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Autore: mairileni    05/07/2014    4 recensioni
«Fammi giocare con te.»
«Piuttosto mi butto sotto a un treno.»

[Una storia improbabile sotto ogni punto di vista]
Genere: Commedia, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Muse, Placebo | Coppie: Brian.M/Matthew.B
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutte! 


Allora, come avete già letto nell'introduzione alla trama, questa storia è inverosimile sotto tutti i punti di vista. Cronologicamente e logisticamente in particolar modo. Però era un'idea che mi ronzava in testa, quindi spero che vi diverta lo stesso e, ecco, io l'impegno ce l'ho messo ^_^ Se poi avete tempo e voglia, ditemi che ne pensate!


DISCLAIMER: il seguente scritto non è stato pubblicato a scopo di lucro e non ha alcuna pretesa di veridicità, né sui personaggi reali a cui è ispirato, né sui fatti narrati. 


Buona lettura,



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ACQUAINTANCE






La testolina mora di Matthew Bellamy scomparve nel secchio del Lego assieme a un braccio. Il bimbo armeggiò lì dentro per qualche secondo, dopodiché ritornò seduto, un'aria sconfitta dipinta in volto. Brian Molko, pochi metri più in là, sorrise. Sapeva benissimo che cosa quel Bellamy stava cercando. La costruzione che faceva sempre, durante ricreazione, era l'aeroporto, e c'erano dei pezzi che non potevano mancare. Come le ali dell'aereo, o la scaletta per far salire a bordo i passeggeri. O il preziosissimo carrellino dell'aereo. Ce n'era soltanto uno, in ogni confezione. E Brian lo sapeva bene, perché per cercarlo tra gli altri pezzi, poco prima, aveva sudato sette camicie — quel maledetto carrellino era proprio sul fondo, coperto da un milione di mattoncini variopinti. Se lo rigirò qualche volta tra le mani e tornò a osservare il proprio obiettivo, obiettivo che intanto aveva preso a passarsi le mani tra i capelli con aria concentrata. Sembrava un piccolo pazzoide, in quel momento, eppure Brian aveva scelto lui, e aveva dovuto faticare non poco per mettere in atto il proprio piano. Aveva pagato un compagno di classe con tre pennarelli e una macchinina (piuttosto caro, già) perché distraesse Matthew, e allora si era messo a trafficare con il suo secchio di Lego per rubare il carrellino. Rinnovò mentalmente i complimenti a se stesso per la propria intelligenza. Poi prese un respiro, raddrizzò le spalle e decise che era arrivato il momento giusto per accorciare le distanze. Ci sarà da ridere, pensò, perché effettivamente tra Bellamy e lui non era mai corso buon sangue, fatto che il primo non aveva premura di dissimulare, quando dall'ultimo banco gli tirava palline di carta gridando: “Secchione”.

    «Stai cercando questo?»

Brian torreggiava sulla figura appallottolata dell'altro con il carrellino in mano, imponente quanto può esserlo un bimbo di otto anni al massimo della forma. Matthew si voltò, gli guardò il viso e poi subito i suoi occhi scattarono, famelici, sull'agognato, fondamentale pezzo mancante. Non rispose.

    «Allora, lo vuoi o no?»

Non rispose nemmeno questa volta, ma alzò una mano per riprendersi ciò che gli spettava. Brian ritrasse la propria.  

    «Ridammelo», ordinò Bellamy.

    «No. Prima facciamo un patto.»

Matthew sbuffò insolentemente. Non aveva nessuna voglia di mettersi a contrattare per riavere qualcosa che gli spettava di diritto. Però, se le cose stavano così, era costretto a stare a sentire quel Molko che in tutti i compiti di tutte le materie prendeva sempre A. Insopportabile.

    «E va bene. Che cosa vuoi, in cambio?», capitolò. 

    «Fammi giocare con te.»

    «Piuttosto mi butto sotto a un treno.»

Come inizio non era dei più incoraggianti. Brian si soffermò a riflettere.

    «Senti», disse, subito dopo, «non è che a me l'idea piaccia tanto di più che a te. Però, la signorina Cooper ha detto a mia madre che dovrei giocare con altri bambini. Bambini maschi.» 

    «E perché proprio io?», sbottò Matt, e si indicò il petto con entrambe le mani. «È pieno di maschi, nella nostra classe!», aggiunse, tendendo il braccio con un gesto teatrale verso il resto del cortile, alla propria sinistra.

qui Brian alzò gli occhi al cielo, effeminato. Era un gesto che ancora non sapeva sarebbe diventato uno dei suoi vezzi preferiti, e una delle espressioni che, in futuro, gli avrebbero fatto ottenere qualunque cosa avesse voluto. Ancora non poteva saperlo, no.

    «Lo vuoi il tuo dannatissimo carrellino o no?»

Bellamy valutò per la prima volta quella proposta; se rivoleva il carrellino doveva per forza giocare con quello sgobbone palla al piede di Molko. O magari poteva rinunciare al carrellino, però, senza quello, come faceva l'aereo ad atterrare? 

    «Alloooooraaaaa?», gridò con impazienza Brian, a cui tutta quella situazione era già venuta a noia.

    «... No. Tienitelo, il carrellino»

Brian restò con la bocca un po' aperta per qualche secondo, prima di riprendere il proprio contegno, mentre Matthew già riprendeva a montare e smontare la piccola costruzione.

    «Ma se non hai il carrellino, mi spieghi come fa l'aereo ad atterrare, o anche solo a rimanere fermo, dato che ha la pancia rotonda?», si lamentò Molko.

L'altro, di tutta risposta, si concedette una breve pausa per spiegare due o tre cosette a quel bambino così colto in ambito scolastico e così ignorante in ambito edile. Estrasse una bottiglietta d'acqua dallo zaino che portava sempre con sé e ne prese un sorso. 

    «Si vede che sei ricco», cominciò, con la cattiveria caratteristica dei bambini. «Scommetto che se a casa ti manca un pezzo, mamma e papà ti ricomprano l'intera confezione, o chiamano la... la...»

Sollevò il secchio da terra e aggrottò le sopracciglia per mettere a fuoco quanto vi era scritto. 

    «La...?», incalzò Brian.

    «Non leggo, puoi leggere cosa c'è scritto, per favore?»

Brian si chinò sulla confezione. 

    «Danimarca?»

    «Ecco!», fece stridulo Matthew. «Ecco, scommetto che se a casa ti manca un pezzo, mamma e papà chiamano la Danimarca e lo ordinano apposta!» Bevve ancora dalla sua bottiglietta — si stava agitando. «Io invece mi devo arrangiare da solo. Quindi tieniti pure il carrellino, qualcosa mi inventerò.»

Brian ci rimase male. Ma come, dopo tutta la fatica che aveva fatto! E poi lui non era nemmeno così viziato, a casa, e, soprattutto, mai si sarebbe sognato di metter mano su un gioco come il Lego! Fissò il suo rivale, che nel frattempo aveva costellato il pianale dell'aeroporto con torrette formate da mattoncini rossi.

    «Che cosa stai facendo?», chiese, tentando di mascherare una sincera curiosità.

    «Se l'aereo non può atterrare perché non ha il carrellino», spiegò Matthew, «allora precipita. E allora tutto va a fuoco. Fuoooooco», concluse, indicando con foga l'opera finita.

L'irritazione dell'altro era alle stelle. Quel bambinetto non solo si era permesso di rispondere a muso duro alle sue provocazioni, ma aveva anche avuto un'idea geniale e improvvisata di gran lunga superiore a quella altrettanto geniale, ma calcolata, di Brian. Ma non era ancora tutto perduto. Molko si chinò e raccolse la bottiglietta d'acqua che Matt aveva lasciato accanto a sé. Svitò il tappo. 

    Parte dell'acqua che rovesciò finì in testa a Bellamy, e questo perché così imparava a fare l'arrogante, e parte finì sull'intera costruzione di Lego.

    Matthew si voltò lentamente, fradicio e arrabbiatissimo. 

    «Ma sei impazzito?!», gli soffiò tra i denti. 

Brian gettò l'arma del crimine a terra e posò le mani sui fianchi con aria supponente.  

    «“Fuoooooco” spento, genio.»

Matthew ruotò gli occhi prima su di lui, attonito, e poi sul piccolo aeroporto allagato. Infine tornò a guardarlo. In tutto ciò, Brian non fece una piega.

    «... Carino», ammise dopo qualche secondo il bimbo seduto, pronunciando la frase come un insulto.

    «Grazie», rispose l'altro allo stesso modo.

    «... E ora che facciamo?»

Brian si sedette accanto a lui, Matthew si spostò di qualche centimetro per fargli spazio, sospettoso. 

    «E ora», cominciò il primo, la voce affaticata dallo sforzo nell'allungarsi verso il secchio giallo del Lego. «E ora arriva la squadra di assistenza e rimette il carrellino all'aereo, mentre un prete benedice i morti.»

    «I preti benedicono i vivi, mica i morti», lo corresse l'altro.

    «Ma che cavolo dici, sei un prete, tu?»

    «No, ma lo sanno tutti che i preti benedicono i vivi!»

    «Beh, allora qui il prete arriva per benedire quelli che stanno ancora agonizzando!», sbottò Molko, seccato.

    «Ma tanto il prete non ce l'abbiamo!», fece Bellamy.

    «Va beh, questo omino è vestito di bianco, facciamo che è il Papa!»

    «E la papa-mobile?»

    «Sarà la macchinina portabagagli!»

Matt rise, gettando indietro la testa, e, suo malgrado, la risata contagiò anche Brian — e dire che ci aveva provato, a trattenersi.

    «E io che pensavo che tu fossi uno stupido scemo, Brian»

    «Io di te lo penso ancora, Bellamy», notificò l'interpellato.

    «Ma vai a quel paese!»

    «Con la macchinina portabagagli o a piedi?»

    «E smettila di farmi ridere! Ti odio!»

    «Sì, Bellamy, sì. E ora passami il Papa, che così benedice questi poveri morenti.»






*






    «... E Brian come sta andando, a scuola, signorina Cooper?»

    «Signora Molko, può stare tranquilla. Suo figlio, come sempre, ha dei risultati eccellenti e una condotta ineccepibile. E dire che lui e Matthew Bellamy, il bimbo che dà più filo da torcere a noi insegnanti, sono diventati praticamente inseparabili.»









   
 
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