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Autore: Eliatheas    23/08/2008    4 recensioni
A guardare le stelle si resta delusi. Le persone alzano gli occhi verso le stelle in cerca di speranze e di sogni, ma le stelle non sono altro che una reazione chimica e non hanno sogni dentro il loro essere. A guardare le stelle si resta delusi. Per questo io non le guardo mai, ma stasera le guardo. Le guardo perché non posso restare delusa, questa volta. Le guardo perché non ho più nulla da perdere e non cerco neanche una speranza. Le guardo perché è l’unica cosa che posso fare, ora.
Genere: Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non so da dove mi sia uscita questa cosa. Non di certo dalla mia esperienza, perché non ho mai vissuto una cosa simile, ma volevo scrivere qualcosa che simboleggiasse la disillusione di questa ragazza. Non mi piace molto, avrei potuto fare di meglio. Il finale non è un vero e proprio finale, ma così l’ho immaginato.

A guardare le stelle si resta delusi

A guardare le stelle si resta delusi. Le persone alzano gli occhi verso le stelle in cerca di speranze e di sogni, ma le stelle non sono altro che una reazione chimica e non hanno sogni dentro il loro essere.
A guardare le stelle si resta delusi.
Per questo io non le guardo mai, ma stasera le guardo. Le guardo perché non posso restare delusa, questa volta. Le guardo perché non ho più nulla da perdere e non cerco neanche una speranza.
Le guardo perché è l’unica cosa che posso fare, ora.

Poche ore prima...

“Sei incantevole”
Edmund, il mio migliore amico e il mio coinquilino, mi sorride appoggiato alla porta del bagno con una finta aria da bello e impossibile. Il mio cuore manca un battito e fa una capriola all’indietro con doppio salto della morte e io resto per un secondo senza fiato.
“Ehi, Emily! Tutto bene?” Edmund mi scuote per le spalle e il suo viso è molto vicino al mio, il che non aiuta il mio cuore a riprendersi dal mancato battito. I suoi occhi verdi sono troppo vicini perché io posso evitare di perdermi dentro e non mi riscuoto dalla trance fino a quando Edmund non si china e avvicina le sue labbra alle mie, ma non mi bacia.
“Edmund!” Torno in me e lo allontano in fretta, arrossendo. Lui sorride e alza le spalle come a scusarsi. Avrei tanto voluto rimanere così, con il suo volto davanti al mio e le sue labbra troppo vicine alle mie, ma l’ho dovuto allontanare perché è quello che si aspetta da me. Io e lui siamo migliori amici da quando avevamo sei anni e abbiamo condiviso tutto. I brutti e i bei voti, le belle e le brutte esperienze e ora anche l’appartamento. Lui aveva detto che avrebbe affittato una casa e sapendo che sarei andata anche io al College, mi aveva invitata a vivere con lui.
Solo perché sei la mia migliore amica – aveva detto, con un sorriso scherzoso – Se fossi stata un’altra ragazza non l’avrei fatto. E’ pericoloso vivere a contatto con una ragazza che prova qualcosa per te. Invece so che tu non proverai nulla per me.
E non poteva immaginare che io ero già innamorata di lui.
Ho accettato. Che altro potevo fare? Dirgli che provavo qualcosa per lui? Sarebbe stato imbarazzante.
“Sei stupenda” dice Edmund, riportandomi alla realtà, con un bel sorriso sul suo meraviglioso volto e guardandomi. Mi guardo allo specchio.
Indosso un vestito bianco che mi arriva al ginocchio, con dei fiori neri e una cintura in vita. I miei piedi sono costretti in sandali neri dal tacco così alto che penso di poter cadere solo spostando il piede di soli 1, 2 cm.
Ho raccolto i capelli neri e mossi in uno chignon finto disordinato – che, nel mio caso, è vero disordinato, visto che non sono capace di fare uno chignon normale – e ho truccato leggermente i miei occhi neri. Non mi sento particolarmente bella. Non sono proprio un’acciuga, ma neanche una balena, eppure non mi piaccio. Edmund dice che io sono giusta, né una 40, né una 48. Infatti sono una 44. Ma non mi piaccio ugualmente.
“Dici?” Chiedo al mio migliore amico, con un’espressione scettica. “Sono orribile”
“Non dire sciocchezze!” Lui storce il naso e mi sorride. “Sei fantastica. Chi è il fortunato?”
Il fortunato che esce con me? Il ragazzo più fico di questo pianeta.
Ok, non diciamo sciocchezze.
Il ragazzo con cui esco stasera è Logan, un ragazzo piuttosto anonimo che ho incontrato in un bar e che mi ha chiesto di uscire. Io gli ho detto di sì, giusto per dimenticare un po’ Edmund.
“Logan. Si chiama Logan” mormoro, tornando a guardare il mio riflesso. Metto un po’ di rossetto rosso Chanel e sorrido al mio amico.
“Uhm...mi racconterai tutto” Edmund sorride e io rimango folgorata dal suo sorriso da pubblicità del dentifricio.
“Tu cosa fai stasera?” chiedo, mentre prendo la mia borsetta e arranco sui miei tacchi per raggiungere la porta. Il mio amico mi guarda divertito.
“Resto a casa. Non ho voglia di uscire” risponde, sorridendomi, poi si china su di me e mi bacia sulla fronte, mentre io rimango raggelata al mio posto. “Tu divertiti”
“Non so a che ora torno...”
“Ti aspetto per domani mattina!” Edmund sorride e chiude la porta. Io scendo le scale e mi avvio verso il luogo dell’appuntamento.

Io e Logan ci dovevamo incontrare fuori al bar dove ci siamo incontrati alle otto e mezza. Io sono arrivata alle otto e un quarto e ora sono quasi le nove, ma di Logan non c’è traccia. L’unica parvenza di vita, qua fuori, era una macchina nera ed elegante, ultimo modello uscito dalla concessionaria, che si è fermata davanti a me e il conduttore mi ha chiesto quanto prendevo per un’ora.
Io l’ho fulminato con lo sguardo e ho smesso di giocherellare con il manico della borsetta.
“Non sono una prostituta” ho detto, storcendo il naso e lui se n’è fuggito.
Io sono rimasta a guardare la macchina e ho controllato ancora una volta l’orologio. Erano le nove meno un quarto.
Ora sto chiamando Logan, ma ha il telefono staccato. Il tempo di posare il mio telefono nella borsetta, che mi è arrivato un messaggio.

Elisabeth, mi dispiace, ma non posso venire. Un mio amico si è fatto male ed è finito all’ospedale. Possiamo fare un altro giorno?

Non so se sentirmi più offesa per il fatto che abbia persino dimenticato che mi chiamo Emily o più stupida per essermi messa in ghingheri ed essere ridotta a tornare a casa qualche ora in meno del previsto.
Chiamo un taxi, ma quello non si ferma. Come se non bastasse, inizia a piovere. Nessun taxi si ferma.
C’è una sola cosa che posso fare: chiamare Edmund.
Compongo in  fretta il numero del suo cellulare e mi risponde al secondo squillo.
“Emily?” mi chiede preoccupato. Io singhiozzo al telefono. Ecco, piango. A volte sono fin troppo emotiva e mi odio. “Ehi, tesoro. Cosa succede?”
“Logan mi ha bidonata” dico, asciugandomi le lacrime con il polso. “E mi ha chiamata Elisabeth. E non trovo un taxi. E piove, perdiana!”
Mi riparo sotto ad un balcone e mi stringo nella mia giacchetta nera che mi sono portata, mentre Edmund sospira al telefono.
“Ti vengo a prendere. Dove sei?”
Gli do l’indirizzo e lui chiude la conversazione.

Sono qui sotto da mezz’ora e Edmund ancora non è arrivato. Rabbrividisco. Piove ancora e io sento freddo. Mi stringo nella giacca, ma è troppo leggera e non ne ottengo nulla, solo un altro brivido di freddo. Mi asciugo l’ennesima lacrima e guardo la strada. Neanche una macchina.
Squilla il telefono e io rispondo.
“Emily? Sto arrivando” dice Edmund al telefono, con voce atona.
“Grazie” mormoro e sento che lui sospira, rassegnato.
“Figurati” mormora e poi attacca. Io mi stringo nella giacca ed esco in strada, dove c’è una macchina che mi aspetta. La raggiungo in fretta ed entro dal lato del passeggero.
“Ciao” dico. Edmund mi saluta con un gesto della mano e non dice altro.
Lo guardo. Sembra arrabbiato.
“Scusa” mormoro, allacciandomi la cintura Lui mi guarda e poggia la sua mano sulla mia ed io rabbrividisco, non più per il freddo, ora.
“Tutto bene?” chiede, stringendo forte la mia mano. Io annuisco e lui mi sorride. “Ok, andiamo a casa”
Ma quando arriviamo sotto casa, la pioggia è talmente fitta che rinunciamo a salire e aspettiamo in macchina che spiova.
“Come mai Logan non è venuto?” chiede Edmund, guardandomi con un sopracciglio inarcato. Io scuoto la testa e chiudo gli occhi, appoggiandomi al sediolino e bagnandolo completamente.
“Ha detto che un amico è finito in ospedale” rispondo, asciugandomi le ultime lacrime. Lui si sporge un po’, si slaccia la cintura e mi abbraccia, infischiandosene dei miei vestiti bagnati.
“E’ uno stupido, Emily” mi sussurra all’orecchio, accarezzandomi la schiena. Io, inevitabilmente, piango. Mi stringo a lui da sopra il freno a mano e poggio la mia testa sulla sua spalla. “Non sa quello che si perde. Sei fantastica”
Singhiozzo ancora, un po’ per la rabbia un po’ per la vicinanza di Edmund, anche se so benissimo che non posso aspirare di più di un abbraccio o un bacio sulla fronte.
“Grazie” dico, smettendo di piangere e scostandomi da Edmund. Il suo volto è vicino al mio, le sue labbra si muovono ma non ascolto quello che dicono. I suoi occhi verdi mi fissano preoccupati, ma io chiudo gli occhi e poso un bacio nell’angolo della sua bocca, poi sposto le mie labbra sulle sue e lo bacio. Lo bacio. Bacio Edmund. Lui rimane rigido.
“Emily...” mormora lui, mentre io mi allontano da lui, chiedendomi cosa abbia fatto. “Io...”
“Ha smesso. Andiamo” dico, uscendo in fretta dalla macchina. Ma non ha smesso un bel niente e, appena mi ritrovo fuori, vengo investita da una quantità terribilmente incredibile di acqua che quasi annego.
Prendo le chiavi, ma tra la pioggia e le lacrime non riesco ad aprire il portone. Edmund, dietro di me, prende le chiavi dalle mie e apre il portone. Lo guardo attraversare l’atrio e dirigersi verso l’ascensore in fretta, con la camicia bagnata di pioggia e i capelli pieni d’acqua. Io salgo a piedi e ci ritroviamo sul pianerottolo. Mi apre la porta e io corro in camera mia.
Mi tolgo i vestiti bagnati e li ammucchio in un angolo, poi indosso il mio pigiama. Sciolgo lo chignon in cui avevo raccolto i capelli e li strizzo, ma non penso neanche lontanamente di asciugarli.
Mi siedo al davanzale della finestra e scosto un po’ la tenda, per guardare il cielo.

A guardare le stelle si resta delusi. Le persone alzano gli occhi verso le stelle in cerca di speranze e di sogni, ma le stelle non sono altro che una reazione chimica e non hanno sogni dentro il loro essere.
A guardare le stelle si resta delusi.
Per questo io non le guardo mai, ma stasera le guardo. Le guardo perché non posso restare delusa, questa volta. Le guardo perché non ho più nulla da perdere e non cerco neanche una speranza.
Le guardo perché è l’unica cosa che posso fare, ora.

“Emily?”
Guardo la porta. Edmund è lì. Indossa ancora i vestiti bagnati ed è più bello del solito, ma gli occhi mi si offuscano immediatamente e mi impediscono di guardarlo.
“Tutto bene?”
Scuoto la testa e torno a guardare fuori dalla finestra, singhiozzando. Edmund mi mette una mano sulla spalla e, chinandosi, mi posa un bacio sulla tempia. Io rabbrividisco e lui si scosta da me e si siede sul davanzale accanto a me.
“Mi dispiace”
Io torno a guardare lui e metto su un’espressione di ghiaccio.
“E di che?” chiedo, con voce tagliente. Lui si alza e mi abbraccia. Appoggio la testa sul suo addome e chiudo gli occhi, ma sento che c’è qualcosa che non va.
Non diciamo nient’altro. Ad un certo punto lui si scosta da me e mi tira dal davanzale. Mi porta in camera sua e mi fa sedere sul suo letto, poi tira fuori un asciugamano e mi strizza i capelli. Prende una spazzola e me li pettina, anche se sono solo un cespuglio di rovi. Io mi lascio cadere sul letto senza neanche coprirmi e Edmund scivola accanto a me e mi abbraccia. Io poggio la testa sul suo petto, ancora bagnato e lui mi stringe forte a sé. Poi mi posa un bacio sulla fronte e ci addormentiamo così.

Apro gli occhi e scosto Edmund da me, prima di alzarmi dal letto e affacciarmi al balcone per guardare le stelle. Le lacrime riaffiorano agli occhi, ma io non le verso. Rimango con le braccia poggiate sulla ringhiera e gli occhi puntati al cielo.
E’ inutile guardare le stelle, si rimane delusi.
Sento un rumore dietro di me ed Edmund mi abbraccia, posandomi un bacio sulla guancia.
“Siamo ancora amici?”
Rido.
Non so perché lo faccio. Forse per scaricare la tensione.
“No”
Una sillaba.
“Te ne vai?”
Il suo tono è deluso. Punta i suoi occhi verso il cielo e tira su col naso.
“Sì”
Chiudo gli occhi e le stelle scompaiono.
“Mi mancherai. Ti voglio bene”
Scuoto la testa e mi allontano da lui.
“Io ti amo. Per questo devo andarmene”
Apro gli occhi e lo guardo. I suoi occhi sono puntati verso le stelle. Anche io le guardo.
Ma a guardarle si resta solo delusi.

   
 
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