Farfalla
C'è
qualcosa di
sbagliato in tutto questo; sbagliato in me o in ciò che mi
circonda.
Tutto sembra
così apparentemente normale. Normale, strana parola, risulta
al mio orecchio,
quasi fastidiosa. Le risatine di scherno proprio dietro di me fanno
male, e
loro lo sanno.
Primo banco,
sulla destra.
Il gioco del
giorno consiste nel tirare palline di carta inzuppate di saliva sulla
testa del
malcapitato di turno. Lo sfigato, come lo chiamano loro. Quello strano,
quello
che non rispetta le gerarchie e i ruoli del gruppo. E il turno
è quasi sempre
il mio. Privilegiato, hai la loro attenzione, mi dico.
E' routine.
Routine sono le
palline di cerbottana tra i ricci crespi, i ghigni e le occhiatacce al
mio
passaggio, l’essere definito dai miei compagni di classe faccia di rossetto.
Ultimamente però
sono diventato anche tacco dodici.
A
quindici anni si può essere maledettamente sadici e crudeli
solo perché non
parli di ragazze, motori, calcio e roba che, suppongo, piaccia
immensamente ai tipi
della mia età.
Io non sono come loro!
L'ultima volta
mi hanno chiuso nello sgabuzzino della palestra, al buio, ma il buio
ormai è
dentro me.
-Lascialo lì, lo
scoprirà la bidella quando verrà a pulire-
sghignazzano dietro la porta.
-Oggi Rosetti
non c'è, si sarà beccato l'influenza- li sento
riferire tutti convinti al prof
di educazione fisica, beandosi della loro bravata infame.
E' inutile
urlare.
Non mi
ascolterebbero e del resto non trovo neanche le parole.
L'ultima al bar
della scuola. Prendo un pezzo di pizza dall'omino focaccina come
chiamano il
signor Franco, faccio per addentarla quando Solari, ultimo banco a
sinistra,
detto N.P. (non pervenuto visto che in classe c'è solo
fisicamente) mi urta, di
proposito, facendomi cadere la pizzetta rossa a terra.
-Oh scusa, non
l'ho mica fatto apposta- ghigna con voce stridula e fastidiosa,
calpestandola,
indugiando, sempre di proposito.
E' uno strazio
continuo, ogni giorno un'agonia, mi sento morire dentro, vessato e
umiliato,
come quel misero pezzo di pizza calpestato senza indugio.
Sei uno stronzo.
Un idiota senza cervello, vorrei gridargli contro, ma a cosa
servirebbe? Lui
che è alto due metri per ottanta chili di stazza mi
rimetterebbe a posto in un
secondo.
Prendo e porto a
casa, ancora una volta.
-Tieni, visto
che quell'imbecille non te la ripaga, ne vuoi un pezzo della mia?- una
voce
alle spalle mi distrae. E' minuta, magrolina, l'apparecchio ai denti e
i
capelli biondi, lisci come spaghetti. Mi offre un pezzo della sua
pizzetta come
se nulla fosse. Un pallido sorriso.
-Mi chiamo Mia,
e tu?-
Semplice, è
tutto qui.
-Ale...-
rispondo guardingo e un po' stupito.
E' così facile
diventare amici per la vita.
A volte basta un
pezzo di pizza a metà.
Sai, Mia, sei
diventata subito la migliore amica che avessi mai potuto desiderare,
perché tu
mi capisci, mi fai ridere e sei speciale.
E soprattutto
sei una femmina. Sì, proprio una femmina, con le tette
(anche se tu dici che
sono praticamente inesistenti) senza baffi e barba o un coso
ingombrante che si
alza a suo piacimento in mezzo alle gambe. E tu hai quel corpo che a te
non
piace per nulla, ma che io, imprigionato in questo sarcofago magro di
un metro
e ottanta, non potrò mai avere. Una volta, in camera tua, tu
che avevi capito
tutto, mi avevi detto di fregarmene, che ero bellissimo, che ero il tuo
Ale e
mi amavi così com'ero. Nessuno me lo aveva detto con
quell'intensità, sai?
Poi avevi preso
la trousse e mi avevi imporporato un po' le guance, così per
gioco, e poi un
filo di gloss sulle labbra e il mascara sulle ciglia.
-Niente di più
che poi sembri una drag queen e diventi ridicolo.-
Come se agli
occhi degli altri già non lo sia.
Poi mi avevi
baciato sulla fronte -Ecco, ora sei perfetto.-
Dio, Mia, se
solo avessi la tua forza e anche la tua ingenuità o solo
un'infinita parte della
tua voglia di vita come sarei felice! Potrei vivere la mia metamorfosi,
corpo
di uomo in un cuore di donna, con molta più leggerezza. Ma
come fare quando hai
una madre assente, un padre che vorrebbe per l'unico figlio maschio la
sua stessa,
austera carriera militare e a scuola ti ricordano ogni giorno quanto
sei
strano?
Questa è la mia
vita mi ripeto di continuo.
La vita che
vorrei? Solo Mia riesce a leggermi l'anima. Mia e i suoi quindici anni,
Mia e
la sua macchinetta per i denti, Mia e il suo profumo buono quando muove
i
capelli ispidi.
Mia, tutta mia.
Mi ama. Di un
amore unico e speciale che gli altri non capirebbero. E' come se fossi
un bruco
insignificante e goffo nelle sue mani che anela a diventare una
splendida
farfalla variopinta.
Metamorfosi.
Mutaforma.
Rinascita.
A scuola la prof
di lettere ci ha letto il racconto di un tale che si trasforma in un
insetto
orrido, metafora di quanto sia alienante e priva di gioie la vita di
chi è
considerato diverso.
Mia se tu
sapessi.
Se tu sapessi
quanto mi odio perché non sono e non sarò mai
quello che gli altri vorrebbero
da me. Ho due braccia, due gambe, una testa, due mani eppure sono
strano.
Diverso.
Lo so di chi è
la colpa.
E' di quel cuore
maledetto che desidera altro da sé e che tace.
Se non avessi
questo povero cuore forse sarei come tutti gli altri e nessuno mi
chiamerebbe
faccia di rossetto e non conoscerei il buio di uno sgabuzzino delle
scope.
Ma non saprei
neanche di te Mia e di tutto quello che di prezioso mi hai donato. La
tua
amicizia, la tua comprensione, la tua tenerezza.
Forse ne è valsa
la pena.
Forse...
Sono solo, ora.
Solo con me stesso.
Lo
specchio
riflette l'immagine di un adolescente insipido, brutto, direi, eppure
basta un
foulard di seta colorato rubato dall'armadio di mia madre, le mani che
tremanti
si passano sulle labbra il rossetto e il gioco è fatto. La
metamorfosi che
vorrei e che è già dentro me più
radicata che mai.
Eppure sono io
il primo a non accettarla, a non desiderarla fino in fondo.
Mi detesto, mi detesto,
forse più di quanto gli altri detestino me stesso.
Passo un dito
sul petto glabro e poi più su, lungo il pomo d'adamo, lungo
il collo candido e
poi le labbra carnose, troppo, color ciliegia. Dio se davvero fossi
così bella
mormoro tra me indugiando in ogni centimetro del mio corpo,
come farebbe un
nobile e premuroso amante.
Corpo di uomo, cuore di donna.
Alessandro
si
dissolve con il buio dell'anima e dei cattivi pensieri.
Sono certo che
solo tu mi capiresti Mia.
Alessandro è il
tuo amico di sempre, ma questo corpo è troppo pesante. Gli
insulti sono pesanti
come macigni. La vita dentro questo involucro inutile mi è
insopportabile.
Si libra leggero
nell'aria, ora, come una farfalla.
Apro la
finestra.
L'aria
frizzantina del mattino di novembre è pungente e
rassicurante al tempo stesso.
Mia lo so che ora mi guarderesti coi tuoi occhi grandi e premurosi e mi
tenderesti la mano dicendomi che è tutto okay, ma non posso.
Perdonami, non
chiedo nulla.
Il bruco vuole
solo diventare farfalla. Nient'altro. E trasformarsi corpo e anima.
Un passo, e poi
un altro ancora, deciso, in piedi sul davanzale.
Mi sento potente
e vivo anche se tremo leggermente.
L'anima vola.
E un attimo dopo
il vuoto.
Anzi no.
E' il mio volo di farfalla finalmente libera.