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Autore: john_penniman    06/07/2014    1 recensioni
"Non sempre i sentimenti sono quello che sembrano" concluse Grace "Certe volte pensi di amare quando vuoi bene, altre volte sei convinto di voler bene solo perché non hai capito di amare."
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Passò per il corridoio. Libri e registro in mano, diretto alla sua classe.

Uscì dall'aula indisturbato, sempre con i volumi in braccio quasi fossero dei bambini da custodire con cura.

Andò in aula professori per sistemarli sull'enorme tavolo che dominava la stanza e ne uscì.

Si recò in cortile a prendere un caffè. Lo estrasse dalla macchinetta e si mise a girarlo col bastoncino di plastica che era all'interno del bicchierino. Soffiò leggermente sulla bevanda fumante e si diresse verso il cancello del cortile. Si sedette sul muretto con le gambe leggermente piegate davanti a lui. Si mise ad osservare gli alberi, il giardino, gli studenti e nel mentre sorseggiava il caffè.

Suonò la campanella che annunciava la fine della ricreazione.

Si sollevò un po' svogliatamente dal suo comodo angolino, buttò nella spazzatura il bicchierino ormai vuoto e iniziò a sbracciarsi dicendo ad alta voce: “Su andiamo! In classe. Forza che la mattinata non è ancora finita.” Alle imprecazioni che puntualmente seguivano quell'incitamento sorrideva divertito.

Assicuratosi che tutti fossero entrati, chiuse la porta che conduceva al cortile, si diresse nell'aula professori per recuperare i libri e i registri. Così ricominciava a girare di classe in classe a seconda delle ore della mattinata.

Terminate le lezioni scese dalla scalinata principale, salutò il personale di servizio e si diresse alla sua macchina, una Audi grigia.

Non era ancora partito quando cominciarono a uscire dall'istituto i primi studenti: era seduto al posto di guida, osservava il vuoto riflettendo e picchiettando sul volante col dito anulare. Il giorno seguente, mercoledì, sarebbe stato il suo giorno libero. Chiunque l'avesse incontrato quel giorno avrebbe scommesso che stava pianificando qualcosa.

Appena si decise a partire sollevò il volto e notò una studentessa che girò lo sguardo non appena i loro occhi si incrociarono. Sorrise, inserì la marcia e partì.

La ragazza rimase immobile a guardarlo sfrecciare verso la sua meta. Venne spintonata, più o meno accidentalmente, da dei ragazzi. Decise quindi di dirigersi verso la fermata dell'autobus.

Scesa di fronte a casa sua, avrebbe scommesso di aver visto passare quella Audi grigia davanti a lei.

Salì in casa e cominciò a prepararsi il pranzo. Intanto studiava. Non faceva altro che studiare tutto il pomeriggio; dalle due, ora del ritorno a casa, alle otto, ora del rientro dei genitori. Non proseguiva mai oltre quell'ora poiché i suoi premevano con molta insistenza affinché chiudesse quei libri una buona volta.

Aveva un fratello che non faceva altro che disturbarla e sconcentrarla. Non si sarebbe nemmeno potuto dire che fosse perché voleva attenzioni dalla sorella: era un ventenne fidanzato, quasi sempre fuori casa a divertirsi con gli amici o con la ragazza; non faceva disperare i genitori solamente perché quando erano presenti loro era assente lui e viceversa. Invece, trovava un piacere particolare nell'infastidire la sorella. Le rinfacciava il fatto di non avere una vita, di pensare solo allo studio. Di essere una sfigata, insomma. Lei sopportava pazientemente e mai si ribellava. Semplicemente, al quarto anno di liceo, aveva capito che l'unica soluzione possibile era quella di chiudersi a chiave in camera sua.

Il suo nome era Grace, viveva chiusa nella camera che aveva quasi trasformato in un rifugio riempiendola di tutto ciò che le sarebbe potuto servire fra qui libri, libri, altri libri, cibo e bevande. In un angolino della sua stanza, probabilmente, era in agguato anche il suo cellulare, uno di quei vecchi Nokia che quando cadono spaccanno il pavimento, la cui vibrazione la faceva sobbalzare. Non solo perché particolarmente potente rispetto ai nuovi telefoni che sembrano impegnarsi per essere sempre più silenziosi, ma anche perché riceveva così pochi messaggi e chiamate che non era abituata a sentirlo squillare.

Non fraintendiamoci: aveva alcuni amici, ma nemmeno loro uscivano spesso. A dir la verità ne aveva due: Medison e Roger. Anche loro erano molto concentrati nello studio, ma mai quanto Grace. Per lei la scuola era l'unico modo in cui avrebbe potuto dimostrare, a se stessa e agli altri, che era capace di raggiungere risultati. Voleva rendere qualcuno fiero di lei. Purtroppo i suoi genitori erano troppo poco interessati a lei per poter notare i suoi ottimi risultati, i suoi compagni non si interessavano a lei ma anzi ogni ottimo voto era un motivo in più per rincarare la dose contro di lei, e per quanto i suoi amici potessero complimentarsi con lei non ne traeva grosse soddisfazioni. I professori davano per scontato il fatto che i suoi risultati fossero ottimi: non erano fieri di lei, bensì la consideravano monotona, e quando prendeva voti leggermente inferiori gliela facevano pesare quasi fosse una delusione. Non era mai riuscita, nei primi tre anni, a sentirsi realmente fiera di sé, poiché mai apprezzata. Ma quel quarto anno cambiò: la professoressa di filosofia andò in pensione e per quanto inizialmente Grace ne fosse dispiaciuta poiché ottima docente, apprezzò decisamente di più il nuovo arrivato.
Era un professore giovane, sulla trentina, capelli corti neri, barba curata, alto, vestiva sempre di polo e jeans, eccetto che per andare a teatro quando, invece, indossava uno smoking. Si interessava molto degli alunni, li incoraggiava sempre, non li sottovalutava e cercava di non sopravvalutarli. Portava pazienza con chi non studiava e non si applicava, metteva una buona parola per chi si impegnava ma non raggiungeva voti spettacolari, si complimentava e si diceva fiero di Grace, l'unica della classe a raggiungere sempre risultati eccellenti. A volte le assegnava anche delle ricerche che avrebbe potuto esporre alla classe, non perché alzassero i suoi voti, ma perché accrescevano la sua conoscenza. Inutile sottolineare l'affezione che la ragazza provava per l'uomo. Un'affezione, però, spinta troppo al limite, al parere di Grace: lo seguiva e spiava, stava attenta ai suoi gesti e alle sue parole, cercava di trarre su di lui più informazioni possibili, ma non solo, lo pensava spesso e si era resa conto che lui era uno dei pochi pensieri che le portavano il sorriso. Non ne aveva parlato né con Medison né con Roger: si sentiva troppo strana e sbagliata. Ma benchè volesse cambiare, non ci riusciva.





NOTA DELL'AUTRICE:
Ciao a tutti quelli che hanno appena letto questo primo capitolo. Nella mia idea generale questa storia dovrà andare avanti ancora un po', non so esattamente quanto, non so esattamente dove voler arrivare, ma la userò un po' come una specie di esame di coscienza. Non che mi sia mai messa a spiare dei professori, intendiamoci, ma cercherò di rispecchiare quanto più possibile di me nei personaggi.
Se siete arrivati a leggere fin qui vorrei chiedervi un favore: recensite o mandatemi un messaggio esprimendo la vostra sincera opinione, critiche e consigli saranno bene accetti.
Vi ringrazio se lo farete.
-A

 

   
 
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