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Autore: Flame Ettard    30/06/2014    3 recensioni
"Mentre lo creava, aveva sentito di aver costruito con lui un certo legame, nonostante lui non fosse ancora nato.
Lo sentiva come… un figlio.
Aveva scritto tutto minuziosamente nel suo diario: del Project Shadow, del suo obiettivo, di come procedeva, di ciò che sentiva…"
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gerald Robotnik, Shadow the Hedgehog
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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"La nostra vita non è nostra. Dal grembo alla tomba, siamo legati ad altri."
[Sonmi~451, Cloud Atlas]





Gerald quel giorno era giù di morale.
Fissava la Terra dalle grande vetrate dell’ARK. Quel pianeta azzurro, che da un po’ di tempo, a bordo di quella colonia spaziale, gli era sembrato così piccolo.
E pensare che lui era nato proprio lì, su quel pianeta, e lì, la Terra era sempre sembrata così dannatamente grande.
Eppure era là, a guardare da lontano quel pianeta.
Si carezzò ripetutamente i baffi candidi, segno che stava pensando intensamente a qualcosa.
L’ARK serviva anche a rallentare l’effetto della malattia dell’amata nipote, Maria. Ma non era abbastanza.
Aveva sempre pensato di cercarla, la cura. Ma le parole “malattia incurabile” sapevano buttar giù anche lui.
Però quel giorno, quel giorno in cui si sentiva particolarmente nostalgico, in cui tanti ricordi gli erano venuti in mente, in cui in sogno aveva rivisto il volto di sua figlia, la madre di Maria, che piangeva e gli chiedeva di salvare sua figlia, non si era dato pace.
I genitori di Maria, prima di morire, gli avevano chiesto di prenderla con sé, di guarirla. E lo scienziato aveva imparato ad amarla come una figlia.
Grazie all’ARK poteva tenerla più tempo con sé, era vero, ma l’idea che la ragazza potesse morire prima di lui l’aveva colto, gettandolo in una fitta oscurità e disperazione.
Cosa posso fare?” si era chiesto, “Devo cercare una cura. Ma da dove inizio? Sono uno scienziato, non un dottore.
Smise di camminare avanti e indietro nella stanza, per sedersi e incrociare le braccia.
Guardò per terra. Ah, Maria si era messa a disegnare e aveva lasciato colori e fogli lì per terra…si sorprese di non essersene accorto prima, e soprattutto, di non esserci inciampato sopra.
Maria aveva disegnato tante cose. Le piacevano soprattutto i soggetti naturali. Un albero, un fiore, un gatto, un…
Un porcospino?
Il professore si alzò, per poi chinarsi verso il pavimento e raccogliere quel disegno.
Era interessante come, pur non essendo mai stata sulla Terra che da neonata, guardando i libri cercasse di riprodurre quelle creature terrestri.
Fissò il riccio stilizzato che Maria aveva disegnato. L’immortalità. Era la parola che gli era rimbombata in testa, appena aveva visto il disegno.
Non che tra un porcospino e l’immortalità ci fosse qualche connessione, ma…



Era stata dura.
Creare un vero e proprio essere vivente immortale non era facile. Non era per niente facile.
Bisognava ricreare perfettamente la pelle, gli organi vitali, un po’ come se si stesse cucendo una bambola. Una bambola però molto realistica e vivente, con un cuore, delle emozioni…
Era complicato, farlo diventare come un essere umano, una cosa tanto imperfetta. Ed è difficile fare una cosa imperfetta di proposito.
Proprio per quello Gerald l’aveva creato imperfetto, immortale.
Ma un essere umano non poteva creare qualcosa di perfetto da solo.
Una lacrima di rabbia gli passò sulla guancia, mentre faceva gli ultimi ritocchi.
Chiedere l’aiuto di Black Doom era stata una cosa azzardata. Non voleva che la sua creazione fosse usato contro l’umanità.
Mentre lo creava, aveva sentito di aver costruito con lui un certo legame, nonostante lui non fosse ancora nato.
Lo sentiva come… un figlio.
Aveva scritto tutto minuziosamente nel suo diario: del Project Shadow, del suo obiettivo, di come procedeva, di ciò che sentiva…
Aveva già tutto pronto. Aveva registrato un video e costruito l’Eclipse Cannon. Pregò solamente che Shadow se la cavi.
Anche se non aveva dubbi. Era semplicemente perfetto.
Un sorriso sottile e una lacrima di commozione gli spuntarono sul volto, mentre fissava la sua creazione, finalmente pronta.
-Puoi aprire gli occhi.-
Sussurrò dolcemente, mentre il riccio nero spalancava gli occhi rossi.
Il dottore allargò il proprio sorriso.

-Buongiorno, figlio mio. Il tuo nome è…-




------------------ At the end of the nightmare -------------------

Perché nessuno pensa mai al legame tra questi due, nonostante Gerald chiami Shadow “figlio”? Insomma, è rididcolo!
*Sospirone* Anche se questo rende la storia di Shadow ancora più triste.
Spero vi sia piaciuta! uwu/
-Saw

 
   
 
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