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Autore: LazySoul    02/07/2014    2 recensioni
Avevo buttato nel cesso cinque mesi, cinque mesi della mia vita sprecati nel tentativo vano di farla innamorare di me, per poi rendermi conto, una volta lasciata, che le mie intenzioni mi si erano ritorte contro.
Perché mi ero innamorato io.
Quella foto era l’unica cosa che rimaneva di quel sogno, l’unica cosa che mi permetteva di ricordare
che era successo davvero, ogni singolo gesto, ogni singolo sorriso e ogni singolo giorno e notte passata
insieme.
Quella foto di noi due innamorati.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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1_Picture of you and I in love

Picture of you and I in love

 

 

Capitolo uno

Jay

 

Strinsi forte le coperte con le dita, mi ostinai a tenere chiusi gli occhi, ma ormai era tutto finito e non sarebbe più tornato indietro.

Per quanto mi sforzassi di trattenere il sogno, ormai gli ultimi colori stavano sbiadendo e quel sorriso che mi faceva tanto male scomparve in pochi istanti.

Rilassai lentamente le mie dita contratte e aprii gli occhi.

Era ancora notte, dalla finestra si poteva vedere la luce al neon del ristorante, che si trovava dall’altra parte della strada, lampeggiare ad intermittenza.

I primi giorni, quando mi ero appena trasferito in quel buco di appartamento, avevo trovato molto difficile chiudere occhio a causa di quell’illuminazione color ciliegia, ma poi ci avevo fatto l’abitudine e in poco tempo era diventata come la lucina, che tenevo accesa la notte sul comodino quando avevo cinque anni, per sconfiggere la mia paura del buio.

In strada si sentiva il rumore delle auto, voci, ma soprattutto il suono vagamente rilassante della pioggia, mentre nella mia stanza l’unico suono percettibile era il mio respiro, ancora affannato per il sogno.

Imprecai piano, prima di rigirarmi nel letto e di litigare con le coperte che si ostinavano a scivolare giù dal letto, mentre lo sguardo si soffermava per pochi istanti sulla scatola che avevo accanto al letto.

Sentii una fitta all’altezza del petto, riuscendo a distogliere lo sguardo in poco tempo e ad impedirmi di ricordare, ostinandomi ad insultare il proprietario dell’auto in strada, a cui era partito l’antifurto e che mi stava facendo innervosire ancora di più, per non pensare ad altro.

I numeri verdi della sveglia indicavano che era solo mezzanotte, avevo dormito si e no un’ora e sentivo che gli occhi mi si stavano di nuovo per chiudere.

I pensieri confusi del dormiveglia mi avevano sempre affascinato; una volta avevo iniziato col ricordare di quando da piccolo mia madre cucinava i muffins al cioccolato, fino ad arrivare alla terza superiore quando mi ero fatto una del quarto anno in bagno, insomma, da un’estremo all’altro in pochi secondi e trovando dei collegamenti tra gli avvenimenti della mia vita del tutto inesistenti o complessi da capire in momenti come quello; quando cominci a sentire un piacevole torpore avvolgerti e inizi a pensare che presto il sonno ti porterà via.

L’urlare e cantare in strada della gente si trasformò lentamente in un brusio di sottofondo vagamente piacevole, ma l’istante di quasi totale relax venne interrotto dal rumore forte e fastidiosi di un clacson in strada, mentre un uomo insultava qualcuno che a quanto pare aveva attraversato, senza prima guardare la strada.

Sospirai infastidito, prima di sollevarmi e di camminare verso la finestra.

L’aria pungente della notte mi fece venire la pelle d’oca, mentre lanciavo uno sguardo di puro odio alla gente in strada, chiedendomi se nemmeno la pioggia di quella notte poteva far tornare a casa propria quelle persone.

Ero solo.

Io, che avevo sempre pensato di essere circondato da persone sincere, mi ritrovavo solo.

Ero stato un ingenuo, ma principalmente ero un egoista bastardo ed ero certo che quella solitudine non sarebbe durata in eterno.

Non per me.

Tornai a guardare il mio letto e sentii una strana sensazione quando lo vidi vuoto.

Finii per inciampare sulla scatola di cartone, che si trovava tra il letto e la finestra, facendo uscire da essa degli oggetti e un album di fotografie.

Pensai di tornare a dormire e di mettere tutto a posto il giorno dopo, ma poi cambiai idea.

Accesi la luce e mi accoccolai nel letto con quell’album tra le mani.

La copertina rigida era color muschio e aveva sopra raffigurate delle foglie leggermente più chiare, mentre la scritta: “Fotografie” spiccava essendo color bianco.

Avrebbe fatto male sfogliare quelle pagine, lo sapevo, eppure avevo bisogno di dimostrarmi che tutto quello che era successo non era semplicemente un sogno, ma qualcosa di reale, palpabile... come una fotografia.

Raggiunsi la pagina che cercavo con una strana ansia e disperazione, sfiorai i due visi sorridenti e felici nell’immagine e provai una stretta al cuore ricordando ogni cosa, ogni singolo ieri che avevo bruciato e posto ordinatamente nel dimenticatoio, ogni sguardo, ogni bacio, ogni carezza, ogni sorriso, ogni attimo rubato e ogni sogno infranto.

I miei occhi non riuscivano a lasciare quelli nella foto, quelli che possedevano un magnifico color nocciola misto verde, quelli che avevo sognato neanche cinque minuti prima, quelli che era inutile provare a dimenticare perché sarebbero sempre rimasti nella mia mente.

Il suo viso sorridente, le labbra carnose, i capelli ricci e bruni, il naso regolare, il piccolo neo che si trovava sul suo braccio destro...

Era inutile mentire: mi mancava.

La mia Katy.

Chiusi di scatto l’album e lo buttai a terra, furioso con me stesso, mi portai le mani tra i capelli e abbassai il viso, mentre cercavo inutilmente di trattenere le emozioni e di non mettermi assolutamente a piangere. Le lacrime non scesero, ma i singhiozzi mi scossero il corpo in modo vergognoso. Mi sentivo un bambino piccolo ed indifeso, inutile e debole.

Non aveva senso piangersi addosso, ormai era finita, le avevo spezzato il cuore come un vero bastardo ed egoista e, mentre l’avevo fatto, mi ero sentito me stesso, prima di rendermi conto che avevo sbagliato tutto con lei.

Avevo buttato nel cesso cinque mesi, cinque mesi della mia vita sprecati nel tentativo vano di farla innamorare di me, per poi rendermi conto, una volta lasciata, che le mie intenzioni mi si erano ritorte contro.

Perché mi ero innamorato io.

E se all’inizio era iniziato tutto come un gioco, adesso ripensandoci mi sembrava un sogno triste e senza lieto fine.

Quella foto era l’unica cosa che rimaneva di quel sogno, l’unica cosa che mi permetteva di ricordare che era successo davvero, ogni singolo gesto, ogni singolo sorriso e ogni singolo giorno e notte passata insieme.

Da quando l’avevo vista la prima volta in quel locale e mi ero avvicinato chiedendole il numero e lei mi aveva riso in faccia prima di andarsene con le sue amiche, da quando l’avevo incontrata di nuovo nell’officina dove lavorava mio zio e dove avevo portato la mia moto a riparare, da quando ero riuscito a convincerla che non ero del tutto un coglione e che di me ci si poteva fidare, da quando era diventata un’amica necessaria e, solo successivamente, la mia ragazza.

Fino alla fine le mie intenzioni con lei non erano mai cambiate, tutto quello che volevo era che  abbassasse le sue difese, quei muri che aveva costruito in profondità nella sua anima e che mi lasciasse entrare nella sua vita.

Quando ci ero riuscito, avevo creduto di non voler più niente da lei e da vero bastardo l’avevo lasciata, le avevo detto addio per sempre e in quell’istante avevo veramente creduto che fosse la cosa giusta da fare.

E tutto quello che mi rimaneva di lei era quella foto, quella foto dimostrava che era accaduto d’avvero, che avevo davvero vissuto quei cinque mesi con lei.

Quella foto di noi due innamorati.

  
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