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Autore: monsieur Bordeaux    07/07/2014    0 recensioni
Anno 2030. Il mondo è scosso dallo scontro di due fazioni che lottano per il predominio globale. Da una parte l'Esercito Regolare, formato da soldati di diversa nazionalità e ben organizzato, che cerca la supremazia sulla Ribellione, divisa in piccole cellule di lotta sparse un po' ovunque. La guerra tra le due fazioni prosegue da molti anni, ma nessuna delle due riesce a spuntarla e per questo motivo viene allestita una squadra d'elite, detta "Falchi Pellegrini", il cui compito sarà quello di risolvere una volta per tutte le sorti del conflitto.
Come avrete intuito dal titolo, è una mia personale rivisitazione di questa saga.
Genere: Avventura, Comico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 14 - Final mission - La grande fuga


Mentre i Falchi Pellegrini erano impegnati nel cuore dell'astronave madre, i Ribelli rimasti cercarono di respingere il contrattacco alieno con tutto quello che avevano a disposizione, cercando di mantenere la posizione conquistata. Nel frattempo Dutch rimase di guardia al tunnel come promesso, rimanendo però sorpreso dall'abilità dei suoi momentanei alleati: nonostante fossero vestiti in maniera bizzarra, Il Palazzo stava dimostrando di avere una buona mira con la pistola, mentre la ragazza dai capelli arancioni aveva un calcio volante davvero niente male, che aveva denominato "Excel Kick". Almeno si rese utili, a differenza di Rock, che per tutto il tempo era rimasto nascosto dietro al massiccio mercenario di colore.
All'improvviso, proprio quando Marco faceva capolino dal tunnel, una forte scossa agitò l'astronave per qualche secondo, simile a quella di potente terremoto.
«Ehi!» fece Dutch, tenendosi con una mano al muro. «Ma che cazzo avete combinato là dentro?»
«Diciamo che il computer centrale adesso è fuori uso...» spiegò Marco, seguito poco dopo dalle altre due mercenarie. «E non credo che sia riparabile!»
«Non c'è il rischio che precipiti tutto, vero?»
«Speriamo di no! Non so neanche se c'è una cabina di pilotaggio su questo affare!»
«Ci sono novità da queste parti?» domandò Eri, cercando di mettersi in disparte dallo scontro in corso tra Ribelli e alieni. A rispondergli fu Il Palazzo, che nel frattempo trascinò con sé Excel, che era troppo esposta al fuoco nemico.
«E tu smettila di saltare in giro come una cavalletta! Non posso perdere un altro membro dell'Across in questo momento, però in altre circostante ti avrei lasciare correre tranquillamente...»
«Ehi, tendone da circo!»
«Cambiando discorso, ho notato che da un po' di tempo gli alieni stanno rafforzando le difese su quella specie di porta sigillata. Forse c'è qualcosa di importante là dietro.»
«Interessante!» esclamò la bionda «Qui ci servirebbe un'altra azione di forza!»
«Se le cose stanno così, allora prepariamoci!» ordinò il capitano, che iniziò subito a frugare nel suo zaino.

Con il lancio simultaneo di tre granate, ben presto i Falchi Pellegrini si fecero largo tra i nemici che li sbarravano la strada, riuscendo anche a sfondare la porta che stavano proteggendo. La via era libera, ma Marco preferì proseguire con estrema prudenza, voleva evitare di finire in qualche trappola aliena.
La stanza in fondo al corridoio era buia e di forma allungata, l'unica luce presente era bluastra e si estendeva su una parte del muro laterale, come se qualcuno avesse acceso il monitor di un computer. Una volta verificato che non c'erano pericoli, Marco si avvicinò lentamente alla porta strisciando lungo la parete e poi entrò nella stanza di scatto, segnalando poi al resto del gruppo che potevano seguirlo. Nel frattempo gli alleati dei Falchi Pellegrini rimasero fuori dalla stanza, perché nonostante la scossa di prima avesse spaventato la maggior parte degli alieni medusa, alcuni di loro erano rimasti, nel disperato tentativo di dare tempo ai loro simili di riorganizzarsi.
Procedendo nella stanza buia con passo leggero e leggermente chinato in avanti, ad un certo punto Marco sentì delle grida, a suo udire umane. Erano intervallate da continue scariche elettriche e dopo un po' intravide qualcuno attaccato ad una specie di pannello verticale, che stava cercando di liberarsi da quella che sembrava un tavolo delle torture. Indossava solamente un paio di boxer ed era saldamente legato ai polsi e alle caviglia, ma la cosa che sorprese di più Marco fu l'identità di quell'uomo: era il generale Morden. Era quasi indeciso se liberarlo o no, ma di colpo lui e il resto del team fu assalito da un paio di alieni meduse, che li costrinsero ad una breve ritirata. A differenza di quelli incontrati in precedenza, questi erano bianchi e sembravano avere delle armi più potenti, che sparavano delle particelle ad altissima velocità. Marco e i suoi erano completamente disorientati da questo improvviso assalto, ma per loro fortuna in loro sostegno intervenne il plotone di Keroro, che si oppose ai nuovi nemici. Il primo ad intervenire fu Dororo, quello color azzurro, che respinse i colpi degli alieni medusa con una katana proporzionata alla sua altezza, poi fu il momento di Giroro, che tramite la sua arma a ripetizione, bloccò gli avversari sul posto, agevolando così l'intervento di Tamama che, con una sfera d'energia lanciata dalla bocca, centrò in pieno l'alieno albino più vicino a lui. Quello rimasto provò a mettersi in salvo, data la netta inferiorità numerica, ma fu colpito in pieno da Fio, che gli sparò esattamente in mezzo agli occhi.
Dopo aver fatto i complimenti alla sua sottoposta per la mira, Marco strappò alcuni fili attaccati al pannello e posizionò Morden sul pavimento, visibilmente in affanno. Il capitano quasi non riusciva a crederci di aver finalmente ritrovato il suo acerrimo nemico, dopo tanti mesi al suo inseguimento, ma quel momento di gioia durò poco, aveva fretta di salvare gli ostaggi rapiti in precedenza e chiese al generale delle informazioni. E in quella situazione quel vecchio volpone di Morden, sospettando che c'erano altre persone rapiti a bordo, incominciò a trattare con Marco, proponendogli una sorta di scambio.
«Sarei ben felice di indicarti il luogo in cui ricordo di aver visto gli ostaggi, ma voglio qualcosa in cambio... una scappatoia da questa astronave!»
«Che cosa?!?»
«In altre parole, capitano Marco, la possibilità di andarmene indisturbato da qui. Mi sembra una proposta più che ragionevole e poi si ricordi che non ha molto tempo a disposizione!»
L'idea di vedersi sfuggire nuovamente Morden da sotto il naso lo mandò in bestia, ma non poteva nemmeno rischiare di cercare Tarma alla cieca e quindi per questo motivo il capitano dei Falchi Pellegrini accettò il patto del generale, che velocemente indicò la direzione da seguire e poi, nonostante la camminata piuttosto incerta, si allontanò dal gruppo, sparendo oltre la porta.

Il luogo indicato da Morden aveva un aspetto irreale, sembrava quasi un enorme organo interno: tutte le pareti avevano una consistenza quasi molle, simile alla carne anche per il suo colore rossastro, e ogni tanto spuntavano dei grossi orifizi, la cui origine era sconosciuta. Camminarci all'interno era tutt'altro che piacevole, ma stranamente al momento il posto era sgombro, sembrava completamente abbandonato a se stesso. Ma ad un certo punto una serie di strani rumori uscirono dagli orifizi e questo fatto mise in allarme tutti i presenti, che si bloccarono di colpo ai piedi di una depressione.
«Che sta succedendo?» domandò Eri, guardandosi attorno alla ricerca di un possibile nemico. «Mi sembra di essere finita in uno stomaco enorme!»
Kururu, alieno rana color giallo, ridacchiò a denti stretti. «Ih ih ih ih! Lo hanno fatto sul serio...»
«Cos'hanno fatto, sergente maggiore?» chiese Keroro.
«I nostri ex alleati, ormai possiamo definirli così, avevano un progetto molto interessante da provare sugli ostaggi. Sono sorpreso che siano riusciti a farlo, in così poco tempo!»
«Ma di cosa stai parlando?»
«Cloni, sergente.»
All'improvviso gli orifizi iniziarono a vibrare e da essi uscirono a getto continuo un numero imprecisato di persone, che in breve tempo circondarono l'intera zona. La maggior parte dei cloni si concentrarono aldilà della depressione, in un punto leggermente più alto rispetto a quello del gruppo, e davanti a tutti si presentarono almeno una ventina di copie di Revy, che rispetto all'originale avevano la pelle verdognola. Tutte quanti i cloni della mercenaria avevano un sorriso diabolico e questo non era per niente un buon segno...
«AHHH! MORIREMO TUTTI!!!» gridò Rock, cadendo a terra e indietreggiando.
«No! E' la fine!» urlò a sua volta Keroro, che si riparò in fretta e furia dietro i suoi commilitoni.
«Ci sono pure i cloni di Tarma e di quell'altra ragazza!» commentò Marco, notando che il gruppo di cloni si stava avvicinando sempre di più.
«Oh, povera Hyatt...» mormorò Excel, triste per come avevano trattato la sua compagna. «Già di solito non hai una bella cera, ora se pure verde!»
«Ragazzi, sparate a raffica o siamo finiti!!!» ordinò Eri, che fu la prima del gruppo ad attaccare.
Nel giro di pochi secondi il gruppo si rese conto che, nonostante il gran numero di nemici, i cloni agivano senza una tattica ben precisa e ben presto uno dopo l'altro furono abbattuti, con molta facilità. L'unico inconveniente durante lo scontro fu l'attacco dei cloni di Hyatt, che sparavano un getto di sangue verde di grande potenza, ma alla fine anche quest'ultimi furono eliminati a colpi di proiettili.
«Non ci credo che ne siamo usciti vivi!» affermò Rock, ancora sudato per lo spavento.
«Per nostra fortuna, i cloni di Revy non valevano neanche l'unghia dell'originale! Ci è andata di lusso, sennò eravamo nella merda!»
«Si vede che il progetto era ancora in fase sperimentale...» ipotizzò Kururu, che immediatamente fu preso e sollevato per il collo da Eri, che era piuttosto infuriata.
«Potevi anche dircelo prima che qui c'erano dei cloni!»
«Ferma!» gridò l'alieno giallo, quasi soffocando. «Non è ancora finita, dobbiamo eliminare il meccanismo che produce i cloni!»
«Che cosa?»
«Se non ci sbrighiamo, saremo di nuovo invasi da cloni. E stavolta potrebbero essere di gran lunga più numerosi di prima!»
Trovare in fretta gli ostaggi, e di conseguenza il meccanismo che produceva i cloni, sembrava un compito assai difficile, ma alla fine si rivelò più semplice del previsto: in una zona remota di quell'ambiente, dopo aver superato la depressione, Fio intravide tra alcuni ammassi uno strano bagliore metallico e d'istinto si avvicinò per osservarlo meglio. Quel luccichio proveniva da una porta blindata, un elemento che risultava sospetto in quel posto, e immediatamente richiamò l'attenzione degli altri. Senza pensarci su due volte, il capitano sfondò la porta con una granata e subito dopo la oltrepassò, seguito dal resto del gruppo.

Il nuovo ambiente in cui i Falchi Pellegrini erano giunti era simile a quello incontrato in precedenza, ma era nettamente più piccolo e stretto, c'era giusto lo spazio sufficiente al gruppo di muoversi, e il pavimento era molto più irregolare, con cunette e avvallamenti che si sviluppavano in ordine sparso. Ma il particolare che saltò subito all'occhio di Marco furono tre grosse bolle che emergevano dalle pareti laterali, trasparenti e con al loro interno i tre ostaggi, che galleggiavano in una specie di liquido neutro. Tarma non sembrava essere ferito, ma il suo collega Marco voleva liberarlo al più presto e iniziò a tirare dei calci contro la bolla, ma senza ottenere nessun risultato: nonostante lo spessore fosse sottile, era costituita da un materiale piuttosto resistente e a malapena si crearono delle crepe superficiali.
Neanche il tempo di pensare ad un'altra soluzione e di colpo, come predetto da Kururu, da alcuni orifizi incominciarono ad uscire decine di cloni verdognoli, con un ritmo nettamente più alto rispetto a prima. Tentare di eliminarli tutti si rivelò impossibile, il numero di copie replicate era di gran lunga superiore a quelle che venivano uccise, e in breve tempo la stanza si riempì di cloni, con il rischio per il gruppo di morire soffocato per la mancanza di spazio a disposizione. Quasi tutti si ritrovarono schiacciati alle pareti, tranne il plotone di Keroro, che usando i loro dischi volanti si portarono in cima alla stanza, e Excel, con quest'ultima praticamente circondata vicino alla bolla contenente Tarma. Ormai la ragazza era con le spalle al muro e pur di liberarsi dalla presa dei cloni che aveva addosso, provò a tirare pugni e calci contro i suoi avversari. Forse disorientata da tutte quelle mani che stavano cercando di soffocarla, Excel si girò e colpì con un calcio volante la bolla che aveva le spalle, cadendo poi pesantemente all'indietro. A quel punto la ragazza, come il resto del gruppo, sembrava non avere più via di scampo, ma accadde qualcosa d'imprevisto: la superficie della bolla, che fino a quel momento aveva resistito, all'improvviso si scheggiò in mille pezzi. In un attimo la struttura crollò su se stessa, come se fosse esplosa, e subito dopo il liquido che era presente nella bolla inondò la stanza, trascinando via qualche clone e bagnando tutti i presenti.
Approfittando di quella confusione, Fio riuscì a farsi largo e vide, con sua grande sorpresa, che quel liquido era nocivo per le copie: una volta che venivano bagnate, quest'ultime si scioglievano come neve al sole e nel giro di pochi secondi sparirono nel nulla, lasciando a malapena una traccia verde sul pavimento. Subito dopo la mercenaria notò Tarma a terra, ai piedi di ciò che restava della bolla, e immediatamente si adoperò per dargli aiuto. Nonostante fosse rimasto immerso in quel liquido per chissà quanto tempo, il mercenario dagli occhiali scuri riusciva a respirare normalmente e in pochi secondi si rialzò.
«Ma... che è successo?» chiese Tarma, strabuzzando gli occhi e accorgendosi solo in quel momento di essere bagnato.
«Meno male che stai bene!» commentò la mercenaria, che in quell'occasione si lasciò andare ad un abbraccio.
Con ormai la situazione sotto controllo, in breve tempo furono liberati gli altri due ostaggi, che velocemente si rialzarono in piedi.
«E' incredibile, Hyatt! Non ti avevo mai visto così in forma!» affermò Excel, avvicinandosi all'amica che rispose: «Infatti mi sento un po' strana...»
«Tutto a posto, Revy?» domandò Dutch, dando una veloce occhiata alla sua collega.
«E' stato surreale. Era come se avessi fumato erba!» rispose la ragazza con tatuaggio sul braccio, che poco dopo rimase sorpresa nel vedere lì anche Rock. Era da escludere che fosse arrivato fin lì per sua volontà. «E tu che ci fai qui?»
«Bhe... diciamo che sono stato rapito anch'io!» rispose il ragazzo.
«Ma allora il tuo è un vizio!»
Tutto sembrava volgere per il meglio, ma all'improvviso una tremenda scossa, più potente di quella generata dai Falchi Pellegrini, fece scuotere pesantemente l'astronave, che iniziò a cadere a pezzi. Quando la situazione tornò abbastanza stabile, arrivò una chiamata urgente del Boss.
«Qui Marco, mi sentite?»
«Qui... Boss... ci sono... interferenze» gracchiò la radio del capitano. Le parole del comandante dei Falchi Pellegrini divenne più chiare solo qualche secondo più tardi. «Dovete abbandonare subito l'astronave! Secondo i calcoli di De Angelis, state cambiando bruscamente traiettoria.»
«Stiamo precipitando?»
«No, al contrario. Vi state allontanando sempre di più, forse finalmente quei bastardi si sono arresi! Ma ora cercate un mezzo per fuggire, non avete molto tempo a disposizione!»
«Magnifico...»

Correndo più che poteva, il gruppo guidato da Marco cercò disperatamente un modo per uscire dall'astronave, arrivando fino ad una specie di stanzone con le pareti metalliche, in cui c'era un enorme sportello rotondo che dava all'esterno. A prima vista sembrava un deposito di mini ufo danneggiati, la maggior parte di essi erano praticamente da buttare, ma la cosa che sorprese i mercenari fu trovare il quel mucchio di rottami un paio di Slug in perfette condizioni. Forse gli alieni avevano prelevato quei due esemplari per studiare la tecnologia nemica, ma in quel momento ai Falchi Pellegrini importava solo aprire il portale e dopo qualche ricerca trovarono finalmente il modo per farlo: in un angolo del deposito c'era un monitor luminoso e Marco, l'esperto d'informatica del gruppo, provò a far funzionare quella specie di computer alieno. Nel frattempo gli altri si prepararono a trovare un mezzo per affrontare l'imminente fuga: il resto dei Falchi Pellegrini salì a bordo degli Slug, che secondo le indicazioni di Manuela avrebbe svolto perfettamente la funzione di capsule di salvataggio; quelli della Lagoon Company invece presero un dei pochi mini ufo ancora integri e lo trascinarono verso l'uscita, sperando che avrebbe retto fino alla fine; per concludere il plotone di Keroro raggruppò i loro dischi volanti il più vicino possibile, per sostenersi a vicenda. Gli unici che non riuscirono a trovare qualcosa di adatto furono quelli dell'Across, che rimasero completamente spiazzati quando Marco avvisò che il portellone stava per aprirsi. Una volta azionato il meccanismo, il capitano fece appena in tempo a salire nel primo Slug, quello guidato da Tarma, perché subito dopo il portale si aprì di colpo, generando un cambiamento di pressione che letteralmente trascinò via non solo il gruppo, ma anche tutto ciò che vi era nel deposito.
Superato l'iniziale momento di caos, in cui persero per un po' orientamento a causa del risucchio di poco fa, i Falchi Pellegrini incominciarono a precipitare a gran velocità, seguiti a poca distanza dal plotone di Keroro. Gli altri componenti del gruppo erano al momento dispersi, ma era prevedibile un fatto del genere e i mercenari rimasti cercarono di non preoccuparsi più di tanto. Nonostante la lunga discesa che gli attendeva, i Falchi Pellegrini si sentivano fiduciosi all'interno degli Slug e cercarono di rimanere calmi, ma all'improvviso qualcosa attirò la loro attenzione: sopra le loro teste prima apparve un'ombra, che coprì il sole, e poi un oggetto di grosse dimensioni, che in brevissimo tempo li raggiunsero. Il gruppo temette che fosse un pezzo dell'astronave che si era staccato, ma in realtà la situazione era ben peggiore. Quella massa voluminosa era ciò che rimaneva della mente che governava l'astronave madre, che prima superò il plotone di Keroro e poi agganciò al volo i due Slug, con un paio filamenti lunghi e secchi. Tarma e Fio, che erano alla guida dei carri armati, tentarono di sfuggire sparando alcune cannonate contro l'enorme alieno, ma senza alcun risultato. Temendo di rimanere bloccati, Marco ed Eri uscirono dagli Slug e cercarono di affrontare l'extraterrestre almeno per liberarsi da quella morsa, aiutati anche dal plotone di Keroro, ma fu tutto inutile. Sembrava proprio che la mente aliena, in un gesto disperato, volesse trascinare con sé coloro che aveva distrutto l'astronave.
La situazione peggiorò ulteriormente quando l'enorme alieno, sfruttando le ultime energie mentali rimaste, sparò una specie di onda circolare che si allargò in tutte le direzioni e danneggiò seriamente tutti i mezzi presenti, mancando per un pelo i due mercenari che si trovavano in cima agli Slug. Pure le granate lanciate in seguito da Eri contro la mente aliena si rivelarono inutili, ma ad un certo punto Marco sentì uno strano rumore nell'aria, proveniente dal basso.
Sotto gli occhi del capitano comparve un missile bianco, lungo a malapena tre o quattro metri, che inspiegabilmente sorpassò tutti, esplodendo solo qualche secondo più tardi, mancando completamente il bersaglio che doveva essere l'enorme alieno. Marco rimase incredulo davanti a quella scena, sperava vivamente in un aiuto da parte del Boss, fino a quando Eri non gli fece notare che dal missile esploso era uscito qualcosa. Era attaccato ad un piccolo paracadute bianco e immediatamente il capitano identificò in contenuto di quella cassa: era l'arma più potente dell'arsenale dei Falchi Pellegrini, il Super Granade, riconoscibile per la "G" presente sul contenitore. Una volta preso al volo la nuova arma, Marco dovette ammettere a se stesso che quell'uomo ne sapeva una più del diavolo...
Il Super Granade aveva però un paio di difetti: aveva pochissimi munizioni e i tempi di ricarica erano molto lunghi, quindi Eri raggiunse velocemente Marco, per aiutarlo prima che la mente aliena potesse bloccarli. Ma durante le operazioni di carica si presentò un altro problema, Keroro era caduto sopra la testa aliena, sbalzato via dall'onda circolare di poco fa, e si trovava sulla linea di tiro! Nonostante il grande spavento del sergente, il piccolo alieno verde fu recuperato dai suoi sottoposti, che in fretta e furia lo presero un attimo prima che Marco sparasse con la nuova arma.
Le conseguenze del colpo sparato da Marco furono terrificanti, la parte superiore della mente aliena andarono completamente distrutto e nell'aria si udì un urlo straziante e disumano, che riecheggiò per diversi secondi. Lentamente i filamenti che tenevano bloccati gli Slug persero forza e velocemente Marco ed Eri ritornarono ai loro posti, per proseguire la loro tormentata fuga verso il basso.

Nel bunker segreto del Boss, tutti i presenti al tavolo trattennero il fiato per lunghi ed interminabili minuti, fino a quando non sentirono gli Slug cadere nell'oceano, alzando un getto d'acqua alto diversi metri. Essendo un mezzo all'avanguardia, Tarma azionò delle sacche d'aria vicino ai cingoli e così facendo il suo Slug divenne una specie di canotto d'emergenza, metà arancione e metà argenteo, ben visibile anche da molto lontano. Una volta confermato che tutti stavano bene, dopo aver visionato le immagini dai monitor, il Boss e la ricercatrice tirarono un lungo sospiro di sollievo, mentre la spia si mise quasi a piangere davanti allo schermo per la felicità. Anche gli altri che si erano uniti ai Falchi Pellegrini riuscirono, con un po' di fortuna, a cavaserla: quelli della Black Lagoon, schiacciati all'interno del mini ufo a causa dello spazio ridotto, precipitarono poco distante dal punto in cui atterrarono i Falchi Pellegrini e vennero tratti in salvo da Tarma, che li lanciò una corda che aveva nello zaino. Anche il plotone di Keroro riuscì a sopravvivere, scappando in alto con i loro dischi volanti, l'unico che rimase un po' coinvolto nell'esplosione fu proprio il sergente, che a causa dello spavento e del botto subito gli venne un acconciatura in stile afro. Incredibilmente anche i componenti dell'Across si erano salvati all'ultimo secondo, grazie ad una brillante idea di Il Palazzo, che sotto il suo lungo mantello avevano nascosto un paracadute. Excel, che insieme ad Hyatt era aggrappata al loro capo, rimase così incredula da quella situazione che continuò a chiedere a Il Palazzo se la missione era fallita come al solito oppure no, lasciando quest'ultimo senza parole.
«Che sudata!» commentò il Boss, pienamente soddisfatto del lavoro svolto dalla sua squadra. «E' stato epico, ma che fatica!»
«I ragazzi si sono meritati una bella vacanza dopo questa impresa, no?» domandò la ricercatrice, osservando sul monitor i Falchi Pellegrini, ormai esausti, sul carro armato galleggiante.
«Perfetto! Direi che adesso è finita!» affermò la spia, che però fu subito richiamata dal Boss.
«Un momento! Il Boss sono io, decido io quand'è la fine!» disse con fermezza l'uomo nell'ombra, facendo ridacchiare a denti stretti De Angelis e storcendo il naso a Martha. Ma poi concluse, qualche secondo dopo: «Adesso è la fine!»

 

Dopo quasi un anno e mezzo, finalmente ho concluso questa fan-fiction commemorativa! Ringrazio sinceramente tutti coloro che hanno letto e/o commentato la mia storia, ma un ringraziamento in particolare va allo staff del forum "Scrivartisti appassionati" che hanno concesso gentilmente la loro presenza per i personaggi da me inventati, ovvero Hell-boy (Il Boss) Amethyst86 (la spia Martha Egan) e Mirai (la ricercatrice Manuela De Angelis).


E come citazione finale... "Peace forever"!!!
  
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