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Autore: Lela_88    01/07/2014    4 recensioni
Nuova One shot sui nostri amici.
Un piccolo momento di quotidianità che spero possa lasciarvi un sorriso.
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: i personaggi non mi appartengono, tutto quello che scrivo è creato dalla mia mente e non a scopo di lucro.
 



 
 
 
 
 
 
 You see all my light...

 
 
 
 
Dopo essermi assicurato che nessuno mi abbia seguito, entro nella casa che, qui a Londra, condivido con Jude quando decido di soggiornare più tempo, rispetto le scappatelle che mi concedo tutte le volte che il desiderio di volerlo stringere si fa tanto forte da soffocarmi.
 
Pochissime persone –solo quelle a noi più vicine– sanno di questa piccola villetta nella periferia di Londra e speriamo che questa cosa rimanga segreta ancora per molto; ci divertiamo quando la gente fa ancora supposizioni su di noi, ma ci piace tenere la verità riservata; è già difficile camminare per strada e non essere fotografati tantissime volte, figuriamoci se permettessimo di farci vedere insieme: il delirio.
 
Da quando sono qui per girare alcune scene del nuovo film sugli Avengers, poi, credo di aver sviluppato una certa avversione verso i flash e i fastidiosissimi click delle macchine fotografiche: li sento ovunque, mi perseguitano.
 
Comunque, anche se è ancora presto – credo non siano nemmeno le sei del pomeriggio – sono stanchissimo e Jude non è ancora tornato; oggi aveva da fare con Rafferty e non sapeva quando si sarebbe liberato.
 
Mi tolgo il giacchettino e lo lancio, svogliatamente, sul primo ripiano libero nell’ingresso e mi vado a sedere sul divano. Dovrei fare una doccia, ma non mi sento molto bene, ho lasciato il set prima della fine delle riprese, proprio perché non ce la facevo più: mi gira la testa e in alcuni momenti mi sembra di non riuscire a reggermi in piedi. È iniziato tutto dopo pranzo: ho mangiato un panino –uno di quelli già confezionati – trovato nella zona dove solitamente ci ristoriamo noi addetti ai lavori.
 
Sbuffo e decido di stendermi, dopo che lo stomaco mi ha regalato una sospetta contrazione: ci manca solo che vomiti e il quadro è completo.
 
Porto una mano sotto la T-shirt, sull’addome, e inizio un leggero massaggio; chiudo gli occhi e li copro con l’altro braccio per ripararli da ogni spiraglio di luce, mentre provo a distrarmi. Voglio pensare a qualcosa di bello e rilassante, qualcosa che mi fa stare bene e in men che non si dica in quel buio, mi si para davanti il viso di Jude, ma non quel viso sempre magnifico e sorridente che regala a chiunque: è quello che riserva solo a me, più precisamente è il viso di quando facciamo l’amore. Il suo sguardo liquido e sensuale, che ha ogni volta che i nostri corpi si fondono, quella bocca oscenamente aperta per catturare tutta l’aria possibile, mentre si lascia scappare gemiti e ansiti che, insieme ai miei, riempiono il silenzio.
 
Mi lascio scappare un verso appagato e noto che il mio piano è riuscito alla perfezione: ce l’ho fatta, mi sono rilassato.
 
Ma il mio cervello non si accontenta e continua a lavorare, riportandomi a ieri, quando ci siamo svegliati nel cuore della notte, dopo esserci addormentati sul divano, e stanchi e indolenziti dalla pessima posizione, ci siamo alzati e trascinati in camera da letto; è lì che Jude mi ha stupito: mi si è avvicinato alle spalle, di soppiatto, prima che riuscissi a spogliarmi per mettermi a letto e ha iniziato a passare le mani sotto la mia maglietta, alternando carezze leggere e prese più forti, mentre si occupava di aggredire anche il mio collo. Quando Jude ha voglia di qualcosa, non c’è orario che tenga. Se la vuole, l’avrà.
 
Si è anche preoccupato di chiedermi quanto fossi stanco, prima di proseguire, sapendo benissimo che non mi sarei mai sottratto a quelle attenzioni e che sarei arrivato fino in fondo, perché solo io posso dargli quello che vuole.
 
 
 
 
Le immagini della notte precedente continuano a scorrermi sotto le palpebre e io faccio scivolare la mia mano, dallo stomaco al cavallo dei pantaloni, dove un sempre più evidente rigonfiamento chiede soddisfazione.
 
 
 
 
Mi tornano alla mente i sorrisi e gli sguardi complici – quelli che più mi mancano nei periodi che passiamo lontani – che si siamo lanciati mentre mi lasciavo sfilare la maglietta, ormai completamente arrotolata, intorno alle sue braccia sempre più prepotenti, e il suo sorriso soddisfatto, quando ho iniziato a partecipare a quel suo gioco sensuale.
 
 
 
 
Inizio a massaggiare la mia erezione ancora costretta cercando di resistere, perché il meglio deve ancora venire.
 
 
 
 
Mi ha spogliato e si è lasciato spogliare, poi, senza ulteriori indugi, abbiamo portato il tutto ad un livello superiore: si è steso portandomi con lui, accogliendomi tra le sue gambe mentre, famelici, cercavamo di baciare, mordere e leccare ogni parte dell’altro che avevamo a tiro, e non ricordo quanto tempo sia passato da tutto questo a quando le sue mani hanno iniziato a premere sul mio fondoschiena, mentre affondavo in lui che, aiutandosi con la retroflessione del bacino, agevolava i movimenti di entrambi.
 
 
 
 
Se mi concentro riesco a sentire l’eco dei nostri gemiti, anche adesso, come anche le sue mani; le sento di nuovo graffiare la mia pelle e risalire, con accurata lentezza, i miei fianchi, la mia schiena, fino ad arrivare alle mie spalle, per poi tornare leggermente giù e passare sotto le mie braccia tese, per non crollare su di lui, e raggiungere il mio petto. Graffiare anche quello e l’addome e poi, senza mai fermarsi, arrivare al mio viso per stringerlo con una mano e nascondere l’altra tra i miei capelli.
 
Sbottono il jeans, supero l’elastico dei boxer e intensifico il massaggio sulla mia erezione, mentre mi rivedo muovere la testa e mordere quella mano sul mio viso, solo per sentirlo gemere più forte: mi ha confessato che i morsi sulle mani lo eccitano e io sono qui per questo.
 
Sono quasi al limite e continuo a ripassare scena per scena la notte passata: rivedo Jude piegare la testa indietro sul cuscino e lasciare il suo splendido collo indifeso; mi rivedo attaccare quel collo e gemere incontrollatamente, quando un suono improvviso mi scaraventa brutalmente nella realtà.
 
 
 
 
 
 
Fermo la mia mano e la sfilo, colpevole, dai pantaloni, spalanco gli occhi e mi rimetto seduto come se avessi ricevuto una forte scossa: pessima, pessima mossa. Tra lo spavento e il brusco movimento, sento di nuovo quel senso di vertigine che ero riuscito a farmi passare.
 
Comunque mi rendo conto che è stato il mio cellulare a suonare, anzi, che suona ancora; mi allungo sul tavolino davanti al divano sul quale è poggiato –fortunatamente non devo alzarmi – e rispondo senza controllare, mentre torno a stendermi e a chiudere gli occhi.
 
«Pronto» parlo cercando di controllare la voce.
 
«Robert sono Chris» risponde una voce che, per il momento, non riesco a riconoscere –conosco più di un Chris.
 
«Chris Hemsworth» aggiunge ridendo, quando vede che non rispondo.
 
«Oddio scusa Chris, stavo riposando e sono un po’ frastornato» mento sulle mie reali condizioni.
 
«Scusami tu» ribatte dispiaciuto «non volevo disturbarti» si scusa ancora.
 
«Tranquillo» lo rassicuro «è successo qualcosa?» chiedo per capire il motivo della telefonata; non sono in vena di perdere tempo in convenevoli.
 
«No niente, ti stavo cercando sul set e mi hanno  detto che sei andato via perché non stavi bene, quindi ho pensato di telefonarti» spiega imbarazzato, ancora convinto di aver interrotto il mio sonno.
 
Riesco a concedermi un sorriso: «ti ringrazio per il pensiero, sei gentile… comunque credo si sia trattato di un calo di pressione. Ora sto meglio» dico un’altra bugia, non per cattiveria, ma non ho davvero voglia di parlare a telefono.
 
«Mi fa piacere» risponde tornando a rilassare il tono «ora ti lascio riposare».
 
Lo ringrazio ancora, chiudo la chiamata e spengo il cellulare: non sopporterei un’altra conversazione, ora voglio davvero provare a dormire e dimenticare il mio corpo.
 
 
 
 
 
 
 
 
Mi sveglio di soprassalto, dopo che la famosissima, nonché fastidiosissima, sensazione di precipitare nel vuoto è venuta a scuotere il mio divano: non so nemmeno se ho gridato, ma ho come l’impressione di averlo fatto.
 
Comunque, cerco di regolarizzare il respiro e chiudo gli occhi per provare a dormire ancora; non so quanto tempo sia passato, ma  non sono per niente soddisfatto dal riposo che avrebbe dovuto ristorarmi e, in più, noto che Jude non è ancora rientrato e sto iniziando a spazientirmi. Non per lui, se ha da fare non posso costringerlo a raggiungermi, poi sapeva  che ero sul set e io non gli ho mai dato un orario preciso in cui vederci… è solo che speravo di dormire quel tanto che bastasse per far scorrere il tempo più velocemente e, soprattutto, speravo di svegliarmi in una condizione migliore.
 
Sbuffo e una fitta all’addome mi fa mancare il respiro e mi costringe a riaprire gli occhi con urgenza: mi rendo conto che non posso più sottovalutare la cosa, quando, dopo aver spalancato le palpebre, mi è sembrato di veder il soffitto avvicinarsi, per poi ritornare al proprio posto.
 
Lamentandomi, riporto una mano sull’addome e strizzo gli occhi, premendo due dita sulla parte superiore del naso, ma quando un’altra contrazione mi strizza lo stomaco, non posso ignorarla: devo vomitare e devo anche fare presto a raggiungere il bagno.
 
Facendo il più in fretta possibile e soffocando un conato, mi fiondo nel bagno che, solitamente, usiamo per gli ospiti, al piano di sotto –salire le scale non se ne parla proprio – e mi  lancio sull’immacolata tazza del gabinetto. Ho il tempo di alzare la tavoletta e abbassare la testa, che tutto quello che ho nello stomaco si riversa.
 
Indebolito dallo sforzo, crollo inginocchiato sul pavimento e mi ritrovo abbracciato a quel pezzo di ceramica che adesso sembra una boa di salvataggio.
 
 
 
 
 
 
* * *
 
 
 
 
 
 
Parcheggio l’auto sul vialetto e, dopo averla spenta, mi prendo del tempo per rilassarmi. Da quando sono uscito di casa, stamattina presto, non mi sono fermato nemmeno un secondo: ho dovuto accompagnare mio figlio ad una sfilata prevista nel pomeriggio, ma ovviamente ci sono state milioni di cose da fare dal primo mattino. Non ho nemmeno avuto modo di salutare Robert come si deve, visto che quando sono uscito lui dormiva ancora.
 
A proposito di Robert, non ci siamo sentiti per tutto il giorno, ma suppongo che lui sia stato impegnato –e forse è tutt’ora impegnato – per le riprese del film. Prendo il cellulare e controllo se ci sono sue chiamate: niente.
 
Non posso sapere se è già qui, adesso, perché non viene con la sua auto, ma si fa accompagnare in taxi, quindi, a questo punto, o è ancora sul set, o non voleva disturbarmi sapendomi occupato, ed è molto probabile che, la risposta esatta, sia la seconda opzione, dato che sono stato il primo a non telefonargli.
 
Prendo  un bel respiro e finalmente, dopo anche la folle corsa fatta per tornare il prima possibile a casa, sento i nervi distendersi: il solo pensiero che questa giornata e finita e che ho qualcuno di speciale con cui passere la serata mi fa stare bene, soprattutto se la serata si concluderà come quella di ieri.
 
Raccolgo le mie cose e, sorridente, esco dalla macchina.
 
Appena apro la porta, vengo accolto dall’oscurità, ma c’è una cosa che mi fa capire che lui è in casa: il suo giacchettino gettato, come uno straccetto, sul tavolino all’ingresso. È una bruttissima abitudine, gli ho detto mille volte che abbiamo un apposito spazio dove sistemare i soprabiti, ma è più forte di lui, non riesce proprio a farlo.
 
Nonostante tutto mi ritrovo a sorridere addolcito, mentre prendo e poso il suo straccetto; è bello pensare come le nostre abitudini –che siano buone o cattive – facciano parte della vita dell’altro. Sa di quotidianità e, nonostante passino lunghi periodi in cui non ci vediamo, è bello sapere perfettamente cosa mi devo aspettare quando ce l’ho tra i piedi: per questo trovare un giacchettino, fastidiosamente stropicciato, dove non dovrebbe essere, mi fa sorridere, almeno internamente, perché poi glielo faccio sempre notare. Non mi arrendo: prima o poi imparerà.
 
 
 
 
 
Entro nel salone, illuminato solo dalla poca luce che arriva da fuori e lo trovo vuoto, ma i cuscini del divano sono tutti spostati e uno è addirittura a terra, quindi suppongo che qualcuno sia stato seduto, steso, o abbia fatto una guerra, qui.
 
Perplesso, accendo l’abat-jour per fare un po’ di luce e provvedo a sistemare anche questa zona, arrivando a pensare che Robert sia di sopra o che sia uscito senza dirmi niente.
 
Alzo il cuscino da terra e, alquanto irritato dalla mia ultima supposizione, lo lancio violentemente al suo posto, quando dal bagno arriva il rumore dello scarico; mi rilasso, è qui: anche se è insolito che usiamo questo bagno, avendo il nostro personale, ma forse non ha avuto tempo di scegliere.
 
Mi lascio cadere pesantemente sulla poltrona e aspetto che esca, ma nonostante abbia tirato lo sciacquone da un po’, non sento altri movimenti provenire da quella stanza. Preoccupato mi alzo e vado a vedere che succede.
 
La luce è accesa e la porta è socchiusa, mi sporgo leggermente per poter sentire qualsiasi rumore, e busso: «Rob sei qui?» chiedo ed in risposta mi arriva un lamento.
 
Senza pensarci due volte apro e vedo Robert seduto a terra, poggiato con la schiena al muro vicino al gabinetto; una gamba stesa in avanti e l’altra piegata, braccia a stringersi l’addome, pelle imperlata di sudore, occhi chiusi e testa buttata indietro.
 
«Oddio tesoro, cos’hai?» mi allarmo e, muovendomi velocemente, apro un cassetto e recupero un asciugamano. Lo bagno, elimino l’acqua in più e vado ad inginocchiarmi vicino a lui.
 
«Adesso passa» dico passandogli l’asciugamano sul viso e sul collo.
 
Sussulta al primo tocco, ma poi si rilassa e noto che prova piacere per la cosa; muove la testa cercando le mie carezze, ma non apre gli occhi.
 
Mi siedo al suo fianco e lui subito si adagia sul mio petto, mentre continuo a rinfrescargli il viso e faccio scorrere le dita tra i suoi capelli.
 
«Hey» sussurro «come ti senti?» chiedo ancora, sperando in una risposta.
 
«Non saprei» risponde a fatica e accompagnando il tutto con un espressione disgustata «ho lo stomaco in subbu-»
 
S’interrompe, scansa le mie braccia e si tuffa con la testa nella tazza per vomitare ancora; mi inginocchio dietro di lui e porto una mano a sostenergli la testa e l’altra sul petto.
 
Sembra abbia finito, respira affannosamente e poi si lascia cadere all’indietro; sotto al suo peso, finisco seduto sul pavimento con lui tra le braccia. Recupero l’asciugamano, gli pulisco la bocca e sposto i capelli dalla fronte sudata.
 
Si stringe a me e si lascia scappare un altro lamento.
 
 
 
 
«Ce la fai ad alzarti? Vorrei portarti di sopra, così ti stendi» propongo, quando vedo che si è rilassato un po’.
 
«Proviamoci» dice con voce rauca «voglio prima sciacquare la bocca e lavarmi i denti» aggiunge.
 
«Vuoi fare tutto ad occhi chiusi?» domando notando la sua poca collaborazione.
 
«Non vorrei rivedere il soffitto, o qualche altra cosa, venirmi in faccia» risponde enigmatico.
 
«Cosa?» chiedo, credendo di aver sentito male.
 
Fa una piccola risata: «niente, mi gira la testa ed ho come l’impressione che le cose si muovano» chiarisce, la sua affermazione precedente.
 
Conosco la sensazione, e non è per niente piacevole: «va bene, reggiti a me e quando siamo in piedi prova ad aprirli, se non ce la fai ti porto io. Non ti preoccupare, non lascerò che tu cada» lo rassicuro, mentre lo aiuto ad alzarsi.
 
Ride di nuovo: «non avevo dubbi».
 
 
 
Siamo di nuovo in posizione eretta, con un suo braccio intorno alle mie spalle ed un mio saldamente stretto al suo fianco.
 
Apre, lentamente, gli occhi.
 
«Allora, ce la fai?» chiedo ancora.
 
«Vedo sfocato» risponde con calma.
 
«Tesoro, quello è perché sei una talpa» lo prendo in giro, ridendo.
 
Poggia la fronte sulla mia tempia: «non approfittare della mia debolezza» dice anche lui divertito «comunque va meglio, ma tu non lasciarmi lo stesso» sussurra.
 
«Non lo avrei mai fatto» sussurro anch’io, dandogli un bacio tra i capelli.
 
 
 
Lo accompagno al lavandino, lo aiuto a sistemarsi, e aspetto, che finisca; sembra si stia riprendendo – anche se è ancora molto pallido – ma quando rialza la testa, ha un nuovo sbandamento, ed è costretto a richiudere gli occhi e aggrapparsi a me.
 
Dispiaciuto per non poter fare di più, lo stringo a me: «adesso passa» bisbiglio «adesso passa» ripeto, ricevendo in risposta un lamento soffocato sulla mia spalla.
 
 
 
 
 
 
 
 
Con fatica riusciamo a raggiungere la nostra camera: «stenditi, io arrivo subito» dico lasciandolo seduto sul letto, e vado in bagno, riempio un recipiente di acqua fresca, recupero una nuova pezza per l’impacco e  torno da Robert; lo trovo ancora seduto, intento a spogliarsi, ma tutto quello che è riuscito a fare è stato scalciare via le scarpe e sfilare un solo braccio dalla maglietta: è troppo debole e ogni movimento gli costa fatica.
 
«Aspetta che ti do una mano».
 
Lascio quello che ho in mano sul comodino e riprendo da dove lui ha lasciato: la maglietta. Gliela sfilo e un flashback di quello che è successo ieri notte viene a farmi visita. Vorrei tanto che fosse per lo stesso motivo, il mio doverlo spogliare. Mi spiace vederlo così.
 
«Non potevi metterti sotto le coperte e basta?» chiedo leggermente irritato, mentre mi occupo anche dei pantaloni.
 
«Sono sudato e questi vestiti mi si erano incollati addosso, per non parlare del fatto che sono stato steso sul pavimento di un cesso; lo sai che non sopporto andare a letto con quello che indosso fuori casa» dice stanco, trascinandosi sotto le coperte.
 
Sospiro rassegnato : «sì lo so».
 
Ecco Robert, colui che non si cura di sistemare un giacchettino, ma poi guai se ci si stende tra le lenzuola con i vestiti indossati per uscire. Scuto la testa pensando che non potrei fare più a meno delle sue stranezze: amo anche quelle.
 
«Cosa pensi?» chiede guardandomi dal basso; ero convinto avesse gli occhi chiusi.
 
«A quanto tu possa essere irritante…» dico guadagnandomi un occhiataccia «e a quanto ti ami nonostante tutto» aggiungo prima che si offenda sul serio.
 
«Ti sei salvato per un pelo» allunga un braccio nella mia direzione «vieni qui» m’invita al suo fianco.
 
Non appena mi siedo e inizio a carezzargli i capelli, si rilassa, e io sono contento di vedere che ha ripreso un po’ di colore.
 
«Come ti senti?»
 
«Come se tutti gli organi che sono qui» si tocca l’addome «stessero lottando per uscire tutti insieme».
 
«Un’immagine molto suggestiva, grazie» arriccio il naso «mi bastava che tu dicessi nauseato. Mi sarei accontentato lo stesso» dico facendolo ridere.
 
«Amore, non farmi sprecare energie» fa scemare la risata e, sospirando, si rannicchia per portare la testa sulle mie gambe.
 
«Credi si tratti di influenza?» domando e, mentre aspetto la sua risposta, bagno la pezzetta e gliela poggio sulla fronte.
 
Fa un verso di piacere: «non ti arrabbiare, ma credo sia tutta colpa di un sandwich, di dubbia provenienza, mangiato a pranzo» risponde con superficialità.
 
Chiudo gli occhi e cerco di prenderla con filosofia: «e perché mai dovrei arrabbiarmi se il mio compagno decide di avvelenarsi, mangiando qualsiasi cosa gli capiti a tiro?» dico sarcasticamente.
 
«Non è che l’ho fatto di proposito» sbuffa tornando a stendersi normalmente.
 
«Hai ragione» mi arrendo e sistemo di nuovo la pezza sulla sua fronte, cadutagli nello spostamento «vado a prepararti un tè al limone, ti aiuterà ad alleviare il senso di nausea».
 
Sto per alzarmi, ma lui mi trattiene per un polso: «scusa, davvero, avrei dovuto fare più attenzione» dice guardandomi con gli occhi lucidi: quando non sta bene il suo sguardo sembra ancora più dolce.
 
Ritorno seduto e mi sporgo verso di lui per lasciargli un bacio –è il primo di questa giornata: «non sono arrabbiato, ma è vero, avresti dovuto fare più attenzione» sussurro sulle sue labbra.
 
Sorride e ricattura le mie labbra: «ti amo».
 
«Io no» lo prendo in giro e ridiamo insieme: «dai fammi andare, quel tè non si prepara da solo».
 
«Sicuro che vada bene?» chiede scettico, liberando la mia mano
 
«Fidati di me» gli faccio l’occhiolino ed esco, non prima di avergli sentito dire: mi fido sempre di te.
 
 
 
 
 
 
* * *
 
 
 
 
 
Apro gli occhi, è giorno.
 
Le prime cose che vedo sono: una pezza, ormai asciutta, poggiata sul mio cuscino, un piattino con una tazza che ieri ha ospitato il mio tè e, infine,  il mio cellulare, poggiati sul comodino.
 
Mi muovo lentamente e noto che, a parte un po’ di debolezza, non ho altri fastidi e devo ringraziare Jude per tutto questo. Jude che si è addormentato tenendomi stretto e che ora dorme ancora, con la testa poggiata alla mia schiena; mi giro completamente per poterlo guardare e mi tornano in mente le sue parole di ieri, quando ha detto di amarmi nonostante le mie particolarità. Non credo ci sia niente di più bello: abbiamo imparato a conoscere e ad amare tutti i nostri difetti, dopo aver conosciuto le parti migliori di noi e, dopo tutto, siamo ancora qui.
 
Voglio svegliarlo, ma prima devo fare un’altra cosa: allungo un braccio all’indietro e prendo il mio telefonino e, dopo averlo acceso, mando un messaggio al mio regista, dove lo informo che non sto ancora bene e che per oggi non andrò sul set. Lo spengo di nuovo, senza curarmi di una probabile risposta e ritorno a prestare la mia attenzione all’unico che la merita.
 
«Jude sei sveglio?» bisbiglio strofinando il mio naso sul suo.
 
Fa un verso dolcissimo, muove la testa come infastidito, ma non apre gli occhi. Ovviamente non mi arrendo.
 
«Amore svegliati» cantileno e, questa volta, spingo la mia fronte sulla sua con più insistenza.
 
Si sposta, ma finalmente apre gli occhi: «che succede?» chiede teneramente disorientato e poi mi guarda «ti senti male?» chiede allarmato, per poi tornare confuso quando inizio a ridere.
 
Tira il cuscino da sotto la sua testa e me lo lancia in faccia: «sei uno stronzo, fammi dormire» farfuglia girandosi di spalle.
 
Me lo tiro contro e inizio a lasciargli piccoli baci sulle spalle, ma lui fa finta di resistere: «che vuoi?» chiede iniziando a cedere.
 
«Tutto» rispondo direttamente nel suo orecchio e poi gli mordo il lobo «prima di tutto ho bisogno di una doccia, ma non so se riesco a stare in piedi da solo: mi faresti compagnia?» propongo maliziosamente.
 
«Se devi fare una doccia perché hai deciso di andare sul set, nonostante io non sia d’accordo, puoi farla anche da solo» risponde ostile, anche se la sua pelle non lo è, sotto i miei tocchi.
 
Rido di nuovo, è inevitabile: «come potrei uscire di casa se sono così debole? Ho ancora bisogno delle cure del mio infermiere personale preferito» gioco bene le mie carte e lui si gira a guardarmi, trovando il mio miglior sguardo da cucciolo ad aspettarlo.
 
«Sei un figlio di puttana» ride, mi allontana e poi si alza per correre in bagno, spogliandosi lungo il  breve tragitto: «che fai, non vieni?» urla dall’altra stanza e lancia l’ultimo indumento che aveva ancora addosso: i boxer.
 
Inizio seriamente ad eccitarmi: «e poi sarei io lo stronzo» rispondo, mentre mi alzo sperando che niente rovini questo momento; constatato che riesco a stare in piedi senza problemi, entro in bagno mentre lui inizia a far scorrere l’acqua.
 
Dalla sua posizione non può vedermi, mi libero anche io dei miei boxer e lo raggiungo proprio quando si gira: «se non ti muo-»
 
«Sono già qui» lo interrompo e lo spingo nella cabina, aggredendo le sue labbra, chiudendoci dentro.
 
Iniziamo  a ridere come due ragazzini e posso affermare con sicurezza di non essermi mai sentito meglio.
 

 
 
 
 
…and you love my dark
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Nda: una delle mie classiche shot senza pretese ^_^ iniziata quando ho saputo che Robert era a Londra, e conclusa dopo aver partecipato al Gay Pride a Milano, quindi perdonate la sdolcinatezza di alcuni punti, ma i miei feelings sono ancora sottosopra xD
Ringrazio Swan74 per quella magnifica giornata e dedico a lei questa shottina ♥
E ringrazio di tutto cuore la dolcissima Walking_Disaster per aver betato ♥
 
Vabbuò, vi lascio e ringrazio in anticipo chiunque leggerà e dirà la sua, ma anche chi, semplicemente, passerà e darà un’occhiata.
Lela
 
Ps: non sarei io se non mi rifaccessi a qualche canzone :P questa volta si tratta di Everything di Alanis Morissette… e niente, credo che le frasi che ho messo all’inizio e alla fine, vadano bene per loro ♥
   
 
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