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Autore: Heaven_Tonight    04/07/2014    17 recensioni
"Pizzichi leggero sulle corde.
Le note vengono fuori da sole.
Da quanto tempo non la suoni più questa canzone?
Anni…
L’hai registrata da solo, proprio lì in quel salotto, appollaiato su una sedia davanti alla finestra.
Di tanto in tanto guardavi verso le finestre ormai buie di Lou, offuscate dalla neve che cadeva copiosa.
La conoscevi da poco eppure ti sembrava di averla sempre avuta tra le braccia.
La canzone si era modificata nel tempo, prendendo in sé tutta l’amarezza, la frustrazione per la sua mancanza."
Missing Moments di "Ikkunaprinsessa", dove ancora una volta è Ville a parlare in prima persona.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ville Valo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Song for a Ghost



Provi di nuovo il ritornello allungando la nota finale, ma la voce si spezza.

Sbuffi stizzito, alzandoti dal divano con uno scatto improvviso, con la voglia di fracassare la chitarra in mille pezzi e saltarci sopra; invece la metti da parte, appoggiandola orizzontalmente, riverente, come fosse il corpo morbido di una donna.
La testa ti scoppia.
Non dormi da circa trenta ore, incapace di rilassarti.
Strofini vigorosamente il viso con i palmi delle mani, scompigliandoti poi i capelli già in disordine.
Hai fumato l’ultima sigaretta appena due minuti fa ma te ne accendi subito un’altra; aspiri rapido con voluttà la prima boccata e con un sospiro rauco butti fuori il fumo, chiudendo gli occhi.
Lentamente ti avvicini alla finestra, scrutando il cielo: sono passate da poco le undici di sera e c’è ancora il sole.
In un altro momento ti saresti goduto l’arrivo dell’estate, la luce, l’aria calda…
In un altro momento ti saresti goduto anche l’adrenalina, l’eccitazione che precede ogni tour.
Dell’adrenalina ora te ne fai poco: sei teso come una corda di violino, nervoso come non mai, irritabile e acido.
Prima o poi i tuoi compagni della band ti prenderanno a pugni in faccia.
Li esasperi con la tua celebre pignoleria, facendoli provare e riprovare i nuovi pezzi, insistendo fino allo sfinimento affinché tutto sia come tu vuoi.
La verità è che non ti piace più rifugiarti nella tua torre e cerchi la compagnia delle uniche persone che ti fanno sentire meglio: i tuoi compagni di viaggio da vent’anni ormai, quelli che ti capiscono al volo con una semplice occhiata.
Che ti sopportano, nonostante tutto.
La verità è che ogni cosa ti sta stretta e tu ti senti come in procinto di esplodere.
E sarebbe meglio esplodere e dare di matto piuttosto che tenere ingabbiata dentro insoddisfazione, rabbia, stanchezza; sfogarsi una volta per tutte e trovare un po’ di pace.
Invece sei così abituato a nasconderti dietro l’apparente impassibilità che ti contraddistingue che ti rendi conto di essere al limite solo quando sono gli altri ad esasperarsi.
Spalanchi le finestre che erano solo accostate per tenere fuori il calore e la luce troppo forte; hai addosso solo dei jeans vecchi e a torso nudo, incurante di chi possa o meno vederti, ti sporgi sul davanzale.
Respiri a pieni polmoni l’aria ormai tiepida e lasci che la sigaretta si consumi tra le tue dita.
Punti il tuo sguardo ovunque, lo lasci vagare su quel paesaggio che ami tanto, evitando però accuratamente quello alla tua sinistra, in basso.
Tre case più in là, un muro di mattoni rossi, un cancello, un vialetto, la porta con una maniglia nuova.
E un cognome diverso sul campanello.
Con la coda dell’occhio percepisci movimenti all’interno, luci accese in tutte le stanze, risate di bimbo ovattate portate da un alito di vento.
Sai che ora, quella casa che conosci così bene, è abitata da una coppia giovanissima con un bambino piccolo.
Li hai incontrati più volte e ricambiato a fatica i loro sorrisi gentili.
Hai ignorato il piccolo dai capelli biondissimi che ogni volta ti strizza l’occhio, sperando di farti sorridere.
Ignori chiunque ti passi accanto, a dire la verità.
Se non fossi costretto a parlare con chi lavora con te, ignoreresti anche loro.
A volte ignori anche te stesso.
Qualcosa ti sfiora leggero le caviglie e subito dopo un’ombra nera salta sul davanzale, agile e silenziosa.
«Vedi di non tuffarti di sotto come l’ultima volta.», sussurri grattandole il muso.
Katty gira la testa a fissarti con gli occhi verdi stretti a fessura.
Ti aspetti quasi che inizi a sbuffare, con la sua aria di condiscendente tolleranza.
Lei continua a strofinarsi contro la tua mano e tu la accarezzi distrattamente, lentamente, ritrovando in quel movimento un rituale che calma entrambi.
Dovresti proprio andare a dormire.
E invece indugi davanti a quella finestra aperta, godendoti quell’attimo di pace, l’aria profumata di fiori e mare.
La porta con il campanello con un cognome diverso si apre improvvisamente e tu, d’istinto ti giri a fissare la donna che cammina lungo il viale.
Il sussulto che ti ha stretto per un secondo lo stomaco evapora miseramente.
Ancora.
Dopo tutto quel tempo, ancora sussulti quando quella porta si apre o se alla finestra appare un’ombra indistinta.
Ti odi e ti biasimi, per quello.
Anche Katty guarda curiosa, sporgendosi sul davanzale.
La donna ha i capelli lunghi, lisci e biondissimi, così chiari da sembrare quasi bianchi, proprio come il piccolo che ti strizza gli occhi.
Cammina spedita, un sacco di plastica in una mano e nell’altra un cellulare che sbircia di continuo.
Il segno dei tempi.
Non si riesce a fare a meno di quell’aggeggio neanche per pochi minuti, neanche quelli necessari per andare fino al più vicino punto di raccolta differenziata e gettarvi l’immondizia.

«Non è lei», sussurri a Katty senza rendertene conto e subito dopo imprechi.

La gatta emette un suono basso, mugugnando contrariata.
Ghigni nella sua direzione e vi fissate per lunghi minuti.
«Oh, piantala, signorina.», sbotti ridacchiando dopo non ricordi più quante ore.
O forse giorni?
Getti via il mozzicone di sigaretta ormai consumato.
Buffo come l’unico essere vivente in grado di rasserenarti non sia dotato di parola.
O forse, è proprio per quello che è l’unica compagnia gradita.
Un gatto.
Un gatto che non avevi voluto.
Un gatto che aveva cambiato con la sua presenza, ogni cosa.
Capovolgendo il tuo mondo già così complicato.
Un gatto che aveva portato con sé il periodo più strano, più sereno e allo stesso tempo più vivo da che ne avevi memoria.
Un gatto che ti aveva dato modo di conoscere il “tuo fantasma”.
Di vivere per qualche mese nella convinzione che anche tu potessi avere un amore non tormentato, appagante, “normale”.
La sogni continuamente da quando hai letto le date del tour europeo.
Ovviamente sapevi che prima o poi avreste suonato anche in Italia.
Lo sapevi, eppure hai fissato con gli occhi stralunati quelle tre date, da lì a due mesi.
La sogni come una figura evanescente, lontana ma presente.
Non riuscendo mai a guardarla in viso, mai a toccarla.
Senti l’odore della sua pelle come se ti fosse accanto. A volte senti i suoi capelli che ti sfiorano il corpo nudo.
Ti sei spesso chiesto perché tra tante donne lei è l’unica che non riesci a dimenticare, l’unica del quale ricordo ti è difficile liberarti.
L’unica della quale non vuoi liberarti, a conti fatti.
Hai avuto storie ben più lunghe e tormentate, vissute in maniera diversa, sofferte… eppure…
Eppure lei è lì. Da qualche parte dentro di te.
La senti.
E ti aggrappi a quel ricordo, nonostante gli anni, nonostante gli eventi e il fatto che lei abbia scelto una vita lontana da te.
L’hai accettato.
Non hai mai provato odio nei suoi confronti, ma verso te stesso sì.
Avresti dovuto salire sul primo aereo, cercarla e riportarla indietro.
A casa.
Tra le tue braccia.
Il tuo orgoglio ferito di uomo mollato però ha avuto la meglio.
E la tua testardaggine ha fatto il resto.
Ci sono state notti in cui il tuo corpo soffriva dal desiderio intenso e disperato di essere dentro quello di lei.
Di sentire le sue mani su di te, di sentirti stretto nella morsa delle sue braccia e gambe avvolte intorno ai tuoi fianchi.
Di sentirla fremere sotto di te.
E non sono bastate le sbornie, le occasionali distrazioni di una notte a sanare quella fame.
Per un periodo ti sei stordito in ogni modo pur di non pensare a lei, al fatto che era sbagliato non essere insieme, al fatto che forse eri stato troppo distratto da altro per renderti conto che la paura che le vedevi negli occhi durante le prime settimane in cui vi frequentavate, era tornata, ma in modo diverso.
Troppo preso dalla lavorazione all’album, per notare che lei si stava di nuovo chiudendo in se stessa.
Non sei mai riuscito a capire il perché… le sue spiegazioni non erano mai quelle vere.
Sapevi che ti stava mentendo, eppure hai aspettato, hai sperato che prima o poi potesse cambiare idea e tornare a casa.
Hai aspettato che lei capisse che era una totale stronzata non stare insieme.
Hai aspettato i suoi tempi.
Hai aspettato troppo.
E dopo era passato troppo tempo per tornare indietro.
Hai commesso troppi sbagli e non avresti potuto più guardarla come prima.
E insieme allo sconforto disperato di non averla più tra le braccia, era arrivata la voglia di buttarti lei e ogni cosa che te le ricordava, alle spalle.
Ti eri lasciato consolare.
Accettando che qualcuno prendesse il suo posto nel tuo letto.
Ma non nel tuo cuore.
Era durata poco anche quella parvenza di sostituzione: non sopportavi di svegliarti e trovare un’altra donna accanto a te.
Non sopportavi di non trovare lei.
Non volevi che nessuno ti dormisse accanto, vedendoti nel momento in cui eri più vulnerabile.
Volevi il tuo spazio.
E così avevi detto alla tua compagna di letto, senza tanti giri di parole, senza alcun tatto, che doveva prendere le sue cose e tornarsene a casa.
Amy non l’aveva presa bene, come sempre.
Amy però era rimasta.
Come ogni volta che la tratti male, la offendi, che ti neghi o ti becca con altre donne.
Lei è di nuovo lì il giorno successivo.
La sua costanza è l’unica cosa duratura nel vostro rapporto.
Non sai se lei se ne renda conto ma sai, intuisci, che ha sempre sperato prima o poi di prendere un posto fisso accanto a te.
E lo spera ancora.
La donna dai capelli biondi con il suo passo veloce è sulla via di ritorno e tu la segui con gli occhi.
All’improvviso lei alza lo sguardo sentendosi osservata e ti sorride maliziosa, salutandoti con un cenno della mano.
Rimani spiazzato: l’ultima volta che una donna ti ha beccato a spiarla le cose poi avevano preso una piega che non ti aspettavi.
Alzi una mano e stiri le labbra in quello che dovrebbe essere un sorriso cordiale.
Ti rendi conto di essere senza maglia e arrossisci, anche se lei non può vederti.
In passato mostrare il tuo corpo non ti aveva mai messo a disagio, anzi: sapevi che nonostante non fossi un adone palestrato con muscoli ben scolpiti, alle donne piacevi lo stesso e tanto.
Vai a capire perché.

“Mi piaci da morire…”.
Lou.
Come un fulmine arrivò il ricordo della sua voce dolce che ti sussurrava sul collo.

Solo quando erano state altre mani a toccarti, altre labbra che ti baciavano, ti eri reso conto di quanto ti dessero fastidio.
Perché non erano le sue.
Perché “lei” ti baciava e bisbigliava sul tuo collo in un modo tutto suo, sfregandosi come una gattina, le dita attorcigliate intorno ai tuoi capelli.

«Basta, cazzo!
», sbotti furioso, allontanandoti dalla finestra.
Ti butti sul divano con le ossa doloranti e la schiena a pezzi, tornando alla tua chitarra.
“Dovrei proprio dormire…”, ti ripeti mentalmente,accarezzandone il dorso come faresti con i fianchi di una donna.

E all’improvviso ricordi Lou sdraiata al tuo fianco, per una volta senza il suo imbarazzo nel farsi vedere nuda.
Con gli occhi della mente ricordi ogni curva del suo corpo, ogni particolare che credevi di aver dimenticato.
Il collo sottile e delicato, le orecchie minute, la forma della bocca piccola e rosea, la fossetta che le si formava sulla guancia quando sorrideva.
Il seno piccolo e perfettamente tondo che stava a perfezione nella tua mano, la vita sottile che si allargava sui fianchi sinuosi, pieni e femminili.

«Oh, per la miseria…», scrolli la testa velocemente, come a voler scacciare via quei ricordi pericolosamente sensuali.
Pizzichi leggero sulle corde.
Le note vengono fuori da sole.
Da quanto tempo non la suoni più questa canzone?
Anni…
L’hai registrata da solo, proprio lì in quel salotto, appollaiato su una sedia davanti alla finestra.
Di tanto in tanto guardavi verso le finestre ormai buie di Lou, offuscate dalla neve che cadeva copiosa.
La conoscevi da poco eppure ti sembrava di averla sempre avuta tra le braccia.
La canzone si era modificata nel tempo, prendendo in sé tutta l’amarezza, la frustrazione per la sua mancanza.
Prendendo il posto di quella prima canzone che era così diversa dal tuo stile, quella che Lou ti aveva ispirato, quando la conoscevi solo da qualche settimana e tu eri già completamente cotto.
Non avevi più voluto cantarla con Amy, che stupidamente aveva creduto per tutto il tempo che fosse per lei, che fosse lei e non la tua “Prinsessa”, a ispirarla.
L’avevi messa da parte: troppo piena di speranze per essere una tua canzone.
E durante le prime settimane lontano da Lou, durante le notti insonni in cui fumavi una sigaretta dietro l’altra, quando ti sentivi soffocare e uscivi di casa negli orari più impensati, camminando da solo fino alla spiaggetta dove trovavi ad aspettarti quella panchina di legno e ti sedevi a guardare il mare e il girovagare del sole nel cielo, per ore.
Oppure consumando il pavimento di legno scuro della torre, facendo avanti e indietro, senza sosta, senza fermarti.
Una sera invece ti eri fermato… avevi preso la tua chitarra ed era venuta fuori, senza prima scribacchiarla sul tuo taccuino come fai sempre.
Avevi buttato fuori le parole come se fossero state sempre lì, pronte per essere cantate.



Song for a ghost

I still try To hold onto whatever is left of you and die
I showed my card and I stopped to breathe

Eyes like a wind
soulful eyes
swift dream
frozen heart

Dry your eye
Shake dreams from your hair
Are you her? Do you look like that?
How could you be when no one ever could…

Worship with words, with sounds, hands, all
Lost in the vanity of the senses
Swift beat of a proud heart
I can forgive my wounds just in the name of Love
But you were like a light that went away
A symmetrical angel

And dream of you
way out the light and go down, down...

Do you love me? “Just for tonight”.
Where are you going? “To the other side of morning”
Wandering in hopeless night

A cat yowls In the gloom
And the skies screaming like my soul.





La voce diventa un sussurro rauco.
“Masochista testa di cazzo.”
Continui a stringere la chitarra fra le mani, aggrappandoti ad essa.
Qual è il modo migliore per non dimenticare? Comporre una canzone per lei.
Katty è seduta composta davanti a te e ti guarda.
La tua piccola pantera nera dal pelo lucidissimo, così elegante e sinuosa, così diversa dalla minuscola palla di pelo arruffato che tu e Lou avete salvato dalla morte, in quella notte nevosa…

«So di essere un coglione, non c’è bisogno che mi guardi così, eh…»
Lei gira la testa con aria indifferente poi torna a fissarti e lenta, ti si avvicina saltandoti sulle ginocchia.
Dovresti smetterla di perdere tempo, andare a riposare, ritemprarti con una sana notte di sonno e lasciare che questa malinconia perenne si affievolisca.
Se dormi, puoi sognarla ancora. E farti del male.
Ancora.
Lei sa del tour? Lei pensa a te? E poi cosa te ne dovrebbe importare, dopotutto?
"Bugiardo".
Sei così allenato ormai, che ti fai le domande e ti rispondi anche da solo.

«Diventerai un noiosissimo, acidissimo vecchietto stronzo.», ti dice sempre il tuo migliore amico, con una risata divertita.
«Fottiti.», gli ringhi trattenendo una risatina, sapendo che è alquanto possibile.
«Di quelli che si mettono sulla finestra e aspettano che qualche vicino o ignaro passante parcheggi la macchina dove non dovrebbe e tu inizi a sbraitare e inveire contro.», continuava ridendo di gusto facendo ballonzolare la sua voluminosa pancia rotonda.
Menti a tutti, perfino a te stesso. Alzi lo sguardo sul quadro appeso sopra il tuo pianoforte.

"Bugiardo, masochista, inguaribile romantico di una testa di cazzo”.

Qual è il miglior modo per non dimenticare una persona?
Tenere in casa un quadro che rappresenti lei, ovviamente.
Sorridi amaramente di te stesso.
La verità è che non hai mai neanche provato a dimenticare quei mesi con lei, con Katty, con i suoi amici.
Non hai voluto dimenticare ogni istante passato in quella casa a soli duecento metri dalla tua, ma nella quale ti sentivi come in un altro mondo.
Tu, in quel letto troppo corto perché ci potessi stare comodamente allungato.
Lontano dai tuoi strumenti, in un posto così “normale”, banale e sereno che ogni volta che uscivi e tornavi alla tua di normalità, non vedevi l’ora di ritornarvi.
Posi nuovamente la chitarra e ti avvicini al quadro.
Quante notti hai passato a fissare truce quel dipinto?
Quante volte hai avuto voglia di farlo in mille pezzi?
Quante volte hai accarezzato con gli occhi le onde oro rosso dei capelli, l’ovale delicato, le mani e le braccia della figura raccolta ad abbracciarsi le ginocchia?
La guardi per la milionesima volta e come ogni volta senti da qualche parte dentro al tuo petto scarno, una stretta.
La figura femminile appariva sfocata come se fosse in un sogno, invece era il vetro della finestra a mettere quel filtro che ne sfumava i contorni.
Seduta a terra, le gambe raccolte al petto e le braccia a stringerle.
La fronte posata sul vetro.
La figura guardava all’esterno con aria sognante, un leggero sorriso sull’espressione seria. I colori del quadro variavano dal bianco candido della neve che volteggiava tra l’osservatore del dipinto e la figura rappresentata, al grigio, al rosso ocra smorzato.

L’unica nota di colore vivo, vibrante era la figura stessa: i suoi capelli sembravano lingue di fuoco, caldo e avvolgente.
Vestita di un abito corto, blu notte.
Un vestito che non le hai mai visto addosso.
Lo stesso blu notte che poi gradualmente sfumava in viola, magenta e giallo, in rotonde volute, fondendosi con il rosso dei capelli, per tutta la restante parte superiore del quadro, dove si stagliavano stelle e volte celesti, non una ma molte lune a rincorrersi nel cielo.
Come se fosse la figura seduta a sognare quel firmamento intenso e vivo.
La prima volta che avevi visto quel quadro ti si era seccata la bocca. Non eri riuscito a parlare per lunghi minuti.
L’opera non era ancora finita ma non c’era stato bisogno di chiedere all’artista chi fosse la donna del quadro.
Lui ti aveva risposto lo stesso, intuendo probabilmente cosa stessi provando in quel momento.


«È lei. È come la vedevo sempre, come la ricordo. È quello che era. È quello che è ancora. È quello che vuoi.»


Ancora una volta eri rimasto senza parole, proprio tu che quando inizi a parlare non ti fermi neanche con le minacce.
L’artista ti aveva guardato comprensivo e ti aveva lasciato da solo davanti a quel quadro incompiuto come la vostra storia, come l’amore che non avevate vissuto appieno.
Minuti, o forse ore a guardare il viso della donna non ancora finito.

Avevi deciso che quel quadro apparteneva a te, doveva essere tuo e avresti fatto qualsiasi cosa per averlo.
Sei tornato molte volte a guardarlo, rimanendo sempre in silenzio davanti ad esso e all’artista che aveva saputo cogliere un lato della donna che amavi in un modo in cui tu non avresti potuto mai.
In un modo così profondo, che neanche con mille canzoni l’avresti rappresentata com’era davvero.
Sei tornato e hai visto la tua ‘Prinsessa’ sbocciare come un fiore dal pennello tenuto stretto dalle mani nodose del tuo anziano vicino di casa.
Ti sedevi sempre in un angolo, dietro le spalle curve del Sig. Korhonen e guardavi il sorriso con la fossetta appena visibile della donna che amavi, prendere forma.
Sempre in silenzio.
Un silenzio confortante.
Un silenzio carico di parole.
Un silenzio che non ti pesava ma che invece era come un balsamo per la tua anima in fiamme.
Sospiri tuo malgrado e ridi di te stesso.
Amy aveva provato a farti togliere quel quadro un’infinità di volte, insinuando che fosse orrendo, di quanto stonasse nel contesto della tua casa, che non le piaceva.
Sapevi bene il perché non le piacesse e le avevi detto solo una volta, una sola, tanto era bastato per farla tacere:
«Il quadro rimane, ma tu puoi andare via quando vuoi
Amy aveva ingoiato la rabbia e aveva taciuto.
E alla fine era andata via da sola non sopportando più di vivere con un uomo a metà, o forse meno, accanto a lei.
Un uomo che la ignorava per la maggior parte del tempo.
Un uomo che passava le sue notti insonni a scrivere forsennatamente la sua musica e staccare solo per tornare al quadro e fissarlo.
Un uomo che viveva rinchiuso nel suo passato.
Consapevolmente.
Sospiri di nuovo e Katty miagola comprensiva, strofinandosi contro i tuoi jeans.
«Che dici, andiamo a dormire?», sussurri alla felina che ti risponde con un “mao” sonoro.
Sei a pezzi.
Sei a pezzi da anni e tenti di rimettere insieme i cocci, anche se dall’esterno sei come sempre.
Strafottente, sicuro di te, allegro e pungente, con la tua solita ironia sottile.

“Secondo te perché il cuore batte?”.

Lou te lo aveva chiesto una volta, stesa nuda sopra di te, mentre con aria fintamente indifferente giocherellava con i tuoi capelli, sfiorandoti il naso, il collo…
Era stato tanto tempo prima e tu le avevi promesso che ci avresti pensato su e se un giorno avessi trovato la risposta…
Se un giorno l’avessi trovata l’avresti detto anche a lei.
«Credo di aver capito perché il cuore batte, ‘Prinsessa’…», sussurri fissando il volto della donna nel quadro, sperando quasi che alzi gli occhi e lei ricambi il tuo sguardo.

Due mesi.
E poi anche lei lo avrebbe saputo.


*****






Angolo dell'autrice:
Eccoci ancora qui, con un nuovo POV di Ville.

Come sempre mi prostro a terra e chiedo umilmente venia per osare mettere i suoi pensieri nero su bianco e farli miei, ma stavolta ho esagerato!
Ho anche scritto l'ipotetica canzone che Ville ha scritto per Lou.
Perdonatemi se potete! XD

Come ho detto in altra sede, se Ville fa il musicista e io la pirla, un motivo ci sarà ma ho fatto del mio meglio per trovare qualcosa di adatto e ho usato frasi qui e là di poesie di Jim Morrison (devo chiedere scusa pure a LUI: non ne esco viva, povera me...);
la frase iniziale che è ovviamente di Ville presa da
Dying Song, e altre frasi qui e là sono qualcosa uscite anche dalla mia testa bacata.

Siate buoni e non linciatemi che già lo faccio da sola! :D


Per il banner ho usato una delle tante foto che la gentile Infernal_Offering di tanto in tanto mi manda durante le sue lunghe passeggiate in giro per Helsinki.
In questo caso, la panchina in basso a destra... indovinate dove si trova? :D


*Per la parola "skies" al plurale, mi sono ispirata, con il prezioso aiuto della mia socia Lady Angel 2002, ad una canzone di Alan Parsons Project dove in una canzone sembra intendere "cielo", sia fisicamente che metafisicamente parlando come di una battaglia da intendersi sia terrena che ultraterrena e nel caso della canzone di Ville per Lou, mi sembrava più che adatta, dal momento che il cielo riflette il suo stato d'animo urlando e piangendo.

E per la prima volta ho anche provato a camminare da sola, senza le mie due amatissime Beta Reader, Cicci Vivi e Ale: non so se ci sono errori, nel caso fate finta di niente! xD
Bene... spero di avervi fatto cosa gradita e alla prossima!

1

PS: Come molte autrici che seguo mi è venuta voglia di aprire un gruppo Gruppo Facebook dedicato alle discussioni e tutto ciò che ci passa per la testa sulle storie o le OS finora scritte,
dove potremo parlare liberamente, confrontarci come se fossimo in una piccola sala da thè, riservata... da brave signorine composte. ;)


Siete le benvenute.

Alla prossima!
Baci baci,
*H_T*





   
 
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