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Autore: SweetMelany    06/07/2014    1 recensioni
Le strade erano deserte e nessuno avrebbe potuto fare la spia al mio mentore. Eccezion fatta per un giovane. Anche lui mattiniero, si stava dirigendo nella direzione opposta alla mia. Non dovevo agitarmi per così poco. In fondo, proprio come lui, stavo passeggiando e non poteva sapere, e soprattutto dimostrare, quello che ero andata a fare, a quell'ora del mattino. Aveva viso e corpo coperti da un mantello blu oceano. Si notava perfettamente che non era un abitante della cittadella dal materiale di cui era composta la sua cappa: seta. Una stoffa che un semplice abitante non si sarebbe procurato facilmente, o almeno non senza essersi giocato un occhio della testa, quindi doveva far parte della corte. Aveva le spalle larghe, di certo era stato addestrato come tutti gli appartenenti alla sua classe sociale. Mentre camminava teneva il capo chino: un comportamento anomalo, tenendo in considerazione la sua probabile discendenza. Quando gli passai vicino sentii chiaramente un forte profumo di cenere e di muschio fresco.
Un odore del genere poteva provenire solamente da…
Appena quel pensiero mi sfiorò la mente, il giovane si voltò a guardarmi, trafiggendomi con i suoi bellissimi occhi turchesi.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Galvano | Coppie: Gwen/Artù
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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 Prologo
Addio

 
 
 
 
 

Correre.
Era questo l’importante, l’unica cosa che contasse al mondo, il soggetto dominante che invadeva i suoi pensieri.
Poi, un altro ne prese il sopravvento non appena udì lo scalpiccio della ghiaia alla sue spalle.
Le guardie, constatò mentre i battiti del suo cuore prendevano velocità insieme ai suoi passi, spinti dalla fretta e altrettanto dalla paura.
La stavano raggiungendo, e questa consapevolezza veniva dalle grida che questi lanciavano.
Erano tutte affermazioni del tipo: È andata da questa parte! O: Sbrigatevi!
Non poteva mollare.
Non adesso, dopo tutto quello che lei e Waylon avevo progettato e sacrificato per questo giorno, per il bene della missione.
Non ora che aveva qualcosa di prezioso da custodire, addirittura più della sua stessa vita.
Il fagotto che teneva tra le braccia era in una posizione alquanto precaria, ma anche piuttosto generosa, considerato che stava facendo una corsa molto vicina a farle venire un infarto. Era coperto da un lenzuolo di lana grezza – l’unico oggetto che era riuscita a procurarsi prima di essere scoperta.
Per fortuna, nessuno era a conoscenza della sua esistenza. E così doveva rimanere.
Purtroppo, la speranza di fuggire da Camelot era ormai un vano miraggio. L’idea di ricongiungersi a Waylon era così allettante che le vennero le lacrime agli occhi quando si rese conto che non sarebbe stato possibile, che non l’avrebbe rivisto mai più. Questo perché il ponte levatoio che conduceva al bosco di Dwair, l’unica via di fuga dalla cittadella, era alzato. E a vegliarlo vi erano due cavalieri ben addestrati e che non avevano nessun timore o esitazione nel sfoderare la spada.
Fortunatamente i Druidi avevano previsto quest’eventualità.
Possedevano un amico all’interno delle mura, ed era lo stesso che li aveva aiutati a tenere segreto il loro tesoro.
Gli uomini armati non l’avevano ancora raggiunta, ma nonostante questo lei non diminuì l’andatura, anche se era intralciata in parte dalla lunga gonna che di solito indossava nella sua copertura di cameriera o serva, in parte dall’involucro che teneva appresso al suo petto.
Dopo aver percorso una serie di vicoli bui finalmente giunse alla dimora dove, al suo interno, l’attendeva Gwaine, uno dei pochi sopravvissuti che erano appartenuti all’ordine dei Cavalieri della Tavolo Rotonda. Erano passati quasi cinquant’anni da quando era stata fondata, eppure l’uomo rifugiato in quella casa non aveva mai dimenticato i doveri e gli obblighi di un Cavaliere di quel titolo. Re Arthur sarebbe stato fiero di lui…
Ma con la caduta del regno di Arthur la confraternita era stata distrutta e, per quanto Gwaine volesse aiutare ancora il popolo di Camelot, era vitale che lui non rivelasse la sua vera identità.
La donna era allo stremo quando bussò alla porta, disperata.
Erano in pochi a essere a conoscenza dell’identità del Cavaliere e Letha era felice e orgogliosa di essere fra quelli. Si era guadagnata la sua fiducia, il che non era stata cosa da poco, era diventata sua amica e consigliera e col tempo, l’affetto per Gwaine si era acuito, rendendolo simile a quello che si prova per un familiare.
Insieme avevano programmato un piano alternativo, nel caso la fuga non fosse riuscita. Cosa che infine si era verificata.
Come prestabilito, mise il pacco che teneva ancorato al petto sopra la paglia, di fianco alla parete della casa. Essa era contenuta in una botte, abbastanza larga da custodire la creatura senza farle mancare l’aria.
La donna sperò con tutta se stessa che non si ridestasse dal suo sonno privo di incubi, di modo da non attirare l’attenzione delle guardie nel caso fossero passate da quelle parti.
- Addio. -
Al suono di quella parola, Letha non riuscì a trattenere una lacrima di tristezza. Certo, era anche sollevata ma non era niente in confronto all’amarezza e al rammarico che stava provando e che le squarciava il petto in una morsa insidiosa. Si sentì dilaniata dai sensi di colpa quando si diresse alla porta e bussò cinque volte.
Ma, dopotutto, questo era il suo destino e non spettava a lei cambiarlo o intralciarlo. La Congrega aveva predetto ormai da tempo immemore cosa l’attendeva e lei non era autorizzata a interferire in alcun modo, anche se non sempre veniva considerata così saggia da dare ascolto agli ordini che le venivano imposti.
Si prese un ultimo istante per salutare la creature e infine, quando seppe che era giunto il momento di andarsene e di lasciarla vivere senza di lei, se ne andò.
 
 
Gwaine si ridestò di soprassalto dallo stato di trance, in cui era entrato nell’attesa di ricevere notizie, non appena sentì i colpi alla porta.
Non era riuscito a chiudere occhio e non aveva nemmeno voluto provarci.
Era troppo preoccupato per la sorte di Letha, che persino sdraiarsi richiedeva un certo sforzo. Sperò che le fosse stato almeno d’aiuto in un qualche modo. Dopotutto, era stato quello il suo compito tanto tempo fa: aiutare la gente.
Ripensare a quei tempi, cosi lontani e felici, lo facevano sembrare un ricordo ancora più remoto di quanto già non fosse. Quasi una leggenda, come quelle narrate nel bosco o sussurrate in una taverna.
Arrivato al quinto busso, si diresse svelto verso l’ingresso. Quando spalancò la porta, sperando di vedere la donna, e non trovandola la preoccupazione lo attanagliò, impedendogli quasi di respirare.
Conoscendola, era andata senz’altro a consegnarsi ai soldati e, con suo profondo rammarico, lui non poteva agire in alcun modo in proposito. I consiglieri del Re sospettavano già abbastanza di lui. Letha aveva addirittura proposto di farsi consegnare al sovrano direttamente da Gwaine, nella speranza di riguadagnare qualche punto.
Ma lui aveva rifiutato categoricamente, senza voler sentire obbiezioni da parte sua. Non avrebbe potuto sopportare tutto questo, anche se avrebbe voluto dire ricevere dei favori da parte della corte. Già era stato difficile sapere che c’era l’eventualità che Letha venisse catturata, figuriamoci se lui fosse stato anche un complice!
Non aveva mai conosciuto una persona più gentile di quella donna e non poteva credere che fosse accusata per faccende che non la riguardavano e che non avevano niente a che fare con lei. Non importava cosa dicesse il popolo e soprattutto il Re: Gwaine sapeva la verità.
Quando, dopo aver aspettato sulla soglia di casa per quelli che gli sembrarono decenni, sentì i rintocchi della campana che indicavano la cattura della prigioniera, il Cavaliere si diresse ai lati della propria dimora, ormai arresosi all’inevitabile.
Tolse il coperchio dal cesto contenente la paglia e prese il fagottino che vi era nascosto dentro tra le sue mani. Era una cosa così fragile che Gwaine aveva la sensazione che se solo avesse aumentato la presa, questo si sarebbe sbriciolato.
Quando lo portò in casa, notò con sorpresa che si era svegliato.
Come se si fosse resa conto di trovarsi con un amico, o almeno un alleato, la cosa proruppe in una serie di suoni di giubilo.
Aveva dimenticato quanto fossero belle le risate dei bambini.
La piccolina lo guardo con i suoi profondi occhi castani ramati, gli stessi di Letha, e pensò a quanto fosse stato fortunato ad aver incontrato una persona tanto speciale.
 

 

 

   
 
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