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Autore: mysticmoon    26/08/2008    9 recensioni
Lui ha la stoffa del principe azzurro, non dell'eroe.
Lei è una popolana che studia in una prestigiosa scuola grazie a una borsa di studio.
Un debito li ha uniti.
La vendetta potrà separarli?
CONTIENE PESANTI SPOILER DEL CAPITOLO 63 E ACCENNI A CAPITOLI PRECEDENTI ANCORA INEDITI IN ITALIA
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Haruhi Fujioka, Tamaki Suoh
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Questa storia è cronologicamente collocabile dopo la conclusione del capitolo 63 e ricco di spoiler di capitoli ancora inediti in Italia.
Non ho ancora letto il capitolo 64 quindi non sono in grado di dire come andrà avanti la storia né questa storia ha la pretesa di anticiparne gli eventi.
Semplicemente non sono riuscita a resistere alla tentazione di creare un mio personalissimo capitolo per superare l’attesa di quello ufficiale.
La storia scritta qui sotto è frutto della mia fantasia e contiene personaggi e riferimenti all’opera “Ouran Host Club” di Hatori Bisco.

Your
Hero


Tamaki Suou girò tra le dita il piccolo anello che aveva regalato pochi minuti prima alla ragazza. Chiunque avrebbe trovato più pacchiano che divertente regalare un cerchio di metallo con un ootoro* di plastica sopra eppure per lui, il ricco ragazzo cresciuto in Europa e ossessionato dalla semplicità della gente comune, quello era l’anello più bello che si potesse acquistare.
Era per questo che aveva voluto donarne uno a Haruhi, la sua bambina…
Arrossì al solo pensiero di ciò che aveva quasi fatto poco prima.
Haruhi, fino ad un attimo prima piuttosto preoccupata, aveva sorriso per quel piccolo dono e gli aveva detto che grazie a quell’anellino tanto assurdo era finalmente riuscita a scacciare tutte le sue paure dalla mente.
Era stato quello il momento in cui aveva perso momentaneamente il possesso del proprio corpo. Tamaki aveva agito d’istinto, come se loro non fossero una famiglia e se Haruhi non fosse affatto la sua adorata bambina… si era rotto la testa per mesi al pensiero di quanto fosse sbagliato provare il desiderio di dare un bacio alla propria figlia, a pensare a quanto il suo Host Club, quella specie di strampalata famiglia feticcio che aveva creato poco più di diciotto mesi prima e alla quale era legatissimo, potesse essere danneggiato da quella strana e, almeno secondo lui, malsana attrazione per la ragazza che non si era mai fatta un problema a farsi passare per un maschio… eppure in quell’istante di pura follia aveva posato una mano sulla guancia di quella creatura che gli aveva letteralmente rubato il cuore e stava per darle un bacio che di paterno non aveva nulla.
Non sapeva che cosa gli fosse preso ma quel sorriso sincero, quelle parole così semplici e soprattutto quella creatura schietta e ignara dello straordinario fascino della sua anima semplice l’avevano spinto fino a quel punto e se non se ne fosse reso conto in tempo sarebbe accaduto l’irreparabile.
Aveva quasi baciato la SUA piccola Haruhi, la sua bambina!
E lo stava facendo come se fosse una ragazza per cui provava un affetto molto diverso da quello paterno!
In quel momento di follia stava per darle un tipo di bacio che non aveva mai sperimentato prima di allora e che non aveva mai sentito l’impulso di dare a nessuna delle bellissime ragazze che lo circondavano al club.
Inoltre la sua bambina doveva averla presa davvero male per fuggire in quel modo.
Era svampito e poco intuitivo ma aveva capito che quella della toilette era solo una scusa per allontanarsi da lui ma non voleva permetterle di farlo.
Nonostante neanche a lui fosse chiaro quale forma di squilibrio mentale l’avesse colto in quei momenti chiarire le cose tra loro quindi era corso a cercarla e lì, sul selciato, aveva trovato l’anellino da quattro soldi.
Haruhi l’aveva gettato via.
Non lo voleva ed era tutta colpa sua.
Le era piaciuto fino a quando lui non aveva tentato di fare qualcosa che nessun padre avrebbe mai cercato di fare ad una figlia, qualcosa di proibito e viscido e perverso, un gesto imperdonabile.
Sospirò e mise l’anello in tasca, ignaro che una manciata di secondi prima, a pochi metri dalla panchina sulla quale si era seduto per riflettere, qualcuno aveva infilato con la forza la ragazza dai capelli castani in un furgoncino.

Kyouya Ootori osservò il display del suo cellulare e rispose.
In fondo non era raro che Ranka lo chiamasse a tarda sera e a giudicare dall’espressione che Tamaki aveva avuto da quando Haruhi li aveva lasciati senza salutare doveva essere accaduto qualcosa… ma in fondo perché avrebbe dovuto preoccuparsi? Il comportamento di Haruhi turbava Tamaki un giorno sì e l’altro pure quindi non si era affatto preoccupante vederlo in quello stato, soprattutto se si considerava il fatto che adesso anche Hikaru aveva sviluppato dei forti sentimenti nei confronti di quella ragazza che la prima volta che si erano incontrati aveva distrutto un vaso di grandissimo valore e si era fatta passare per un ragazzo.
Eppure c’era dell’altro.
Lui, l’acuto Kyouya Ootori, aveva notato che il terzo angolo di quel triangolo amoroso ultimamente si comportava in modo decisamente insolito e, a giudicare dai suoi gesti, Haruhi era sentimentalmente confusa per quanto riguardava il sentimento che la legava proprio al Lord.
Mentre prendeva in mano il telefono immaginava già le lamentele di Ranka riguardo al comportamento della figlia.
- Pron…
- LA MIA BAMBINA!
Il grido di dolore del padre di Haruhi gli perforò quasi un timpano.
Prima che potesse parlare di nuovo il ragazzo allontanò il telefono dall’orecchio.
- LA MIA BAMBINA!- uggiolò di nuovo il travestito.
- Ranka-san, qualcosa non va con Haruhi?- chiese Kyouya con tono paziente, sperando che non gridasse di nuovo.
- LA MIA BAMBINA!- gridò di nuovo un attimo dopo che il giovane aveva spostato il cellulare dall’orecchio.
- Ranka-san, è successo qualcosa?
- LA MIA BAMBINA! LA MIA BAMBINA!
- Ranka-san…
- LA MIA…
- SMETTILA RANKA-SAN!
L’uomo tacque all’istante.
- Bene… - disse Kyouya riacquistando il suo tono controllato – Adesso, per piacere, puoi rispondermi?
Kyouya sentì dall’altra parte del telefono dei singhiozzi ma neanche allora si preoccupò molto: Tamaki e il padre di Haruhi in alcuni casi si somigliavano e quando si parlava di Haruhi avevano le medesime reazioni per i medesimi problemi quindi se l’amico era disperato lo stesso valeva per il padre della ragazza.
Eppure rabbrividì mentre sentiva quei singhiozzi. Non era certo un esperto nel riconoscere le varie esternazioni di quell’uomo dall’anima di donna che era l’unico genitori in vita di Haruhi però in quei singhiozzi c’era qualcosa che le altre volte non era presente, un qualcosa che venava di estrema serietà quell’espressione di dolore.
- Ranka-san- disse lentamente più per evitare di gridarle di nuovo qualcosa piuttosto che per tranquillizzarla- E’ per caso successo qualcosa a Haruhi?
- Haruhi è sparita!
- Ranka-san… cosa intendi dire per sparita?
- Non è a casa!
- Magari è andata a trovare Mei…
- Le ho già telefonato. Mi ha già detto di averla vista l’ultima volta alla festa, quando stavate ancora tutti insieme… poi più nulla. Mi ha detto che pensavate che si fosse rincamminata verso casa… ma qui non c’è!
- Magari è uscita di nuovo perché mancava qualcosa…
Ranka riprese a singhiozzare.
- Vi avrebbe lasciato un biglietto… e poi non manca nulla! Non si è neanche cambiata quindi qui non è tornata! Ootori-san…
- Ho capito. Ranka-san, resta in casa nel caso dovesse rincasare. Io chiamerò gli altri per vedere se sanno qualcosa ma è importante che tu resti a casa. Magari si è semplicemente dimenticata di avvertirti che è andava a casa dei gemelli.
Stranamente Kyouya aveva una stretta al cuore mentre diceva quelle cose. Non era un blocco di marmo ma non si riteneva una persona con una sensibilità tale dal tentare di tranquillizzare un padre in pensiero per la sorte della figlia con qualche debole scusa a cui neanche lui riusciva a credere.
Aveva davvero una pessima sensazione riguardo a quella misteriosa sparizione.
- Va… va bene. Ootori-san, per favore aiutami a ritrovare la mia bambina.
- Certamente si tratta di una sciocchezza, Ranka-san, quindi non preoccuparti.
Detto questo concluse la chiamata e un attimo dopo compose il numero di Tamaki.
Se aveva fatto l’errore di sottovalutare la portata della confusione dei sentimenti della ragazza non avrebbe permesso all’unico che forse ne sapeva qualcosa a riguardo di sottrarsi al suo terzo grado.

Tamaki stava accarezzando distrattamente la testa della sua adorata cagnetta Antoinette quando il cellulare squillò.
Non dovette neanche guardare il display per sapere che si trattava di Kyouya.
- Sì?
- Che cosa è successo?
- E’ successo qualcosa?
- Penso proprio di sì, ma questo devi dirmelo tu. Che cosa è successo oggi pomeriggio tra te e Haruhi?
Il sospiro che seguì questa domanda innervosì ancora di più Kyouya.
- Te lo chiedo di nuovo: cosa è successo?
- Mamma… sono un padre degenere!
Il lamento di Tamaki aumentò esponenzialmente il suo nervosismo e ciò non andava bene, soprattutto perché se era davvero successo qualcosa di brutto a Haruhi non dovevano perdere tempo per fare inutili e patetiche scenette.
- Dimmi immediatamente cosa è successo- disse il moro cercando di mantenere il suo tono di voce controllato- Quando questa sera Ranka-san è rientrata in casa non l’ha trovata e non si sa che fine abbia fatto.
- Cosa?
Kyouya ringraziò il cielo che il timore per la salute di Haruhi l’avesse fatto smettere di fare la solita sceneggiata riguardante le loro parentele all’interno del gruppo.
- Ranka-san mi ha chiamato un attimo fa per avvertirmi che non era rientrata e che non è neanche da Mei. A quanto pare l’ultimo ad averla vista sei stato tu quindi se è successo qualcosa tra voi due devi dirmelo.
Nessuna risposta.
- Tamaki?
Nessuno rispose.
- Tamaki ci sei?
Neppure allora ebbe risposta.
- Lord…
Antoinette annusò il telefonino abbandonato dal suo padroncino che, per un motivo a lei ignoto, si era alzato di botto dal letto svegliandola, poi lo leccò e si stupì sentendo uno strano verso provenire da quell’aggeggio.
Si voltò verso il suo padroncino in cerca di una risposta ma questo era alla scrivania e stava fissando un oggettino di poco valore e di dubbio gusto uguale a quello che da quel pomeriggio gli cingeva il dito.
- Haruhi, dove sei?- sussurrò mentre metteva in tasca l’anello che le aveva regalato meno di sei ore prima e, afferrato il telefono, lasciò quella stanza.

Haruhi venne svegliata dal contatto improvviso con il freddo pavimento.
Non sapeva quanto avesse dormito ma se c’era una cosa di cui era certa era che qualcuno le aveva posato una mano una mano sulla bocca mentre si trovava al parco, che aveva visto vorticare le chiome degli alberi davanti ai suoi occhi e subito dopo si era addormentata.
Cercando di mantenersi fredda e controllata tentò di muovere mani e piedi, scoprendo che aveva ragione a credere di essere stata rapita: qualcuno le aveva sottratto il cappotto, due funi le tenevano assieme i polsi e le caviglie ed un’altra fune girava attorno alla sua vita, stringendo alla schiena i polsi stretti in quella ruvida morsa.
Aveva perso una lente a contatto nel trasporto quindi vedeva meglio con l’occhio sinistro ma ciò non migliorava la sua situazione: chiunque l’avesse rapita l’aveva chiusa in una cella frigorifera vuota.
Non prese neanche in considerazione la possibilità di gridare: quella porta era troppo spessa perché qualcuno potesse sentire le sue grida e se anche qualcuno avesse avuto un udito così fine chi avrebbe potuto passare fortuitamente davanti a una cella frigorifera vuota senza essere a conoscenza della sua presenza all’interno?
Demoralizzata e affamata decise di non sprecare energie quindi si trascinò con fatica fino a un angolo e, raggomitolatasi lì, attese che qualcuno le venisse a spiegare per quale motivo era stata catturata.
Lentamente i ricordi tornarono ad affiorare nella sua mente: era giù di morale quando aveva incontrato Tamaki, che le aveva donato uno sciocco anellino con un ootoro di plastica facendole tornare il buonumore.
Arrossì quando i suoi ricordi tornarono a quel bacio sfiorato con il ragazzo che si dichiarava suo padre da molti mesi.
Quando lui aveva appoggiato la sua mano sulla sua guancia e si era chinato verso di lei aveva davvero creduto che stesse per baciarla e il suo cervello si era rifiutato di fare qualcosa per impedirgli di completare quel gesto se non l’arrossire violentemente.
Forse era stato proprio quello a fermarlo… e il suo cervello aveva reagito in un modo ben poco razionale, quasi come se avesse inserito il pilota automatico e lei fosse solo una spettatrice della sua vita.
Gli aveva gridato in faccia che lei non aveva mai pensato a lui come un padre, cosa assolutamente vera… ma avrebbe anche voluto aggiungere il motivo per cui stava reagendo in quel modo: era delusa.
Nonostante lo negasse non solo desiderava quel bacio, il primo vero bacio della sua vita, ma voleva anche che Tamaki la trovasse attraente come una ragazza, che capisse che lo stimava sempre più come persona e che suo malgrado aveva sviluppato sentimenti molto forti nei suoi confronti, qualcosa che lei cercava di soffocare con tutte le sue forze e che nonostante tutto si rafforzava di giorno in giorno vedendo la caparbietà con cui cercava di vivere felicemente una vita in cui non solo era costretto a rinunciare alla sua madre ma che lo vedeva fronteggiare anche una severa nonna che non accettava il suo essere l’erede della fortuna della famiglia Suou.
Non sapeva esattamente quando aveva iniziato a stimarlo e neanche quando questa stima era diventata qualcosa di più grande e profondo ma era accaduto tutto in modo così graduale che quando era riuscita a dare finalmente un nome al motivo per cui i suoi baci sulla fronte la facevano arrossire ed il suo sorriso la rendeva ugualmente felice aveva iniziato a negare con tutte le sue forze che potesse essersi innamorata davvero di uno stupido del genere, che si era proclamato suo padre e che aveva creato una famiglia a di poco strampalata che rendeva piacevoli i pomeriggi dell’ Ouran.
Guardò il termostato interno della cella frigorifera ma, non essendo ancora sensibile l’escursione termica, non si rese conto che qualcuno l’aveva attivata e che la temperatura era già scesa a cinque gradi centigradi.

Tamaki stava attraversando il giardino della sua tenuta quando gli giunse una chiamata da un numero segreto.
- Pr…
- Tamaki Suou, abbiamo il tuo amichetto.
Tamaki avrebbe scommesso qualsiasi cifra che quella voce, palesemente contraffatta, appartenesse a una donna conosciuta ma non riusciva a riconoscere chi potesse essere quella che parlava.
- Sta bene?
- Starà bene ancora per poco. Hai al massimo quattro ore prima che faccia una brutta fine. Devi consegnarci sette miliardi di yen in contanti al mercato della carne vicino a casa Fujioka. Avrai ulteriori notizie una volta giunto lì. E’ tutto.
Il giovane era rimasto gelato da quell’ultimatum.
Quattro ore.
Guardò subito l’orario della chiamata.
Era passata da qualche minuto la mezzanotte.
Se non avesse fatto nulla per salvarla entro le quattro del mattino seguente Haruhi sarebbe potuta essere morta.
Dove avrebbe potuto trovare quella cifra in così poco tempo? Sette miliardi di yen erano una cifra astronomica anche per lui e non aveva intenzione di coinvolgere anche gli altri in un rapimento compiuto per estorcere il suo denaro.
L’unica cosa che poteva fare era cercare di salvare Haruhi con le proprie forze, ora ancora di più visto che era stato per avere i suoi soldi che l’avevano rapita, combinate naturalmente con quella degli altri membri della famiglia.
Rapido digitò il numero di Kyouya.
- Qualche notizia?- chiese immediatamente la voce dall’altra parte, provando che se lui aveva una suoneria particolare per sapere quando era Kyouya a telefonare anche l’amico aveva fatto altrettanto.
- Mi ha appena telefonato una donna. L’hanno rapita- disse mentre camminava verso il cancello.
- Hanno chiesto un riscatto?
- Sì.
- Quanto vogliono? Cinquanta milioni? Cento?
- Sette…
- Decisamente economici come rapitori.
- … miliardi.
- E’ una cifra astronomica. Lasciamo perdere. Quando si stuferanno ridurranno la cifra o la lasceranno andare senza farci sborsare un centesimo.
- Se non verranno pagati la uccideranno.
- Scommetto che ti hanno dato un ultimatum.
- Quattro ore.
Il ragazzo dai capelli scuri tirò su gli occhiali e fece cenno di accostare di fronte alla tenuta degli Haninozuka, dove Mori lo stava aspettando con Honey caricato su una spalla come se fosse un sacco.
- La donna ci va giù pesante, non c’è che dire…- disse mentre gli amici, ancora ignari del motivo per cui erano stati contattati dal terzogenito della famiglia Ootori, salivano in auto – Ti hanno detto il luogo dove dovresti consegnare il riscatto?
- Al mercato della carne che si trova vicino a casa sua.
- Bene. Andremo immediatamente lì. Non fare niente di sconsiderato.
- Vado a prenderla.
- A mani vuote?
- Non posso chiedere quella somma a mio padre.
- In effetti sono davvero moltissimi soldi.
- Vi aspetto lì.
- Non dovresti andare da solo.
Per tutta risposta Tamaki riagganciò e iniziò a correre nelle tenebre in una direzione qualsiasi che, per sua fortuna, era quella giusta.

Kyouya guardò Honey e rabbrividì.
Bastava osservare la sua aria ben poco amichevole per capire che Mori aveva dovuto gettarlo giù dal letto e, come era noto al mondo intero, l’affronto più grande che si potesse fare a Haninozuka Mitsukuni era interrompere il suo riposo.
- Haruhi è stata rapita.
Disse in fretta quelle poche parole e l’effetto fu immediato.
Lo sguardo indemoniato di Honey tornò all’istante a essere quello dolce di ogni giorno per poi tramutarsi in quello terrorizzato e lacrimoso di un bimbo.
- Hanno rapito Haru-chan?
- Sì. Da quanto ha detto Tamaki chi l’ha rapita vuole sette miliardi di yen entro…- controllò l’orologio- … entro le quattro. In caso contrario la uccideranno.
- Dobbiamo salvare Haru-chan ad ogni costo!- dichiarò Honey colpendo con un pugno il sedile accanto a sé.
Il rumore fatto dall’auto non piacque affatto al proprietario e quando questa si fermò comprese che la foga dell’amico li avrebbe rallentati. Si maledisse per non aver voluto la solita scorta di due auto a precedere e seguire quella su cui viaggiava lui.
Lanciando semplicemente un’occhiataccia nella direzione del biondo senpai compose il numero di Hikaru per chiedere a lui e al fratello di far preparare un auto e di andarli a prendere prima di recarsi al mercato della carne.

Haruhi rabbrividì di nuovo e finalmente divenne consapevole del fatto che la temperatura in quella cella si stava abbassando.
Era trascorsa poco più di un’ora da quando era stata chiusa in quel locale e, a giudicare dal termostato, era nei guai visto che la temperatura era già scesa fino a un grado sotto lo zero.
Il nuovo brivido che le corse lungo la spina dorsale non era dovuto solo al freddo sempre maggiore: si era resa conto che era davvero in pericolo di vita.
Si guardò intorno in cerca di qualcosa che potesse aiutarla a liberarsi ma non c’era nulla attorno a lei.
Quella era soltanto una cella frigorifera piuttosto piccola, al massimo profonda tre metri e larga due, con una porta dall’aria molto solida provvista di oblò per verificarne il contenuto.
Lentamente iniziò a strisciare lontano da quell’angolo e dalla porta, sperando che qualcuno passando fortuitamente di fronte a quella cella potesse vederla dall’oblò.

Tamaki si stupì di non trovarsi davanti il suo migliore amico e gli altri davanti all’edificio in cui si svolgeva il mercato della carne e nel quale Haruhi lo aveva accompagnato una mattina rinunciando a qualche preziosa ora di sonno.
Guardò il suo orologio.
Erano già passate le due e mezza.
Se voleva salvarla e quella persona aveva dato un orario preciso al minuto, doveva farlo in massimo ottantatre minuti.
Deciso a salvarla a qualsiasi costo bussò alla porta a vetri e questa si aprì istantaneamente, permettendogli di entrare per poi chiudersi alle sue spalle con uno schiocco che somigliava al chiudersi di fauci.
Una voce femminile venne diffusa nell’aria dagli altoparlanti.
- Hai portato il denaro, Suou Tamaki?
- Lascia andare la mia bambina!
- Hai portato il denaro per me?
- Lascia andare Haruhi!
- Non la lascerò andare finché non avrò i miei soldi. Fai alla svelta… tra poco potrebbe essere troppo tardi.
- Non avrai mai tutti quei soldi.
- Lascerai morire in questo modo una ragazza? Non è da te, Suou-kun.
Tamaki rabbrividì: quella donna aveva scoperto che Haruhi non era un ragazzo.
- No, non è proprio da te- continuò la giovane- Tu, il più gentile tra i ragazzi dell’host club, il creatore di questo piacevole diversivo che è tanto bravo a parlare di affetto e amore alle donne, non sei in grado di rinunciare a un poco di denaro per il bene di una di loro? Non le vuoi neanche un po’ di bene?
- Non provare a dirlo di nuovo! Io le voglio molto bene! Lei è…
Le parole gli morirono in gola.
Perché non riusciva a dire che lui amava Haruhi come se fosse una figlia?
Come mai quelle semplici parole che aveva ripetuto tante volte adesso erano così difficili da pronunciare?
Per quale motivo sentiva che definendola sua figlia non avrebbe detto la verità sulla natura dei suoi sentimenti?
Con le dita sfiorò l’anello che la giovane o aveva perduto o aveva gettato a terra ed all’istante quel tentativo di bacio tornò davanti ai suoi occhi.
Per quale motivo lo sguardo di quella ragazza lo scombussolava?
Perché il suo cuore batteva all’impazzata quando lei gli sorrideva?
Come mai con Haruhi era sempre così impacciato quando con tutte le altre non faceva fatica a sfoderare le sue armi di seduzione?
Vide improvvisamente la soluzione a tutti i suoi dubbi davanti ai suoi occhi, chiara e semplice come era sempre stata ma sempre troppo sconvolgente perché lui volesse guardarla in modo diretto e affrontarla.
- Perché io la amo- sussurrò.
Si guardò intorno.
Dove poteva aver nascosto Haruhi?
Lì c’era solo un enorme corridoio lungo un centinaio di metri. Gli espositori refrigerati erano ai due lati e sul muro si aprivano una trentina di porte che davano ognuna a una cella frigorifera in cui ogni macellaio potevano conservare la carne che non esponevano o i tocchi di carne di dimensioni maggiori.
La sua illuminazione lo fece rabbrividire: quasi sicuramente Haruhi si trovava in una di quelle e stava congelando.
Non aveva fatto neanche un passo verso le celle quando un gruppo composto da circa centocinquanta persone si parò davanti a lui.
Guardò distrattamente l’orario.
Non sapeva esattamente quanto Haruhi avrebbe potuto resistere e quando fosse stata chiusa lì dentro ma se quella voce aveva ragione Haruhi non aveva a disposizione che un’ora abbondante di vita.
Aveva già incassato una decina di pugni quando la porta alle sue spalle volò via, andando in mille pezzi contro il muro.
- Chi ha osato fare del male a Haru-chan dovrà vedersela con me!
Mori si slanciò al fianco del minuto cugino verso il gruppo di persone vestite di nero ed un attimo dopo i gemelli recuperarono Tamaki, che guardava attonito i loschi tipi che volevano aggredirlo volare via sotto i colpi precisi dei due cugini.
- Dove si trova?
La domanda di Kyouya lo riscosse istantaneamente.
- In una delle celle frigorifere. Temo stia congelando.

Il flebile suono della voce di Tamaki la svegliò dallo stato di torpore in cui non si era resa di essere caduta.
Dolorante e intontita dal freddo Haruhi strisciò verso la porta e iniziò a colpirla con la spalla nel vano tentativo che qualcuno la aprisse alla svelta.
Il termostato ormai era sceso a dieci gradi sotto lo zero e si sentiva la testa pesante ma cercò di gridare con tutte le sue forze.
I suoi colpi contro la porta si fecero sempre più deboli e lenti.
I suoi polmoni indeboliti non le permisero di emettere un solo suono.
Il suo cuore batteva sempre più lentamente.
Non si accorse neanche di aver perso i sensi contro quella porta.
Per Tamaki vedere Haruhi letteralmente crollare ai suoi piedi fu traumatico.
- Haruhi!- sussurrò crollando letteralmente al suo fianco.
La ragazza non indossava più il caldo cappotto che aveva nel pomeriggio ed era cianotica ma nonostante il sollevarsi ed abbassarsi del suo costato fosse debole era indubbio che respirava ancora, cosa che lo tranquillizzò almeno un poco.
- E’ qui!- gridò mentre prendeva la sua mano gelata tra le sue – L’ho trovata. Haruhi, ti ho trovata.
I paramedici prontamente avvisati da Kyouya raggiunsero la ragazza in un baleno e, depostala su una barella, la coprirono e la portarono via di fronte a un Tamaki Suou talmente sconvolto da non rendersi neanche conto di essere in lacrime.

Come era prevedibile i sei ragazzi trovarono Ranka-san già in ospedale, seduta su una morbida poltrona della sala d’attesa con le mani agli occhi.
- Ranka-san…- disse Kyouya.
La donna alzò gli occhi su di loro e in un attimo tutti e sei, Mori compreso, si trovarono stretti in un abbraccio collettivo.
- L’avete salvata…- singhiozzò- Avete salvato la mia bambina…
Tamaki si liberò con gentilezza da quella stretta e abbassò gli occhi.
Portava sul viso i segni della sua breve colluttazione con quella gente ma non si sentiva per nulla un eroe.
Non solo era stato in grado solo di incassare colpi contro quella gente ma era stato anche tanto sciocco da tergiversare mentre la ragazza rischiava di morire assiderata in una stanza refrigerata a pochi metri da lui.
- Non è vero.
Nonostante fossero un gruppo eterogeneo e sempre allegro quell’affermazione rabbuiò tutti quanti i ragazzi.
- Ranka-san- disse il giovane alzando di nuovo lo sguardo - Io non ho fatto nulla per Haruhi. Nulla.
- Sei stato tu quello che ha scoperto che si trovava lì, Tama-chan- gli ricordò Honey- E poi hai aperto tu quella porta.
- Che si trovava lì l’ho saputo solo perché mi era stato detto e per quanto riguarda quella porta… sarebbe potuto essere uno qualsiasi di noi ad aprirla. Il punto è che io avrei dovuto difenderla prima che tutto questo accadesse.
- Non potevi saperlo che sarebbe finita così- gli ricordò Hikaru.
- Ma non avrei dovuto lasciare che si allontanasse da sola.
- E’ stato un incidente…
- No che non lo è stato, Hikaru!- sbottò- Avrei dovuto saperlo che la principessa Ayanokoji avrebbe voluto vendicarsi!
- Non potevi prevedere che lo facesse in questo modo…
- Smettetemela di discolparmi! Se non foste arrivati voi… io non avrei mai potuto trovarla e a quest’ora sarebbe morta.
Improvvisamente una mano si posò sulla spalla.
- Sei stato molto coraggioso ad affrontarli da solo, Suou-san.
Le parole del padre della ragazza non riuscirono a confortarlo.
- Sono un fallimento.
- Non è vero! Diglielo anche tu, Kyo-chan!
Il moro guardò l’amico.
- Sì, hai ragione. Sei un fallimento su tutti i fronti.
La condanna di Kyouya gli faceva più male dello stesso senso di completa inutilità che lo stava straziando.
- In fondo non sei stato coraggioso ma soltanto un ragazzino viziato che si è comportato in modo a dir poco sconsiderato. Cosa stavi facendo di così eroico, in fondo?- continuò, crudele come era proprio del suo carattere ma sinceramente colpito da quel gesto dell’amico – Giusto il farti fare a pezzi per salvare una semplice plebea a cui sei molto affezionato.
- E’ naturale che io l’abbia fatto…- sussurrò.
- Già. In fondo Haru-chan è la tua bambina.
La frase di Honey lo colpì come una fucilata.
No.
Haruhi non era la sua bambina.
Nella sua testa si era illuso di pensare a lei come una figlia per tutti quei mesi ma la realtà era che quell’affetto si era tramutato in vero e proprio amore senza che lui se ne rendesse conto.
Era innamorato di Haruhi.
L’espressione mesta dipinta sul suo volto sorprese tutti i presenti tranne Kyouya, l’unico che avesse già capito da un pezzo quello a cui Tamaki sembrava essere arrivato soltanto in quelle ore.
Controllò distrattamente l’orologio.
- Per noi è ora di andare, Ranka-san. Torneremo più tardi.
- Ma se Haruhi si sveglia…
- Ci sarà suo padre con lei- spiegò il terzo dei fratelli Ootori- E secondo i medici Haruhi non si sveglierà prima di qualche ora quindi sarebbe inutile per noi sei restare qui. Se devo dire la mia, ho parecchio sonno da recuperare e lo stesso vale per tutti noi.
Tamaki annuì mentre stringeva nel pugno l’anellino ootoro.
Gliel’avrebbe restituito il prima possibile e si sarebbe scusato a dovere con la ragazza che sentiva di aver messo nei guai.

Quando Tamaki tornò all’ospedale nel pomeriggio trovò non trovò nessuno nella stanza della ragazza.
Non le avevano ancora tolto la flebo ma il vederla seduta sul letto, cosciente e con le labbra tornate al loro colore naturale lo fece sentire decisamente meglio.
- Ciao Haruhi- esordì facendo capolino nella stanza.
La ragazza appoggiata ai cuscini sorrise.
- Ciao- lo salutò mentre entrava nella stanza con un grande cesto pieno di ogni ben di Dio tra le braccia.
- Ti ho portato un paio di cose per aiutarti a rimetterti presto in forma.
La ragazza sorrise mentre l’amico poggiava sul tavolo il cesto per poi accomodarsi al suo fianco.
- Credo che oggi l’host club resterà chiuso. Kyouya e Honey certamente saranno rimasti a casa per dormire e non credo che i gemelli si lasceranno sfuggire un’occasione simile. Con la faccia in questo stato non potevo farmi vedere in giro e poi non sono riuscito a dormi…
La sua voce si spense. Haruhi aveva poggiato una mano sulle sue e sorrideva.
- Grazie per avermi salvato la vita.
Tamaki si adombrò vedendo quella piccola mano ancora arrossata a causa del gelo che aveva patito.
- Sono stati Mori e Honey a mettere fuori gioco quella gente, non io – mormorò.
- Ma sei stato tu il primo a salvare me. Senza di te non ce l’avrei fatta.
Tamaki la guardò sorpreso.
Nonostante sembrasse decisamente in imbarazzo per aver parlato in quel modo gli occhi di Haruhi erano puntati su di lui.
- Come puoi dirlo? Io sono stato capace solo di incassare qualche pugno- disse indicando l’ombra scusa che gli cerchiava l’occhio sinistro- Sono stati loro a permetterci di aprire le celle frigorifere senza essere intralciati. Se non ci fossero stati loro tu avresti rischiato di non essere qui, non me.
- Ho sentito la tua voce - spiegò la ragazza con un timido sorriso- Sei stato tu a svegliarmi quando mi ero addormentata. Se tu non mi fossi svegliata in tempo… io forse non sarei qui adesso.
Quelle parole lo sorpresero non poco.
- Haruhi…
- L’ha detto anche il dottore- aggiunse la ragazza – Se vuoi puoi chiedere a mio padre quando verrà a trovarmi.
- No… ti credo.
La ragazza sorrise mentre sentiva finalmente Tamaki ricambiare la sua stretta e riuscì a trattenersi dal trasalire quando questi, senza dire un'altra parola a giustificare il suo gesto, si protese verso di lei e l’abbracciò, stringendola a sé con tanta forza da farle male mentre le accarezzava i capelli.
- Ho avuto tanta paura, Haruhi- sussurrò controllando a stento il tono della sua voce – Questa volta ho avuto davvero tanta paura.
- Per fortuna è finita.
Lui annuì ma non la lasciò andare, stranamente a suo agio in quell’abbraccio che lui sapeva non essere l’innocente stretta con cui l’avvicinava a sé durante i primi giorni di permanenza nel club e che lei sperava non terminasse mai, momento in cui poteva sognare di non essere vista solo come la sua bambina ma come una ragazza.
- Haru-chan!
Al suono di quella voce i ragazzi si separarono alla svelta e un istante dopo Honey e Mori entrarono nella stanza trasportando rispettivamente una e cinque torte.
- Che bello! Haru-chan è sveglia! E c’è anche Tama-chan!
Haruhi sorrise nel vedere il saltellante Haninozuka Mitsukuni appollaiarsi sul letto e deporle in grembo una torta alla panna e fragola che certamente avrebbe voluto mangiare assieme a lei.
- La mangiamo insieme?
- Assolutamente no, Haninozuka-san - disse il padre della ragazza entrando nella stanza – Il tuo medico mi ha raccomandato di tenerti lontana dai cibi solidi almeno per oggi.
La ragazza annuì nonostante le dispiacesse vedere il dispiacere del ragazzo dipinto sul suo volto infantile.
- Se vuoi puoi mangiarla tu al posto mio.
Come era prevedibile Honey tornò subito radioso e, presa la torta, andò a sedersi al tavolo della stanza singola piccola ma luminosa che un insolitamente gentile Kyouya aveva fatto riservare per la ragazza.
- Come stai?
La ragazza sorrise al taciturno Mori.
- Molto meglio grazie a tutti voi. Mi terranno qui per qualche giorno per monitorare la mia ripresa ma io mi sento già piuttosto bene.
Il moro annuì e tacque.

***

Tamaki si rese conto solo quando Mori ebbe chiuso la porta alle sue spalle di essere rimasto completamente solo con Haruhi sulla terrazza deserta.
Erano trascorsi solo tre giorni dal ricovero della ragazza ma quando questa aveva espresso il suo desiderio di prendere una boccata d’aria fresca i ragazzi avevano fatto i salti mortali per accontentarla, strappando al medico il permesso di portarla in terrazza durante la pausa pranzo.
Tamaki aveva parlato a lungo dei suoi progetti futuri per il club più per controllare la conversazione che per progettare qualcosa.
Stava ancora lottando con se stesso per accettare il fatto che di quella ragazza dall’aspetto non troppo femminile si era innamorato come un qualsiasi ragazzo ed il parlarle con tutti gli altri lo aiutava a gestire la cosa, nonostante i suoi compagni lo osservassero con sospetto dall’alba in cui aveva ritrovaro Haruhi congelata e la stessa Haruhi sembrasse aver notato che qualcosa era differente.
Tamaki decise che era quello il momento migliore per restituirle l’anello ootoro.
- Haruhi… questo ti era caduto- disse posando sulle sue mani l’oggettino, attento a non sfiorarle per evitare di avere una qualsiasi reazione sconsiderata.
- Credevo di averlo perso- disse la ragazza girandolo tra le mani mentre un sorriso faceva la sua comparsa sul volto ancora pallido – Grazie Tamaki.
- Dovere. L’ho trovato poco dopo che ti eri allontanata.
La giovane annuì.
- Deve essermi caduto quando mi hanno presa.
Questa volta fu il biondo ad annuire.
- Mi dispiace- sussurrò.
- Non è colpa tua.
- Sì che lo è.
- No. La colpa è solo mia. Sono stata io a farla innervosire quella volta.
Tamaki si accovacciò per avere il viso alla stessa altezza del suo e parlarle guardandola dritto negli occhi.
- La colpa è mia. Avrei dovuto prevedere la sua furia e metterti in guardia. E poi non avrei dovuto lasciarti sola.
- Non potevi saperlo.
- Ma avrei dovuto pensarci.
- Smettila di incolparti ingiustamente. Non capisco per quale motivo tu ti senta colpevole. Io sono finita nei guai perché sono stata sconsiderata. Anzi, ti vorrei ringraziare per avermi salvata così tante volte, come quella volta che sono caduta da quella scogliera e tu mi hai riportata a riva.
Il giovane sorrise.
- Mi hai già ringraziato.
Lo stupore sul suo viso lo fece sorridere.
- E’ stato quella volta in cui avevi un gran febbrone.
La giovane arrossì.
- C’è altro che non ricordo?
Tamaki scosse il capo e, rialzatosi, spinse la sedia a rotelle fino alle panchine poste di fronte alla rete che dava sulla città.
Adesso che erano di nuovo seduti l’uno accanto all’altra le loro menti tornarono immediatamente al giorno del rapimento.
- Haruhi… vorrei scusarmi di nuovo per quello che… che stavo… sì, insomma… per… per quello che io… non volevo… è stato… non so cosa sia stato… io… io non so cosa… capisci, vero? Io… Io non…
Annuì, ora convinta più che mai che lui non potesse provare nulla più che amore paterno nei suoi confronti.
Tamaki la vide girare distrattamente tra le dita l’anellino che portava anche lui al dito.
Perché le aveva regalato quell’anello?
Perché ne aveva comprato uno uguale per sé?
Per quale motivo quell’oggettino attirava così tanto il suo sguardo?
Delicatamente lo tolse dalle mani della ragazza e, senza dire una parola, glielo infilò al dito medio della mano destra, esattamente nella stessa posizione in cui aveva infilato il suo dopo averlo acquistato.
- Ti sta bene- sussurrò mentre alzava gli occhi per incontrare i suoi.
Il vederli lucidi lo riempì di malinconia.
- Qualcosa non va?
Scosse il capo.
- Sicura?
Annuì.
- Se ti senti male…
- Sto bene. Davvero.
- Allora perché vuoi piangere, Haruhi?
- Non lo so- rispose distogliendo lo sguardo- Forse perché sono felice di essere ancora viva… o forse è perché sono felice di aver incontrato una persona come te.
- Dovresti sorridere allora.
La ragazza sfoderò il suo sorriso migliore ma una piccola lacrima sfuggì da un angolo del suo occhio destro.
Il cervello di Tamaki perse il controllo del suo corpo come quel giorno tanto vicino eppure percepito come distante.
Come il giorno del rapimento la mano di Tamaki si posò sulla sua guancia ma questa volta la sua mente non lo bloccò con la scusa che la ragazza era sua figlia.
Il pollice sfiorò il suo occhio asciugando quella lacrima traditrice poi i suoi occhi furono catturati da quelli di lei, tanto incerti come quel giorno ma per qualche motivo molto più magnetici di allora.
Si chinò su di lei lentamente e sfiorò esitante quelle labbra immobili, limitando il contatto ad un solo istante.
Subito dopo era già in piedi e si stava dirigendo verso la porta, rosso in viso e pentito per quello che aveva appena fatto.
- Non ti voglio più come papà.
La voce di Haruhi, seppure bassa, lo raggiunse prima che la sua mano si posasse sulla maniglia.
A fatica la giovane si alzò dalla sedia a rotelle e per poi guardarlo.
Tenera e fragile, avvolta in un cappotto color panna troppo grande per il suo corpo minuto racchiuso nel pigiama di pile scarlatto, Fujioka Haruhi lo guardava aggrappata a quella rete con aria smarrita.
- Cosa hai detto?- chiese Tamaki sorridendole lievemente.
- Non voglio un altro padre- disse con un tono di voce più deciso.
Tamaki abbassò gli occhi.
Quella frase che solo tre giorni prima avrebbe potuto ferirlo a morte non aveva più alcun effetto su di lui, finalmente consapevole dei suoi sentimenti per quella ragazza piombata all’improvviso nella sua vita.
- Io non sono tuo padre.
- Allora perché ti preoccupi tanto per me?
Tamaki tacque, incapace di dirle chiaramente che era attratto da lei.
Haruhi iniziò a camminare verso di lui, lenta ma inesorabile come il gelo di una notte invernale.
- Perché? Se non per quel motivo… perché?- chiese quando ormai era di fronte a lui.
Tamaki la fissava in silenzio, incapace di fare altro se non guardarla stare ferma di fronte a lui, con quegli occhi castani puntati nei suoi indaco e i capelli scompigliati dalla lieve brezza invernale che iniziava a spirare su quella terrazza, il volto pallido e serio a poca distanza da lui e i pugni chiusi lungo i fianchi.
Rimasero a fronteggiarsi per alcuni lunghissimi minuti.
Improvvisamente Haruhi vacillò e lui istintivamente si protese verso di lei: nel giro di un istante si trovò in ginocchio sul gelido pavimento rivestito di piastrelle con un braccio che le cingeva la vita mentre l’altro era posato tra le scapole coperte dal pesante pigiama imbottito e dal giaccone che le avevano donato i gemelli.
Le sottili dita della ragazza avevano stretto il cappotto castano dalle bordature di pelliccia all’altezza delle spalle, poco sopra il punto in cui aveva istintivamente posato la fronte per cercare un conforto che non sapeva di desiderare.
Sconfitto chiuse gli occhi e posò il mento tra i suoi capelli, inspirando il profumo del suo shampoo come se fosse la fragranza migliore di questo mondo.
- Perché mi hai rubato l’anima- sussurrò.
Haruhi riconobbe immediatamente quell’espressione.
La principessa Kanazuki qualche mese prima aveva usato la stessa espressione per dire che si era innamorata di Honey.
Nonostante la cosa fosse ormai esplicita Haruhi dovette farsi molta forza per rispondere a quella dichiarazione.
Paonazza, alzò il capo e cercò nuovamente il contatto visivo.
Tamaki si stupì che una mano così piccola a contatto con il suo viso potesse fargli quell’effetto eppure il calore trasmesso da quelle dita sottili sembrava soggiogarlo completamente e non riuscì a sottrarsi quando quel viso che per tanti mesi aveva associato a quello di una figlia si avvicinò al suo.
Nel bacio di Haruhi c’era la medesima incertezza contenuta in quello di lui nonostante quella fosse una risposta silenziosa ai sentimenti espressi pochi secondi prima da quello che adesso era uno spiazzato Tamaki Suou che non riusciva a trovare il coraggio per rispondere a quell’effusione tanto desiderata quanto inaspettata.
Nella stanza delle telecamere dell’ospedale Kyouya Ootori estrasse la cassetta della telecamera di sicurezza della terrazza.
- Dovrò fare un bel discorsetto a quei due prima che Haruhi torni al club- borbottò mentre pensava al modo in cui poteva servirsi di quel nastro molto compromettente.

Ootoro: l’ootoro è il sushi ricavato dalla parte grassa del tonno. E’ molto pregiato.
  
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