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Autore: Vals Fanwriter    04/07/2014    2 recensioni
Thadastian | OS | Sentimentale, Introspettivo, Romantico | What if
Dal testo: "‹‹Ti piace proprio quella canzone.›› Lo sentì dire con naturalezza, senza voltarsi. Lo aveva sentito cantare, ovvio. Harwood lo sentiva sempre cantare. Condividevano la stessa stanza ed erano nello stesso Glee Club dopotutto. E allora perché tutta quella vergogna? Quel formicolio sotto pelle? Quella nausea improvvisa che gli saliva alla gola?
“Perché la stavo cantando pensando a lui, cazzo.”"
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Sebastian Smythe, Thad Harwood | Coppie: Sebastian/Thad
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Premessa: Questa fanfiction non ha voluto lasciarsi plottare da me. Nel senso che io decidevo una cosa e Sebastian e Thad facevano di testa loro, quindi diciamo che sono stata una madre degenere e li ho un po’ viziati per questa volta. Tra una scena e l’altra, oltretutto, doveva esserci il mondo, dovevano esserci i Niff consiglieri, dovevano esserci paturnie su paturnie e pezzi di vita quotidiana che ho lasciato un po’ alla libera interpretazione. Così voi (e la festeggiata) potete farvi un background a piacere e massacrare i Thadastian divertirvi anche il doppio. Se avessi voluto analizzare la situazione più accuratamente, sarebbe venuta fuori la trilogia del Signore degli Anelli.
Detto questo, il prompt era: “Voglio un Sebastian che, per una volta, si innamora di Thad e si strugge per lui.” E questo è quello che è venuto fuori.

 

 
 
A Robs…
Gli auguri in anticipo non te li faccio, tranquilla.
Ti voglio bene.
 
 
 


‹‹You’re a sky, you’re a sky full of stars. Such a heavenly view, you’re such a heavenly view~››
 
 
Mentre canticchiava quella canzone con voce lenta e delicata, l’acqua calda della doccia gli scivolava sulla pelle e lavava via la pesantezza della giornata appena trascorsa, lasciandogli addosso un’unica, minuscola impronta. Gli occhi di Sebastian erano chiusi, le gocce d’acqua gli cadevano dalle ciglia, ma, al di sotto delle palpebre, un’immagine accompagnava il motivetto: il disegno di un paio di iridi scure che luccicavano come due stelle fisse. Un sospiro gli sfuggì dalle labbra e la testa gli si mosse automaticamente, destra e sinistra, nel tentativo di cacciare via quel ritratto così vivido; ma quello rimase lì, anche quando Sebastian afferrò la manopola alla cieca e chiuse il getto dell’acqua. Lo stomaco gli si era contratto talmente tanto, da provocargli quasi nausea. Con tutta probabilità, quella sera, avrebbe saltato la cena.

Uscì dalla doccia e si avvolse un asciugamano attorno ai fianchi – i capelli bagnati gli gocciolavano sulle spalle – ed uscì dal bagno, senza premurarsi di accertarsi che la stanza fosse effettivamente vuota. Di solito, lo faceva per disinteresse, mentre stavolta la sua fu distrazione. La sua testa era come racchiusa in una bolla di sapone impermeabile alla razionalità.

Si bloccò sull’uscio della porta, quando, con la coda dell’occhio, intravide Harwood seduto alla scrivania. La stretta più ferrea ed improvvisa che gli sovvenne allo stomaco fu come un campanello d’allarme che gli notificava la sua presenza.

Nella sua testa, un altro Sebastian Smythe stava attraversando la stanza con passo spavaldo, per andare a circondare le spalle del ragazzo dai capelli corvini – prevedendo alla perfezione le proteste che avrebbero lasciato la sua bocca, a causa dell’acqua grondante dal suo corpo, che gli avrebbe inevitabilmente inzuppato i vestiti – e a stuzzicare con i denti la pelle sensibile del suo collo. Ma il vero Sebastian Smythe, quello reale, quello che sembrava essere diventato di cemento, non si mosse, gli occhi sgranati come se avesse appena visto un fantasma.

‹‹Ti piace proprio quella canzone.›› Lo sentì dire con naturalezza, senza voltarsi. Lo aveva sentito cantare, ovvio. Harwood lo sentiva sempre cantare. Condividevano la stessa stanza ed erano nello stesso Glee Club dopotutto. E allora perché tutta quella vergogna? Quel formicolio sotto pelle? Quella nausea improvvisa che gli saliva alla gola?

“Perché la stavo cantando pensando a lui, cazzo.”

‹‹La becco sempre in radio. Presto mi stancherò›› rispose, bruscamente, e provò a muovere qualche passo di piombo in direzione dell’armadio. Non gli sfuggì affatto il movimento della mano di Thad che rallentava fino a fermarsi – la penna tra le dita, a pochi millimetri dal foglio, su cui stava svolgendo i compiti. Si ritrovò a sperare con tutto se stesso che l’altro non sollevasse gli occhi su di lui. Per Sebastian, non costituiva un problema il lasciarsi guardare, ma lo sguardo di Thad era diverso: era fatto di fuoco, lo ustionava al solo passaggio su di sé, in maniera inspiegabile.

‹‹Scendi a cena con me, dopo?››

“Con me.” Perché diavolo suonava così bene?

‹‹No.››

Tirò fuori dall’armadio una gruccia, sulla quale vi era appesa una di quelle tute, che solitamente indossava quando rimaneva in camera a rilassarsi, o quando usciva in cortile a fare jogging, e sperò che Thad capisse al volo. Non disse altro, fece dietro front e si andò a rifugiare nuovamente in bagno, sbattendosi la porta alle spalle, con più forza di quanta volesse.
 


 
*
 


 
Quante cose erano cambiate, da quel primo giorno di scuola? Da quel momento in cui loro due si erano ritrovati ad avere a che fare l’uno con l’altro, in maniera quasi forzata? La mano del destino – o chi per lui – aveva voluto metterli nella stessa stanza di un’immensa scuola lussuosa per figli di papà. Quante possibilità ci sarebbero potute essere, per Sebastian, di fingere di essere uno studente francese, in trasferimento per scambio culturale, proprio con quel ragazzino stupido? Quel ragazzino stupido che ci era cascato con tutte le scarpe. Sebastian lo aveva fatto per divertimento, ma sotto sotto qualcosa era scattato già allora. Non si spiegavano, altrimenti, i privilegi che gli aveva concesso: le battutine, la premura, il cercarlo con gli occhi in continuazione. Era il suo compagno di stanza, ma era anche il ragazzo più intelligente che gli fosse capitato tra le mani e che avesse attirato un minimo della sua attenzione. E che lo avesse mandato in bianco, più volte. Forse era quello il problema, forse era questo il motivo per cui, adesso, Harwood era diventato quasi un’ossessione per lui.

Un’ossessione quanto mai singolare, a giudicare dai sintomi. Sebastian sospettava di starsi incartando più di quanto non volesse ammettere a se stesso, ma era piuttosto chiaro ciò che stava accadendo.

 

 
Thad, sorriso solare che si espandeva anche agli occhi, stava chiacchierando in corridoio con qualche compagno di classe, incluso, tra di essi, Flint Wilson, uno di quelli che bastava guardarlo in faccia, per riuscire a comprendere quel che gli passava per la testa. E lo sguardo alla Alice nel Paese delle Meraviglie era inconfondibile, sul suo volto. Impossibile da fraintendere. Probabilmente Harwood se n’era anche accorto.

Sebastian non staccava loro gli occhi di dosso. Stringeva le labbra, quasi disgustato da tutto quel sorridersi, e ridere, e guardarsi. Fingeva di essere lì per caso, ignorava la ovvia presenza di altre persone in quel gruppetto, perché evidentemente Thad e Flint stavano facendo lo stesso.

‹‹Stupide coppiette in luna di miele.››

Era quasi tentato dall’avvicinarsi e dal rovinare loro la festa, ma qualcosa gli impedì di muoversi. Fosse stato il “vecchio” Sebastian, non ci avrebbe neanche rimuginato un attimo. Sarebbe piombato lì e avrebbe detto qualche frase inopportuna come: “Non sono permessi atti osceni in luogo pubblico, appartatevi, grazie”. Il Sebastian che era in piedi, in corridoio, adesso, aveva un peso sul petto, invece. Un peso sul petto che suggeriva che non lo avrebbe mai fatto ridere in quel modo; sarebbe stato capace soltanto di stuzzicarlo e offenderlo, nel tentativo di… Cosa? Avvicinarsi a lui in punta di piedi, senza dare nell’occhio?

“Che cazzo di codardo.”

‹‹So cosa stai per fare.›› Lo colse una voce alle sue spalle. Sebastian non ebbe neanche bisogno di voltarsi per indovinare chi fosse, così rimase a fissare la scena dinanzi a sé con più astio di prima, dal momento che non aveva il coraggio né di abbandonarla, né di interromperla.

‹‹Da quando in qua sei diventato un cazzo di veggente, Sterling? Non sto per fare assolutamente niente, te lo garantisco.››

‹‹Si stanno solo accordando per gli allenamenti di basket.››

‹‹E dovrebbe importarmi perché…?››

‹‹Perché sembra che tu voglia fulminare Flint con lo sguardo e, sinceramente, io non-››

‹‹È patetico, tutto qui.››

Per un momento, Jeff non emise un fiato e Sebastian neanche si assicurò che fosse ancora lì, alle sue spalle. Non l’aveva sentito andar via, quindi evidentemente doveva starlo radiografando con lo sguardo, cosa che, ultimamente, lui e Duval facevano molto spesso. Erano i primi a sapere tutto quel che accadeva a Thad e, di conseguenza, a tenere sotto controllo tutti gli “strambi comportamenti” del suo compagno di stanza. Sebastian temeva che stessero sospettando qualcosa e difatti:

‹‹Perché non fai qualcosa di carino per lui, invece di brontolare, o chiudergli le porte in faccia, o staccare la testa con gli occhi a chi chiacchiera con lui? Credo risulterebbe più costruttivo›› propose.

Sebastian inspirò a fondo e provò a contare fino a dieci, ma arrivò soltanto a cinque. Si voltò, trovandosi dinanzi, per la prima volta in quella giornata, il sorrisino che piegava le labbra del suo compagno di scuola, e se possibile, quel dettaglio lo innervosì ancora di più.

‹‹Perché non chiudi quella boccaccia? Credo risulterebbe più costruttivo›› sbottò, prima di superarlo e dileguarsi definitivamente dal corridoio.

Poteva scommettere sulla villa dei suoi genitori, che Sterling lo stesse guardando con occhi compassionevoli adesso.
 


 
*
 


 
‹‹I want to die in your arms… arms… ’Cause you get lighter the more it gets dark~››


Il sussurro assunse un accenno lievissimo di melodia, mentre Sebastian correva, in cortile, col fiatone, facendo il possibile per accelerare, affaticare i muscoli delle gambe e dimenticare. Dimenticare di essere stato geloso, per un attimo lunghissimo, e dimenticare di non risultare più naturalmente sfacciato, quando quella fastidiosissima pulce si ritrovava davanti a lui e lo osservava con quegli occhi. Quegli stessi occhi luccicanti come stelle fisse.

Aveva le cuffiette nelle orecchie e quella canzone andava avanti ormai da quindici minuti – Sebastian aveva pigiato sull’opzione “repeat”, quando si era reso conto di starla rimettendo da capo per la terza volta. Era come se, ascoltandola e sussurrandola, si sentisse maggiormente vicino a lui e, allo stesso tempo, si sentisse incapace di avvicinarsi più di così.

“Porca puttana, perché non riesco a smettere di pensarci per cinque minuti?”

Il campo da basket non era lontano e lui non era così stupido da non accorgersi dei passi che lo stavano portando direttamente lì. Neanche lo sapeva che Harwood e Wilson si sarebbero incontrati quello stesso pomeriggio, ma in camera Thad non c’era, quindi quella costituiva una valida possibilità. Rallentò in prossimità della rete metallica, che delimitava i confini del campo, e vi si aggrappò letteralmente, quando li vide esattamente dove li aveva immaginati.

Erano abbastanza lontani e indaffarati a ridere e a rubarsi il pallone a vicenda, per accorgersi di lui. Quando Thad sbagliò un canestro, Flint recuperò la palla e gli si avvicinò. La tenne saldamente tra le mani, mentre parlava, quasi gli stesse mostrando quale fosse il modo migliore per farlo; dopodiché sollevò le braccia facendola scorrere tra le dita, ma senza distogliere lo sguardo dal viso di Thad. Gliela porse e Thad annuì; si voltò in direzione del canestro e ripeté il suo stesso movimento, alzando le braccia ed abbracciando con le dita gran parte della superficie della palla.

‹‹Così?›› Lo immaginò domandare Sebastian, quando vide le sue labbra muoversi e incurvarsi in un sorriso.

Wilson gli si posizionò alle spalle e sovrappose le mani a quelle di Thad, aggiustando la sua presa sulla palla. Da quella distanza, Sebastian non poteva sapere se si stessero dicendo qualcosa, ma evidentemente Flint doveva stargli spiegando come fare a prendere la mira e ad essere certo di fare canestro. Eppure l’unica cosa che vedeva lui erano i loro corpi vicini.

Una fitta lo colse, all’altezza del cuore. Strinse le dita sulla rete metallica quasi fino a farsi male e, quando la palla da basket prese il volo in direzione del canestro, lui scattò indietro e corse via, la canzone sull’ipod che terminava e ricominciava da capo.
 


 
*
 


 
La punta della penna scorreva pigramente all'angolo del foglio, sempre lo stesso movimento ripetuto all'infinito. Piccole stelline storpie contornavano gli appunti che aveva scritto a lezione e, ogni minuto che passava, se ne aggiungeva un'altra, quasi a formare una scia. Si era rifugiato in biblioteca per tre motivi, fondamentalmente: racimolare un po' di concentrazione, evitare il più possibile l'oggetto continuo dei suoi pensieri, e tirare le somme. La verità era che, standogli alla larga, aveva raggiunto una sorta di equilibrio; non riusciva ugualmente a chiuderlo fuori del tutto, ma per lo meno era stato in grado di sentirsi meno stupido.

Lontano dagli occhi, lontano dal cuore, del resto” si era detto, ma la parte irrazionale di sé non era d'accordo. La pelle gli formicolava per la voglia che aveva di averlo vicino, il pensiero non lo abbandonava, le immagini erano ancora troppo vivide e contornate da suoni e profumi, la voglia di parlargli – e di indispettirlo anche – era ancora troppo forte. Se avesse dovuto dare la definizione di “assuefacente”, avrebbe risposto con una sola parola: Thad.

Naturalmente, finché la sua forza di volontà rimaneva più forte di tutto il resto, poteva anche continuare a riempirsi la testa di frasi di canzoni e i quaderni di disegnini. L'importante era continuare a stargli lontano, a rimanere solo con lui solo quando era a letto, addormentato. In questo modo, avrebbe riacquistato la sicurezza che gli era stata sottratta.

Ma Sebastian non aveva fatto i conti con un dettaglio importante.

Qualcuno, alla sua destra, depose un libro sul tavolo, scostò la sedia e vi si sedette. E forse fu il profumo familiare di bagnoschiuma agli agrumi che gli arrivò alle narici, o forse fu semplice sesto senso, ma fu certo di chi fosse ancor prima di voltarsi, o udire la sua voce.

«Ciao.»

“Harwood, naturale. Che culo.”

«È occupato, quel posto» mentì, riabbassando lo sguardo sul quaderno e girando pagina, in maniera tale da non tenere in mostra ancora a lungo quelle forme geometriche che aveva scarabocchiato.

«Da chi?» domandò Thad con voce sarcastica e sussurrata. «Dal tuo ego sproporzionato? O dalla disarmante antipatia quotidiana che distribuisci in giro?»

«Dalle tue stronzate, adesso.»

«Appunto, mie

Sebastian strinse le labbra, piccato, in seguito a quello scambio di battute, e non trovando risposta a quella frase, tacque e sperò che Thad ignorasse la sua presenza nello stesso modo in cui aveva intenzione di fare lui; ma, a quanto pareva, il ragazzo non era del suo stesso avviso. Lo stava indubbiamente fissando, rimuginando su quale fosse il suo problema.

“Tu. Tu sei il mio problema, maledizione.”

‹‹Posso sapere perché hai deciso di ignorarmi all’improvviso, cortesemente?›› domandò, dopo qualche minuto.

‹‹Ti dai davvero troppa importanza, Harwood. Non ti sto affatto ignorando.››

‹‹Certo. Come no. Sono giorni che non parliamo.››

‹‹E quando mai abbiamo parlato?››

‹‹Beh, noi- Mi guardi due secondi, per favore?››

Sebastian, che aveva continuato a tenere lo sguardo basso fino a quel momento, emise un lungo sospiro e, sapeva che se ne sarebbe pentito, ma non poté fare a meno di assecondarlo e voltarsi a guardarlo. Thad aveva la fronte aggrottata – una piccola ruga di preoccupazione gli era comparsa tra le sopracciglia – e il labbro inferiore era piegato all’interno, tra i denti. Strinse i pugni nel tentativo di trattenersi e di non allungarsi a baciarlo. Sarebbe stato così facile farlo, in quel momento.

‹‹Non mi prendi in giro. Non fai apprezzamenti inopportuni. Non ti fai trovare, non- Non sorridi neanche, in nessun modo. Jeff dice che sei arrabbiato con me.››

‹‹E che cazzo ne sa Sterling?›› rimbeccò Sebastian. Aveva il cuore a mille, man mano che Thad proseguiva; si sentiva come se fosse il colpevole di un misfatto colto con le mani nel sacco. ‹‹Mi ha preso per uno dei suoi tanti marmocchi bisognosi di attenzioni?››

‹‹Gli ho detto che mi stavi evitando e lui ha pensato che-››

‹‹Non posso avere semplicemente la luna storta? Devi per forza ficcare il naso negli affari miei?››

Thad scattò leggermente indietro, quando la voce di Sebastian crebbe di qualche ottava.

‹‹Pensavo di aver fatto qualcosa di sbagliato ed ero preoccupato. Me lo concedi?››

‹‹Non siamo una fottuta coppietta. Se devi preoccuparti, preoccupati per il tuo fidanzatino Wilson. Potrebbe prendersela a male se vedesse che mi stai incollato al culo. E ora scusa ma-››

‹‹Che c’entra Flint?››

Harwood schiuse le labbra, ma non parve far caso ai modi bruschi che aveva adoperato Sebastian, anzi, ciò che vi era ritratto sul suo volto, adesso, era puro e semplice stupore, mischiato ad un pizzico di consapevolezza. Sebastian si chiese se Sterling gli avesse accennato della strana cotta – ossessione, si corresse mentalmente – che aveva nei suoi confronti. Tutt’a un tratto, avvertì le guance farsi più accaldate. Non gli era mai capitato in una circostanza del genere.

‹‹E che cazzo ne so io?›› Si difese, con voce appena un po’ stridula, poi scosse la testa, come se, al momento, quello fuori di testa fosse Thad, non lui stesso. Si alzò in piedi e raccattò la sua roba alla meglio.

‹‹E ora dove stai andando?››

‹‹Via. Non c’è abbastanza silenzio in questa maledetta biblioteca.››
 


 
*
 


 
‹‹Posso sedermi vicino a te?››

‹‹Cazzo siamo? Due bambini dell’asilo? Fa’ come ti pare.››

Era uscito presto, quella mattina, con lo scopo di evitare i discorsi inopportuni e gli sguardi curiosi del suo compagno di stanza, ma l’unica cosa che era riuscito a fare era stata posticipare l’inevitabile. Aveva preso posto in classe ben mezz’ora prima dell’inizio della lezione: terza fila, solito posto, quello tre banchi avanti rispetto a Sterling e Harwood. Abbastanza lontano e, allo stesso tempo, abbastanza certo che non ci sarebbe stato modo per loro di interagire. Ma Harwood era più furbo di quanto immaginasse. Sebastian non si era perso il suo ingresso in classe, rigorosamente seguito dal suo fedele compagno dalla chioma ossigenata. Si era voltato indietro ogni volta che i suoi sensi avevano percepito l’arrivo di qualcuno, fino a che non aveva trovato la persona che cercava. Thad e Jeff si erano bloccati sulla porta, lo avevano guardato, poi si erano gettati un’occhiata a vicenda e Jeff gli aveva fatto un cenno che Sebastian, in un primo momento, non aveva saputo interpretare; ma poi Thad si era avvicinato e…

‹‹Allora mi siedo.››

Avrebbe voluto impedirglielo, ma avrebbe fatto di nuovo una figura tremenda, come quella del giorno precedente, in biblioteca, così si limitò semplicemente a seguire con la coda dell’occhio il movimento del suo corpo, che ricadeva sulla sedia accanto a lui.

Rimasero in silenzio per un tempo indefinito e lunghissimo.  Sebastian poteva percepire l’aria farsi carica di domande inespresse, che premevano per lasciare la bocca del compagno, ma, intanto, pareva che la lingua di entrambi si fosse annodata. Se Sebastian avesse aperto bocca adesso, di sicuro, avrebbe detto qualcosa di talmente sgradevole da farlo scappare indignato, e c’era qualcosa, dentro di sé, che gli faceva sperare che rimanesse ancora a lungo, nonostante non fosse pronto ad ammetterlo apertamente.

‹‹Senti, volevo dirti che…›› iniziò, ad un certo punto, e Sebastian, nel voltarsi, lo vide con la testa bassa e gli occhi rivolti alle sue stesse mani, intrecciate tra loro, che si stringevano convulsamente in preda a, cosa?, agitazione? Imbarazzo? Sì, forse era imbarazzo. La voce gli uscì ancora più bassa, simile ad un sibilo, quando proseguì: ‹‹Che Flint non mi piace.››

Finalmente, Sebastian lo guardò in viso. Doveva avere un’espressione molto simile a quella di uno che ha appena avuto una rivelazione mistica, ma cercò di nascondere ugualmente qualsiasi sentimento provasse – soddisfazione, sollievo, speranza.

‹‹Dovresti dirlo a lui, non a me›› ovviò, ma, alle sue orecchie, la sua stessa voce parve incerta e traballante.

Thad incontrò i suoi occhi per un solo secondo, poi li riabbassò e si morse il labbro. Non fece caso a ciò che aveva detto, continuò a parlare come se Sebastian non avesse proferito parola, come se Sebastian non avesse innalzato per l’ennesima volta un muro e l’avesse lasciato fuori.

‹‹Il fatto è che… Sì, lui è gentile, è altruista e divertente, ed è simpatico›› ad ogni aggettivo lo stomaco di Sebastian si contraeva in maniera fastidiosa, ‹‹ed è sempre disponibile con tutti, ma-››

‹‹Ma non te lo fa drizzare.›› La sua lingua scattò prima ancora che potesse fermarsi a pensarci su e scegliere delle parole meno dirette e taglienti; ma, naturalmente, la sua coscienza non ne risentì affatto. Vide Thad arrossire e guardarlo con gli occhi sgranati.

‹‹Non- Non intendevo questo, idiota.››

‹‹Ah, no? Ero abbastanza certo che fosse quella la conclusione della fra-››

‹‹Mi piace un’altra persona.››

Fu come se un macigno gli fosse caduto sul petto, impedendogli di respirare correttamente. Una lieve fitta al cuore.

Aggrottò la fronte, in preda alla rabbia – contro Harwood, contro se stesso, contro quell’altra persona, non lo sapeva per certo – e si costrinse a dire qualcosa di sensato.

‹‹Non mi interessa chi vuoi scoparti, Harwood. È un’informazione di cui posso fare volentieri a meno.››

Udì Thad sospirare, afflitto, proprio quando ormai lui non lo stava più guardando – era intenzionato a fingere la più totale indifferenza riguardo quella storia.

‹‹Di questo non devi preoccuparti›› rispose l’altro, sottovoce. ‹‹Tanto è così impegnato a fare lo stronzo che non si accorgerebbe mai del fatto che è lui, quello che mi piace.››

Sebastian rimase impietrito. Una parte di sé era convinta ancora che Thad stesse parlando di un personaggio sconosciuto, ma l’altra, quella un po’ più acuta e intelligente, aveva percepito quella frase come una frecciatina.

Harwood, che lo sfidava. Harwood, al quale lui piaceva davvero e che si permetteva di dargli del tardo. Harwood, deluso dal fatto che non ci fosse ancora arrivato con le sue stesse gambe. Harwood, che aveva capito di essere ricambiato, che aveva capito che Sebastian non fosse pronto ad uscire allo scoperto e che stava cercando di accorciare le distanze e facilitargli la scalata. E lui che perdeva tempo.

‹‹Ragazzi, aprite il libro a pagina ottantotto.››

Tempo prezioso.
 


 
*
 


 
‹‹Mi posso sedere qui?››

‹‹Mica siamo due bambini dell’asilo? Fa’ pure.››

Stessa scena, luogo diverso, parti invertite. Thad si stava gustando il suo pranzo – arrosto di maiale in salsa agrodolce, o una roba del genere, Sebastian non si era neanche preoccupato di leggere il menù – e, tra un boccone e l’altro, si era messo a fargli il verso.

“Spiritoso” pensò Sebastian, ma non era nella posizione adatta per ribattere. Posò il vassoio sul tavolo e si sedette cautamente al suo fianco. Sterling non era nei paraggi e, anche se lo fosse stato, Sebastian sospettava che avrebbe fatto di tutto per non interromperli – il suo istinto da Cupido lo spaventava, delle volte.

Indugiò, per un lungo momento, e prese un paio di profondi respiri, prima di iniziare il discorso che si era preparato e di cui ricordava poco e niente.

‹‹Mi dispiace di essere così stronzo.››

Solitamente, era buona educazione iniziare con delle scuse, no? Anche se… Uno Smythe che si scusava, questa cosa avrebbe fatto ridere i polli per l’eternità.

‹‹Credo di esserci abituato›› rispose Thad, portandosi la posata alla bocca e masticando un altro boccone. Dopo la lezione della mattina precedente e la pseudo-confessione che era venuta fuori, non gli aveva rivolto più la parola, anzi, sembrava quasi che stesse facendo il sostenuto adesso.

Ma che bastardo.”

Si schiarì la voce, onde evitare di dirlo a voce alta e finire per litigarci.

‹‹Magari potrei, che ne so, farmi perdonare?››

Harwood smise di pensare al cibo, posò la forchetta nel piatto e lo osservò sospettoso.

‹‹Non so se mi fido di te›› disse, sottintendendo qualcosa che Sebastian colse alla perfezione.

‹‹Non in quel modo, idiota. Credi davvero che io pensi soltanto a quello?››

Le sopracciglia di Thad si inarcarono a formare un’espressione scettica che voleva essere intesa come un “Tu che dici?”, ma Sebastian non si lasciò scoraggiare. Thad sapeva di lui e lui sapeva di Thad, stavano giocando a carte scoperte ormai.

‹‹Non torno a casa questo fine settimana, quindi esci con me›› buttò fuori Sebastian. E no, non era una domanda e, difatti, Thad non la interpretò come tale.

‹‹È un invito, o un obbligo?›› domandò, con una punta di sarcasmo.

‹‹Quel che ti pare.››

Thad distese i muscoli del viso e riabbassò lo sguardo sul piatto di carne, annuendo in silenzio, come se stesse rimuginando sulla risposta da dargli. Sebastian trattenne il respiro, mentre le labbra del ragazzo si piegavano all’interno e le sue guance si spruzzavano di rosso.

‹‹Ci posso pensare?››

“Cosa diavolo c’è da pensare? Ti piaccio, no? E allora, cazzo, esci con me.”

‹‹Se proprio devi›› grugnì, rilasciando uno sbuffo e afferrando il coltello per sfogare la sua frustrazione sul pezzo di carne.

‹‹Allora ti faccio sapere.››

“Certo, tanto l’imbecille che aspetta, qui, sono io.”
 


 
*
 


 
‹‹Hai deciso?››

‹‹Me l’hai chiesto solo due ore fa, Sebastian. Dammi il tempo di organizzarmi.››
 
 



 
‹‹Allora, Harwood, lo facciamo? Cioè… Insomma, hai capito.››

‹‹Ho capito, sì, ma ancora non so nulla riguardo il weekend. Te l’avrei detto, altrimenti.››

‹‹Certo. Me l’avresti detto. Ovvio.››



 
 
 
‹‹Quindi?››

‹‹No.››

‹‹No? Che significa no?››

‹‹Che non ho deciso.››

‹‹Ah… Okay.››



 
 
 
‹‹Harwood, hai-?››

‹‹Sì, Sebastian, esco con te, okay? Ora smetti di chiedermelo, per favore.››

‹‹Veramente volevo sapere se avevi visto il mio quaderno di scienze…››

‹‹Oh.››

‹‹Eh, già.››

‹‹…››

‹‹Quindi esci con me?››
 


 
*
 


 
La musica non era molto alta, nel locale. Sebastian si era seduto in un angolo della saletta, in attesa dell’arrivo di Thad, ma non riusciva in alcun modo a rilassarsi. Lui e Harwood si erano accordati il giorno precedente, decidendo che avrebbero preso una sola macchina – quella di Sebastian – e che si sarebbero recati insieme al posto prestabilito, per bere qualcosa e parlarsi, magari senza urlarsi addosso o fingere che non provassero nulla l’uno per l’altro. Fuori dall’Accademia e a cuore aperto.

E Sebastian già non sapeva gestire una situazione che, agli occhi di un qualsiasi altro ragazzo della sua età, sarebbe risultata semplicissima, poi ci si era messo anche il biglietto che Thad gli aveva lasciato sul comodino quel sabato mattina, a mandarlo in panico.

“Devo andare a casa, ma non preoccuparti. Alle nove ti raggiungo al locale. – Thad”

La mente di Sebastian aveva fatto due più due, nel momento in cui si erano fatte le nove e mezza: Harwood ci aveva ripensato. E come dargli torto? Non aveva mai fatto nulla di gentile per lui e, tutt’a un tratto, aveva deciso di volere per sé tutte le sue attenzioni. Era chiaro che Harwood avesse fatto una sorta di lista di pro e contro, prima di decidere se presentarsi o meno, e naturalmente i secondi avevano prevalso. L’unico ragazzo, al quale Sebastian si fosse mai interessato per davvero, gli aveva appena dato un signor bidone.

O almeno così credeva.

‹‹Oh, cazzo.››

Quel complimento inaspettatamente colorito gli sfuggì dalle labbra, proprio quando, puntando lo sguardo sulla porta del locale che si apriva, Sebastian vide il ragazzo che stava aspettando. E il suddetto ragazzo, ai suoi occhi, era incredibilmente bello, vestito di nero e grigio.

‹‹Aspetti qualcuno?›› domandò Thad, dopo averlo individuato ed essersi avvicinato. Per la prima volta da quando lo conosceva, era lui quello sicuro di sé. Sebastian, invece, traballava sul bordo di un burrone profondissimo.

‹‹Un cretino che è in ritardo›› riuscì ad articolare, dopo essersi schiarito la voce.

Thad non badò a quella sorta di insulto, anzi, si azzardò anche a sorridere con dolcezza, sorriso che fece annodare lo stomaco di Sebastian. Scivolò sulla panca, di fronte a lui, senza distogliere i suoi occhi brillanti da quelli dell’altro.

‹‹Posso farti compagnia io, intanto che aspetti›› disse, forse nel tentativo di far sciogliere Sebastian, che, dal canto suo, mise su un sorrisetto storto e complice e scosse la testa.

‹‹Non chiedo di meglio.››

Harwood, interpretando forse quella risposta come una sorta di lasciapassare oltre il muro solido e spesso dell’altro, fece scivolare con naturalezza la mano sul tavolo, fino a raggiungere quella di Sebastian che – non se n’era neanche accorto – aveva chiuso a pugno. La sfiorò appena con la punta delle dita, come cercando di tastare il terreno, e a Sebastian venne la pelle d’oca, ma non la ritrasse. Ne seguì il movimento con gli occhi, mentre quella si spostava e copriva completamente il dorso della sua.

‹‹Mi offri da bere?›› domandò Thad, con un sorriso innocente e privo di malizia.

‹‹È un invito, o un obbligo?›› cantilenò Sebastian.

‹‹Un obbligo, naturalmente.››

Rise. Non l’aveva mai visto ridere per lui e non aveva neanche sperato che potesse mai accadere, eppure Thad era uscito insieme a lui di sua spontanea volontà, sapendo perfettamente a cosa andava incontro, e ora stava bene. E faceva stare bene anche lui.

Mosse lievemente il pollice per sfiorare la sua mano e accarezzarla con finta noncuranza, mentre faceva un cenno al cameriere e sussurrava: ‹‹Touché.››
 
 
“I don’t care, go on and tear me apart. I don't care if you do… ‘Cause in a sky, ‘cause in a sky full of stars I think I saw you~”





 
   
 
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