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Autore: Aurelianus    05/07/2014    5 recensioni
E se la Germania non avesse mai perso la Seconda Guerra Mondiale, diventando la prima potenza planetaria? Cosa accadrebbe se in un lontano futuro, tutte le nazioni della Terra e le colonie fondate nello spazio dovessero far fronte comune contro una tremenda minaccia aliena? Le antiche rivalità, le vecchie contese, sarebbero accantonate? Ciò che resta dell'URSS, il potente Reich, l'Italia, l'Australia, gli USA e le altre nazioni sarebbero in grado di mettere insieme le loro forze e combattere non per un futuro migliore, ma per la possibilità di avere un qualsiasi futuro?
Storia scritta sulla base di un'idea dell'autore EFP John Spangler
Genere: Avventura, Azione, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Neu Bottrop, 12 giugno 2453, ore 20.42 (data desunta dal calendario militare della Wehrmacht)

Helmut aspirò una lunga boccata dalla sua Batschari.
Buttò fuori il fumo mentre si sedeva su un cumulo di calcinacci dietro la sua trincea. Cercando di trovare la posizione più comoda, slacciò l’elmetto e lo poggiò ai suoi piedi, accanto all’MG-3000.
Sollevando gli occhi al cielo verde, sbiadito dal crepuscolo, cercò vanamente di captare qualche indizio su come stessero andando le cose là sopra.
“Sergente, cosa fai?”
“Cazzo, Karl, mi sto godendo la mia ultima sigaretta prima di essere ammazzato da quei fottuti figli di puttana laggiù” replicò, indicando vagamente un punto imprecisato oltre la barricata di fortuna che avevano eretto.
“Be, non so se riuscirai a finirla se non ti rimetti l’elmetto, anche con la testa dura che ti ritrovi” lo punzecchiò l’altro, scatenando le risate di tutti quelli che erano a portata d’orecchio.
“Ah, ma muori” gli augurò, sputando per terra “E torna alla tua merdosa trincea” ordinò, suscitando nuovamente l’ilarità del reparto.
Spense il mozzicone sopra quella che era stato un pezzo della facciata di un grattacielo, buttato giù dai bombardamenti.
“Ehi, Hans! Smettila di rimpinzarti di razioni e dimmi cosa cazzo succede!”
Il soldato in questione si sollevò dalla sua postazione, guardandolo infastidito.
“Se i Korakiani disturbano i sensori del tuo casco, Sergente, lo fanno anche con i miei sensori portatili: ne so quanto te.”
“Triangola con il satellite” fece con semplicità.
“Anche quello è disturbato” borbottò.
Gli parve di udire anche un “imbecille” sottovoce, prima che il soldato si girasse.
“Ammettilo di essere inutile: un sottoufficiale addetto ai sensori che non sa far funzionare i suoi fottuti sensori” lo rimbeccò, divertito e trasferendo le attenzioni del plotone sopra il malcapitato Caporale.
L’eco delle risate non si era ancora spento, quando un inconfondibile fischio si levò nell’aria, ammutolendo tutti all’istante.
Helmut si riallacciò il casco e si risistemò il ferrigno giubbotto anti-proiettili.
“Forza, ragazzi: è l’ora di morire! Prendere posizione! Ricordate: raffiche brevi e precise, non abbiamo munizioni da sprecare” ricordò ai suoi uomini.
“Sergente” gracchiarono gli auricolari del casco.
“Albrecht, Augustine, cosa vedete?”
“Mutt, di tutti e due i tipi e almeno un migliaio, quattro blindati, una ventina di bombardieri a bassa quota e cento Mörder; altre truppe dietro di loro, ma da qui non riesco a vederle. Non so come se la passino gli altri plotoni” rispose laconico il primo.
“Merda” imprecò, “tempo stimato per l’arrivo?”
“Un minuto e mezzo.”
“Va bene, ragazzi: muovete il culo, tornate alle vostre trincee” ordinò alle due vedette.
“Sissignore” risposero.
Non passarono due secondi che li vide sbucare trecento metri più avanti, mentre correvano come forsennati verso di loro.
Sintonizzò la radio incorporata nel casco sui Flakkorps, contattandoli.
“Caporale Heinemman, c’è rimasto qualcosa con cui fare fuoco di sbarramento?” domandò.
La pausa che seguì fu maledettamente lunga.
“Esclusi quelli distrutti e quelli che devono fornire copertura alle altre unità, ho tre Flak-200. Ma se li uso subito mi sventreranno i bunker con i bombardieri a bassa quota” rispose dopo aver riflettuto.
“Non ti preoccupare, abbiamo riservato loro una sorpresina. Mi serve l’artiglieria per  i blindati che sopravvivono e per le loro truppe d’élite”
“Possiamo farcela, ma tieni a mente che ho sette colpi a pezzo,  non uno in più e non basteranno contro i loro scudi mobili. Il trasporto con le munizioni è stato abbattuto dai Killer ieri: non c’è rimasto praticamente nulla.”
“Lo so, cazzo, lo so” replicò, abbassando la visiera e puntando l’arma.
“Pronti a far fuoco ragazzi! I Mutt sono semplice carne da proiettile, non valgono nulla, non fatevi spaventare del loro numero: siete MSK del Reich! Heil Schmidt!”
“Heil Schmidt!” ruggirono di rimando cento gole, maledettamente poche per quello che gli stava per saltare addosso e maledettamente tante per lui, che era abituato a guidarne una ventina.
Il mirino del casco si allineò automaticamente con quello dell’arma, che portò al massimo ingrandimento aspettando che i Korakiani sbucassero dalle montagne di macerie innanzi a loro.
Il loro plotone disponeva della copertura di edifici crollati su entrambi i lati, le strade attigue erano presidiate dalle altre unità: non potevano essere circondati tanto facilmente, i Korakiani per attaccarli dovevano infilarsi in quello stretto imbuto e caricarli frontalmente, esponendosi al loro fuoco.
L’occasione giusta per divertirsi un po’.
“Georg, Friedrich: tenete i Panzerschrek per i bombardieri” comunicò alla radio.
“Ricevuto” risposero.
Captò dei movimenti sul crinale a trecento metri dalla loro posizione, costituito da un cumulo di macerie, unici resti di un grande edificio residenziale.
La sagoma nera di un Mutt apparve sgambettando, presto seguita da altre decine.
Piccoli e disgustosi, parevano l’incrocio tra uno scarafaggio e una testuggine. Avevano due gambe e due braccia che gli consentivano di muoversi in posizione eretta, ma spesso preferivano caricare a quattro zampe, come in quel momento.
Fischi e schiocchi composero parole nella loro lingua incomprensibile e l’assalto iniziò.
“Aspettate!” intimò secco, mentre la brulicante massa nera si avvicinava velocemente alla loro posizione, causando vibrazioni nell’asfalto semi sgretolato.
“Aspettate” ripeté, più lentamente.
Le antenne del capofila alieno si drizzarono improvvisamente, seguite dal suo intero corpo. Il piccolo alieno puntò la sua pistola a energia e fece fuoco.
Una fulminea sfera azzurro pallida volò sopra la sua testa, mancandolo completamente.
“ORA!” tuonò, premendo il grilletto: la sua raffica precisa lacerò in due tronconi il Mutt, protetto solo da una leggera corazza.
Il crepitio delle armi dell’intero plotone esplose, riecheggiando pesantemente fra le pareti del collo di bottiglia.
La massa di Korakiani fu investita tremendamente: caddero falciati a dozzine.
I superstiti di quella prima poderosa raffica iniziarono a indietreggiare emettendo fischi di terrore, ma la pressione delle file e file di loro compagni che premevano ostinatamente in avanti, li sospinse di nuovo verso la loro barricata. Una pioggia di granate, raffiche di mitragliatrice e fucile automatico li travolse, atterrandone almeno un centinaio.
Un altro acuto richiamo si fece udire, ferendo le orecchie di tutti gli MSK, che infuriati intensificarono il fuoco, facendo strage dei piccoli fanti.   
Il Sergente sapeva bene cosa significasse quel suono. I feroci Mörder, richiamavano all’ordine i codardi Mutt, intimandogli di rispondere al fuoco.
“Occhio, ragazzi: la pacchia è finita. Adesso si fa sul serio. Thomas, cazzo, stai gi…” non fece in tempo a terminare la frase che una gragnuola di sfere azzurrine lo centrarono in pieno, smembrandolo e cauterizzandolo nel contempo. 
Fu il loro primo caduto, non fu l’unico. Altri otto uomini, a pochi istanti di distanza l’uno dall’altro, vennero abbattuti.
“Merda, ed è solo l’inizio” sussurrò Helmut.
Gli allarmi di tracciamento antiaereo squillarono nel suo casco.
“Hans!” lo avvertì, ritornando a sparare nella massa nemica immediatamente dopo.
“Georg, a sinistra, 50 per 20! Fried, 90 per 35” dispose il Caporale.  
I due si alzarono simultaneamente in piedi, inclinando i loro Panzerschrek verso l’alto e sparando due razzi a testa; le scie si allungarono sino a sfiorare la collina davanti a loro, proseguendo poi fino a quando non intercettarono quattro piccoli bombardieri a bassa quota.
Quattro appaganti palle di fuoco si accesero nel cielo
“Bel colpo!” urlò tutta la sua approvazione il Caporale
Helmut inserì un nuovo caricatore nella mitragliatrice portatile e continuò la sua opera di sfoltimento, i colpi alieni sfrecciavano tutto intorno a lui.
Un giovane soldato che gli stava accanto si sporse e sparò una breve raffica con il suo Mauser-K, uccidendo due Mutt intenti a scalare la barricata. Un balenio celeste lo raggiunse al collo, nel punto dove né il giubbotto né il casco giungevano.
Fu sbalzato indietro, la testa da una parte, il corpo dall’altra.
Digrignò i denti, concentrando il suo fuoco sui bassi alieni che trovavano il coraggio di sparare con le pistole in dotazione.
E fu così che li vide.
“Porca… Hans, spostati!” urlò con tutto il fiato che aveva in gola, mentre rotolava via.
Il Caporale si alzò in piedi e corse velocemente al riparo, ma non abbastanza in fretta.
Un panciuto raggio azzurro chiaro, simile ad una cometa, lo raggiunse e l’esplosione lo vaporizzò, coinvolgendo Karl e un’altra dozzina di uomini.
L’onda d’urto investì Helmut e lo sbalzò violentemente a terra; la sua schiena impattò con forza su una roccia, mozzandogli il respiro. Se non avesse indossato il giubbotto, la spina dorsale gli si sarebbe di certo frantumata. 
Si costrinse a rialzarsi. Il dolore lo travolse, la vista gli si offuscò per un secondo, poi tornò a intravedere qualcosa.
Quasi lo rimpianse: vedeva sfuocato e doppio, ma non abbastanza da non scorgere i due Mutt che scavalcarono la barricata in fiamme e che uccisero un soldato, sparandogli a bruciapelo.
Non lo conosceva, sapeva solo che si chiamava Andreas e che aveva appena diciott’anni. Accecato dalla furia si alzò in piedi, incurante dei raggi Korakiani che gli sfrecciavano attorno e puntò l’MG.
Premette convulsamente il grilletto, riducendo i due alieni in una poltiglia nero violacea.   
Ansimando, riguadagnò la sua vecchia postazione, delle protezioni di fortuna che la circondavano rimanevano mozziconi semifusi e fumanti.
La testa gli girava, eppure riuscì a vedere i responsabili di quel disastro: due carri Korakiani, che aprirono nuovamente il fuoco in quell’istante; dal visore degli effettivi vide scomparire altri sette uomini.
Nello stesso istante gli allarmi antiaerei tornarono a ululare.
“Georg, Fried! Lasciate perdere quei carri! Buttate giù i bombardieri!” gli urlò.
“Dove cazzo sono gli altri due… merda!” imprecò, mentre i lanciarazzi spararono un copia di missili ciascuno contro i bombardieri in avvicinamento. Ne centrarono ancora quattro, ma quelli in arrivo erano oltre una dozzina.
Una bomba piovve sulla loro postazione. Come a volersi vendicare, andò a colpire proprio la trincea dei due soldati muniti di lanciarazzi, intenti a ricaricarli freneticamente.
Un paio di secondi dopo, le mine che avevano sistemato sul crinale esplosero con un boato assordante, innalzando i due pensati blindati alieni di un metro da terra e riducendoli in pezzi.
“Troppo presto! Cazzo! Troppo, fottutamente, presto!” imprecò.
I due carri alieni restanti presero, illesi, il posto dei primi due e ricominciarono la loro opera di distruzione.
“Heinemman! Mi servono quei 200, ORA!” sbraitò nella radio.
“Arrivano, ma i loro bombardieri vi hanno passato; mi faranno il culo tra dieci secondi: non so quanti colpi posso piazzare” avvertì il sottoufficiale.
Tre tuoni secchi risuonarono alle loro spalle.
L’istante successivo, quattro violente esplosioni causarono un momentaneo terremoto, l’onda d’urto spappolò una ventina di Mutt che stavano in piedi sulla barricata, intenti a falciare uomini dall’alto.
Fu scaraventato di nuovo a terra, la sua collezione di lividi aumentò ancora.
Si mise in ginocchio, tossendo. Del sangue gli colò sullo zigomo.
“Sergente, sei ferito?” lo interrogò un soldato, aiutandolo ad alzarsi.
“Solo un graffio. Riprendi posizione, e porca miseria, corri rannicchiato!”
Solo in quel momento si accorse che il fuoco era cessato, un’irreale calma era scesa; l’eco degli scontri che avvenivano nelle strade vicine, li raggiungeva ovattato, impedendo di cadere nella tentazione di pensare che l’assalto fosse stato respinto.
Si sporse a controllare il risultato: pezzi di cemento e metallo ricadevano ancora al suolo con tonfi a volte sordi a volte acuti, tre enormi crateri avevano rispettivamente preso il posto della strada antistante la loro barricata, di uno dei pochi edifici rimasti in piedi e della montagna di macerie su cui avevano preso posizione i carri alieni.
“Il vecchio Heinemman è stato sin troppo pessimista, i bastardi non avevano eretto scudi a proteggere la loro avanzata e lui è riuscito persino a direzionare quattro pezzi verso di noi. Abbiamo fatto un fantastico macello” rifletté compiaciuto.
“Emh, capo” gli toccò una spalla uno dei suoi uomini.
“Che c’è, Albrecht?”
“La quarta esplosione era del bunker: i bombardieri hanno lanciato una raffica di quello loro fottute bombe anti-casamatta” disse, indicando l’enorme complesso infossato nel sottosuolo una decina di chilometri più addietro, di cui spuntava solo la parte superiore, totalmente sventrata. Incendi alti centinaia di metri si levavano al cielo, spargendo un fumo acre che si stava velocemente protendendo verso le nuvole.
Sputò per terra, inserendo rudemente un altro caricatore nell’MG. L’ultimo.
“Dottore!” sbottò, roco, “Vedi di fare il tuo lavoro e mettiti a rattoppare gli idioti che si sono fatti beccare!”
Il medico annuì, mentre stavo ricucendo uno squarcio grande quanto un’arancia nel petto di un uomo, ancora vivo solo grazie alle protezioni.
Controllò le perdite e si trattenne dall’imprecare un’ennesima volta: quarantasette segnali mancavano all’appello, quasi la metà della loro unità. E per che cosa? La colonia era perduta dal momento in cui le navi trasporto Korakiane erano riuscite a sbarcarci delle truppe con una manovra a sorpresa. Quando quelli puntavano un obbiettivo, non ce n’era più per nessuno.
“Qui gruppo di combattimento C, Colonello Weimar, mi sente?” inoltrò, accolto dalla statica per un interminabile momento.  
“Qui è il Tenente Koch: il Colonello Weimar è… caduto. Sono lieto che siate ancora vivi, non ricevo più niente dai gruppi D, E, F e G. Ho ragione di credere che siano stati sterminati” l’accolse sollevato l’ufficiale, costretto ad urlare, nel tentativo di sovrastare il suono delle armi a ripetizione, che dovevano sparare a pochi metri da lui.
“Tenente, la mia unità ha subito perdite rilevanti e abbiamo perso definitivamente l’appoggio dell’artiglieria: chiedo il permesso di ripiegare”
“Negativo, Sergente” replicò, facendosi freddo “non ci sono più posizioni su cui ripiegare: avete l’ordine di resistere sino all’ultimo uomo. Sono stato chiar…” un forte boato si propagò nell’aria e dalla radio.
“Meglio: quell’imbecille ci avrebbe fatto ammazzare” sbottò, infuriato.
“Sergente! La Gestapo! Ascoltano le registrazioni” esclamò Albrecht.
“Stronzate, pensa a dirmi cosa succede, piuttosto” lo apostrofò di rimando.
“Succede che ci sono altri tre blindati in avvicinamento, con altri quattrocento Mutt e i cento Mörder dietro. Ecco cosa succede” mugugnò Augustine, mettendo un comico broncio dopo essere tornato da un’altra breve esplorazione.
Helmut sfiorò il pulsante per le comunicazione con la flotta, attivando il canale d’emergenza.
“Unità MSK a terra. Subite perdite rilevanti, munizioni quasi esaurite, la nostra posizione è compromessa: richiediamo estrazione immediata.”
Questa volta la risposta non si fece attendere, sebbene fosse disturbata e non contenesse il messaggio sperato: “Negativo, non… più l’orbita… navi Kor… scalzato. Estrazione impossibile… vete resistere da soli ancor… nque minuti”
“Non ce li abbiamo cinque minuti, cazzo! Dovete recuperarci ora, fra tre minuti saremo tutti morti!” urlò, accolto solo da rumore bianco. Aveva perso di nuovo le comunicazione.
L’allarme antiaereo ululò contemporaneamente in tutti i caschi rimasti attivi, per interrompersi bruscamente alcuni secondi più tardi; il Sergente guardò il cielo, il satellite che monitorava la loro area e che li avvertiva del traffico aereo in avvicinamento era appena stato distrutto.  
“Ci mancava solo questa… Augustine, Michel: ci sono rimasti un Panzerschrek e un Panzerfaust, usateli per abbattere quei bastardi” dispose.
Lo stridio emesso dai velivoli alieni si propagò, assordante: molto più forte rispetto a prima.
“Porca… sono Killer!” avvertì un soldato, riconoscendo il rumore.
“Tutti a terra! Lasciate perdere i lanciarazzi!” urlò ai due soldati pronti a far fuoco, invano. Fieri rimasero al loro posto, sperando di causare qualche danno.
I profili a forma di ago e color rame cromato di due Killer apparvero avvicinandosi rapidamente, fendendo le colonne di fiamme e fumo che si levavano dall’altra parte delle città. Dovevano essere stati loro a causare l’esplosione che aveva ucciso il Tenente e, ora che sapeva chi vi aveva dato origine, era certo anche l’intero gruppo A.
Volavano bassi e leggermente traballanti: quei caccia erano stati progettati per il combattimento nello spazio, dove surclassavano nettamente quasi qualunque avversario l’umanità gli avesse schierato contro; nell’atmosfera si trovavano in difficoltà, ma sopperivano alla mancanza con l’enorme potenza di fuoco, sufficiente a spazzarli facilmente via in un paio di passaggi.
Le lunghe gocce di energia azzurro chiara iniziarono a piovere sul cratere causato dal 200 nell’asfalto, allargandolo. Un compatto muro di esplosioni iniziò ad avvicinarsi velocemente alla loro posizione.
Augustine e Michel spararono nello medesimo istante, gettandosi subito dopo a terra.
I quattro razzi sfrecciarono veloci verso i loro obbiettivi, che richiamarono la picchiata istantaneamente e interruppero l’attacco. Due mostruosi boati scossero l’aria, ma Helmut li ignorò, intento a  guardare i due Killer: i caccia alieni avrebbero evitato il colpo con estrema facilità, nello spazio; tuttavia lì, la loro agilità era fortemente compromessa. Quattro esplosioni, una coppia per velivolo, fiorirono a ridosso dei loro affilati profili, liquidi scudi azzurrini si attivarono e respinsero l’assalto senza nemmeno tremolare.
“Ci è andata bene, li avete spaventati,” sospirò “sparpagliatevi, idioti! Ora ritornano e ci friggono” disse secco, mentre si rendeva conto che le raffiche nemiche avevano vaporizzato i due grattacieli, già dimezzati, al fianco sinistro e destro della loro posizione.
“Cazzo, se ci è andata bene” ripeté, sbiancando.
Il terribile stridio dei loro motori riprese immediatamente a farsi udire, mentre i due caccia tornavano indietro veloci e implacabili. E stavolta avevano dietro un intero squadrone di loro compagni.
“Grandissimi stronzi! Ve ne basta uno per farci fuori tutti, cosa volete fare?! Umiliarci?!?” urlò contro di loro.
Conscio che niente avrebbe potuto salvarli ora, si levò in piedi, imitato dall’intero plotone, e iniziò a sparare con la sua mitragliatrice.
“Heil Schmidt!”
Il crepitio dell’armi leggere e il loro grido di sfida fu superato da quello dei motori, ridicolizzandoli ancora.
Helmut poté vedere la doppia fila di cannoni dei caccia nemici illuminarsi, preannunciando la raffica mortale.
Raffica che non giunse.
All’ultimo istante, i Killer, cabrarono seccamente e spararono un’agghiacciante e continuata bordata molto sopra le loro teste.
Veloci scie di vapore intercettarono le gocce azzurrine, scoppi si espansero nell’aria sopra di loro.
Dozzine di missili raggiunsero i Killer, intenti a rompere la formazione alla massima velocità consentita dalle loro limitazioni; due, tre, quattro esplosioni brillarono contro gli scudi di ogni caccia, che non furono risparmiati dalla quinta.
Rapidissimi jet li oltrepassarono prendendo celermente e agilmente quota, alla ricerca di nuovi bersagli.
“M-306! Per quella vacca di tua sorella! M-306!” urlò Michel ad Augustine, che lo guardò in cagnesco, come a voler dire: “Cosa ne sai tu di mia sorella?”
“Spaghettari?” proruppe Helmut, allibito.
Si guardò intorno: decine e decine dei micidiali caccia italiani sfrecciavano nel cielo, divertendosi in un semplice tiro al bersaglio con i lenti bombardieri Korakiani che tentavano disperatamente di fuggire. Alcuni Killer contrattaccarono, ma ognuno di loro fu bersagliato da intere squadriglie finché non precipitò al suolo, in frammenti incendiati.
“Chi l’avrebbe mai detto che proprio loro sarebbero venuti a salvarci?” domandò al nulla Helmut, mentre buttava in sospiro di sollievo nel scorgere le sagome delle navette J-104 che si avvicinavano speditamente.
“Già da quando ce ne sono così tanti di M-306? Come ogni loro arma è micidiale, ma prodotta in numeri ridicoli” disse ad alta voce un altro soldato, sovrastando il rombo dei razzi di manovra delle J-104 in fase di atterraggio.
“Be, il fatto che i Korakiani gli abbiano preso Esperia, Mediolanum e Nuova Costantinopoli non gli deve essere andata proprio a genio. Si diceva che si stessero mobilitando già da un anno” gli rispose Augustine.  
Mentre aspettava che gli altri salissero sulla navetta attraverso il portellone spalancatosi a poppa, Helmut si guardò indietro.
L’M-306 in assoluto l’unico caccia in grado di contrastare il Killer nel suo ambiente naturale, lo spazio; arrivando persino a raggiungere la condizione di superiorità nell’atmosfera.
Il Reich aveva speso qualcosa come quindici miliardi di marchi, comprando dalla Repubblica Coloniale Italiana parti del progetto, in modo da migliorare i propri intercettori impietosamente ridicolizzati dalla controparte Korakiana.
Sorridendo a mezza bocca scese dal portellone, che si stava già chiudendo, e si diresse nella cabina di pilotaggio, scavalcando i feriti che si erano stesi per terra, mentre i medici vi prestavano febbrilmente i primi soccorsi.
Dal tettuccio nella cabina, si scorgeva il cielo declinare già nello spazio,  quando vi giunse.
“Ve la siete passata male, laggiù, eh?” gli disse il pilota.
“Già, ma non da quel che ho capito nemmeno a voi è andata di lusso” replicò.
“Ci puoi giurare,” rispose mentre spingeva i motori al massimo, dirigendosi verso le loro navi.
“Un’avanguardia di dieci incrociatori ci è saltata addosso: ci hanno fatto a pezzi”
“E come li avete respinti?” domandò incuriosito, intanto che constatava i danni subiti dalla flotta: delle quaranta navi, ne rimanevano solo diciotto, tutte con lo scafo butterato e mezzo abbrustolito.
“Noi? Ci hanno presi di sorpresa, ne abbiamo fatte fuori solo quattro. Sono stati gli spaghettari a distruggere le altre sei: hanno sviluppato una nuova lega metallica con cui hanno corazzato le loro navi, si sono ripresi Esperia e Nuova Costantinopoli e si dice che abbiano distrutto quarantacinque tra fregate e incrociatori Korakiani, perdendo solo cento navi” fece entusiasta.
“E perché diavolo non rimangono a difendere Neu Bottrop?” lo interrogò, indicando con il braccio lo schermo direzionato a poppa che inquadrava due navi Korakiane, emerse improvvisamente dall’iperspazio nell’orbita del pianeta.
Il pilota fece spallucce: “Per ora, loro di navi ne hanno solo duecentocinquanta. Hanno perso quasi la metà delle loro forze per questa controffensiva. Non pretendere troppo, cazzo, è già tanto che sono entrati in guerra. Che abbiano vinto le prime battaglie, poi, è un miracolo.”
“Hanno smesso di essere degli incapaci trecentocinquanta anni fa, non dovresti essere troppo sorpreso” sussurrò, con l’attenzione rivolta verso una scena che si ripeteva identica da tredici anni: decine e decine di navi aliene, simili a razze, saettarono rapide nel vuoto, circondando il pianeta; un mastodontico trasporto apparve in un lampo bianco e sganciò degli oggetti sulla superficie.
Altre navi si portarono in posizione, lanciando navette colme di truppe: l’invasione finale era iniziata.
Il Reich aveva perso un altro pianeta. E forse per sempre.
 


Note dell'autore:

MSK: unità militare tedesca, assimilabile al corpo dei Marines statunitensi (è successivo alla seconda guerra mondiale, ma essendo questa storia ambientata nel futuro ho ritenuto che menzionarli non costituisse un errore);
Mutt: bastardino;
Mörder: Assassini.

Ringrazio chiunque si sia cimentato sino a qui: so che forse  non è stato facile. Se ritenete che sia stato troppo volgare, fatemelo presente, ho semplicemente cercato di rendere in modo veritiero il linguaggio diretto tipico dei soldati al fronte. Inoltre vi rammento che questo è solo un prologo, non rappresenta tutta la storia per questo vi chiedo di proseguire se non siete stati soddisfatti, guardando il secondo e terzo capitolo vi accorgerete di come sono le cose più o meno e allora potrete dire "no, non mi piace" "sì, mi piace" con certezza.
  
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