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Autore: marani    07/07/2014    0 recensioni
Questa è una storia 'tosta'. Quelle che ho pubblicato precedentemente sono schizzi, appunti, embrioni di trama in confronto. Ed è una storia tipicamente mia. Gli elementi ci sono tutti: dei legami, una perdita, la ricerca della serenità, le 'catene' del dolore, il passato. E naturalmente, immancabile, il 'tocco di magia'. Sarà un lungo viaggio, per chi deciderà di incamminarcisi, ma credo che alla fine vorrete bene anche voi ai personaggi della storia. Solo due precisazioni tecniche: la numerazione dei capitoli del sito non coincide con quelli della storia. Ma non è un problema. E 'Faliva', nel mio dialetto, curiosamente connota sia i fiocchi di neve che le scintille che si liberano dalla legna del camino. Curiosamente? Uhm, forse no. Forse sono solo due lati dello stesso aspetto. Della vita. Buon viaggio.
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- …Porcccc… -
L’uomo seduto al volante fu preso in contropiede dalla cascata di braci che pioveva inesorabile sulla stoffa dei pantaloni. Le spazzolò via frenetico, maledicendo l’estremità della sigaretta che aveva avuto la bella pensata di “incollarsi” al dischetto incandescente dell’accendisigari del cruscotto. Pestolando indiavolato le braci superstiti che attentavano al tappetino sotto i suoi piedi, strinse gli occhi per contrastare una rabbiosa fitta di emicrania gli azzannava il cer­­vello, curiosamente cammuffata dalla voce petulante di sua moglie che gli ricordava (una vol­­ta di troppo) dove il viziaccio del fumo lo avrebbe portato.
- In culo a cazzo di culo - ghignò irato, contemplando in un misto di rabbia e sconforto due mi­nuscoli ma evidentissimi forellini bruciacchiati nella stoffa dei suoi costosi pantaloni in la­na di Ermenegildo Zegna.
Rivolse la sua sbuffante attenzione in direzione delle vetrine illuminate a giorno al di là del fi­­nestrino rigato di pioggia, cercando inutilmente di scorgere le figure della moglie e della fi­glia tra la folla strabocchevole che si agitava nel grande magazzino.
- Dove stracazzo siete finite… - mormorò, lanciando un’occhiata alle cifre verdastre dell’oro­lo­gino a fianco dell’accendisigari devasta-calzoni
(Solo due minuti, caro, il tempo di ritirare il regalo per Terry…)
Due minuti dei miei coglioni”, rimuginò tirando una violenta boccata dalla sigaretta la cui e­­stremità sembrava essere stata vittima di una minuscola esplosione, “e intanto fuori soldi su soldi per regali inutili e costosi… e chi porta i dindini a casa? Io, naturalmente, tutto il giorno a farmi il culo… tricche tricche tracche… per cosa? Perché le donne di casa li buttino dalla fi­ne­stra in un batter d’occhio…”
Il trillo del telefonino posato sul portaoggetti tra i sedili anteriori della Ford Focus s’insinuò nei pensieri ribollenti dell’uomo, dissipandoli. Contribuendo nel contempo a conficcargli in go­la un’acuminata spina d’ansia. Si concesse una vigorosa boccata di Marlboro, a fomentare un’ulteriore mini-cascata di braci dall’estremità surriscaldata, senza peraltro curarsi della lo­ro destinazione.
Questi non son proprio auguri di Natale…”, commentò tra sé afferrando il cellulare con di­ta che sentiva ghiacciate e defunte. Tentennò un secondo prima di pigiare il pulsantino di ri­sposta, palleggiando nella mente la dissennata ipotesi di abbassare il finestrino e tumulare il te­lefonino nel canale di scolo del marciapied. Poi il pollice agì, a metà tra l’azione vo­lontaria e uno spasmo nervoso.
PubbliOsma - collegato”, ebbe il tempo di leggere sul display luminoso, un attimo prima di accostarlo all’orecchio. Strinse le palpebre con foga, come se si stesse preparando ad una violenta deflagrazione. E grosso modo ci stava andando vicino.
- Sì? - disse, cercando di mantenere un tono di voce accettabile.
- Gianni, ciao… sono io, Paolo - l’erre moscia del suo socio in affari, Paolo Macherio - l’altra me­tà dell’Osma… Ostiglia Gianni e Macherio Paolo, cinquanta per cento in nome collettivo (al­meno per il momento) non lo colse affatto impreparato - senti, scusa se ti disturbo, so che sei in giro con la famiglia
(Sì, la famiglia è in giro, a cercare di azzerarmi il conto corrente… io sono solo un umile chaffeur del cazzo…)
solo che… ho parlato con Piacentini… dice che… dice che… - l’uomo all’altro capo del te­le­fo­no parve frugare in invisibili appunti mentali alla ricerca di spunti - …ci sono problemi… non tornano un po’ di conti… un bel po’ di conti, a quel che dice - Gianni Ostiglia si osservò la mano sinistra torcere spasmodica il volante dell’auto, le nocche sbiancare in un pallore mortale - so­no sicuro che deve trattarsi di un disguido… con tutti i casini di tipo fiscale che si inventano ogni giorno… solo che… non capisco, parla di assegni girati a sé stessi, e che non si trova con i giustificativi… direi che è il caso che ci vediamo… cavoli, so che siamo ormai sotto Natale, ma magari due minuti, al volo
(magavi due minuti manco pev il cazzo, pensò l’altro, gli occhi incollati alle nocche cadaveriche)
tanto per mettersi il cuore in pace… sai come sono i commercialisti, fanno di un granello un montagna per deformazione professionale, penso che sia previsto dal loro albo… ingigantire, al­larmare, tenere sotto pressione… ma sai com’è, voglia Dio che si tratti solo di un’esagerazione… non ci vorrebbe proprio, in ‘sto momento… -
Gianni Ostiglia si deterse meccanicamente una robusta goccia di sudore che aveva preso a ser­peggiargli dalla fronte, alla faccia della temperatura per niente confortevole nell’abitacolo. Le dita assiderate dei suoi piedi si contrassero nelle eleganti ma leggere scarpe di pelle.
- Sì, certo, capisco… - rispose con una voce che sentiva sorprendentemente calma e saggia - so­lo che… pronto? Paolo? Ci sei? -
- Sì, pronto… Gianni, mi senti? -
L’uomo al volante si raggomitolò su sé stesso, mentre una bolla acida e dolorosa gli saliva dallo stomaco alla gola:
- Paolo? Paolo?!? Mi senti? Sto passando sotto le gallerie… e no… mi pa… no ti se… no rie -
Balbettò quelle ultime sillabe come in un tartagliante rap, stupendosi lui stesso di quello che sta­va mettendo in atto. Del fondo a cui stava arrivando.
- Gianni? Pronto, Gianni, mi senti? - la vocina del suo socio (per poco, ancora per poco) fio­ca ma perfettamente nitida, gracchiava dal telefonino abbandonato in grembo - rie­sci a sentirm ? Provo a richiama
L’uomo abbandonato sul sedile di guida osservò con occhi inespressivi il display del cellulare che aveva appena spento.
- Grossi dubbi che mi richiami - biascicò assaporando un pessimo gusto che gli aveva invaso la bocca - groooosssi dubbi… -
Si frugò nelle tasche della giacca, alla ricerca di una sigaretta, prima di rendersi conto di averne già una accesa, mezza stri­tolata tra le dita che si aggrappavano al volante. L’emicrania che lo a­ve­va assalito stava sfo­ciando in una specie di nebbia ovattata che gli bloccava il cervello.
Sbir­ciò al di là del vetro abbassato del finestrino: vetrine tirate a lucido, commesse sorridenti, clienti carichi di pacchi.
Sicuramente sdolcinate musichette natalizie a volume quasi subliminale diffuse da altoparlanti nascosti.
Ma di sua moglie e sua figlia nemmeno l’ombra.
(Non ci vovvebbe in questo momento… sai com’è, disse l’erre moscia del socio da qualche parte della sua testa)
Sai com’è? Lo sapeva, oh, se lo sapeva! Più che bene, soprattutto perché ne era concausa attiva.
Anzi, a dirsela tutta lui, Ostiglia Gianni, consulente pubblicitario quarantatreenne
(cala le arie, amico, e non riempirti la bocca di paroloni, sei solo un rappresentante fallito di una sconosciuta dittarella che, nonostante il roboante “agenzia pubblicitaria” inciso sulla targa di ottone del campanello, sopravvive - e Dio sa per quanto poco ancora - facendo stampare marchi di aziende su penne biro e improbabili cappellini promozionali)
affascinato da film e articoli su yuppie prestigiosi e senza scrupoli, sul loro mondo dorato zep­­po di segretarie mozzafiato, consigli d’amministrazione e party esclusivi, era il minuscolo gra­­nello di sabbia che aveva preso a rotolare a valle, dando inizio alla più catastrofica e devastante valanga di tutti i tempi. Almeno per quello che avrebbe riguardato la sua vita e quella del suo anonimo socio, unitamente a quelle delle loro famiglie. E quel che era peggio (anche se la sensazione che ne traeva era di estremo sollievo) era il fatto che non provava il minimo senso di colpa, o di rimorso. La barca stava affondando, perché lui in persona stava per to­glierne il tappo dal fondo, ma era una barca così noiosa, e invischiante, che non gli dava, da tempo ormai, il più minuscolo brivido di emozione.
Per cui, a strapicco tutto quanto”, rimuginò picchiettando nervoso con la punta delle dita sull’alloggiamento dell’airbag, “anche perché il sottoscritto, signori e signore, ha tutta l’intenzione, e la possibilità, e la concreta speranza, di uscirne asciutto e col culo al caldo… molto al caldo…”
Infilò le mani gelide nelle tasche del cappotto. La punta delle sue dita incontrò la sagoma di un oggettino e, appena sotto, un secondo oggettino plasticoso e cedevole al tatto
(un sacchettino, per amor di precisione, và)
A quel fugace contatto la lingua saettò su labbra aride e nervose e, per un brevissimo i­stan­te, nella mente gli sfrecciò una tentazione assolutamente folle e dissennata
(non sarai così da pazzo da pensare di…)
poi gli sportelli della Focus si spalancarono, facendo turbinare nell’abitacolo surriscaldato le chiacchiere di sua moglie e sua figlia, e quella strana, umida aria dicembrina.

2_


- Giacca e pantaloni blu, li portiamo ? -
La frase pronunciata da Lucia Anelli sembrò addirittura rimbombare un pò, mentre metà di lei era immersa nell’antro scuro e incasinato dell’armadio di suo figlio A­me­deo. Spostò con delicatezza alcune camicie appena stirate, in attesa di una risposta che tardava ad arrivare. Si raddrizzò, massaggiandosi vigorosamente la parte bassa della schiena, lanciando un’occhiata severa in direzione del ragazzino steso sul letto a pancia in giù.
- Ame, dammi retta un secondo o quel giochino fa il volo dalla finestra, maledetta quella volta che hai convinto tuo padre a comprartelo - sbottò, passandosi una mano nervosa sulla fronte che sentiva sgradevolmente umidiccia, a causa del maglione in pile e il riscaldamento dell’appartamento
(e un po’ di sano nervosismo, no?)
- dai che papà sarà qui sotto con la macchina da un momento all’altro, e devo ancora finire di preparare la tua borsa e quella di tua sorella… -
Il ragazzino, ipnotizzato dal minuscolo schermo elettronico del Game Boy, agitò fulmineo le dita, in un gesto sfrontato che le fece prudere le mani. Sei fortunato che non mi sei a tiro di scapaccione
- Sì, un attimo, mamma, che sono in punto CRUCIALE… - ribattè suo figlio, non smettendo un secondo di far mulinare i polpastrelli sui lillipuziani tasti di quella diavoleria elettronica, simile ad un minuscolo dattilografo allucinato - …sto cercando di superare il Boss del quarto livel… -
- Ame, ascoltami che siamo in RITARDO! - lo investì lei, con un tono di voce appena un po’ più alto del normale
(Non sto gridando. Non voglio gridare e non sto gridando… diede una rapida occhiata all’orologio della cucina che intravedeva attraverso il corridoio, cazzarola, che tardi…)
sufficiente però a suggerire al ragazzino steso sul letto che, forse, era il caso di rimandare a più tardi la cruciale sfida col Boss. Amedeo pigiò un po’ a malincuore il tasto di spegnimento del giochino, dedicando a sua madre un’espressione esageratamente attenta.
- Il completo blu, quello elegante - riprese Lucia estraendolo dall’armadio, per meglio avvalorare la sua richiesta - pensi di metterlo, almeno il giorno di Natale
(o insisterai per indossare una di quelle tue felpe assurde piene di ORRENDI supereroi giapponesi?)
- Io il vestito blu lo porto - esclamò una vocina comicamente seriosa alle sue spalle. Sua figlia Emma, quasi-sei-anni, come si premurava di precisare impettita a chiunque le chiedesse l’età, transitò nella stanza del fratello, per lei assolutamente off-limits a meno che, come in quel caso, non vi stazionasse anche uno dei genitori. Con una mano trascinava un peluche di un gatto bianco
(un ex-peluche di un gatto grigiastro, visto le condizioni in cui era ridotto da una lunga e affezionata simbiosi con la piccola)
mentre nell’altra agitava un disegno a matite colorate dal vago stile impressionista. L’occhio allenato di sua madre fece in tempo a riconoscere il soggetto dell’opera d’arte. LA MIA FAMILIA, era la scritta sulla parte inferiore del foglio, a sottolineare le figure stilizzate di loro quattro, papà Renato, mamma Lucia
(perché mi disegni sempre con le braccia e i capelli alti, come se stessi dando in escandescenze, Emma?)
(forse perché tendi spesso a dare in escandescenze, cara la mia Lucia…)
Amedeo, Io.
- Tu non hai un vestito blu, grazie al Cielo - ribattè la donna - anche perché sarebbe tale solo per alcuni brevi istanti, prima di impiastricciarsi di pastelli a cera, o lasagne o chissà che altro… -
La bimbetta si accovacciò sul tappeto ai piedi del letto, aggiustandosi distratta il cerchietto che le teneva a bada (a fatica) una cascata di boccoli biondi, mostrando nel contempo all’impassibile Giggio
(discutibile nome, per un gatto grigiastro di peluche, ma così era stato battezzato)
il disegno spiegazzato:
- Oh bè, sono così buone, le lasagne… - commentò lieve - sì, sì, ne mangerei proprio volentieri... -
Un’ombra di sorriso attraversò il viso surriscaldato di Lucia, che prese a sventolare il vestito blu reggendolo per la gruccia:
- Allora, Amedeo? - lo sollecitò impaziente.
- Uh, beh buh, direi di sì… - tergiversò suo figlio occhieggiando impaziente lo schermo scuro del Game Boy
(viene anche Vanessa, la figlia di Cristina e Gianni… te la ricordi, vero? Abbiamo fatto quel we­ek-end ad Asiago, due anni fa…)
- anzi no, direi proprio di no… assolutamente no -
Quegli assurdi (ed infantili) voltafaccia di suo figlio le facevano saltare la mosca al naso. Pa­re­va che praticamente su tutto il ragazzino non fosse in grado di prendere una decisione definitiva, come se cercasse in qualche modo di lasciare aperta ogni alternativa
(lo sai, è un momento delicato, disse nella sua testa la pacata voce, quasi professionale, di suo marito Renato, ha dodici anni, è giusto sul limite, e dentro di lui c’è l’inevitabile conflitto tra il bambino e l’adolescente… bisogna dargli tempo…)
Sarà, ma a me per il momento sembra proprio che la parte infantile stia vincendo alla grande…”
- E’ Natale, siamo in casa d’altri, e saranno tutti vestiti a modo… - allargò le braccia a mostrare il variopinto maglione in pile che indossava su un paio di pantaloni dai toni orientaleggianti - anche a me non va a genio l’idea di mettermi in ghingheri, ma papà ci tiene, e per una volta… -
Il ragazzino si immaginò impettito e fasciato da quello scomodo vestito da festa
(anzi, anche se non ne era del tutto cosciente, si vide attraverso gli occhi verdi di una ragazzina di un anno più vecchia di lui, con cui aveva piacevolmente giocato e chiaccherato, un paio di inverni pri­ma, e di cui ancora ricordava l’inspiegabile senso di… dispiacere provato alla fi­ne di quei due giorni in mezzo alla neve)
e scosse il capo vigorosamente:
- No, mamma, per favore
(Non piagnucolare come un… bambino, Amedeo, per carità!)
mi tira tutto sotto le ascelle… - si agitò gesticolando per avvalorare la sua tesi - e poi quando lo metto ti ostini a pettinarmi come un babbeo… -
- Che babbeo e babbeo… - ribattè la donna, riponendo sconfitta il vestito nell’armadio - ti fac­cio la riga, e cerco per una volta di domare quella… tua zazzera di spinaci che hai in te­sta…non ci sono dubbi che sei proprio figlio di tuo padre… -
- La zanzera degli spinaci sulla testa… che schifo! - commentò la piccola Emma a beneficio del suo interlocutore muto e peloso.
In quell’istante il campanello dell’ingresso trillò un paio di volte in rapida successione.
- Papà!!! - esclamò la bimba tirandosi su di scatto, dimenticando all’istante il foglio da disegno che finì miseramente calpestato sotto una minuscola scarpina con la faccetta sorridente di Titti.
- Già - commentò suo fratello Amedeo, riaccendendo quasi casualmente l’ambito Game Boy, non prima di aver lanciato una prudente occhiata di sottecchi in direzione della madre. Scam­pato pericolo. Lucia Anelli stava uscendo dalla stanza per affrettarsi ad afferrare la cornetta del citofono:
- Sì? - chiese.
- A che punto stiamo? - s’informò la voce di suo marito da giù in strada.
- Stiamo come al solito, Renato - replicò la donna, cercando di scampare ai salti euforici che Em­ma stava eseguendo tutt’intorno a lei, come una minuscola danzatrice vodoo - in ritardo spol­po… Sarà il caso che tu faccia un salto su, o non ne usciamo vivi… -
  
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