si era ricordata che anche la madre di Bellamy era stata lanciata e che probabilmente il ragazzo non aveva bisogno che gli si ricordasse più del necessario di un evento così doloroso.
Stava per suggerire che avevano bisogno di dormire un po’ quando Bellamy aveva parlato nuovamente.
“Non smette mai di fare male, ma non siamo più sull’Arca e quella vita non ci appartiene più. Dobbiamo andare avanti.”
La sua convinzione era sincera e in breve Clarke l’aveva sentita penetrare a fondo dentro di sé; se fosse stata un’altra persona a parlare l’avrebbe abbracciata o ringraziata, ma era Bellamy quello che aveva appena cercato di confortarla, così si era limitata a voltarsi nella direzione opposta.
“Dovremmo dormire, è tardi.”
 



Ce l’avevano fatta! Erano riusciti ad arrivare a Monte Weather e a prendere le provviste – Bellamy aveva riso quando lei si era offerta di portarne un po’ e aveva preso a trascinare da solo i due borsoni carichi di rifornimenti alimentari e medicinali che, a occhio e croce, sarebbero bastati per non più di un paio di mesi se razionati con attenzione – e probabilmente sarebbero riusciti anche a tornare indietro prima che il sole tramontasse di nuovo, ma un altro temporale aveva impedito loro di continuare indisturbati e si erano ritrovati costretti a correre più di un’ora sotto la pioggia scrosciante per arrivare nei pressi della grotta dove avevano dormito la notte precedente.
Senza parlarsi erano entrati e questa volta Bellamy l’aveva aiutata a coprire l’ingresso della grotta per evitare che peggiorasse nuovamente la sua ferita.
Se la sera precedente non erano restati sotto l’acqua per più di dieci minuti e ne avevano impiegati altrettanti per asciugarsi davanti al fuoco, questa sera non erano stati altrettanto fortunati. Clarke poteva sentire l’acqua scivolare sulla sua schiena, tra le sue cosce e inzupparle completamente i piedi ed era sicura che Bellamy era fradicio tanto quanto lei, con i capelli arricciati appiccicati attorno al viso, la maglia leggera ad aderire perfettamente al petto e pantaloni scuriti dalla pioggia. Doveva ammettere almeno con se stessa che non era affatto una brutta vista ma proprio nel momento in cui la sua mente aveva formulato quel pensiero, l’aveva visto iniziare a togliersi prima la giacca e poi la maglia rimanendo così a petto nudo.
“Che diavolo stai facendo?”
Bellamy aveva inarcato un sopracciglio e, con uno sguardo divertito negli occhi, aveva replicato con il suo solito tono sarcastico.
“Cosa ti sembra che stia facendo principessa? Mi sto spogliando.”
Come se non fosse in grado di vederla lì, imbambolata e imbarazzata con le guance in fiamme, aveva continuato a togliersi strati di vestiti permettendole di scorgere i muscoli delle spalle ampie contrarsi per i più piccoli movimenti, i bicipiti gonfiarsi sotto lo sforzo del piegamento e le gambe muscolose e asciutte a sostenere il peso di un corpo decisamente perfetto.
“Ti piace quello che vedi?”
Si era accorta di essere rimasta a fissarlo solo quando lui aveva parlato e un’onda d’imbarazzo l’aveva colta nuovamente facendole desiderare di poter scomparire in quell’istante. Non aveva replicato e gli aveva dato le spalle per entrare nel suo sacco a pelo ma quando l’aveva tolto dallo zaino, aveva notato come fosse completamente zuppo d’acqua.
“Impossibile, non ci credo!”
Era piuttosto evidente come il destino continuasse a prenderla in giro: era bloccata in una grotta con Bellamy Blake, una delle sue persone meno preferite sia sul pianta che sull’Arca, era bagnata fradicia e non poteva neanche spogliarsi e infilarsi nel suo sacco a pelo per dormire. Aveva sbuffato e si era avvicinata al fuoco dove stava Bellamy con indosso solo i suoi boxer e gli si era seduta affianco, impossibilitata a fare altro.
Avevano mangiato entrambi in silenzio e lei stava continuando a far asciugare inutilmente la maglia e i pantaloni che aveva indosso quando la voce del ragazzo l’aveva fatta voltare.
“Non dormirò sul pavimento per te principessa.”
Aveva soffocato una risata perché tutto si sarebbe aspettata meno che Bellamy le cedesse da gentiluomo il suo sacco a pelo permettendole così di riposare, ma aveva cercato ugualmente di non creare una lite che, conoscendo i loro caratteri, si sarebbe intensificata in un nonnulla se l’avesse provocato.
“Non ci stavo contando Bellamy.”
Il ragazzo l’aveva fissata per un lungo momento e lei era ormai fin troppo consapevole di essere completamente da soli nella grotta e non di fronte ai loro amici. Iniziava a capire perfettamente le insinuazioni di Raven: lo sguardo che Bellamy le stava dedicando era penetrante e sembrava riuscisse a guardare dentro di lei. Di nuovo poteva percepire quello strano sconquassamento avvenire nei suoi organi interni, si sentiva nuda sotto l’influsso dei suoi occhi. Avrebbe voluto chiedergli perché la stava guardando così o, più semplicemente, perché la stava guardando e basta ma sapeva bene che non avrebbe ricevuto una risposta soddisfacente così si era rassegnata e aveva aspettato che Bellamy formulasse il pensiero che stava così chiaramente ronzando nella sua testa.
“Puoi dormire con me.”
Lo shock l’aveva paralizzata per un lungo momento e aveva ponderato l’idea di esserselo semplicemente immaginato, ma sentiva troppo caldo alle guance e la sua mente aveva già preso a vorticare a velocità impressionante; inoltre dallo sguardo che Bellamy le stava lanciando – carico di… erano forse aspettative quelle che il ragazzo nutriva? –, sapeva che no, non se l’era immaginato per niente. Ma doveva essere sicura.
“Sei serio?”
Bellamy aveva alzato gli occhi al cielo e si era alzato in piedi, torreggiando sopra di lei con indosso i suoi miseri boxer. Al posto suo lei sarebbe stata completamente imbarazzata di essere vista così da qualcuno, ma il ragazzo non sembrava esserne per niente turbato.
“Io vado a dormire, tu puoi spogliarti di quei vestiti e venire nel mio sacco a pelo o puoi fare quello che vuoi. Non è come se mi interessi Clarke.”
Ancor prima di rendersi conto della decisione da prendere le sue mani stavano già sfilando la maglia zuppa e i pantaloni fradici, insieme ai suoi calzini e agli stivaletti macchiati dal fango. Incurante se Bellamy stesse già dormendo o se avesse guardato c0n attenzione lo show – una parte di lei la faceva propendere per la seconda ipotesi –, aveva cercato di essere il più silenziosa possibile e si era infilata nello spazio non esistente lasciato nel sacco a pelo. Non è definitivamente pensato per contenere due persone, si era ritrovata a pensare quando dal braccio fino alla caviglia era completamente attaccata al corpo radiante calore del ragazzo.
Nonostante Bellamy avesse evidentemente una temperatura corporea alta, Clarke non poteva fare a meno di battere i denti dal freddo che sembrava essere penetrato fin dentro le sue ossa. Quando erano fuori all’aperto non si era preoccupata della pioggia e aveva continuato a muoversi in silenzio e in fretta, perché sia lei che Bellamy erano entrambi in potenziale pericolo di vita e non c’era tempo da perdere, ma da quando era entrata nella grotta l’adrenalina che aveva ancora in corpo era scemava e aveva risentito ancora di più del tempo passato all’aperto sotto al temporale.
Lo sbattere delle due arcate dei suoi denti e il freddo della sua pelle però dovevano risultare particolarmente fastidiosi perché dopo un grugnito si era ritrovata con un braccio di Bellamy a cingerle la vita per stringerla a sé. Era stata costretta a rotolare su un fianco e a stringersi le braccia e le gambe il più possibile vicino al proprio corpo, a costo di toccare quello del ragazzo.
“C-che s-stai f-facendo B-Bellamy?”
Le risultava difficile parlare, sia a causa dell’imbarazzo che del primo stato di ipotermia nel quale si trovava correntemente, ma sperava ugualmente di aver reso la sua voce forte abbastanza da essere sentita da quella del ragazzo che, il viso a pochi centimetri del suo, le aveva lanciato un’occhiata esasperata.
“Io sto cercando di dormire ma tu non me lo permetti. Cerca solo di riscaldarti principessa e rilassati, non attenterò alla tua virtù.”
Avrebbe voluto fare un commento sarcastico sul fatto che della sua virtù ne era rimasto poco e niente ma le parole le erano morte in gola quando le dita di Bellamy avevano iniziato a disegnare arabeschi sulla pelle dei suoi fianchi e sulle sue costole scatenandole brividi di piacere in tutto il corpo. Non ci aveva impiegato che qualche dozzina di secondi a rilassarsi e, certa che il ragazzo fosse ormai nel dormiveglia, si era costretta ad assumere una posizione più comoda. Una delle sue gambe così si era ritrovata sopra a quella di Bellamy e un’altra distesa, mentre le sue braccia erano finite rispettivamente sul petto e sul fianco del ragazzo. Da quando era sulla Terra ne erano capitate di cose strane ma mai avrebbe pensato di trovarsi a dover dormire in un sacco a pelo insieme a Bellamy Blake. E soprattutto mai avrebbe pensato che non le sarebbe dispiaciuto neanche un po’.



 
Clarke si sentiva ancora stanca e spossata, ma non come prima quindi era certa che fossero passate alcune ore. Il fuoco si era già spento e nella grotta regnava la più totale oscurità. Il suo corpo si era riscaldato notevolmente premuto contro quello di Bellamy. Era stato proprio il ragazzo a svegliarla involontariamente; non poteva vedere la sua testa ma era evidente che stava avendo un incubo: il suo corpo si muoveva con piccoli scatti, il suo battito cardiaco era frenetico, uno strato di sudore gli copriva la fronte e il petto e continuava ad agitarsi nel sonno come aveva fatto lei la notte precedente. Gentilmente l’aveva scosso per una spalla, cercando di svegliarlo.
“Bellamy, Bellamy ehi. Bell…”
Il ragazzo aveva aperto di scatto gli occhi e si era tirato a sedere, lo shock ben presente sul suo viso e il respiro affannato. Si era passato una mano sul volto e Clarke si era sentita in dovere di calmarlo, così aveva iniziato a mormorare a bassa voce parole di conforto e gli aveva accarezzato la schiena con ampi movimenti circolatori. Bellamy si era voltato lentamente nella sua direzione, come se si fosse appena reso conto della sua presenza e l’aveva guardata a lungo senza sapere cosa dire. Lei l’aveva liberato dall’imbarazzo sorridendogli e continuando a calmarlo con gesti lenti e regolari.
“Cosa stavi sognando?”
Bellamy si era preso il suo tempo per rispondere, evidentemente gli eventi nel sogno l’avevano scosso parecchio.
“Il Terreste. Quando l’ho torturato.”
Clarke aveva schiuso la bocca sorpresa: sapeva che per lui non era stato facile fare quello che aveva fatto ma non credeva che lo tormentasse così tanto.
“Bellamy…”
Aveva mormorato il suo nome e aveva sentito chiaramente la dolcezza e la compassione impresse nel suo tono echeggiare tra le pareti della grotta, ma quando aveva fatto per parlare nuovamente il moro l’aveva preceduta.
“È una sciocchezza, torniamo a dormire.”
Prima che potesse tornare a stendersi gli aveva afferrato con entrambe le mane il viso e l’aveva costretto a guardarla.
“Non lo è Bellamy, quella che hai fatto non è stata una bella cosa, ma l’hai fatto per una buona ragione. Hai salvato la vita a Finn e so che l’avresti fatto per qualsiasi altra persona al campo. Ti importa di loro e sei un buon leader. Hai avuto il coraggio di fare quello che io non sarei mai stata in grado di fare e ti ringrazio per questo, non so se avrei sopportato avere sulle mie mani il sangue di un altro dei miei amici. Quello che hai fatto non ti rende meno una brava persona, ti rende solo qualcuno capace di prendere decisioni difficili quando ce n’è bisogno.”
Non aveva idea di quanto la sua opinione su di lui fosse cambiata da quando l’aveva conosciuto, ma se n’era resa conto quando aveva gli aveva parlato con onestà e sincerità, rivelandogli la stima che provava nei suoi confronti. Anche Bellamy doveva essere rimasto sorpreso, perché i suoi occhi erano più scrutatori del solito e sembravano cercare dentro di lei qualcosa che non sapeva se esistesse o meno. Aveva fatto per abbassare le mani dal suo viso quando aveva visto le sue pupille alternarsi dai suoi occhi alle sue labbra un paio di volte. Sapeva che stava per baciarla ancor prima che l’avesse fatto, per questo era doppiamente sorpresa quando a contatto con le sue labbra non si era ritratta ma, invece, si era trovata a chiudere gli occhi e a far scivolare le braccia intorno al suo collo per trarlo più vicino.
Le labbra di Bellamy erano morbide e carnose e si muovevano in sincronia con le sue e, ancor prima di realizzarlo, si era trovata lei stessa ad approfondire il bacio e in un momento il fuoco era divampato. Le loro lingue danzavano insieme a un ritmo deliziosamente incalzante, i loro respiri erano affannati e nasali e le loro mani erano ovunque. Un momento le aveva infilate tra i suoi capelli morbidi e ricci, quello dopo erano ad accarezzare il suo collo e le sue spalle, poi a tastare il suo petto fermo e gli addominali scolpiti, quello dopo ancora scorrevano libere sulle sue braccia tornite. Quelle di Bellamy invece non facevano che farla fremere sempre di più: poteva sentirle accarezzarle i fianchi morbidi, sfiorarle il seno coperto, annodarsi tra i suoi capelli chiari, avvolgerla sulla schiena.
Avrebbe continuato quella dolce tortura all’infinito ma sentiva i suoi polmoni bruciare per la mancanza prolungata d’ossigeno, così si era costretta a ritrarsi di qualche centimetro restando ugualmente vicina al viso di Bellamy che era più bello di quanto lo avesse mai visto con il respiro affannato e gli occhi scuriti dalla lussuria.
“Cos’era quello?”
Il ragazzo si era limitato a scuotere lentamente la testa e a riportarle una ciocca di capelli dietro l’orecchio, per poi continuare ad accarezzarle lo zigomo con il dorso della mano, assorto.
“Non ne ho idea. Lo vuoi scoprire?”
Avrebbe dovuto dire di no, avrebbe dovuto riportare la sua mente alla normalità sfruttando il pensiero razionale del quale era dotata, ma a che scopo? Era ugualmente bloccata nella grotta per lui in tutta la notte, i suoi nervi erano a fior di pelle dopo i terribili giorni che aveva passato e si sentiva così vuota dentro, così addolorata per la morte del suo migliore amico, lo stesso che aveva odiato per anni accusandolo di un crimine che non aveva commesso. Era furiosa con sua madre che era stata capace di far giustiziare suo padre. Arrabbiata con Finn che l’aveva usata per dimenticare Raven e delusa da se stessa per non essersi accorta che il suo cuore era già occupato.
Quando il dito di Bellamy era passato sotto il suo mento e i loro occhi si era incontrati nuovamente, non aveva potuto fare a meno di sorridere. Non avrebbe mai considerato il moro un tipo vulnerabile ed emotivo, ma adesso era lì che la guardava con i suoi grandi occhi scuri, pregandola quasi di dargli una risposta, anche una qualunque. Ma aveva imparato a leggerlo meglio e sapeva che quel velo nel suo sguardo era speranza: era bisogno di lei. Di averla e di dimenticare anche lui i giorni passati, bisogno di abbandonarsi per qualche ora alle emozioni, di smettere di essere un leader, di avere la responsabilità della vita di cento persone, di essere solamente un ragazzo di venti anni.
Questa volta era stata lei a baciarlo per prima, prendendolo completamente di sorpresa. Non pensi più che sono una principessina, eh Bellamy? L’aveva afferrato per la nuca e costretto a schiudere la bocca per andare incontro alla sua e, in quella che le parve solo una frazione di secondo, si era trovata nuovamente distesa, le mani di Bellamy ovunque. Lui era ovunque sul suo corpo e il freddo che aveva sentito ore prima era un ricordo lontano, rimpiazzato da un bruciore piacevole dove le mani del ragazzo la toccavano e dove le sue labbra baciavano, succhiavano e mordevano causandole di gemere più di quanto avrebbe creduto possibile. Non si era neanche accorta di essersi aggrappata alla sua schiena con forza finché non l’aveva sentito sospirare di piacere, chiaramente affascinato dal contatto tra pelle e unghie. Lei aveva sogghignato e aveva riportato in alto la sua testa – che ormai era finita tra le sue gambe e stava segnando la pelle del suo interno coscia – per unire di nuovo le loro bocche in un bacio famelico, pieno di desiderio e di passione che li aveva lasciati nuovamente entrambi senza fiato. Questa volta Bellamy aveva poggiato la fronte contro la sua e l’aveva guardata attraverso le lunghe ciglia.
“Clarke, se vuoi fermarmi devi farlo ora o non so se sarò in grado di fermarmi da solo.”
La sua risposta era stata una rollata lenta e mirata dei suoi fianchi per andare incontro a quelli di Bellamy, che aveva singhiozzato dal piacere generato dalla frizione.
E da lì era stato un’insieme di passione bruciante e di lussuria pura, un qualcosa che lei non aveva mai provato nella sua vita. Con gli occhi chiusi si era affidata ai suoi sensi: il tatto che la portava ad esplorare il corpo statuario sopra di lei; il gusto che le faceva assaporare l’aroma salato della sua pelle e il contrasto dolce con la sua bocca dove poteva sentire il retrogusto delle bacche che avevano mangiato prima; l’olfatto le faceva percepire il suo odore muschiato e forte ma tutto fuorché spiacevole – sapeva di uomo e dell’odore della Terra; l’udito le regalava la splendida melodia generata dai loro gemiti.
Bellamy, Bellamy, Bellamy. Erano gli unici pensieri e che le avevano occupato la mente per tutta la notte e non era affatto sicura che non li avesse espressi ad alta voce, come una litania.
 



Il cinguettio degli uccelli era stato il primo rumore che aveva sentito, poi c’era stato un mugolio accanto a lei e in un momento tutti i ricordi della notte precedente si erano affollati nella sua mente. Era arrossita di colpo perché mai nella sua vita aveva vissuto qualcosa di così intenso come quello che aveva sperimentato con Bellamy, mai si era sentita così desiderata da qualcuno e mai aveva desiderato altrettanto avere qualcuno tanto quanto le era capitato con il moro addormentato affianco a lei. Sembrava davvero innocente e rilassato con una mano sul proprio stomaco e l’altra intorno al suo fianco, il viso rilassato girato verso il suo e le loro gambe intrecciate a segnare un contrasto netto tra la sua pelle chiara e quella olivastra del ragazzo. Avrebbe voluto rimanere a guardarlo per molto ma sapeva che dovevano sbrigarsi e tornare al campo, alla loro vita vera  e non alla fantasia dove si erano rifugiati la notte scorsa. Così facendo meno rumore possibile si era alzata dal sacco a pelo e aveva iniziato a vestirsi, incurante di aver indossato la maglia che le aveva dato Bellamy la notte prima.
Aveva finito di sistemare il suo zaino quando aveva sentito un movimento dietro di sé e si era voltata di scatto, una mano al pugnale nella sua cintura, solo per ritrovarsi davanti Bellamy Blake in tutto il suo splendore, con indosso solo i boxer e un sorriso malizioso. Doveva ammetterlo, alla luce del sole era ancora più bello della notte precedente, ma lei non aveva tempo per questo. C’erano quasi cento persone che dipendevano da loro per quelle provviste.
“Passi la notte con me e la mattina dopo non mi dai neanche il bacio del buongiorno e sei già pronta ad andartene, mi sento quasi usato principessa.”
Aveva alzato gli occhi al cielo perché questo era talmente da Bellamy: il fare commenti sarcastici su quello che avevano condiviso era qualcosa che non la sorprendeva affatto, pertanto gli aveva risposto infilandosi lo zaino in spalla e non degnandolo di un’ulteriore occhiata.
“Vestiti Bellamy, non abbiamo tempo per queste cose. La notte scorsa è stata la notte scorsa ma ora dobbiamo tornare al campo.”
Era sicura di averlo sentito mormorare qualcosa come «sempre tutta business principessa» ma non era rimasta nella grotta a sufficienza per chiedergli spiegazioni. Una parte di lei sapeva che se fosse rimasta lì non sarebbe uscita e non poteva permetterselo di certo. Aveva una missione da portare a termine, nonostante quello che il suo cuore – o i suoi ormoni – potevano desiderare.
 



Avevano percorso tutto il tragitto in completo silenzio ma quando erano arrivati alla fine del bosco ed erano separati dal loro campo solo dal cancello d’entrata, Bellamy l’aveva afferrata per un polso costringendola a voltarsi.
“Non ignorarmi principessa.”
Il suo tono poteva anche essere stato sarcastico, ma i suoi occhi avevano una vena di disperazione che non gli aveva mai visto, così si era costretta a rilassarsi sotto al suo tocco e aveva poggiato la mano libera sopra alla sua e gli aveva sorriso appena, la voce bassa e rassicurante – un tono che aveva imparato ad assumere durante il suo apprendistato sotto la guida della dottoressa Abby Griffin.
“Abbiamo un campo da dirigere Bellamy, persone che contano su di noi. Non possiamo.”
Aveva liberato il suo polso e si era voltata nuovamente ma questa volta il ragazzo era stato più rapido e mentre con una mano le aveva tolto lo zaino dalla spalla, con l’altra l’aveva spinta contro l’arbusto più vicino schiacciandola con il peso del suo corpo. I suoi occhi fiammeggiavano dalla rabbia e si era ritrovata a sopprimere un singulto: non sapeva se sentirsi più terrorizzata o eccitata da lui.
“Non trattarmi con condiscendenza Clarke. Sai cos’hai provato ieri sera e non puoi negare che c’è qualcosa. Possiamo continuare perfettamente a guidare il gruppo e ad occuparci di noi due. Vorresti davvero privarti di tutto questo?”
Bellamy aveva accompagnato le sue parole applicando una maggiore pressione tra i loro corpi, facendole percepire quanto averla intorno lo influenzava e lei aveva a malapena soppresso un gemito prima di sporgersi sulle sue labbra. Quelle del ragazzo le erano venute incontro a metà strada, unendosi alle sue come due tessere di un puzzle e lei si era ritrovata a sorridere nel bacio, felice di quel piccolo momento di spensieratezza all’interno di un mondo che ancora non capiva e che era pieno d’insidie e pericoli. Mentre si separavano per riprendere fiato il pensiero che forse era proprio questo che mancava nella sua vita, qualcuno di forte su cui poter far affidamento e dividere i propri compiti e responsabilità, l’aveva colta di sorpresa facendola sorridere ancora di più. Era molto probabile che si sarebbero saltati alla gola nel giro di qualche giorno a causa di una divergenza di opinioni, ma forse questa connessione tra loro poteva anche portare qualche beneficio.
Bellamy le aveva dedicato un sorriso, uno di quelli sinceri che gli aveva visto rivolgere solo a sua sorella e poi con un cenno del capo aveva indicato in direzione del campo.
“Pronta a tornare alla realtà Clarke?”
Aveva annuito e si era avviata insieme a lui verso il posto che avrebbe dovuto imparare a chiamare casa.
 



“Bellamy! O mio Dio stai bene!”
Non erano entrati neanche da un minuto dal cancello principale che l’uragano Octavia era piombato su di loro, gettando le braccia al collo del fratello che le aveva cinto la vita sorridendo.
“O, ti sono mancato?”
La mora si era staccata improvvisamente e gli aveva dato un pugno sul petto, subito seguito da un altro.
“Brutto idiota che non sei altro! Saresti dovuto tornare ieri Bell, stavamo per mandare una squadra di salvataggio per te e Clarke!”
Il moro era scoppiato a ridere e anche lei si era trovata piuttosto divertita dalla situazione, sarebbe stato a dir poco imbarazzante se qualcuno – specialmente Finn – fosse venuto a cercarli per trovarli addormentati o, peggio ancora, impegnati a intrattenere l’un l’altra. Si era limitata a scuotere la testa al pensiero e un sorriso le aveva incurvato le labbra quando aveva visto Monty, Jasper, Raven e Finn correre nella loro direzione, chiaramente contenti di vederli sani e salvi.
“Clarke! Per fortuna stai bene, ci hai fatti preoccupare.”
Aveva evitato di alzare gli occhi al cielo al tono usato da Finn, non gli era bastato prendersi gioco di lei, ora voleva anche assumere il ruolo dell’amico in pensiero? Non era stata l’unica ad aver avuto lo stesso pensiero, perché Bellamy aveva grugnito e degnato il moro davanti a lui di un’occhiata seccata.
“Rilassati Spacewalker, la principessa è stata benissimo. Ci siamo solo dovuti fermare una notte in più a causa del temporale.”
Finn sembrava essere convinto dalle parole usate da Bellamy perché non aveva ribattuto e Clarke ne era davvero contenta: non voleva litigare con lui, né tantomeno voleva che i due ragazzi con i quali aveva dormito insieme da quando era sulla Terra iniziassero una gara di testosterone. Non aveva notato la vicinanza di Octavia, se non quando la mora l’aveva scossa per un braccio facendola sussultare per il dolore.
“Sei ferita?”
Si era affrettata a scuotere la testa e a rassicurare la ragazza con uno sguardo, non voleva preoccuparla inutilmente.
“È  solo un graffio, tranquilla Octavia. Sto bene.”
La più giovane dei fratelli Blake sembrava averle creduto perché le aveva sorriso e poi aveva lanciato uno sguardo a Bellamy che, a pochi passi da loro, le guardava entrambe con attenzione.
“Grazie per non aver lasciato morire Bell, so che è davvero insopportabile a volte – il «ehi» indignato del moro le aveva fatte sorridere entrambe e Clarke aveva spettato che Octavia continuasse a parlare –ma è sempre mio fratello.”
Aveva sorriso nuovamente e aveva lanciato un’occhiata divertita in direzione di Bellamy prima di tornare a concentrare l’attenzione sulla ragazza di fronte a sé.
“Non è così pessimo come sembra, non l’avrei mai lasciato morire.”
Octavia sembrava essere contenta della sua risposta e l’aveva abbracciata con slancio lasciandola piuttosto interdetta. Quando si era scansata però aveva visto come i suoi occhi erano passati dalla maglia chiaramente non sua che indossava e poi erano tornati sui suoi, pieni di domande.
“È la maglia di Bell questa? Perché ce l’hai tu?”
Come Octavia tutti in quel momento sembravano essersi accorti del piccolo – ma evidente – dettaglio che gli era sfuggito e avevano iniziato a lanciare occhiate inquisitorie da lei al moro che, salvandola dall’imbarazzo, aveva preso la parola usando il suo solito tono perentorio che lei stava iniziando ad apprezzare molto di più di quanto avesse fatto in passato.
“Piantatela tutti quanti di guardarci come se ci fosse spuntata una seconda testa, ha la mia maglia perché la sua si è strappata quando si è ferita al braccio e gliel’ho data. Perché non andate a mettere a posto le provviste nella navicella invece che starvene qui a fissarci?”
Le parole del leader avevano fatto scattare tutti all’attenti e subito Monty, Jasper, Finn e Octavia avevano preso i borsoni per terra e si erano allontanati da loro lasciandoli con una Raven ghignante.
“Si può sapere che guardi meccanica?”
La mora aveva fatto un passo all’indietro e, sempre sorridendo, aveva dedicato loro un’occhiata che aveva fatto rabbrividire Clarke. Che Raven si fosse accorta di quello che era successo tra loro? Come aveva fatto? Era davvero così evidente?
Si era ben guardata dal chiederglielo perché era piuttosto sicura di sapere già la risposta. Anche Bellamy doveva essersene accorto ma, al suo contrario, non sembrava per niente turbato all’ipotesi che tutto il campo potesse sapere che erano stati a letto insieme. Gli si era avvicinato appena Raven aveva voltato loro le spalle e aveva raggiunto gli altri e si era sporto sul suo orecchio per mormorare:
“Ti aspetto nella mia tenda questa sera principessa.”
E così ora il re dei Ribelli pensava che solo perché l’aveva avuta una volta – più di una volta, aveva dovuto ricordare a se stessa – lei avrebbe trascorso tutte le sue notti con lui? Nossignore.
“Non sarai impegnato con il tuo fan club personale Bellamy?”
L’aveva sentito ridere e mentre camminavano l’uno al fianco dell’altra gli aveva dato una gomitata nelle costole certa che nessuno al campo sarebbe rimasto sorpreso del gesto.
“Farò sciogliere il fan club, ai suoi ordini principessa.”
Aveva alzato gli occhi al cielo perché seriamente, poteva essere più idiota? Poi però un nuovo pensiero l’aveva colta: non è che la sua domanda era suonata alle orecchie di Bellamy come una richiesta di essere esclusivi? Perché non lo era. Per niente. Eppure sapeva in cuor suo che dopo quello che avevano condiviso – e quello che aveva passato con Finn –non avrebbe sopportato affatto di essere nuovamente la seconda, o terza, o quarta scelta di qualcuno.
“Ci vediamo dopo Clarke.”
Si era voltata appena in tempo per far scivolare le labbra di Bellamy sulla sua guancia anziché sulle sue labbra. Era forse impazzito? Come gli veniva in mente di baciarla di fronte all’intero campo? Uno sguardo le aveva suggerito però che il momento sarebbe stato ideale per un bacio fugace perché non c’era nessuno in giro; stava per voltarsi e baciarlo ma aveva iniziato a vedere i ragazzi più giovani nel campo venire nella loro direzione certamente per chiedere informazioni, così si era accontentata di accarezzargli un braccio mentre si avvicinava loro e di esibire un sorriso sincero sulle sue labbra. Per il resto, avrebbero avuto tempo dopo. E, nonostante probabilmente avrebbe dovuto preoccuparsi di tutti i problemi che avevano, il pensiero la deliziava. Un’occhiata scambiata con Bellamy da sopra la piccola folla che li circondava le aveva suggerito che anche per lui era lo stesso. Bene, sarebbero stati dei giorni alquanto interessanti…





Angolino Autrice:

Finalmente sbarco anche su questo fandom :3 Mi sono innamorata di The 100 dal momento che ho visto il Pilot e scritto questa storia appena ho visto il promo dell'episodio "Day Trip" ma l'accidia è un pessimo vizio e mi ha costretta a lasciare questa povera OS ad impolverarsi sul mio pc senza che io la rileggessi. Oggi però mi sono decisa finalmente a farlo e quindi eccola qui! E' una Bellarke ovviamente (perché andiamo, come si può non shippare quei due?) e sono presenti anche la mia amata/odiata Octavia e la splendida Raven *-* ...e Finn. Non amo particolarmente il suo personaggio ma non perché non mi piace con Clarke, bensì perché pur riconoscendo che sia un buon personaggio, odio la sua relazione con la biondina e lo preferisco quando interagisce con altri personaggi. Non so ancora se questa OS mi piace abbastanza o no, ma mi sono impegnata troppo a rileggerla per lasciarla nel computer, pertanto lascerò il giudizio a voi!
Spero che qualcuno abbia voglia di farmi sapere cosa ne pensa,
a presto,
Alex.


Link utili: Pagina Autrice FB - Profilo FB - Profilo EFP - ASK
   
 
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