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Autore: Out of this world    26/08/2008    13 recensioni
Raccolta di momenti, fra passato, presente e futuro, di Shinichi & Ran.
[06/20 - (WILD) Boy]
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Title: White Chocolate
Author: Lore (minako;)
Pairing: Ran Mouri/Shinichi Kudo
Fandom: Detective Conan
Rating:
Giallo
Note: come dice il titolo, questa sarà una raccolta di 20 momenti romanticosi (^^) fra Ran e Shinichi. Purtroppo sapete che fatico a postare con frequenza, però questa volta ho già pronti quasi tutti i capitoli, perciò aggiornerò spesso e in fretta! ** Ogni capitolo NON E’ COLLEGATO AL PRECEDENTE, sono tutti spezzettoni di momenti immaginati da me. Detto questo, vi lascio al primo capitolo! I commenti non so graditi, ma graditissimi. Accie’

 

twentylovemoments
s h i n i c h i • r a n

 

 

[01] white chocolate

 

 

Sospirai, infilandomi sotto le coperte. Quella sera, a causa anche della neve copiosa che stava cadendo ormai da qualche ora, faceva fin troppo freddo.

Ma come stupirsi? In fondo, quella era la Vigilia di Natale.

Feci una smorfia: era la Vigilia di Natale e mi ritrovavo sola come un cane.

Anzi no, probabilmente i cani avevano più compagnia di me. Che so, magari qualche osso che gli distrasse dal resto. Io non avevo nessuno, non avevo niente, e soprattutto ero arrabbiata.

Sì, arrabbiata perché quello screanzato di mio marito, che mi aveva ESPRESSAMENTE dichiarato che per quella notte ci sarebbe stato, non era accanto a me, bensì all’aeroporto di Osaka, bloccato perché l’aereo che doveva prendere era stato sospeso a causa di una violenta bufera di neve.

E dire che lei glielo aveva detto di prendere quello prima! Ma no, Hattori di qua, Hattori di la, ed era rimasto ancora per una bevuta a casa sua.

Digrignai i denti, accendendo la televisione e tirandomi su ancora un poco le coperte.

Incredibile… la prima nostra Vigilia di Natale come marito e moglie e lui era in uno stupido aeroporto.

E dire che… e dire che…

Sentii le lacrime salirmi prepotenti, al pensiero della mia sorpresa di Natale sfumata. Dannato, dannato Detective stacanovista!

Per la collera, o chissà per altro, sentii una voglia assurda di cioccolata. Fu così che, scostate con una botta secca le coperte, uscii dalla stanza e feci le scale per arrivare in cucina, dove ben sapevo che c’era una tavoletta intera di cioccolata bianca. Perciò una volta lì, accesi la luce e mi diressi verso la credenza.

Aprì il cassetto e… e…

Sgranai gli occhi.

Dov’era? Dov’era?! DOV’ERA?!

Cercai freneticamente nel cassetto la cioccolata, svuotandolo addirittura da altro cibo.

Ma, scioccata, dovei ammettere a me stessa, se pur soffrendo, che non c’era. E un solo nome mi balenò in testa, facendomi venire voglia di prendere a pugni quella sua faccia da schiaffi.

Shinichi Kudo.

Me l’aveva mangiata lui! E chi altri, se no? Grrrrrr, la cioccolata! E io ne avevo voglia, una voglia matta!

A grandi passi andai verso l’attaccapanni e, infilatomi alla bene e meglio il cappotto pesante sopra la camicia da notte (che mi ero messa SOLO perché pensavo che Shinichi sarebbe tornato… tzè, che idee malsane avevo a volte), aprii la porta e uscii nella tormenta di neve.

Rabbrividendo, corse verso il cancello e, una volta fuori, mi diressi verso la casa accanto, dove le luci erano ancora tutte perfettamente accese.

Correndo ormai gelata, picchiai ferocemente il pugno contro la porta del Dottor Agasa.

Solo dopo pochissimo, sentì i passi frettolosi all’interno avvertirmi che stava per aprire la porta. E così fu, e all’istante mi catapultai all’interno.

«Ran-chan», alzò un sopracciglio Agasa, per poi chiudere in fretta la porta. «Che succede? Stai male?», mi domandò preoccupato. Scossi violentemente la testa.

«No, no, sto bene. Senta, non è che ha della cioccolata bianca?».

Agasa mi guardò come se fossi pazza. In risposta, arrossii.

 

***


 

Ed eccomi lì, sdraiata sul letto circondata da caramelle e dolciumi vari, a crogiolarmi nella mia disperazione neanche fossi Bridget Jones. Alla tv, stavano trasmettendo un vecchio film di Natale con tutti quei odiosi marmocchi che aprono i regali e ricevono ciò che avevano desiderato tutto l’anno, e puntualmente mi balenava in testa la domanda: “e perché diavolo io non ho ricevuto quello che volevo mentre quei vagabondi sì?!”. La risposta arrivava subito dopo: “perché loro non hanno sposato Shinichi Kudo, e tu si, tiè!”.

E, no, Agasa non aveva cioccolata bianca. In compenso, mi aveva sommersa di caramelle e cioccolatini extra calorici ed extra buoni. Ma la voglia di quella tavoletta bianca persisteva, eccome. Ma cercai di non farci caso. E guai se, tornato a casa, Shinichi mi avesse detto che in quei tre giorni nella quale si era assentato era ingrassato. Lì sarei andata dritta dritta da mia madre per chiedere il divorzio, dopo solo cinque mesi di matrimonio.

Sgranocchiai lentamente una nocciolina ricoperta di caramello, pensando, però, a come doveva sentirsi in quel momento Shinichi, da solo in uno squallido aeroporto. Stavo già per intenerirmi, quando presi a mangiare con più foga le noccioline. Al diavolo, era colpa sua!

E, quando fui sul punto di afferrare una brioche alla marmellata, sentii un dolore alla pancia. Feci una smorfia: forse avevo esagerato. Pigramente mi tirai su a sedere, facendo da parte con la gamba il resto del dolci. E irrimediabilmente mi diedi della stupida, quando ripensai nuovamente alla camicia da notte che indossavo. Era corta, fin troppo, visto che mi arrivava neanche a metà coscia; il colore era rosa pallido, di tessuto morbido.

Arrossii, affondando il viso nel cuscino come per cercare di cancellare i pensieri che mi ero programmata per quella serata. Pensieri decisamente arditi.

Deglutii, appoggiandomi meglio al cuscino. In fondo, anche se ero arrabbiata con lui per non avermi dato ascolto, mi mancava.

E il fatto che accanto a me non ci fosse nessuno, in quel letto matrimoniale, mi rattristò ancora di più. Doveva essere una serata magica, e invece mi addormentai senza neanche coprirmi, e senza le braccia di mio marito a cullarmi come di solito facevano, ritrovandomi la maglia del suo pigiama (adagiata in precedenza sotto il suo cuscino accanto a me) stretta contro il mio viso, per sentirne il profumo…

 

 

Qualcuno stava muovendo il materasso. Infastidita, mi girai dall’altra parte, stringendo più forte gli occhi. Ma alcuni rumori, piano piano mi svegliarono sempre di più. E fu quando aprii gli occhi che notai il volto stravolto del mio Shinichi, mentre si passava un asciugamano sulla testa.

«Shinichi?», bofonchiai confusa, attirando la sua attenzione. Infatti si voltò immediatamente con un’espressione colpevole in volto.

«Ti ho svegliata? Scusa, ho cercato di fare il più piano possibile. Ma c’erano troppi dolci da levare».

Sentii il volto andarmi a fuoco e, alzandomi su un gomito, notai infatti che intorno a me non c’era più alcun dolciume o carte vuote. Sospirai piano, per poi lanciare un’occhiata alla sveglia posta sul comodino vicino a me: segnava le undici a mezza.

«Come fai ad essere qui?», domandai sbadigliando. Lui indicò fuori dalla finestra.

«La bufera è passata da un bel po’, Ran. Hanno fatto partire l’aereo».

Guardai dove indicava, e notai anche io che in quel mentre stavano cadendo solo alcuni batuffoli di neve.

«Ti sei data alla pazza gioia?», mi domandò poi, spettinandosi i capelli bagnati, probabilmente a causa della neve. Abbassai il volto. Lui corrugò la fronte.

«Che c’è?», chiese confuso dal mio comportamento distaccato. Io riposi la maglia del suo pigiama dalla sua parte di letto, per poi tirarmi su fin al mento le coperte.

«Niente. Buona notte».

«Ehi, ehi», replicò Shinichi contrariato, tirandomi giù il lenzuolo da sopra la testa. «Che succede?».

Lo fissai negli occhi, per poi deglutire.

«Mi hai mangiato la cioccolata, vero?», mormorai piano, tanto che lui dovette avvicinarsi per sentire il resto della frase.

«Cioccolata?», ripeté frastornato. Annuii come una bambina piccola.

«Quella bianca. Stasera ne avevo voglia, e non c’era».

Si sedette sul bordo del letto, guardandomi preoccupato.

«Sì, l’ho mangiata io. Ma vuoi farmi credere che sei così per la cioccolata?», domandò.

«In realtà», sospirai, sedendomi sul letto, «devo ancora sbollire la rabbia per il fatto che tu non potevi venire da me stasera».

«Ma ora ci sono», rispose dolcemente Shinichi, sorridendo. «Visto? E non è neanche mezzanotte, possiamo ancora scartare i regali, no?».

Mi accigliai.

«Nah», replicò con un’alzata di spalle. Sorrisi piano: ma a chi voleva darla a bere? Aveva delle occhiaie talmente scure che si sarebbero viste a chissà quanta distanza.

«Non è necessario», gli accarezzai il braccio. «Sei stanco, va a farti una doccia e poi andiamo a dormire».

Ma se Shinichi Kudo prendeva una decisione, nessuno poteva fargli cambiare idea. Però, senza che gli dissi altro, si alzò si avvicinò alla borsa da viaggio posata di fronte all’armadio.

«Mentre ero ad Osaka», iniziò, prendendo in mano una busta blu scura, «li ho visti e ho pensato che ti sarebbero piaciuti».

Avanzò poi verso di me, porgendomi il sacchettino con un sorriso. Lo presi delicatamente.

«G-razie», gli dissi, aprendolo. All’interno, e il mio cuore ebbe un tuffo, c’erano due calzini piccolissimi. Li presi con mani tremanti, e guardai colta dal panico Shinichi.

«Credi davvero, amore, che non abbia visto quel test di gravidanza, la settimana scorsa, nell’immondizia?».

Sentii un calore avvolgermi, mentre stringevo nelle mie mani quei calzini così piccoli, color arancioni. Mi sentii all’improvviso in colpa.

«S-shinichi, i-».

Mi guardò teneramente, accarezzandomi la testa.

«Che c’è? Perché piangi? Non è meraviglioso?».

«Io volevo fartelo sapere in un momento migliore! E invece tu lo hai visto nella spazzatura», mi morsi un labbro. Ma come avevo fatto ad essere così stupida?!

«Ma a chi importa? Aspetti un bambino, Ran! E spero che sia mio, vero?», mi guardò sospettoso. E, in qualche modo, mi fece sorridere.

«Ah, non so», stetti al gioco, rigirandomi quelle calzine da neonato così carine fra le mani. «Dobbiamo fare il test del dna, potrebbe essere anche di uno di quegli altri quatt- EHI!».

Scoppiai a ridere, non appena lui mi diede uno spintone e mi fece cadere sdraiata sul letto.

«E’ così che si tratta la propria moglie che aspetta un bambino?», risi più forte, mentre appoggiava una mano alla mia destra e una alla mia sinistra per tenersi sospeso su di me.

«E’ così che si veste una moglie che aspetta un bambino?», rigirò la domanda, guardandomi con una scintilla di eccitazione nello sguardo. Avvampai.

«Perché è davvero un colpo basso», mormorò al mio orecchio, accarezzandomi il volto con i suoi capelli scuri.

Chiusi gli occhi, abbracciandolo. E quel calore mi avvolse in maniera così profonda, che con un sospiro appoggiai il volto al suo viso.

«Ti amo», mi accarezzò la spalla sinistra, per poi scendere lungo il braccio.

«Ti amo anch’io», risposi sottovoce, mentre la sua mano che continuava ad accarezzarmi mi dava brividi lungo la schiena dorsale.

Sporgendosi, poi, con la mano destra spense la lampada sul comodino, facendo cadere la stanza nel buio.

«Ti da fastidio se questa bella camicia da notte la faccio volare?».

Risi istericamente, mentre me la sfilava lentamente.

«Oi, Ran?», disse poi all’improvviso, meravigliato. «Sei ingrassata?».

Sentii i muscoli guizzarmi e, con uno sguardo fulminante, feci per tirargli uno schiaffo. Ma lui, ridendo fragorosamente, mi intercettò e mi prese la mano, fermandola.

«Baka», bisbigliò sulle mie labbra, prima di baciarmi. «Credi a tutto», aggiunse fra un bacio e l’altro, mentre mi riaddolcivo sotto le sue carezze che mi percorrevano il corpo. Tutto sommato, per quella volta, avrei fatto a meno di un modulo per il divorzio.

  
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