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Autore: mattmary15    05/07/2014    2 recensioni
Cosa accadrebbe se, ai giorni nostri, l'erede della famiglia Holmes fosse una stramba ragazza dagli occhi di ghiaccio e dai riccioli neri? Sociopatica e iperattiva, intelligentissima quanto bella. Ha un fratello che lavora per il governo, un ex ragazzo psicopatico e un paio di corteggiatori imbranati. Lei preferisce la solitudine e i delitti efferati. Almeno fino a quando incontra John. Così comincia il gioco una mattina di un martedì di ordinaria follia...
Genere: Avventura, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Jim Moriarty, John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: Gender Bender, Spoiler!, Triangolo
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Un martedì di ordinaria follia


La polvere.
La polvere aveva il potere di irritare John Watson più di qualsiasi altra cosa al mondo. La colpa di questa sua ‘allergia’ era legata al periodo che aveva passato in Afghanistan. Prima di allora la polvere non era mai stata importante.  Non l’aveva mai neppure notata. Tuttavia la sabbia, parente prossima della polvere e assai più fastidiosa, lo aveva reso particolarmente incline a notare la polvere e a detestarla.
Per questo l’appartamento in cui si trovava al momento era opprimente. Si alzò dal letto. Le veneziane della finestra lasciavano trasparire una luce che ingialliva ogni cosa nella camera e che gli dava la fastidiosa sensazione di essere immerso in un mare di polvere. Prese perciò la via per l’uscita fermandosi solo un istante davanti alla scrivania.
Rimase fermo un paio di minuti fissando il cassetto chiuso dell’unico mobile della stanza se si escludeva il letto. Alla fine, con un gesto rapido della mano, aprì il cassetto, prese la pistola all’interno e lo richiuse lasciando quella stanza soffocante.
Quando si ritrovò in strada, sotto la leggera pioggia autunnale di Londra, si rese conto che non aveva alcun motivo per portare quell’arma con sé. Inoltre, nel posto dove stava andando, portare un’arma era vietato.
Non che John avesse, in generale, motivi per portare in giro un’arma dal giorno del suo ritorno a Londra. Nel suo portafoglio, ripiegato con cura, c’era sempre il foglio del congedo dall’esercito di sua maestà.
“Congedato con onore” diceva quel foglio. John si era spesso domandato quale onore ci fosse stato nel prendere parte ad una guerra lontana miglia e miglia da casa nel bel mezzo di un deserto, nell’assistere a episodi di guerriglia meschina fatta di mine antiuomo e kamikaze, di sortite e rappresaglie di cui ricordava solo il rumore, il sudore e l’odore del sangue. E ovviamente la sabbia che restava attaccata ai vestiti, che si infilava sotto l’elmetto o nel caricatore delle armi, che resisteva persino all’acqua delle docce, che era capace di infettare le ferite sui corpi dei soldati e quelle nei loro cuori diventando l’unica cosa che le loro menti fossero in grado di vedere sotto il tremendo sole di quel meridiano infuocato dall’odio degli uomini.
Eppure indossare la sua pistola lo faceva sentire completo. Ogni volta che la lasciava nella sua scrivania e usciva, provava l’orribile sensazione di essere come nudo. Che ogni individuo che gli passava accanto e che magari lo spingeva inavvertitamente al semaforo o lo urtava casualmente sul marciapiede rappresentasse una seria minaccia alla propria incolumità. La sua analista aveva confermato la STPD. Sindrome post traumatica da stress. Per questo gli aveva ordinato tre cose: annotare ogni evento della sua vita su un diario, evitare di rimanere isolato e lasciare quella maledetta pistola a casa.
L’esperimento del diario era una cosa che il carattere di John avrebbe difficilmente portato avanti senza difficoltà. Amava l’idea di scrivere ma, da quando era tornato, le mani gli tremavano al punto che odiava la calligrafia che veniva fuori dalle sue dita. Tutte le pagine scritte, che comunque parlavano di sabbia e morte, erano finite in un cestino.
Anche uscire da un isolamento involontario era risultato piuttosto complicato. John era sempre stato considerato dalle ragazze un tipo avvenente. Anche se non molto alto, aveva un fisico asciutto, forte. Un paio di occhi verdi incastonati in un volto dai lineamenti dolci e da morbidi capelli biondi, avevano fatto di John Watson un ragazzo particolarmente fortunato con le donne. Inoltre il suo carattere gioviale e il temperamento deciso lo avevano reso un perfetto compagno di chiunque avesse voluto frequentarlo per più di cinque minuti. Questo prima della guerra. Ora non aveva particolare successo né con donne, né con compagni di bevuta al pub. Le prime non sembravano molto interessate ad andare oltre l’immaginario del soldato bello e dannato e i secondi si annoiavano solo ad immaginare le storie di guerra che avrebbe potuto raccontare di fronte ad una pinta. L’isolamento era l’unica via di salvezza dal dover sembrare falsamente interessato ad ipocrite compagnie o alla tentazione di fare una strage eliminando fisicamente potenziali disturbatori.
A quest’ultimo concetto si legava l’ordine impartito dalla sua dottoressa di non portare con sé un’arma. Nelle sue condizioni, che lei aveva definito instabili, c’era il rischio che potesse decidere di usarla. John l’aveva rassicurata che era perfettamente in grado di distinguere una trincea da una fermata della metropolitana, tuttavia comprendeva i timori della donna. Per questo stava andando da lei. Per avere il primo contatto da giorni con un altro essere umano. La pistola l’avrebbe lasciata sotto il giaccone. John Watson era un testardo e nessuno lo avrebbe mai convinto a fare qualcosa contro la sua volontà.
Davanti alla porta dello studio medico della sua analista stava ferma una berlina scura. John si fermò a fissarla per un istante di troppo e qualcosa gli finì addosso scaraventandolo a terra. D’impulso si mise a sedere sul marciapiede e si scrollò di dosso in malo modo la persona che lo aveva urtato. Fu tentato di estrarre l’arma dandosi contemporaneamente dell’idiota e guardò la causa di quel suo scatto d’ira.
“Mi perdoni. Vado, come dire, di fretta. Le suggerisco tuttavia di non imbambolarsi per strada a quel modo. Non è salutare!”
La voce, squillante e affettata, apparteneva alla persona che lo aveva urtato. Indossava un paio di pantaloni grigi e un cappotto. Da sotto un cappello da caccia un paio di occhi di ghiaccio lo guardavano divertiti. John pensò di non aver mai visto occhi più belli e mentre lui era immerso ancora in questo pensiero, la figura lo oltrepassò.
“E’ stato un piacere incontrarla! O sarebbe opportuno dire scontrarla, dottore! Credo che la sua analista si sia liberata in anticipo e potrà riceverla subito.” disse allungando il passo.
John agì d’impulso. Allungò una mano e afferrò la figura per il braccio tirandola verso di sé. A quel movimento, il cappello da caccia volò in terra e John fu accecato da una massa di riccioli bruni che ricaddero sciolti fin sulle spalle della figura.
“Lei è una donna!” farfugliò lasciandola andare subito.
“Brillante deduzione, amico mio!” disse lei sorridendo e chinandosi a raccogliere il cappello.
“Amico? Come fa a sapere che sono un dottore? Come fa a sapere che ho un appuntamento con l’analista che lavora qui?” disse indicando il civico dello studio medico.
La ragazza sbuffò. Era decisamente bella e strana. Alta un po’ più di John e dalla figura longilinea. I suoi occhi avevano qualcosa di inquietante, sembravano leggergli dentro mettendolo notevolmente a disagio.
“Le dirò, vado di fretta ma merita una spiegazione. In fondo l’ho spintonata in terra e non è da me contravvenire alle buone maniere. Venendole addosso ho intravisto nel taschino interno della sua giacca un pass per l’ospedale St.Bartholomew. Quel tipo di pass non è per ospiti. E’ a disposizione solo di medici in carico per breve tempo alla struttura. Ne ho dedotto che è un medico ma non in pianta stabile all’ospedale. Inoltre si è fermato a guardare la berlina e poi il suo orologio arrivando qui. Chiaro sintomo che voleva controllare l’eventuale anticipo al suo appuntamento. Ci sono tre diversi studi in questo palazzo. Uno legale, uno dentistico e uno medico. La sua dentatura è perfetta, dottore. Escludo quindi che fosse diretto allo studio dentistico. La pistola che nasconde sotto il giaccone avrebbe potuto farmi dedurre possibili, anzi direi, probabili problemi legali, tuttavia il pass parla di un ‘capitano Watson’ quindi propendo per il fatto che lei sia un soldato piuttosto affezionato all’arma che porta. Oserei talmente affezionato ad essa da avere bisogno di parlarne con un’analista. Ora col suo permesso, la saluto capitano J.H.Watson.” concluse la ragazza facendo schioccare i tacchi di un paio di scarpette blu.
John era sconvolto. Per la prima volta da quando era tornato dall’Afghanistan, qualcosa lo aveva scosso, interdetto, quasi eccitato.
“Aspetti! Ehi aspetti ancora un momento!” urlò per richiamare l’attenzione della ragazza.
“Se vuole ancora parlare con me, cammini dottore!” rispose lei continuando a camminare a passo svelto risistemandosi i capelli sotto il cappello da caccia.
“Come diavolo ha fatto?”
“Devo rispiegarglielo?”
“No, di certo no! Ho capito come ha fatto. Non ho capito come ha fatto nei pochi secondi che ci siamo sfiorati a vedere tutte quelle cose e ad elaborarle in quel modo!”
“Elementare dott.Watson! Io sono intelligente!” John si fermò.
“Mi sta dando dello stupido?”
“Se vuole parlare con me deve camminare!” ripeté lei. John la seguì fino all’angolo. A quel punto lei si voltò a guardarlo.
“In verità non credo che lei abbia bisogno di un’analista. Non di quell’analista comunque. Lei non è una persona ordinaria. Afghanistan o Iraq?” John sgranò gli occhi.
“Ancora il suo giochetto? Avanti indovini!”
“Non si tratta di indovinare ma di osservare. Afghanistan. Se ci rivedremo le dirò cosa ho visto in lei, dottore.”
La ragazza fece un cenno con la mano e un taxi le si fermò accanto. Mentre saliva in auto, John fu assalito dal terrore che non l’avrebbe rivista mai più e si avvicinò all’auto.
“Come farò a rivederla? Noi non ci conosciamo e questa città è Londra!” disse e lei si sporse dal finestrino.
“Già! Non c’è posto al mondo come Londra, vero? Il mio nome è Sherly Holmes, l’indirizzo è il 221 B di Baker Street.”
Il taxi si allontanò e John per qualche istante rimase fermo. Un sorriso nacque spontaneamente sulle sue labbra e tornò sui propri passi.
“Sherly Holmes.” Sussurrò certo che non avrebbe dimenticato facilmente quel nome. Giunto sotto lo studio della sua analista John vide una certa confusione. Alcuni uomini vestiti di scuro sembravano molto agitati e un uomo sulla quarantina con un impermeabile sul braccio e un ombrello in mano sembrava dare ordini a tutti. Uno degli uomini in nero gli si avvicinò.
“Mi scusi, ha per caso visto uscire da quel palazzo una donna sui trent’anni, bruna, occhi azzurri?”.
“Che ha fatto? Perché la cercate?” chiese John che sentì affiorare dentro sé una strana ansia.
“Niente, lasci perdere.” Disse l’uomo tornando indietro.
John pensò che quel giorno l’analisi poteva aspettare. Sollevò una mano e richiamò l’attenzione di un taxi.
“Dove signore?” chiese il tassista.
“221 Baker Street.” Rispose John senza sapere davvero perché aveva deciso così. Oltrepassando lo studio dell’analista ebbe la netta sensazione che l’uomo con l’ombrello lo stesse fissando e avvertì un brivido scendergli lungo la schiena.

Al 221 B di Baker Street John trovò ad attenderlo una donna ma non quella che si aspettava. Scoprì che la casa apparteneva ad una bizzarra signora di nome Mrs. Hudson. Seppure la donna avesse ribadito più volte di non essere la governante, aveva passato tutto il tempo da che era arrivato a preparagli tea e biscotti e a spiegargli che non poteva proprio portarlo di sopra nella stanza di Miss Holmes giacché non era una buona cosa che un giovanotto si facesse trovare nella stanza di una signorina in sua assenza. Anche nel caso che si trattasse della signorina Holmes. John si era chiesto cosa potesse significare questo ulteriore commento. Fu quasi dopo un’ora che la porta del 221 B si aprì di nuovo.
“Sono io, Mrs Hudson!”
“Oh miss Holmes, ha visite!” urlò la donna in modo plateale spostandosi e lasciando vedere John. Al soldato parve d’intravedere qualcosa muoversi negli occhi furbi di Sherly Holmes.
“Solo un’ora! Dott. Watson, mi ha appena conosciuto e già non può più fare a meno di me!”
“Non è come crede!” si affrettò a dire John. Sherly sorrise.
“Oh, io non credo a niente, Watson, io so!” John sorrise.
“Cos’era quello?” chiese lei salendo le scale e facendo cenno di seguirla.
“Quello cosa?”
“Quello che ha accompagnato al sorriso. Sarcasmo?”
“Non è un po’ presuntuosa a dire che ‘sa’?”
“Non in questo caso, anche se le assicuro che mi troverà spesso presuntuosa.” Disse invitandolo a sedersi. “Vuole del tea?”
“Me lo ha già offerto la sua padrona di casa.” Rispose John notando subito la polvere che copriva la maggior parte degli oggetti della casa e di cui l’inquilina doveva avere una buona tolleranza.
“Signora terribile la Hudson, vero?”
“Se con terribile intende dire gentile, sì lo è.” Sherly sorrise.
“E’ davvero venuto qui perché vuole che le spieghi come funziona il mio palazzo mentale?”
“Il suo palazzo che? No, guardi che sono venuto qui perché anche se non sono intelligente come lei, io non sono uno stupido. Lei era l’appuntamento della mia analista. L’appuntamento prima del mio.”
A quelle parole Sherly sorrise e batté le mani come un bimba che abbia appena scartato il suo regalo di natale scoprendo ciò che desiderava di più.
“Cos’ha da essere felice?”
“Mi dica dottore, perché ci ha messo tanto?”
“Perché non sono intelligente quanto lei. Tuttavia lei deve essere scappata dallo studio dell’analista perché quando sono tornato indietro c’era un sacco di gente che la cercava, miss Holmes. Inoltre se non fosse così, non avrebbe detto che l’analista si era liberata in anticipo. Ha avuto una bella faccia tosta a prendersi gioco delle mie psicosi quando lei era nelle mie stesse condizioni!”
“Sbagliato!” disse la ragazza portandosi le mani giunte sotto il mento “In primo luogo io non intendevo prendermi gioco delle sue psicosi. Se l’ho fatto, mi scuso. Ho semplicemente puntualizzato che non vedo il motivo per cui qualcuno dovrebbe farla sentire in colpa per il fatto che non è a proprio agio in una società ipocrita desiderosa di non vedere la guerra nelle nostre strade fingendo che la normalità sia uscire di casa al mattino e camminare per strada ignorando tutto e tutti col solo scopo di ritornare a casa ogni singola sera. In secondo luogo non avevo intenzione di vedere alcun analista oggi e, facendo valere una mia libertà fondamentale, mi sono allontanata dallo studio della dottoressa che, in totale franchezza, non ritengo in  grado di offrirmi alcun aiuto.
In terzo luogo, avevo da fare. Sono una persona molto impegnata. Al contrario di lei, dottore. Non credo sia una persona molto impegnata al momento!” John batté i pugni sul bracciolo della poltrona e un ghigno si dipinse sul suo viso.
“Ora mi dirà anche in base a cosa l’ha capito, vero?”
“La prego solletichi il mio enorme ego, dottore.”
“Coraggio allora, mi illumini.”
“Alle 10 di martedì chi avrebbe appuntamento con un’analista? Troppo tardi per un lavoro fisso che inizia il turno alle 9 e troppo presto per un libero professionista che non è in studio prima delle 10.30.”
“Potrei avere preso un permesso per una visita medica.”
“Se lavorasse, lo farebbe in un ospedale essendo un dottore e pertanto avrebbe diritto alle visite convenzionate della struttura di appartenenza.”
“Non potrei avere desiderato un po’ di privacy?” Sherly fece un giro su se stessa e puntò un dito contro John.
“Dimentica la pistola dottore. Non entrerebbe mai con quella in ospedale, non crede?” John sorrise.
“Potrei averla presa solo per oggi perché ho un giorno di ferie.”
“Avanti dottore, vuole davvero arrampicarsi sugli specchi?”
“Non ha dimostrato nulla.” Gli occhi di Sherly si ridussero a due fessure.
“Non ha un lavoro dottore. I suoi abiti profumano di lavanderia segno che li ha ritirati ieri al più tardi. Nessuno ritira gli abiti puliti il lunedì quando non si ha voglia neppure di andare in ufficio! Inoltre la media dei soldati che torna dal fronte frequenta l’analisi per almeno sei mesi e in questo periodo generalmente fatica a trovare lavoro. Inoltre porta con sé il pass ma non lo usa, la banda magnetica non è rovinata da un utilizzo frequente e poi ci sono le sue mani. Tremano.”
A queste parole John si alzò e raggiunse la porta.
“Quello che fa è incredibile, miss Holmes. Davvero. Non ho mai conosciuto una persona come lei. Per un attimo ho creduto che lei potesse essere in pericolo. Mi sbagliavo. Lei è perfettamente in grado di badare a se stessa.”
John scese le scale di corsa e sarebbe schizzato fuori da quell’appartamento se Mrs Hudson non lo avesse fermato.
“Va via, John?”
“Sì, Mrs Hudson, addio.”
“Addio? Oh, che peccato, la signorina sembrava così contenta di vederla.”
“La signorina ha detto di essere molto impegnata.”
“Vede, John, Miss Holmes è molto impegnata qui dentro” disse l’anziana donna indicando una tempia “ma non frequenta molta gente perché, come dire, è una persona che dice troppo frequentemente tutto ciò che pensa. Io ci sono abituata ma in genere la gente crede che sia strana. E’ sempre molto sola. Immaginavo che avesse trovato un amico. Lei è il primo che viene a trovarla a casa, se si esclude suo fratello e i clienti.”
“Clienti?” chiese John pensando immediatamente alla bellezza della ragazza al piano di sopra.
“Sì, gente con problemi di ogni tipo, sa? Se sparisce qualcuno o qualcosa, se c’è un omicidio o non ci si spiega un evento, allora vengono da miss Holmes. Lei è in grado di risolvere qualsiasi tipo di enigma. E’ intelligente!”
“Già.” Sussurrò John.
“Ma è anche una maledizione. La signorina non ha amici. Lei mi sembrava uno in grado di stare al suo passo.”
“Si sbaglia Mrs Hudson, io non sono all’altezza. Addio.”
“Oh, cielo! Dica pure che non le va a genio ma non menta! Lei è un soldato!” strillò lasciandolo solo davanti alla porta blu.
John si guardò la mano destra e il tremore che non accennava a diminuire lo convinse a lasciare subito quella casa.

  
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