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Autore: black_eagle    04/07/2014    3 recensioni
"Non so con quali armi si combatterà la Terza guerra mondiale, ma la Quarta sì: con bastoni e pietre" Albert Einstein.
E se Einstein si fosse sbagliato?
Sono passati secoli dalla Guerra e l'umanità ha ricostruito il suo mondo dalle macerie in cui lo aveva lasciato, con nuovi stati e società. Ma ora non è più l'unica razza intelligente presente sul pianeta e la Terra non è più il luogo pacifico di secoli fa.
Mentre le tensioni tra i nuovi stati crescono, i Mutanti minacciano le terre umane e altri pericoli, più oscuri e sinistri, si celano nelle ombre di un passato quasi del tutto dimenticato.
E Alberto, Marek e tanti altri dovranno dar prova di ogni loro singola abilità per riuscire a sopravvivere e tentare di realizzare i loro sogni in questo nuovo e spietato mondo.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1_Preda e cacciatore
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LA PREDA E IL CACCIATORE

Mancava poco all'alba e la foresta era piena dei rumori della natura. Era una foresta vecchia, cresciuta molto negli ultimi secoli. C'erano alberi enormi cresciuti durante centinaia d’anni, alberi-roccia con la corteccia simile a una dura pietra e alberi-luce con le foglie che emanavano una debole fosforescenza dando al posto un aspetto affascinante e sinistro proiettando lunghe ombre contro le rocce. Il terreno era coperto di foglie e ramoscelli e vari cespugli ne tappezzavano alcune parti. Si potavano anche scorgere macchie di rovi in giro. La terra era umida, piena di tracce, per la notte piena di pioggia e il cielo era ancora coperto da una coltre di nubi.
Marek si chinò per esaminare le tracce del cervo nella semioscurità della foresta. I rami bloccavano anche la poca luce lasciata filtrare dalle nubi. Le tracce erano fresche, la sua preda non poteva essere lontana. Era da quasi una settimana che lo inseguiva in lungo e in largo per la foresta, e la notte precedente aveva temuto di averlo perso per via della tempesta, quando aveva dovuto cercare un riparo per non morire dal freddo. Ma la fortuna era dalla sua, anche il cervo aveva cercato riparo dalla furia degli elementi, non lontano dalla grotta usata da Marek, e quando al mattino era uscito per cercare del cibo aveva lasciato delle impronte nel terreno fangoso.
Le tracce lo portarono fino a una radura. Qui gli alberi si diradavano per lasciar passare un po' più di luce. Nel centro dello spiazzo c'era una piccola pozza. Probabilmente il cervo voleva abbeverarsi ma avrebbe dovuto scegliere un altro posto per farlo; se lo avesse fatto forse adesso sarebbe ancora vivo. Marek non era l'unico cacciatore della foresta, ce n'erano di più grossi e più selvaggi, anche se in questa parte del bosco erano molto rari. Vicino alla pozza un grosso raptor stava banchettando con la carcassa del cervo.
Appena lo vide Marek si precipito dietro un albero e sbircio un po' meglio. A quanto pare il raptor era troppo preso dal suo pasto per accorgersi di lui, ed era un bene. I raptor selvatici erano tra i dinosauri più letali. Vederlo gli fece tornare in mente un vecchio detto da cacciatore: "Preda e cacciatore possono cambiare in un istante".
Generalmente erano alti all'incirca due metri e le loro lunghe gambe gli permettevano di compiere scatti incredibili o di correre a velocità molto elevate, potevano tranquillamente raggiungere una velocità doppia rispetto ad un cavallo. Senza contare la loro pelle squamosa che era molto resistente e difficile da ferire, su alcuni raptor era talmente spessa e dura che persino i colpi di alcune armi da fuoco facevano fatica a penetrarla, e i loro artigli lunghi 20 cm con cui potevano squartare facilmente qualsiasi carne o tessuto.
Marek pensò al modo migliore per uscire da questa brutta situazione. Era strano trovare un raptor così a sud, generalmente i loro branchi se ne stavano più a nord, sopra il vecchio confine, quindi con tutte le probabilità era da solo, magari un esemplare che aveva lasciato il suo branco o che l'aveva perso; almeno non doveva preoccuparsi del branco. Se scappava rischiava di fare troppo rumore e far accorgere il raptor della sua presenza, e questo sarebbe stato una morte quasi certa. D'altro canto anche affrontarlo poteva condurre a esiti simili. Poteva arrampicarsi su un albero e sperare che il raptor se ne andasse via senza notarlo ma non credeva che avrebbe funzionato come piano. Marek si accorse che la carcassa stava velocemente sparendo tra i bocconi della bestia e quando quest'ultima avrebbe finito lo avrebbe certamente fiutato. No doveva sbrigarsi a fare qualcosa.
Estrasse una freccia dalla faretra, poi prese un sasso da terra e lo lancio dall'altra parte della radura. Il sasso colpì un'albero-roccia con un rumore sordo. Il raptor blocco di colpo il suo pasto e si girò d'istinto verso il rumore. Rimase alcuni istanti a fissare il punto, come per valutare se valeva la sua attenzione ma poi si rigirò preferendo tornare al suo banchetto. Marek osservò tutta la scena trattenendo il fiato e pregando che la sua folle idea funzionasse perché se non funzionava era bello che morto. Nell'istante in cui il raptor si girava con le fauci spalancate per addentare un altro boccone Marek usci dal suo nascondiglio incoccando la freccia. Non penso più a niente, lascio andare ogni pensiero, ogni paura ed emozione e lasciò la corda dell'arco. La freccia taglio l'aria con un sibilo acuto, tracciando una linea retta verso la bocca spalancata del dinosauro per poi conficcarsi giusta nel centro e andando a trapassare il cervello. Il raptor guardò Marek con occhi stupefatti, come per capire se era un pericolo o no e poi crollo a terra di colpo, con un tonfo sordo.
 Il cacciatore lascio andare il fiato con un grande sospiro. Aveva rischiato e aveva ottenuto. Si avvicinò felice alla sua nuova preda. Il cervo era ormai sprecato, con il ventre aperto e la maggior parte della carne mangiata dal raptor, magari avrebbe potuto recuperare le corna. Si avvicinò all'altra sua preda: era un cucciolo, raggiungeva a malapena il metro e settanta, doveva ancora crescere del tutto. Aveva comunque denti e artigli affilati come rasoi.
Recupero la freccia dalla mandibola e poi estrasse il coltello e inizio a tagliare pezzi di pelle al dinosauro. Le squame di raptor erano molto richieste e si vendevano a un ottimo prezzo. Dopo che ebbe riempito la borsa tirò fuori il seghetto e iniziò a tagliare con cura denti e artigli, valevano molto anche quelli, riempiendo i due sacchetti che aveva con se. Dopodiché taglio anche le corna al cervo e se le legò alla cintura e tagliò via la carne rimasta. Gli sarebbe servita durante il viaggio di ritorno; aveva quasi finito le provviste e non ci teneva a morire di fame prima di essere tornato a casa. Avrebbe dovuto portarsi via più cibo ma aveva anche sperato in un più selvaggina, purtroppo quel cervo era stata l'unica preda che aveva trovato in vari giorni.
Si incamminò. La strada più comoda per tornare verso casa, se non aveva perso completamente il senso dell'orientamento, doveva essere quella di tagliare dritto la foresta verso sud fino ai resti della ruote 165 e una volta raggiunta l'antica strada seguirla fino verso nordovest fino a casa.
Mentre camminava Marek osservava la foresta intorno a lui. Lo riempiva di pace quel posto. Le nubi in cielo si stavano diradando lasciando filtrare dei raggi di luce, il sole era ormai sorto da un'oretta, tra il fogliame degli alberi. Trovo una vecchia pista di caccia che andava verso sud e iniziò a seguirla. Lungo i fianchi sorgevano grandi alberi-roccia, vecchi almeno di tre secoli a giudicare dalle dimensioni; erano piante maestose e Marek ne era sempre affascinato, per lui era come una dimostrazione della natura che diceva "Nonostante tutto quello che fate io resisterò sempre". Vicino agli alberi-roccia si potevano scorgere anche querce, frassini, pioppi e anche dei pini ma non reggevano il confronto coi loro pietrosi fratelli. Scorse degli alberi-luce anche qui, con le foglie che emanavano una debole fosforescenza luminosa; non raggiungevano mai grandi dimensioni, due metri e mezzo al massimo, e il loro tronco non era spesso o robusto come quello di altri alberi. Si diceva che nelle grandi città ne avessero fatti crescere di enormi e che li usassero per illuminarle durante la notte. Marek naturalmente non gli aveva mai visti, come non aveva mai visto una grande città, anche se gli sarebbe piaciuto molto. Chissà, forse un giorno avrebbe visitato il mondo ma per ora tutto quello che conosceva era il suo villaggio, le foreste che lo circondavano e la caccia.
Nonostante la giovane età era uno dei migliori cacciatori del suo villaggio, forse non quello con più esperienza ma di certo uno tra i migliori con l'arco, si poteva dire che aveva un talento naturale per usarlo. E per fortuna che era così. Dopo la scomparsa dei suoi genitori tirare avanti era stato parecchio difficile nei primi tempi. Suo nonno materno, l'unico parente ancora in vita che aveva, era ancora forte per la sua età ma di certo non poteva lavorare più come un giovane e Marek all'inizio era troppo piccolo per poter fornire più di un misero aiuto nei campi. Col tempo però la crescente abilità di Marek con l'arco aveva permesso loro di vivere senza dover tirare la cinghia. La caccia oltre a riempire il piatto, portava anche soldi in casa e questo aiutava molto.
Mentre camminava di tanto in tanto scorgeva i resti di qualche piccola strada minore: pezzi di asfalto erosi dal tempo e dal clima ma che ancora resistevano dopo secoli. Raggiunse i resti della route 165 quando ormai il sole stava tramontando. Avrebbe dovuto cercarsi un riparo per la notte. Vide una stradina laterale che si staccava dalla strada principale e si inoltrava a sud, dentro la foresta, con un cartello di metallo ormai completamente sbiadito che la indicava. Forse segnalava la direzione verso qualche vecchia cittadina. Non si era mia spinto tanto a est per cacciare quindi non conosceva la zona. Di solito andava a nord o ad ovest.
Ci si incamminò sperando di trovare i resti di qualche abitazione dove potersi rifugiare per la notte; il territorio ne era pieno anche se spesso le rovine erano consumate dal tempo o dal clima o inglobate dalla foresta. Il sole era ormai tramontato del tutto quando raggiunse i resti che aveva sperato di trovare.
La foresta si era mangiata vari dei vecchi edifici, un pino spuntava dal tetto di quello che Marek pensò fosse una tavola calda per esempio, ma alcuni resistevano ancora. Molti edifici erano crollati nel corso dei secoli e le macerie tappezzavano la strada già distrutta dalle radici degli alberi cresciuti negli anni. Si avvicinò a una grande casa in pietra; i muri erano consumati da secoli di piogge ma pareva solida e in buono stato ed era stata risparmiata dagli alberi. Varcando la soglia si accorse che era una di "quelle case". Durante le sue battute di caccia in passato aveva già cercato rifugio in vecchie case o rovine e si era accorto che molte di esse avevano una soglia di forma ovale e lungo i bordi ci correva un tubo di metallo liscio perfetto senza nessun cardine per una porta. Spesso quando lo vedeva pensava se la gente che ci viveva non aveva alcun interesse per la propria privacy.
L'interno era spoglio, con molti mobili distrutti nel corso del tempo e il pavimento pieno di crepe e polvere depositatasi nel corso degli anni. Dal corridoio centrale si inoltrò fino ad un ampio soggiorno; al centro della stanza si trovano i resti arrugginiti di un lampadario e oltre esso uno splendido camino in marmo dominava la stanza. Li vicino si trovavano i resto di vecchie poltrone e di un mobile bar. Il legno ero vecchio ma non tanto umido, sarebbe andato bene per accendere il fuoco. Accatasto la legna nel camino e dopo qualche tentativo una fiammella inizio a bruciare. La alimento con legnetti piccoli e secchi finché non divenne un bel fuocherello poi ci butto un pezzo di legno massiccio, una vecchia gamba di un tavolo, per tenerlo accesso. Fuori nel frattempo il sole era tramontato del tutto lasciando spazio all'oscurità della notte. Dalle finestre rotte entravamo i raggi di una pallida luna e del magnifico cielo stellato.
Marek lo ignorò, lo aveva visto tantissime volte durante le sue battute di caccia e per quanto stupendo fosse poteva rivelarsi una distrazione mortale. Tiro fuori la carne cruda e la tagliò in tre pezzi, due li rimise nella borsa e infilò l'ultimo su uno spiedo di legno che aveva intagliato prima e l'appoggiò un po' sopra le fiamme in modo che si cucinasse bene. Mentre aspettava che la sua cena si cucinasse aprì uno dei sacchetti con i denti e gli artigli del raptor e li esaminò; alcuni poteva anche tenerseli, ne avrebbe ricavato delle ottime  punte di freccia. Le zanne dei raptor si erano evolute nel corso del tempo, quando erano comparsi le prime volte, vari secoli fa gli sembrava, non era mai stato bravo in storia, erano fatte di osso ma nel corso del tempo il materiale era diventato una specie di lega metallica naturale, dura quasi quanto il ferro.
L'odore penetrante di carne cotto pizzicò il suo naso; la tolse dal sostegno dove l'aveva lasciata a cucinare e ne assaggiò un boccone. Era ottima, cotta al punto giusto. La divorò con gusto e in fretta; durante la giornata aveva mangiato solo qualche pezzo di pane che gli era rimasto e nei giorni precedenti mentre cacciava aveva solo le sue provviste, non molto saporite. Quando ebbe finito si lecco persino le dita. Un vero peccato che il raptor non avesse lasciato più carne a disposizione.
Si coricò vicino al fuoco, con l'arco, la faretra e il pugnale vicini a lui in caso di necessità ma il sonno non arrivava. Si sentiva stanco ma era quella stanchezza che non faceva dormire quindi decise di dare un'occhiata alla casa, magari poteva recuperare qualcosa di utile anche se non ci credeva più di tanto. Nel corso degli anni molti posti erano stati saccheggiati e quello che non avevano reclamato gli sciacalli lo aveva preso la natura, quasi tutto almeno. Nel tempo Marek aveva trovato qualche oggetto curioso o interessante, tipo un tubetto di plastica con in cima un buco, una rotella e un pulsante. Se si girava la rotella produceva scintille ma erano troppo piccole per essere di qualche utilità e Marek si era spesso domandato chi poteva aver inventato una cosa tanto inutile.
Si alzò e si infilò il pugnale nella cintura, meglio essere sempre pronti ed uscì dal soggiorno lasciandosi la bolla di luce proiettata dal fuoco alle sue spalle. Il cambio di luce lo accecò per un'istante ma i suoi occhi da felino avevano il vantaggio di adattarsi quasi all'istante a qualsiasi cambiamento nella luminosità dell'ambiente; infatti dopo pochi secondi vedeva quasi come se fosse pieno giorno. Si diresse verso il retro della casa. Finì in quella che un tempo doveva essere la cucina. Lungo i bordi della stanza si trovavano vari armadietti, o per meglio dire i loro resti e al centro c'era un grande bancone di marmo, uno di quelli dove potevi metterti a cucinare o lavorare sopra. Una porta, una di quelle porte, dava sul giardino ormai completamente invaso dalla foresta; nelle semioscurità della notte Marek riusciva a vedere i resti di un vecchio scivolo e lo scheletro di quello che doveva essere stata un'altalena. Dalla cucina prese un altro corridoio. Lì delle scale lo portarono al piano superiore. Qui scelse a caso una delle varie stanze che vedeva e ci entrò.
La scena che si presentò davanti a lui lo lascio senza fiato. Era una stanza grande con armadi lungo le pareti, un sontuoso lampadario sul soffitto e una terrazza per uscire ma ciò che catturava l'attenzione all'istante era il centro della stanza, dove si trovava il grande letto matrimoniale. Sopra di esso c'erano due scheletri stretti tra di loro. Lasciava davvero senza respiro. Due amanti stretti l'uno nell'altra, anche dopo secoli dalla loro morte a giudicare dalle condizioni delle ossa; sembrava un simbolo di un amore eterno, resistente anche alla fine delle loro vite.
Rimase imbambolato a fissarli, a contemplarli, per un pezzo. Quando si riscosse dovevano essere passati almeno dieci minuti. Osservò il resto della stanza ma il suo sguardo tornava sempre verso il centro, verso i due amanti. Si costrinse a guardare altrove e i suoi occhi caddero su un suo riflesso. Lo specchio era appeso alla parete dove si trovava la porta da cui era entrato nella stanza, ecco perché inizialmente non lo aveva notato. Si avvicinò per pulire la polvere che lo ricopriva; lo specchio era crepato in molti punti ma nel complesso offriva ancora un riflesso decente di se stessi.
Marek era alto 1.80 m, ne più ne meno della media della sua età, diciassette inverni, e una corporatura snella ma con i muscoli ben definiti su tutto il corpo. Dei corti ricci castani gli incorniciavano un viso ovale e una barba non fatta da giorni gli ricopriva mento e guance. Ma la cosa che sempre saltava all'occhio in lui erano proprio i suoi stessi occhi, non umani. Erano gialli e con l'iride verticale, come quella di un felino. Suo nonno diceva sempre che gli aveva presi da sua padre. Gli unici ricordi che Marek aveva di genitori erano immagini sfocate nella sua mente in quanto erano scomparsi quando lui aveva appena tre inverni lasciandolo alla cure del nonno materno. Il vecchio lo aveva allevato come un figlio e Marek gli voleva bene come se fosse il suo vero padre alla fine. A volte però si domandava come sarebbero stati i suoi e come sarebbe stato crescere con loro, con dei genitori. Aveva anche provato più volte a chiedere a suo nonno qualche informazione in più sui suoi ma il vecchio era stato molto parsimonioso nel darle. Tutto quello che aveva scoperto era che suo padre era stato un militare prima di incontrare sua madre e ritirarsi. Forse il nonno nascondeva anche altro ma preferiva non indagare, vedendo anche quanto ci stesse male a parlarne nonostante fossero passati molti anni dalla scomparsa dei suoi.
Distolse la sua attenzione dallo specchio e si diresse verso la terrazza. La pallida luce lunare e quella delle stelle illuminava i resti della cittadina. Marek ora la poteva osservare meglio.
Nella parte in cui si trovava la foresta era abbastanza rada e si vedevano ampie porzioni di cielo. Più in la dove la foresta cominciava a infittirsi scorgeva altre rovine, parti della città ormai consumate dalla natura, resti di strade bucate da radici, muri in rovina pieni di rampicanti e persino gli scheletri di alcuni ovali di metallo arrugginiti. Suo nonno gli aveva detto che si chiamavano automobili e che nel passato, prima della Guerra e del Secolo Buio, oltre quattrocento anni fa, erano usate per muoversi velocemente tra posti molto distanti tra di loro. Ce n'erano ancora anche ai giorni suoi però, solo che erano poche e perlopiù in mano agli eserciti o a nobili e mercanti molto ricchi nel sud, almeno secondo le dicerie e i racconti che aveva sentito. Di tanto in tanto dei mercanti con le loro carovane attraversavano il villaggio e oltre alle loro mercanzie portavano informazioni e notizie dal mondo per i più vecchi e storie e racconti per i più piccoli. Marek da bambino si fermava spesso insieme ad altri della sua età ad ascoltare ciò che l'occasionale mercante narrava loro, e alcuni di loro lo facevano davvero correre con la fantasia. Ormai non era più un ragazzo e non credeva più a molti di quei racconti ma lo facevano lo stesso sorridere ancora e alimentavano persino ora la sua sete d'avventure: visitare il sud diviso tra l'Impero Texano e l'Esercito di Ferro, viaggiare a est fino al Regno della Florida e vedere l'oceano, attraversare il deserto e raggiungere la Repubblica dell'Ovest o andare verso nord, visitare le Terre Mutanti e il Wisconsin. Una volta aveva persino sentito qualche storia sulle terre oltre l'oceano, del grande impero che vi si trovava, di Asgard e di altre terre ancora più strane ma stentava sul serio a crederci. In fin dei conti parlando di terre così distanti e lontane potevano anche essersi inventati tutto solo per stupirli.
Un urlo improvviso lo riporto di colpo alla realtà. Veniva dalla strada da dove era arrivato. Istintivamente le mani cercarono una freccia nella faretra per poterla incoccare ma si ricordò di averle lasciate giù, al fuoco.
-Aiuto- questa volta l'urlo era più forte, più vicino. Altri versi, ululati forse, gli fecero eco.
Marek aguzzo la vista per vedere cosa poteva essere. All'improvviso un uomo sbuco correndo a perdifiato e urlando dalla foresta. Dietro di lui quattro lupi lo inseguivano ululando come disperati, erano in caccia e avevano fame. Un odio primordiale si risveglio dentro di lui. Lupi.
-Di qua, vieni di qua, presto-
Marek non si fermò a vedere se lo sconosciuto avesse sentito le sue parole. Rifece il percorso inverso correndo come un dannato. Strano trovare dei lupi in questa parte della foresta, da quanto ne sapeva se ne stavano molto più a est o a nord. Arrivo nel salone e afferrò arco e frecce un istante prima dell'arrivo dello sconosciuto. Il primo lupo arrivo subito dopo.
Lasciò andare ogni emozione, si svuotò di tutto, era una cosa sola con l'arco e la freccia. Lui era l'arco, lui era la freccia. Lascio partire il colpo. La freccia volò, un angelo della morte dritto verso il suo bersaglio. Si conficcò nel cranio del lupo, diritto in mezzo agli occhi; quest'ultimo cadde con un gemito. Marek non si fermò a osservare il lupo morente ed estrasse fulmineo un'altra freccia. Un altro lupo era entrato nella stanza e aveva spiccato un balzo verso lo sconosciuto. La freccia lo raggiunse a mezz'aria e la bestia atterrò morta contro l'uomo che osservava la scena stupefatto. Caddero rovinosamente entrambi a terra. Arrivarono gli ultimi due lupi ma si fermarono all'entrata del salone, percependo nell'aria l'odore del sangue dei loro fratelli. Osservarono la scena come per vedere se valesse la pena attaccare o no. Marek li osservava impassibile, con un'altra freccia già incoccata e pronta. La tensione era palpabile nell'aria, quasi densa. I lupi emisero un basso ringhio come di sfida ma poi, lentamente si girarono, e scomparvero nelle ombre della notte.
La tensione svani di colpo e Marek si lascio cadere a terra esausto. Ma cosa gli era passato per la testa? Affrontare dei lupi in piena notte, solo per salvare uno sconosciuto. Doveva essere proprio impazzito. Per poco non era diventato lui la preda e la cena di quei lupi.
-Grazie- la voce dello sconosciuto gli fece prendere un colpo, si era dimenticato che lui era li. La voce era da maschio, ma non si poteva capire tant'altro su di lui. Il volto era un’ombra, nascosto da un grande cappuccio e il corpo avvolto nel mantello non lasciava capire molto della sua corporatura. Era alto ma da come i vestiti si adagiavano sul suo mantello non troppo robusto.
-Grazie- ripeté ancora -Mi hai salvato la vita stanotte. Se non fosse per te sarei diventato la cena di quei lupi-
-Istinto amico mio, ho agito senza pensare. Abbiamo rischiato di diventare entrambi la loro cena- rispose Marek rialzandosi e andandosi a sedere vicino al fuoco -E se posso chiedere a chi ho salvato la vita?-
Lo sconosciuto si sedette anche lui vicino al fuoco abbassandosi il cappuccio. Le fiamme proiettavano lunghe ombre sul suo viso. Aveva lineamenti comuni, morbidi, cappelli castano chiaro tagliati corti ma che stavano iniziando a ricrescere e una barba non fatta da un po' di tempo. Era una faccia giovane però, Marek lo giudicò poco più vecchio di lui. Sembrava umano a prima vista.
-Kolin, Kolin Caps- rispose lo sconosciuto -Sono un mercante itinerante, vengo da New Rock, sul confine con le terre sotto l'Esercito di Ferro. E ora, se posso chiedere io, chi è il mio salvatore?-
-Marek, Marek Bigose- rispose a sua volta Marek -Sono un cacciatore, il mio villaggio è a circa due giorni di cammino a nordovest di qui, lungo la Ruote 165-
Dopo alcuni istanti di silenzio, il mercante non sembrava intenzionato a dire molto su di se a meno che non fosse spronato, domandò -Cosa ci fa un mercante, così giovane per di più, da queste parti? E come hai fatto a finire inseguito dai lupi?-
Kolin non rispose immediatamente alla domanda ma si fermò ci pensò un attimo, come per scegliere le parole migliori. -Sono in viaggio per affari di famiglia si può dire. Anche i miei sono dei mercanti e ho deciso di dimostrare loro il mio valore. Ho fatto buoni affari a Fort Smith, a est di qui. Volevo raggiungere Tulsa e vendere quel che mi è rimasto per poi fare scorte ed andare a commerciare ad Oklahm City, al confine con l'Impero Texano. Da li poi fino a Dallas e poi infine a casa- sospirò -O almeno questo era il piano originale. La guida che ho affittato a Fort Smith ha sbagliato itinerario quindi abbiamo dovuto accamparci in una radura poco distante da qui. Quell'idiota è morto quando quei lupi ci hanno assalito. Forse sono stati attirati dall'odore del nostro cibo. Io sono riuscito a scappare, spero che il mio cavallo abbia avuto la stessa fortuna. Il resto della storia lo sai. E ora mi ritrovo bloccato qui, nelle terre selvagge senza guida e probabilmente rovinato, con le mie merci disperse chissà dove-. Kolin sembrava davvero sconfortato.
-Dai non buttarti giù- gli disse Marek -Posso portarti fino al mio villaggio e li ci sono un sacco di cacciatori. Vedrai che qualcuno accetterà di farti da guida. E per quanto riguarda le tue merci posso aiutarti a cercarle domani mattina. Non possono essere molto distanti da qui.
Una luce si accese in fondo agli occhi del mercante. -Lo faresti davvero?-
-Magari un piccolo sconto sulle tue merci aiuterebbe-
-Anche più che piccolo. Mi hai salvato la vita in fondo e se domani riuscirai davvero a ritrovare le mie merci me l'avrai salvata di nuovo-
-Abbiamo un patto allora?- disse Marek porgendo la mano.
-Andata- rispose Kolin afferrandola.
Poco dopo si coricarono entrambi e il sonno raggiunse finalmente Marek. Le fatiche della giornata lo vinsero e il mondo sprofondò nell'oscurità.

*Note dell'autore*
Questa è la mia prima "creazione" quindi probabilmente sarà piena di errori o scritta in malo modo. Se siete arrivati a leggere fin qua vi ringrazio di tutto cuore. Sarò felice di qualsiasi critica, sia positiva che negativa. Se trovate un qualsiasi errore o motivo per criticarmi o bastonarmi non esitate a farlo, mi permetterà di capire molto di più i miei errori. Mille grazie ancora e spero che abbiate gradito questa lettura

   
 
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