Libri > I promessi sposi
Ricorda la storia  |      
Autore: Cosmopolita    05/07/2014    1 recensioni
“L’uomo che aveva quel soprannome, non era niente meno che il capo de’ bravi, quello a cui s’imponevano le imprese più rischiose e più inique, il fidatissimo del padrone, l’uomo tutto suo, per gratitudine e per interesse".
Sì, beh, questa definizione è più che giusta, signor Manzoni, ma ci terrei a precisare che vale dal lunedì al venerdì, dalle nove del mattino fino a mezzanotte.
[Giornata tipo del Griso] [Giochi di parole molto stupidi]
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Don Rodrigo, Griso
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

A tutto il resto ci pensa il Griso


“L’uomo che aveva quel soprannome, non era niente meno che il capo de’ bravi, quello a cui s’imponevano le imprese più rischiose e più inique, il fidatissimo del padrone, l’uomo tutto suo, per gratitudine e per interesse".

Sì, beh, questa definizione è più che giusta, signor Manzoni, ma ci terrei a precisare che vale dal lunedì al venerdì, dalle nove del mattino fino a mezzanotte.


Mattina

Tutte le mie pene sono cominciate questa mattina quando, mentre dormivo, ho sentito una specie di arpione afferrarmi con violenza per una spalla e strattonarmi verso il ciglio del letto. E’ stato terribile.
Immaginatevi, lor signori, un uomo che ha appena finito di lavorare, talmente stanco da non riuscire più neanche a tenere gli occhi aperti, che altro non desidera se non dormire per cinque orette, giusto il tempo per riprendersi dalla giornata lavorativa che si è dovuto sorbire. E ad un tratto, proprio mentre gli pare sia giunta l’ora più bella del sonno, si sente sbatacchiato di qua e di là da chissà chi.
Mi sono svegliato d’improvviso, sollevando la testa dal cuscino e, mentre la mia vista si stava abituando pian piano alla luce violenta che trapelava dalla finestre, riconobbi un Bravo al servizio del mio signore, uno di quelli nuovi di cui non ricordavo neanche il nome –Ti pare il modo di svegliarmi questo, idiota?- ringhiai non appena ebbi la lucidità per farlo.
Sì sì, si vedeva che era un novellino. Mi chiese scusa per il modo “brusco” con cui mi aveva svegliato, ma che in fondo era “necessario” –La cuoca sta male.- concluse a mo’ di giustificazione, chinandosi appena verso il mio orecchio
-E io cosa ho da spartire con la cuoca?- trattenni uno sbadiglio; ero tentato, invero, di rimettermi a dormire, ma lui non mi lasciò neanche il tempo di prendere sul serio in considerazione l’idea. Ed eccolo che si stringe nelle sue spalle, come se lui, in fondo, con quella storia non avesse nulla a che fare –Il padrone vuole che sia tu a preparargli la colazione.-
Comprenderete, certamente, lor signori, che questa richiesta per me fu abbastanza astrusa. Io, il Griso, il fidatissimo del padrone, l’uomo tutto suo e via di seguito, non ero preparato anche a quell’evenienza. Preparare la colazione? Sono un uomo rispettabile e fare lavori di una serva è degradante: “Il Griso, quello a cui s’imponevano le imprese più rischiose e inique. Ad esempio, preparare la colazione”.

La parte più difficile, in ogni caso, non è stato prepararla, ma portarla al Padrone.
La sua camera è buia anche alle prime luci del mattino e già di per sé questo dovrebbe far desistere chiunque dal metterci piede. Tuttavia, il peggio è quando c’è lui dentro. Seduto sul letto al centro della parete, quella di fronte alla porta, continuava a fissarmi a braccia conserte.
Pur essendo ancora intorpidito dal sonno, con la barba ispida e malfatta, i suoi occhi erano perfettamente vigili e continuavano a guardarmi in maniera inquietante
-Signore…- sussurrai, chinandomi appena. Appoggiai il vassoio della colazione su un comodino accanto al letto e rimasi lì, immobile e in piedi davanti a lui nell’attesa che mi congedasse. Ma non lo fece.
Semplicemente sbadigliò, non ebbe neanche la decenza di poggiarsi una mano sulla bocca. Si passò una mano sulla mascella e arricciò il naso quando scoprì che la sua barba era più sciupata del previsto. Prese il vassoio e cominciò a mangiare, in silenzio, con gli occhi ancora fissi su di me.
Mi sentivo a disagio –Ehm… bella giornata.-
Annuì –Devi fare una cosa per me.-
Un po’ me lo aspettavo. In fondo, sono un uomo al suo servizio, un bravo… “Il capo dei bravi di Don Rodrigo”, se proprio vogliamo dirla tutta. Anche se erano solo le otto e mezza.
Lui si porse verso di me e mi afferrò un braccio, attirandomi a sé –Quella… contadina, quella paesana da nulla. Ah, non sai in che modo mi ha oltraggiato!- il ringhio adirato di un uomo ferito nell’orgoglio (e anche in altro)
-Oh, vi stupirete invece di sapere quanto bene io lo sappia.- mi affrettai a rispondere. Non era una frase che mi sarei potuto permettere di dire, ma avevo avuto tutte le mie ragioni per dire una cosa simile: rincorrere una ragazza per mesi interi solo per una stupida scommessa tra nobili e poi rinunciarci per un motivo così sciocco! Rinchiudersi nel proprio palazzo per ben due giorni. E a far che, poi? Mistero.
Per fortuna il Padrone non colse il sarcasmo delle mie parole –Devo riprendermi da questo, ehm,- esitò un attimo, ma poi si riprese –smacco ingiusto.-
-E che smacco!-
Il suo viso si avvicinò ancora di più al mio. I suoi occhi non la smettono di fissarmi. Sant’Iddio, da un po’ di giorni a questa parte è più inquietante del solito! –Griso, sai che tu sei il mio servo più fidato, vero?-
-Signore, cosa comanda?- tagliai corto.
-Stasera voglio uscire! Vedi se riesci a rendere la serata più… interessante, non so se mi spiego.- sorrise in quella sua maniera sinistra e viscida.
Ma sì, certo, interessante. Giustamente, dopo un “fallimento” così, uno si deve pur riprendere in qualche modo. Sono finiti i bei vecchi tempi in cui mi si ordinava di uccidere chiunque desse fastidio, o di inseguire fanciulle disdegnose di galanterie. Adesso, al Griso tocca preparare la colazione e rendere le serate interessanti!
Forse, quando i miei genitori da bambino mi supplicavano di “fare il bravo”, non avrei dovuto mal interpretare la loro richiesta.


Pomeriggio

A discolpa del Padrone, devo ammettere che il pomeriggio è stato molto meglio. Di gran lunga molto più adatto ad uno come me.
A dire la verità, devo tutto ad un villico con abbastanza fegato da andare raccontando per tutto il paesello cosa ne pensava di Don Rodrigo per filo e per segno.
L’ordine è giunto quasi subito, chiaro e tondo –Vai da lui e fagli capire cosa succede a mettersi contro di me. Ammazzalo se è necessario! Te lo ordino!-
L’ho già detto che ultimamente Don Rodrigo è parecchio inquietante?
In ogni caso, è davvero divertente vedere come certa gente prenda le minacce così seriamente. Minacciare è un’arte. Ci si presenta cortesemente, cerchi di guadagnare la stima e allo stesso tempo il timore del tuo avversario e, se è possibile, si mette in bella mostra un coltello che, sì, non è puntato alla gola, ma se solo osi provare a contraddirmi…
Vedere quell’uomo che tanto faceva il gradasso, tremare di paura e supplicarmi di risparmiare la vita a lui e alla sua famiglia è stata la luce dopo il tunnel. O almeno, così pensavo.


Sera

Dopo un’intera giornata passata a fare “cose da Bravo” (per modo di dire), la cosa peggiore che mi poteva capitare era uscire con Don Rodrigo.
Non che io non adori passare una serata fuori in qualche bettola  da quattro soldi, sia ben chiaro, e neanche che il mio Padrone non mi piaccia, ma quella giornata era stata talmente stressante (e sì che io ne ho passate davvero tante di giornate stressanti!) che la sola idea di dover restare sveglio un altro secondo di più mi tramortiva.
Tuttavia, io sono “L’uomo tutto suo”, perciò se mi chiede di andare a fare “baldoria” con lui, io devo eseguire gli ordini. Chi è che ha anche solo pensato che fare il bravo sia facile?
Don Rodrigo posò una mano sulla mia spalla. Era già ebbro del vino da nulla che offrono nella baracca che è solito frequentare. Inaspettatamente, mi sorrise –Avanti, Griso, bevi anche tu.- mi offrì un bicchiere davanti al mio naso e, nonostante dovesse essere un invito il suo, a me suonò più che altro come l’ennesimo ordine da compiere.
Poggiai le mie labbra sul bicchiere e mandai giù il vino tutto d’un sorso, mentre il bruciore dell’alcool di pessima qualità mi scese su tutto il corpo.
Bevvi un altro bicchiere. E poi un altro ancora. La mia mano afferrava meccanicamente il boccale per poi portarselo alla bocca. Mentre intorno sembrava cominciare a diventare tutto più nitido e definito, sentii la risata di Don Rodrigo. Era quello che più se la stava spassando, a quanto pareva.
Ne ho ricordi confusi, ma la sua risata la diceva lunga.
La mia testa cominciò a girare, qualunque sussurro intorno a me risuonava come un boato assordante, un martello che picchiava contro il mio cervello.
Ricordo solo che mi alzai in piedi e barcollai fino all’uscita. Poi, ad un tratto, il mio Padrone, che era accanto a me, si accasciò sulla mia spalla –Riportami a casa.- mi disse, semplicemente –Per colpa di questo dannato vino mi sto sentendo molto debole.-
Di sfuggita, notai un piccolo bottoncino rossastro sul suo collo, gonfio e sporgente. Istintivamente, non appena lo vidi, un piccolo brivido mi corse lungo la schiena. Anche il solo pensiero di toccarlo mi faceva ribrezzo. Continuai a sorreggerlo, camminammo fianco a fianco e più camminavamo, più vedevo il mio Padrone farsi pallido e flebile.
–Vi sentite bene, Signore?-
Aveva gli occhi fuori dalle orbite e talmente lucidi che parevano brillare. Ma subito lui si irrigidì e, infastidito, scosse la testa –Sto bene, sto bene.- bofonchiò, riprendendo a camminare più in fretta sulle strade di Milano.


Notte

-Griso!- un sussurro che riesco ad udire appena. Don Rodrigo è sdraiato sul letto, senza coperte, con il viso stravolto, perfino peggio di poche ore prima. Mi avvicino cauto al suo letto. Noto che, nell’arco di tempo che è passato, sono comparsi altri due bottoncini, uno sulla fronte e uno sulla spalla, disgustosi.
Lentamente, si alza per guardarmi meglio in viso –Tu… tu sei sempre stata la persona di cui mi sono fidato più di chiunque altro.-
Deglutisco. So già quel che vuole dire –Lo so, Signore.-
-E ti ho sempre fatto del bene.- tossicchia un po’, gli occhi tersissimi paiono supplicarmi un minimo di pietà. Ed è buffo, nonostante lo stato drammatico della situazione, che uno come lui debba render conto ad uno come me –Per sua bontà.- le mie parole si odono appena
-So che di te mi posso fidare. Sto male, Griso.-
E so anche cos’hai, vorrei dirgli, ma non posso, non riesco –Sì, me ne sono accorto.-
-Se guarirò… se guarirò…- ormai respira a fatica, agitato per la paura e per la malattia che, nonostante sia solo agli inizi, lo sta già disabilitando –Ti farò maggior bene. E non voglio fidarmi altro che di te, perché so che tu non mi tradirai.- mi sorride appena. E’ un sorriso che mi ripugna.
Non l’ho mai visto in questo stato in vita mia. Mai. Neanche quando gli è stato detto che l’Innominato aveva deciso di liberare quella stupida ragazza. Mi chiede di andare dal chirurgo Chiodo, quello che, sotto compenso in denaro, chiude un occhio o due, si fa i fatti suoi e non ti denuncia ai monatti.
Mi precipito lungo le scale, verso l’uscita. Respirare l’aria fresca della città, una volta aperta la porta, è quasi un sollievo. E allora comincio a correre, veloce. Supero la casa di Chiodo e continuo a correre. Alla fine li scorgo; i monatti, terribili, vestiti di rosso e una faccia che, sarà una mia impressione, promette solo morte.
Non lo dovrei fare. Sono un Bravo, è vero, ma perfino per un Bravo certi gesti sono considerati iniqui e infami.
Per un secondo che pare un’eternità ho quasi intenzione di voltarmi indietro e di avvisare sul serio il medico, ma poi penso “E’ di Don Rodrigo che si tratta.”.
Dovrei aver pietà di qualcuno che, in fondo, mi ha difeso e protetto? Forse sì. Ma penso ai vantaggi che potrei trarre se solo andassi da quei due uomini. Non è colpa mia, né colpa sua.
Era destino che andasse a finire così.
Mi fermo e li raggiungo –Il mio Signore è malato. Ha la peste.- dico, trafelato. Tutto sembra accadere troppo rapidamente.

-Ah, traditore infame!- il grido disperato di Don Rodrigo è come una pugnalata al petto. Sapevo di dovermi aspettare una scena simile, ma chissà perché, nella mia testa eccitata per tutti quegli avvenimenti accaduti in così poco tempo, mi era sembrata una faccenda facile da sopportare.
Ormai è ricoperto di bubboni, ansima ad ogni parola che, a fatica, grida –Aiuto, aiutatemi! Sono assassinato.-
E’ il rumore che potrebbe emettere un gigante quando crolla. Mi appiattisco ancora di più contro l’angolo del muro, il sudore comincia a colarmi sul viso, scende fino al collo, tracciando segni trasparenti sul mio volto
-Lasciatemi ammazzare quel maledetto! Poi farò tutto quello che volete.- lo vedo sporgere dalla lettiga verso di me, muove le mani e le tende e le stringe, come se davanti a sé ci fossi proprio io. Urla invano il nome di altri bravi, ma la sua voce si affievolisce.
La lettiga si avvicina sempre più verso l’uscita e verso di me. E per l’ultima volta, sento addosso a me gli occhi penetranti di Don Rodrigo, che una volta mi fissavano con tanto rispetto e un non so che di affetto che, nonostante la sua posizione, nutriva per me –Tu!- mi indica con il dito tumefatto –Io… posso ancora guarire! E quando accadrà, tu dopo… Ah, dopo tutto quello che ho fatto per te!-
E’ fuori di sé dalla rabbia, la malattia lo ha fatto uscire completamente fuori di senno. Non ha più nulla di Don Rodrigo, neanche l’aspetto; presto di lui non rimarrà più nient’altro che il suo nome.
Non appena i passi e le voci e tutto quell’inferno si attutiscono, mi affretto ad entrare nella sua camera.
Non c’è tempo, ora non più. La malattia potrebbe aver già infettato ogni angolo di quella sudicia stanza. Frugo nei cassetti e prendo alla rinfusa le prime cose che mi capitano tra le mani, non importa cosa sia, basta che valga qualcosa.
Non mi pento di ciò che ho fatto. Dopotutto, ero al servizio di Don Rodrigo “per interesse”. E anche per gratitudine, senz’altro, ma cosa me ne potrei mai fare io della gratitudine di un signorotto di campagna quando ho la possibilità di realizzare finalmente i miei interessi?
Esco in fretta da quella casa maledetta. Per strada, ormai, non c’è più nessuno.
Comincio a camminare per chissà dove, con le ricchezze del Padrone addosso e ancora scosso per tutto quello che è accaduto; “E’ per risarcimento” continuo a dirmi, più per rassicurazione che altro “Solo per risarcimento”.
Sono scosso da brividi dappertutto, la schiena comincia a formicolarmi. E’ come se il senso di colpa per ciò che ho fatto si riversasse in massa contro di me e mi infiacchisse.
Un altro passo; “E’ per risarcimento”; un altro, più faticoso dell’altro; “Ero il suo servo più fidato”; perdo l’equilibrio, ma non cado contro la strada ruvida; “In fondo mi voleva bene”; sulla mia mano noto che è comparso un bubbone perfino più pruriginoso e rigonfio di quello che avevo visto quella sera sul collo di Don Rodrigo.
In fondo, me lo merito”.
Da lontano si sente una campana suonare. E’ mezzanotte.
Ho finito di lavorare.

 



Io adoro sia Il Griso che Don Rodrigo e, sinceramente, se fossi stata Manzoni avrei scritto tutto l’ambaradan dei “Promessi Sposi” dal loro punto di vista. Bisogna dire lo so, il Griso si ammala ben oltre la mezzanotte, ma alla fine è una piccola licenza poetica che mi sono permessa di fare. Non credo sia poi così grave (spero!).
E’ la prima storia che scrivo su questo fandom, spero davvero che piaccia a qualcuno.
Lasciate una recensione, se vi va. Anche per una critica costruttiva

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > I promessi sposi / Vai alla pagina dell'autore: Cosmopolita