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Autore: Cassie chan    01/07/2014    7 recensioni
MISSING MOMENT DI HAVE A LITTLE FAIRY TALE
Da "While you were sleeping" Draco Malfoy sembrava andare a fuoco, sembrava che si stesse consumando. Di dolore, di angoscia, odiava sé stesso, come mai prima d’ora. Aveva dimenticato Potter, c’era solo lui e il fantasma di Hermione Granger attorno a lui. Harry, a fatica, distinse l’ultimo respiro che articolava in suoni: “Stanotte ho fatto l’amore con Astoria, pensando a lei… me la sono sentita dentro, come se fosse mia… Potter, non posso sopportare che muoia… e vorrei soltanto che la portassi via da qui…”.
Cosa è successo la notte prima della conversazione tra Draco ed Harry.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass, Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'THE "HAVE A LITTLE FAIRY TALE" SAGA. '
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Questa storia nasce su una canzone. Anzi su una musica. Questa: http://www.youtube.com/watch?v=QgaTQ5-XfMM

Dedico questa storia a tutte le ragazze del gruppo di Have a little fairy tale, per essere le pazze scatenate che sono. E per essere la forza in sottofondo per imbarcarmi sempre in cose del genere.

 

Ha l’odore del suo sangue, addosso.

Ce l’ha da una settimana piantato dentro: staziona, vegeta, alberga come un presagio sottile che non si può estirpare, neanche provandoci, neanche volendo.

Si lava spesso le mani, sfrega le dita sotto il getto gelido dell’acqua, facendole diventare livide e bianche.

Draco ha persino l’impressione confusa che sia allora il suo di sangue che prema per uscire, forzando la barriera impercettibile della pelle.

Ma, invece del suo di sangue, puro, innocente, virginale di colpe, in compenso allora filtra l’odore del sangue di lei.

Affama, asseta, come se lui fosse diventato un mostro della notte, dalle zanne aguzze, voglioso solo di purpureo liquido tra i denti e sulla lingua.

Sa di che sa il sangue: rame, sale, ferro. Acre, mortifero disgusto, ogni volta che ci pensa.

Per logica, a logica, ma lui la logica ormai non la conosce… il sangue di Hermione Granger dovrebbe essere preannunciato da un tanfo insopportabile, da un miasma velenoso, dal più insopportabile e suppurante degli odori.

È sangue impuro, direbbe qualcuno ormai vite fa.

È sangue e basta, direbbe lui adesso, che di sangue per una vita intera ne ha visto anche troppo.

Ed invece il sangue di lei, incastrato sotto le unghie, nella piega delle falangi, nella curva tra pollice ed indice, e gratta, sfrega, mastica di cura le sue mani, e quello non se ne va, anzi rimane, anzi resiste, anzi lo sorprende ad alitare accanto, mentre distratto si porta una mano sotto il mento e resta a fissare l’assente, a cui poi lo strappa il presente, quel presente… il sangue di lei…  ebbene il sangue di Hermione Granger è diverso. Come lei è diversa: ed alla fine è assioma scontato, conseguenza indubitabile; della diversità lei vive e si nutre. E quindi anche il suo sangue è diverso.

Profuma dolce di promesse, come vaniglia e tè nero.

 

 

Lei dorme, come una principessa, e lei delle principesse non ha mai avuto niente.

Forse non avrà mai niente.

Quindi, per logica, a logica, ma lui la logica ormai non la conosce… il sonno di Hermione Granger non può essere quello di un’eterea creatura delle fiabe, ma solo quello invece accattivante e ghermente di una morte sempre più vicina. Una pozione non presa, dimenticata. Uno squarcio nell’addome… e poi tutto quel sangue … ed è così vicina ad andarsene che Draco Malfoy si chiede se ci sia mai stata davvero.

Succede sempre con le persone così rumorose, anzi con le donne così rumorose, perché dire donna è già dire un po’ di quell’assordante fracasso che ti stampano nel cervello solo passandoti accanto con la grazia innata di un tifone: e quando per un po’ ti abitui a quel sottofondo di fruscio costante, ecco che loro, per dispetto, te lo negano.

Come il gioco che fai per noia ad un bambino: ti ho preso il naso.

In un paio di mosse da prestigiatore che in realtà sono solo trucchi di quint’ordine, una cosa che avevi sempre sotto gli occhi e che davi drammaticamente per scontata, sparisce in un puff esagerato e grottesco.

Così era accaduto a lui con tutta quella schiera di suoni, che provenivano da lei.

Puff.

E tutto era scomparso, senza neanche l’eco ingannatore dei lustrini di un ciarlatano da strapazzo che dice che la magia è perfettamente riuscita.

Avrebbe persino sospirato di sollievo, allargando le braccia e imprecando soddisfatto, se non fosse stato che, sconfitti i suoni, il silenzio non era affatto tornato quello che era sempre stato.

Da amico, dopo essere stato tradito e scomunicato, si era trasformato in un sinistro assassino, trasformando le ore dilatate di rimorsi in poltiglia soffocante alle sue stesse orecchie.

E lui non si meritava questo trattamento. Insomma, aveva sempre ricoperto il silenzio di ogni lode ed onore, garantendogli esclusività e fiducia all’interno della sua vita, trattandolo con la confidenza confortante di un vecchio amico. Aveva persino ammantato il respiro di Serenity e i suoi pianti da bambina in una forma che non fosse del tutto a lui sgradita.

Ebbene, non era bastato.

Perché il silenzio odiava Hermione Granger, ed Hermione Granger odiava il silenzio.

Si erano sempre trovati antipatici.

Ed adesso il silenzio stesso, libero da quella smania dialettica che lei aveva per ogni cosa, così tesa ad argomentare sempre nella maniera più ineccepibile possibile, libero da quella selva di gesti sempre malaccorti e distratti così da ripetersi decine di volte nella sua testa… ecco, adesso, il silenzio sembrava dirgli “eccomi di nuovo qui, ma non sarà mai più la stessa cosa tra me e te”.

Draco, allora, seduto in una sedia del corridoio, la luce spenta, il respiro quasi assente, ringrazia perlomeno che ci siano gli amici idioti della Granger a farle da corona e contorno. Almeno il silenzio si accuccia in un angolo, come in castigo, come un bambino scornato.

Però la notte se ne vanno. La lasciano da sola, a dormire in una stanza come una principessa in una selva di rovi, che però mai si sveglierà. Resterà muta per sempre.

Il silenzio grava, pesa, schiaccia. Lo blocca nel letto ad occhi aperti.

Quindi si rassegna ad alzarsi, a passare la notte nel corridoio che unisce la parte di appartamento sua a quella di Seth. Le braccia conserte, gli occhi socchiusi, la posa di chi fa la guardia, la noia di chi è semplicemente insonne da una settimana. Dalla porta chiusa, distingue un respiro.

Non sa neanche come fa.

Un respiro spezzato, rantolato, quasi impercettibile. Ma che ancora c’è.

E con quel respiro nelle orecchie, un po’ si addormenta.

Un po’, ma non dorme mai: nella testa non fa altro che sentire i passi sempre troppo pesanti che aveva lei, le parole sempre troppo urlate che aveva lei, i respiri sempre troppo trattenuti che aveva lei, le risate sempre troppo precoci che aveva lei.

E tutto batte, batte, batte. E non lo lascia mai in pace.

Persino il sangue ha una voce.

Ce l’ha pure il sangue, e ci mancherebbe che di Hermione Granger non parli anche il sangue.

Ha una voce lieve, sottile, da morto.

Ha una voce dolce, di tè nero e vaniglia, e dice in un bisbiglio: “Stavi solo recitando?”.

 

Stavi solo recitando?

Se dovesse morire, saranno state queste le sue ultime parole. A lui, a Draco Malfoy.

Gli viene da ridere, si trattiene nel buio: se un giorno ci sarà un libro di storia che riporterà la morte ingloriosa di Hermione Granger, allora ci sarà lo spazio di una nota a margine per raccontare che ha parlato per l’ultima volta proprio a Draco Malfoy, che fingeva di essere babbano e fingeva anche di essere occupato.

Strizza gli occhi, si stropiccia le palpebre con il dorso della mano, così da non sentire profumi molesti.

O ha parlato ancora? Ha detto altro? Ci ripensa senza necessità apparente, in fondo non è che gli importi tanto: è solo una maledetta notte insonne come ce ne sono state a bizzeffe, e come sempre ci saranno. Alla fine, nelle notti insonni, i pensieri idioti sono biglie colorate con cui dilettarsi, infantili imbecilli, fino all’alba. Più sono inutili, meglio è: meno ti ricordano perché sei sveglio.

E lui, Draco Malfoy, è sempre rimasto sveglio per Helena Jasmine Greengrass.

Sarà così anche stavolta, no?

È anche meglio, quindi, distrarsi adesso con le parole da moribonda di Hermione Jane Granger, pur di non ripensare a quelle vere che la donna amata ha detto, bruciando come foglia secca un anno prima.

Seduto su quella sedia del corridoio, la testa reclinata indietro, gli occhi catturati dai riflessi di luce morta del lucernario spento, sente l’eco di quelle parole dilatarsi nella sua testa come se fossero elastici sotto tensione. Stavi solo recitando? Ha detto altre parole a qualcuno? L’ha sentita parlare con qualcun altro, prima di svenire? Certo che no. Era con lui, quando ha perso i sensi.

Era con me quando ha perso i sensi, con le labbra appena dischiuse come se stesse per dire qualcosa, e prendeva fiato, respirava forte, sospirava rumorosamente che in silenzio non ci sa stare, ed allora respirava forte da quelle labbra rosse di sangue che avevo appena finito di baciare, quelle labbra che sanno di vaniglia e tè nero.

Draco sobbalza, si tira a sedere, trova la quadra del cerchio. Sgrana gli occhi nel buio.

Non è il sangue. Non è il sangue che non se ne va.

È lei. È lei che non se ne va.

 

La sua camera, dopo il buio del corridoio, sembra un palcoscenico con la luce piantata in faccia. Una luce molesta, irritante, fastidiosa, che gli brucia le iridi. E che in realtà è solo una minuscola lama contro l’oscurità, proveniente dalla lampada sul comodino.

Draco si getta sul letto ancora vestito, sfilandosi le scarpe senza slacciarle. Si guarda attorno, la stanza sembra estranea, ogni cosa sembra avere un’ombra pronta a divorarlo.

La culla di Serenity è vuota, la bimba dorme da Seth: si sentiva solo, senza la Granger.

Draco respira, chiude gli occhi, respira ancora profondamente, cercando di disincagliare la mente dalle secche in cui è naufragata. Il respiro, però, è sempre troppo veloce, ansante, agitato. È davvero possibile respirare così forte, e non stare soffocando? E il cuore… si porta una mano distratta sul torace… il cuore… chi si ricordava che potesse raggiungere quella velocità. Sbatte contro le costole come una bestia in gabbia, con la bava alla bocca e gli occhi ciechi.

Si alza da letto, apre una scatola rossa che sa di ciliegia. Fruga, scava, cerca, sposta. E poi la trova.

La foto di Helena. Occhi di mare, viso di terra bruciata, lei che se ne vola alla vigilia di Natale.

Tutto si ghiaccia, tutto agghiaccia… anche il cuore. E può riprendere a pensare con calma.

Si stende di nuovo pigramente sul letto, un braccio piegato sugli occhi, spegne la luce, trova di nuovo un’inspirazione normale. Piano, con calma. Non farti prendere dall’ansia per queste stronzate.

Pensa ad Helena, pensa a com’è morta. Niente, mai niente, sarà così.

Provare… altro… per altro… è un insulto a lei.

Respira ancora, i polmoni non sono mai sazi.

Che non vuole che la Granger muoia ci può stare.

A logica, per logica, anche se lui la logica ormai non la conosce… l’interesse alla sopravvivenza di Hermione Granger ci può anche stare. Vive lì da qualche mese, è una sua dipendente, ha ammesso che non lo odia, lui ha fatto altrettanto, non aveva alcuna responsabilità né nella morte dei suoi, né in quella di Helena ed Amos. La pietà umana è un sentimento a cui difficilmente ci si può sottrarre.

Neanche lui può, anche con tutte le sue approssimazioni per difetto delle emozioni.

A rifletterci, forse la stima pure. La Granger, insomma.

Hermione Granger, d’altronde, è una donna che non cade mai, che non si piega mai, che si rialza sempre, che giace sempre nelle coltri perfette di un’invulnerabilità esibita e cesellata ad arte.

Di donne così, non ne ha mai conosciuto nessuna. È una novità.

Sua madre piangeva. Helena piangeva. Astoria piange.

La Granger pure piange, ma solo se la baci e lei non vuole, ma non riesce a scacciarti via perché sta morendo, e poi le tocchi la guancia, e le sfiori solo le labbra, ed allenti la presa, e lei non piange più, si lascia baciare, se ne sta tra le tue braccia come se ci fosse nata dentro, e non piange più.

La Granger pure piange, ma solo se ti chiede morendo, prima di morire davvero di uno squarcio nell’addome: “Stavi solo recitando?”.

Come andare sott’acqua, come perdere contatto con l’ossigeno, come costringersi a saturarsi di vaniglia e tè nero: riafferra la foto di Helena dal comodino, la guarda ancora, confonde l’odore di ciliegia con quello della Granger, che non sa come e non sa perché, non è risorto dalle mani, ma da qualcos’altro.

Solo dai pensieri. Solo da essermi ricordato che l’ho baciata.

Solo da essermi ricordato che ho desiderato che volesse baciarmi.

Chiude la foto di Helena in un cassetto, bestemmia tra sé e sé, inforca la porta ed esce.

Deve finire, deve smetterla.

Sa esattamente come farla smettere.

 

Astoria non sapeva che sarebbe arrivato, non lo stava aspettando.

Le aveva detto chiaramente che non sapeva quando si sarebbero rivisti, che c’era troppa gente al Petite Peste, che se ne doveva stare buona nell’appartamento al 76 di Lancaster Road, facendosi vedere il meno possibile e fingendo che avesse ancora la varicella.

Non lo stava aspettando, ma, a dirla tutta, lei non l’aspettava mai.

Ma era sempre pronta: alle tre di quella notte, come alle tre di tantissime altre notti.

Aveva il viso truccato in modo leggero, i capelli ben pettinati sulle spalle, il corpo morbido fasciato in una camicia da notte di raso azzurro.

Quando lo vede davanti alla porta, mentre ansima – e non so più perché dannazione non riesco a respirare, per la corsa, per la stanchezza, per il sonno, per questo odore che non se ne va mai - , Astoria semplicemente sospira, piega la testa di lato e muove con finta distrazione i capelli biondi, liberando un’ondata di costoso profumo alla lavanda e giglio, che, confondendolo, gli cancella i pensieri.

Perché Astoria non lo aspetta mai, ma è sempre pronta.

Pronta a fare la sua parte fino in fondo.

Non fa nemmeno in tempo a chiudere la porta, che le è già addosso. Non vuole arrivare fino alla camera da letto, non gli importa, va bene anche quel maledetto divano che gli spacca la schiena e che cigola un po’. Astoria sospira ancora e ha un dannato sorriso da incantatrice che vuole solo strapparle dalla faccia a suon di morsi, sputi, dileggi. È il solo momento in cui ho bisogno di lei.

La carne è debole, la carne degli uomini è peggio, e dello spirito non ne vuole neanche stare a parlare. È aria, fiato, vento, e chissà dove diamine se n’è andato.

La stende con violenza sul divano, non si preoccupa di non gravarle addosso, le morde la pelle del collo con ingordigia, rabbrividendo ed arricciando il naso per quel profumo fastidioso. Ogni cosa è meglio. Astoria geme, gli passa le mani voraci sulla schiena, solleva la sua maglia liberando il torace, si avvicina con le labbra dischiuse e la lingua scattante. Non ci sta mai ad essere solo comparsa, deve fare sempre la prima attrice, sennò non è contenta. Draco le prende i polsi, la tira disgustato indietro, la allontana da sé, sospingendola in basso. Non mi toccare, dannata puttana.

Astoria ride di cuore, facendogli drizzare i capelli, scambia sempre quell’approccio con bramosia, desiderio, passione. Già si vede indorata di una fede al dito e rinverginata da un abito bianco, mentre si fa aprire ancora, indossando il cognome Malfoy.

E Draco invece, più ci pensa, più vuole solo vomitare.

Le mani si avventurano leste e rapaci sulle gambe, giocando con la pelle tenera dell’interno delle cosce, tende con le dita la biancheria, gliela strapperebbe di dosso solo per farla finita.

Ma poi lei ancora riderebbe, lei ancora si sentirebbe voluta, lei ancora sarebbe padrona e regina. E quindi si impone calma, si impone gelo, si impone sufficienza, si impone sofferenza, si impone di spingere lei e lui al limite, così da punire sé stesso per la sua debolezza e lei per la sua sola esistenza.

Le apre di scatto la vestaglia, lo accolgono le trine e i merletti di un baby doll color blu notte.

Le puttane sono sempre pronte. Non ti aspettano mai. Ma non hanno storia, futuro e incombenze, oltre il punto preciso del tempo in cui tu le chiami, le prendi dai capelli e te le scopi su un divano vecchio.

Nel resto del tempo, forse, neanche esistono.

Si tuffa a lambirle con la lingua il collo, ancora quell’olezzo odioso, e lei ancora ride, trema la carotide, tremano le mani lungo le linee dell’addome, tremano le gambe già artigliate attorno ai suoi fianchi. Draco vede solo biondo, vede solo slavato ostaggio di luce negli occhi. Vuole buio, oscurità, morbida notte, e quindi impreca mentalmente, freme, fa stridere i denti, spinge con i fianchi inutilmente, facendole solo male, essendo ancora vestito di tutto punto, solo con la maglia un po’ sollevata. Astoria fa per un attimo forza per sfilargliela, lui la sospinge ancora in basso, lei ride ancora. Ed, armata di potere, resa signora da quel corpo che lui sta per prendere come già ha fatto decine di volte, riottoso e colpevole, si sporge felina e maliziosa, cercando un bacio dalle sue labbra.

Draco si ritrae, si spinge indietro, la guarda come guarderebbe un insetto. Ancora respira a fatica, ancora ansima, ancora non riesce a prendere fiato, e non c’entra la corsa, non c’entra il sesso, non c’entra la voglia, e non c’entra neanche lei.

Le puttane non si baciano. Non te l’ha mai detto nessuno?

Astoria piega ancora la testa di lato, ride ancora, perché lo conosce e sa anche questo. Piuttosto, veloce, fa scorrere la lingua sui denti provocandolo ed accarezza i suoi fianchi con la gamba nuda, spingendolo a continuare. Lei non ha mai saputo che farsene dei baci, basta che la prende su un divano ed allora è contenta. Di fondo, sa che l’unica che lui baciava era Helena, ma era sua sorella, quindi una parte di lei è convinta che il sangue lo porterà, un giorno, a baciare anche lei.

Draco sente l’eco del vomito in bocca, non ce la può fare, non può continuare se la guarda ancora. Estrae la bacchetta dai pantaloni, se la punta contro gli occhi, non dopo aver finto un movimento più complesso che lei interpreti come un incantesimo contraccettivo.

Le puttane neanche pensano. Sei sterile, sei inutile. Perché dovrei aver bisogno di un incantesimo di contraccezione? Per eccesso di zelo? E neanche quello ti ferisce, neanche quello ti fa smettere di ridere? Iena, cagna, mostro.

Non ti uccide che mi va bene anche un incanto complicato ed inutile, pur di non avere un figlio da te?

Nei denti stretti di Draco, però, non scivola quella formula.

Ne scivola un’altra.

Un inganno. Per sé.

Imago cupidatis.  

Ha scoperto quell’incantesimo a diciotto anni, scritto su un libro della libreria di casa sua. Scritto in calce, in grassetto, con una grafia veloce e disordinata. Una piccola descrizione: durante l’amplesso, dà forma dell’oggetto del desideri ad un qualsiasi soggetto, ingannando in tutti e cinque i sensi solo l’amante che compie l’incanto. Usato dai soldati di guerra per rievocare le mogli.  

Se ne era scordato. Se n’è ricordato la prima volta che ha avuto Astoria ed ha vomitato per ore nella sua stanza. Non tradisce Helena così, lei compare, ha lo stesso odore, lo stesso corpo, gli stessi indumenti, le stesse parole, gli stessi gemiti nelle orecchie che aveva da viva.

Lui sta bene, Astoria non si accorge di niente, neanche se la chiama Helena.

Anche allora Astoria si dice ridendo che tanto quella era sua sorella.

Il sangue, infine, lo chiamerà a lei.

E lui ride da solo, poi, mentre si fa la doccia, sapendo che neanche quella soddisfazione le dà e pregustando il momento in cui le negherà anche le nozze.

Di quell’insano incanto, vive e prospera persino per giorni, mangiandosi la soddisfazione che Astoria ha sul viso con l’acre consapevolezza di prenderla in giro.

Pregusta già l’infame pasto della creduloneria cruda della Greengrass superstite, compie perfetta la torsione del polso, chiude gli occhi, sapendo di dovergli riaprire solo dopo qualche secondo dopo, per non essere accecato dallo sfarfallio dell’aspetto di lei che cambia, diventando Helena.

Gli verranno le lacrime agli occhi guardandola, e poi lei piangerà a sua volta, come piangeva sempre.

La prenderà con rabbia, perché è morta e non c’è più, scavandole la pelle di graffi alla ricerca di salvezza. E le tapperà la bocca al momento dell’orgasmo, temendo che la sua voce si spezzi e somigli a quella di Astoria. Starà bene, così, per un giorno o due.

Un giorno o due di benessere e magari anche di sonno, adesso sarebbe una manna.

Riapre gli occhi con lentezza, temendo che l’incantesimo non abbia ancora avuto effetto. Ed invece ha avuto effetto, alla grande. Meglio di qualsiasi altra volta.

L’immagine è così perfetta, reale, che il cuore gli schizza in gola e rischia di soffocare sul serio adesso.

Ancora avvolta da un vestito turchese da principessa, non sporco di sangue, i capelli castani sparsi a corona sul cuscino del divano, gli occhi d’oro brunito dolcemente nei suoi, lei lo guarda con le labbra dischiuse ed una domanda sospesa tra i denti: “Stavi solo recitando?”. 

Sotto di lui non c’è Helena Jasmine Greengrass.

C’è Hermione Jane Granger.

 

Cerca di scappare, ovvio. Cerca di alzarsi e di andarsene, terrorizzato, atterrito, spaventato. Il sudore freddo scivola sulla schiena, sugli occhi, tra i capelli, nello spazio della mente che la guarda restare lì, immobile, sotto di lui. L’odore di vaniglia e tè nero è così forte adesso, che ignorarlo non è più possibile, neanche per scherzo, neanche per ipotesi, neanche per fingere la logica che ormai non ha.

Lei non fa niente per fermarlo, lei non ride, lei non sorride.

Si solleva lievemente sul busto, mentre lui ancora sta cercando di alzarsi, di recuperare la bacchetta, di andare via. E lo ferma, lo immobilizza, improvvisamente non saprebbe muoversi neanche volendo, solo perché lo guarda, solo perché sta lì, solo perché lo implora con lo sguardo.

Hermione chiude gli occhi, poggia la fronte sulla sua, gli porta una mano sul viso. Una mano calda, morbida, sottile. E lui neanche ci pensa più a che cosa sta facendo Astoria sul serio, mentre lui è vittima di quell’illusione.

Vittima. Sì, vittima. Da carnefice a vittima. Karma, cielo, fato e destino.

Ci sta bene. Mi sta bene.

Dio… fa persino bene.

“Non sei davvero qui…” le sussurra piano, e la voce gli trema un po’, si spegne e smorza nell’avverbio finale, imporporandogli il viso di quell’infame confessione. Hermione è così vicina che può contare ogni ciglia delle sue palpebre che fremono, mentre lei sorride lievemente.

“Lo so…” bisbiglia e ha la sua voce, quella voce vellutata, dolce, tenera, quella che riserva per parlare con Serenity e Seth, quella che con lui ha usato solo per dirgli che gli dispiaceva di averlo messo nei guai con la sua improvvida disattenzione mentre moriva.

“… ma sono qui…” sussurra ancora, e riapre gli occhi, sfiorandogli con le dita le tempie, alludendo alla sua mente “Stavi pensando a me. Stai pensando a me…”.

“Perché stai morendo, Granger. E non voglio che muori. Ecco perché penso a te…” sussurra ancora, piano, masticando le parole in silenzio, non preoccupato che Astoria, dal vero, le senta. Il respiro di Hermione sulle labbra, vento caldo di settembre, si blocca un po’, come se fosse trasalita. La mano che ha ancora poggiata sul suo zigomo trema per un secondo, poi prende a descrivere piccoli cerchi sulla sua pelle con il pollice, accarezzandolo piano, dolcemente, come se avesse tutto il tempo del mondo. Lui chiude gli occhi, un pizzicore diffuso sotto le palpebre.

“Sai che non è così…” mormora lei con voce netta, costringendolo ad aprire gli occhi di scatto. Hermione, a sua volta, apre gli occhi, lo guarda con le lacrime già appese alle ciglia, basterebbe solo un respiro per farle ruzzolare giù.

“E come sarebbe allora? Dimmelo…” le bisbiglia ancora, il suo fiato le arrossa le labbra e la pelle del viso. Hermione sembra pensarci, sembra rifletterci, la sua mano non smette mai di accarezzargli la guancia neanche mentre chiede, con un tono tra la preghiera e l’ingiunzione: “Stavi solo recitando? Mi hai baciato solo per ingannare Seth? Tu… non mi vorrai mai, vero? Io… io non te lo chiederò mai, lo sai questo, no? Mi conosci. Sai che avrò vergogna e timore, sai che non ammetterò mai di averti voluto baciare. Ed allora dimmelo tu. Dillo tu a me. Dimmelo Draco. Stavi solo recitando? Tu… non mi vorrai mai, vero?”.

“Non è a te che lo devo dire. È a me che lo devo dire…” le bisbiglia ancora, prima di sospingerla delicatamente contro il divano, così che ricada supina. Poggia una mano ai lati del suo viso, così da non gravarle addosso con il suo peso, con l’altra le accarezza piano i capelli.

“E non lo vuoi dire a te stesso?” sorride lei, inclinando la testa ed alzando le braccia per incrociare le dita sulla sua nuca. Draco sorride, ha un broncio dispettoso da bambina, il labbro inferiore sporgente, gli occhi affamati di risposte. La sua mente è dannatamente brava, quando ci si mette.

“No, piccola presuntuosa…” le sorride, piegando il braccio che gli teneva divisi e ritrovandosi di nuovo con il viso a pochi centimetri dal suo “Sei qui. Non ho bisogno di altre risposte…”, lei d’un tratto sorride ancora, raggiante, felice, meravigliosa. La voce di Draco si spezza, mentre respira ed aggiunge grave: “Tu… non ti azzardare a morire… per favore… non ti azzardare a morire…”.

“E tu non smettere di baciarmi… mai… Draco… ti prego… non farlo…”.

Non aspettava altro, lei non aspettava altro, lui non aspettava altro.

Lo stava aspettando, stava aspettando quel permesso.

Le chiude la bocca con la propria, prima ancora che abbia finito di parlare. Ha le labbra dolci, morbide, incanto di paradiso. Lei piange nelle sue labbra perché è così che se la ricorda, che piangeva, e la sua mente adesso non riesce a scindere le sue labbra dal sapore salato delle lacrime;  come non riesce a separare che lei, nel baciarlo, tremerebbe come in preda ai brividi; e come non riesce neanche a dimenticare che lei, nel baciarlo, lo attirerebbe più vicino a sé, fregandosene che le possa fare male, ma stringendo invece le braccia attorno alle sue spalle. Non riesce neanche a dimenticare che tutto sommato così non sarebbe neanche sufficiente, ed allora le solleva il busto piano solo per stringerla sulla schiena, chiudendola tra le sue braccia, così che se ne stia vicina a lui e non se ne scivoli via altrove, non ti azzardare a morire, per favore. E d’un tratto, non sa come e non sa neanche perché, scopre un sapore diverso nella bocca che esplora con raffinata lentezza la sua, saziandosi apparentemente di respiri mescolati. Scopre il sapore di una lacrima, di una sua di lacrima, perché lei forse adesso sta morendo e lui quelle labbra non le conoscerà mai più, e, anche se vive, se anche si salva, se la strapperà come un’unghia incarnita per impedirsi di volerla ancora.

La lingua trova quella di lei con una facilità che lo sorprende, con un incanto che lo frastorna, con nessuna necessità apparente di riprendere a respirare, che tanto c’è la vaniglia e il tè nero nell’aria e va bene allora respirare anche così, va bene respirare anche solo così. Le mani di lei, piccole, affusolate, gentili, si posano sui suoi capelli, passandoci attraverso, e con gli occhi, con le palpebre frementi, con un singulto nervoso della gola, gli chiede sempre se gli fa male, se non è troppo, se deve fare più piano. Ma Hermione è dolce, tenera, lieve di piuma e soave di nuvola.

Non ti azzardare a morire, per favore.

Draco non la perde un istante, la bacia ad occhi aperti, perché non può neanche ricordare che in realtà non sia lì: se la lascia fuggire un istante, lei se ne va via. Ed allora Hermione si sente guardata, e riapre gli occhi, e lo guarda dietro le ciglia nere che ancora sono bagnate. E non smette di farlo, come non smette di baciarlo, come l’implora di non farlo.

Oro ed argento, assieme.

Come li vedrà uniti solo un’Empatica settimane dopo, davanti all’edificio della Gringott. 

Lievi, le mani di lei scendono lungo il suo collo, accarezzando i tendini tesi e rilassandoli dell’eccitazione che li pervade. Le dita sono calde, incandescenti, ma non fanno male, sono curiose, gentili, dolcissime, come se a lasciare un solo centimetro di pelle senza toccarla, quella si sentirebbe solo che sola. Draco, in risposta, le accarezza piano i capelli, scopre quanto sono soffici a passarci attraverso le dita, ne distingue una nota di mandorle, e poi prosegue lungo il collo, sulla scapola, sulla clavicola. Non ha fretta: la vorrebbe tutta, subito, solo per riaverla ancora.

Ma sa che non potrebbe, sa che lei sparirà tra poco, sa che se ne andrà via. Sa che non l’avrà mai più.

Questa, qui, non esiste.

Questa che mi bacia, non esiste.

L’altra, lì, esiste per chissà quanto altro ancora.

L’altra che dorme, lì, esiste per chissà quanto altro ancora.

Quindi, deve durare tutta la notte, deve averla lì tutta la notte. Si deve togliere lo sfizio e scordarsela. Si deve togliere lo sfizio e scordarsela. Pure se lo sfizio è miele, latte, caramella, fragola.

Vita in una parentesi di morte. Estate in un gennaio perenne.

Pure allora… lo sfizio si toglie una volta e poi se ne va via.

Fa una vita da affamato, da assetato, da mendicante: tutto, da quando Helena è morta.

Dunque si può andare avanti anche senza uno sfizio.

Anche se lei ti guarda così; anche se nei suoi occhi sembri persino puro e perfetto; anche se sorride nelle lacrime; anche se ti fa desiderare di non avere che una vita sola, intonsa, così da renderla fiera come invece non sarà ma; anche se ha un destino incatenato ad uno sconosciuto qualunque che se la porterà via; anche se non sa nulla di te; anche se solo parlando ti ricorda chi è e che cosa per logica dovresti provare per lei.

Ma la logica ormai non sai neanche cos’è.

È timida, lenta, impacciata, quando dalle spalle scende lungo le sue braccia contratte fino a raggiungere i fianchi, per sollevare la maglia leggera che porta. Non ha smesso un secondo di baciarla, eppure l’aiuta a sfilare l’indumento, sorride quando la vede imbarazzata mordersi il labbro inferiore nel tentativo di guardarlo, ma non troppo, non con eccessiva attenzione. Lui, invece, non riesce neanche a toccarla più del necessario, come se quello non dovesse diventare qualcosa al limite della pornografia, al limite di qualcosa che ha visto in televisione in filmacci di serie D, al limite di una meccanica incapace di darle davvero onore e gloria.

Ed Hermione è come se lo capisse tutt’un tratto, e si stacca da lui, e lo guarda seria, e Draco lo sa, se lo ricorda che non è davvero lì, che è ovvio che capisca, che è naturale che lo comprenda.

Lei non esiste, è la sua mente, è lui a volere che capisca. E lei ovviamente lo fa.

Ed allora si stacca bruscamente da lei, vorrebbe che solo finisse, non può sopportarlo, non ce la fa. Deve andarsene, deve tornare in quel corridoio, c’è il respiro vero di lei dietro una porta, deve sincerarsi che ci sia ancora quel respiro, pronto a dirgli qualcosa di sgradevole, senza mutare la dolcezza spavalda ed aggressiva degli occhi.

Ma Hermione non lo lascia andare via, non lo farebbe mai, ed è come se improvvisamente Draco sapesse che, anche dal vero, lei non lo farebbe mai, non lo lascerebbe mai andare via, lei capirebbe sul serio. E, veloce, senza dargli tempo di pensare o di interrompere l’incantesimo, lei si sfila in un colpo solo il vestito di tulle azzurro che non le appartiene.

Ha uno slancio improvviso di coraggio che muore quando nasconde il viso nel suo torace, vergognandosi della sua nudità esibita in modo così dissoluto e spavaldo, solo per non farlo andare via. E lui, adesso, non andrebbe via mai e poi mai. Mai e poi mai.

E non ti azzardare a morire, per favore, non ti azzardare a morire.

Nasconde con ferocia e disperazione l’istinto di studiare le linee di quel corpo per ore, non sa quanto tempo gli resta, sa che deve sbrigarsi, sa che non c’è tempo. Le accarezza con delicatezza la nuca e i capelli, sorridendo, mentre Hermione resta nascosta nel suo petto. Poi la fa stendere nuovamente, le sussurra qualcosa nell’orecchio, rassicurazioni, promesse, scuse, tutto quello che non le dirà mai, si libera degli indumenti rimasti. Ed allora sono davvero uno contro l’altra, senza schermi, senza filtri, senza protezione, senza niente che si frapponga a rovinare di bugie, rammarichi, rimpianti, rimorsi e rigurgiti di passato. Sono vergini entrambi di qualsiasi cosa siano stati, fino a quel momento.

E Draco lo sa che, dal vero, non accadrebbe mai, sa che non l’avrebbe mai così, disposta, meraviglia di immaginazione, a non fare domande, a non volere risposte, a non dirgli che sarebbe sbagliato.

Lei rovinerebbe tutto… e lui, peggio ancora, la spezzerebbe a metà.

Ma così, che loro davvero non ci sono affatto, né lei che forse sta morendo in un letto, né lui che non è in quel corridoio a pregare che non muoia, possono essere tutto quello che non saranno mai.

Le separa le ginocchia dolcemente, cercando conferma nei suoi occhi. Hermione annuisce piano, gli accarezza lo zigomo, sorride, inarca la schiena facilitandolo. Sussulta un po’ quando lo sente entrare dentro di lei, stringe le braccia attorno alle sue spalle, attirandolo più vicino a sé, deposita un bacio sulla pelle della clavicola, e lo lascia immoto lì, mentre lui si appropria di lei a ritmo sempre più sostenuto, stringendo forte entrambe le sue mani con le proprie.

Il piacere si schiude rapido, come un fiore in boccio, risalendo dal suo addome ed esplodendo in pancia, riscaldandolo di fuoco, magma, lava. E di un nome. Di un nome che non è Helena, che non è Astoria, che non è neanche Hermione. Di un nome che è il nome dell’amore, ma che Draco Malfoy ancora non conosce, ancora non sa neanche com’è fatto.

Lo capirà solo settimane dopo, un pugno contro un lampione, un dolore che non ha pari con quello dentro, mentre sussurra di amare quella ragazza che adesso non ama ancora, ma che vuole.

Viva. La vuole viva. Non ti azzardare a morire.

In un’ultima spinta, mentre la sente gemere assieme a lui, le labbra sempre poggiate sulle sua clavicola, ricade su di lei, la fronte di nuovo poggiata sulla sua. Le tiene il viso tra le palme, la guarda ancora, mentre lei sorride di nuovo, implacabilmente gentile, mordendosi le labbra. Il respiro di Draco è sempre corto, è sempre manchevole, è sempre affannato. Ed, ancora adesso, non sa se è perché la vuole ancora, o è perché non l’avrà mai più.

Hermione ha un luccichio di lacrime nascoste, gli passa il pollice per tutta la lunghezza del labbro inferiore, lo attira in un altro lungo bacio. Poi, piega la testa di lato e sussurra, tenendogli la mano sulla nuca: “Devo andare adesso”.

“Lo so”.

I suoi occhi sono già diventati blu come quelli di Astoria, mentre Hermione sussurra languida: “Io esisto in lei. In Hermione. Non smettere di cercarmi. Non lo fare”.

Ha una piega da maliarda negli occhi mentre lo dice, mentre lo guarda famelica e vogliosa.

È già Astoria nello sguardo.

Per quello, Draco non le crede.

Non le crederà mai.

 

La mattina dopo, tutto è uguale. Tutto. Persino lui. Non ci vuole granché a rinnegare la notte alla luce del giorno. Non ci vuole neanche granché a fingere che niente sia successo. Non ci vuole granché, soprattutto quando tutto sa di voto, di fioretto, di promessa a Dio, di rinuncia insopprimibile ed inesprimibile. Ha aperto gli occhi, lo sa adesso. Non può più fare finta di non sapere. Non vuole che Hermione Granger muoia, e tanto basta. Tanto basta per farla finita.

… stanotte è solo uno stupido incidente.

Stanotte è solo la sua mente che non conosce più logica alcuna.

E che sente la mancanza di Helena, ed allora ne crea una copia malriuscita che gli va bene avere adesso. Anche per incantesimo. Anche solo così.

Deve finire.

Non toccherà Astoria mai più. Lo sa, lo sente.

Lei, con il suo aspetto, non se la scoperebbe manco per disperazione.

E l’incantesimo, ora per certo, non richiamerebbe più Helena.

Non dopo stanotte: non dopo che ho lasciato che Hermione Granger diventasse mia.

Sistema delle carte al Petite Peste, nella sua camera. Serenity giocherella spensierata accanto a lui.

È il solito simulacro di sé che saluta Potter, portandogli le ultime notizie.

È però di nuovo sé stesso quando implora Potter di portarsi via la Granger, prima che lui inizi a provare davvero qualcosa per lei.

… il suo vero sé stesso, le sue fattezze morbide ed insicure di una notte rubata, Hermione Granger le vedrà settimane dopo, quando Astoria reclamerà le loro vite su una terrazza abbandonata di Hogsmeade.

Hermione penserà che sarà la prima volta che lui la guarda così.

Non sapendo di uno sguardo riservatole mentre era ad occhi chiusi, su una terrazza, alla luce della luna piena, ancora dimentica del bacio che si erano scambiati.

Non sapendo di un sollievo fiorito su un volto diafano e di un singulto grato di preghiera.

Grazie per non esserti azzardata a morire.

 

 

   
 
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