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Autore: Hiros    07/07/2014    0 recensioni
{ long-fiction | STORIA MOMENTANEAMENTE SOSPESA e in revisione }
Spesso i momenti felici non durano per sempre; spesso, quando meno ce l’aspettiamo, quelli brutti prendono il sopravvento all’improvviso, scombussolando la vita di tutti i giorni, e questo, sia Fine che Rein, amiche d'infanzia separate dal triste giro del destino, lo sanno bene, ma faranno di tutto per riconquistare tutto ciò che avevano perso, anche a costo di dover scoprire verità sconcertanti.
Il solo suono del vento in quel momento, prese il sopravvento e quegli occhi si soffermarono impassibili sull’altalena. Essi rimanevano come attaccati ad osservare l’oggetto, e il cigolio di quest’ultimo, all’inizio semplice e basso, cominciò ad essere più strano e forte. Una musica ipnotizzante si propagò nell’aria e una grande ansia cominciò a diffondersi nella bambina.
Genere: Fantasy, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Fine, Rein
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Vite finite - Un’aldilà misterioso
La felicità di alcuni, la disperazione di altri



 
Era un giorno piovoso quando nacque, ed era un giorno piovoso anche quando accettò quel compito.
«Sei pronta?» quella domanda era così semplice e poteva sembrare così innocente, ma nessuno in quel momento, a parte loro due, sapeva a cosa si riferisse.
Gli occhi non tradivano nessuna emozione, forse perché non c’era niente in quel petto che si sollevava e abbassava lievemente ad ogni respiro. Alzò gli occhi per guardare dritto in viso, con i suoi smeraldi, la persona che aveva di fronte e rispose.
«Sì».
 
 
Mendy aprì gli occhi e l’unica cosa che vide fu il colore giallo chiaro del soffitto della camera in cui si trovava in quel momento. Aveva dormito poco quella notte. Era andata a letto tardi e spesso molti pensieri si erano attorcigliati nella sua mente senza farla riposare. Mentre si strofinava gli occhi assonnati e sbadigliava, ricordò cos’era successo il giorno prima, e Rein, che non si era ancora svegliata.
Scese dal letto senza fare troppo rumore e uscì dalla porta della camera degli ospiti in cui aveva alloggiato. Scese le scale e quando arrivò nel grande salone della casa, vide la turchina ancora in un sonno profondo.
«Rein…» sussurò rassegnata.
In cucina c’era Crown che aveva appena finito di mangiare quando sentì la voce della bionda nella stanza accanto. «Buongiorno- le disse senza accennare alcuna emozione particolare. -Sì, lo so. Rein non si è ancora svegliata- continuò.
«Perché? Perché non si è ancora svegliata?!» si agitò la ragazza in preda a sensazioni confuse. «Avrà battuto la testa, è per questo che non si è ancora svegliata? Sarà grave?».
Crow detestava la confusione già di primo mattino, così cercò di mantenere la calma per non urlarle contro. Non si preoccupava per la turchese. Sicuramente – data l’ora – aveva bisogno di dormire ancora un po’. Insomma, era ancora presto, il sole era sorto solo da alcune ore e poi anche Fine era sempre a letto.
Così, per tranquillizzare la ragazza, dette voce ai suoi pensieri e le propose di mangiare qualcosa.
Intanto la sorellina di Crow – Fine – era in preda a un sogno.
Si trovava in quel posto che conosceva ormai troppo bene e nel suo subconscio forse sapeva anche che giorno era. Infatti, c’era una ragazza turchina seduta sull’altalena di legno che guardava all’orizzonte.
«Devo andare» disse così, quella volta, lei.
Cosa? Perché?
«Sono di nuovo tornati a dare fastidio. Papà ha detto che li cacceranno presto, però non posso più tornare qua».
Chi era tornato? Ma soprattutto, perché non sarebbe potuta più tornare? No, non voleva.
«Ecco… è il momento. Ti prometto che ci rincontreremo un giorno» finì con un sorriso e si volatilizzò.
Quella fu l’ultima volta che la vide. Si guardò le mani, piccole piccole in quel momento, e istintivamente chiuse gli occhi.
Vide buio per qualche secondo e quando riuscì a riaprirli era tornata di nuovo in quel luogo, sulla collina. Le sue mani erano ancora davanti al suo sguardo quindi non poté evitare di osservare che erano diventate più grandi, segno che era cresciuta.
«Ciao Fine» esclamò una ragazza. La rossa alzò il sguardo e vide davanti a lei la turchese.
«Rein!» disse, «Sei tornata!». La turchese sorrise dolcemente e annuì.
«Sì, certo. Te l’avevo promesso, no?». Anche Fine sorrise, aveva le lacrime agli occhi, non poteva credere che fosse lì, veramente.
«Ecco, Fine…» cominciò Rein, ma non fece in tempo a finire la frase che l’amica le saltò al collo entusiasta, ma l’impatto fu così forte che entrambe caddero a terra, facendo risvegliare Fine di colpo dal sogno.
Intanto al piano di sotto, anche la turchese che stava ancora dormendo si destò all’improvviso. Con uno scatto fulmineo si ritrovò seduta sul divano e con gli occhi sbarrati.
«Ah!» le uscì ad alta voce dalle labbra.
Crow che era seduto al tavolo della cucina nel posto più vicino alla porta che univa cucina e soggiorno, si sporse un po’ e riuscì a intravederla.
«Oh, ma guarda. La tua amica si è svegliata» commentò semplicemente, rivolgendosi a Mendy.
 
 
Dopo che sia Fine che Rein si erano svegliate, forse grazie a quel sogno misterioso, chissà, la rossa era uscita dalla sua stanza e si era avviata a fare colazione in cucina, senza aspettarsi che avrebbe rivisto la sua amica, questa volta sveglia.
Appena scese le scale in mogano marrone scuro, vide Rein, sul divano, intenta a chiacchierare con Mendy, e Crow che le osservava spiaccicando parola una volta ogni tanto.
Fine si avvicinò cautamente al gruppo e meravigliata, balbettò un po’ prima di poter dire una qualsiasi cosa. «Rein…?» sussurrò, il cuore a mille e il fiato corto.
Rein, ma anche Crow e la principessa, si girò in direzione della voce che l’aveva chiamata, riconoscendola subito - nonostante fossero passati tanti anni dal loro ultimo incontro - e tirò fuori un sorriso smagliante a trentadue denti.
La specialità della turchese era sorridere. Anche in quel momento, più che versare lacrime, lacrime di gioia che stavano inondando il viso di Fine, riusciva soltanto a sorridere, felice e allegra.
La rossa invece era una bambina. Si emozionava con troppa facilità, è per questo anche che le era stata sempre accanto: si sentiva in dovere di proteggerla, come una sorella maggiore protegge la sua sorellina.
Così Rein si alzò, si avvicinò alla sua migliore amica e le asciugò le lacrime. Dopo di che, senza dire niente, sorrise e l’abbraccio, prima che versasse anche lei qualche lacrima e Fine la vedesse.
Nel mentre, Crow e Mendy le osservavano da dietro, sorridenti e felici che quelle due amiche così unite si fossero ritrovate dopo tanto tempo.
Quel momento era così delicato e dolce che spezzarlo sarebbe potuto essere considerato come sacrilegio. Nell’aria si poteva quasi toccare con una mano la calma che aleggiava nella stanza.
 
 
Nell’aria c’era un odore di putrefatto molto forte che non faceva altro che far sentire male in continuazione le persone  e rendere quel posto più sgradevole di quanto già non lo fosse diventato: l’aria tossica, il cielo scuro, edifici e case distrutti.
L’arrivo di quei mostri - anime come gli abitanti di Ame, ma con un aspetto molto, molto più inquietante e disgustoso – aveva sconvolto tutto il regno del paradiso che ora si ritrovava in una situazione che non sembrava aver mai fine: mostri che attaccavano i poveri abitanti da tutti i lati, famiglie spezzate e rovinate in una calda giornata di sole dall’arrivo di quei mostri senza coscienza e anima. I pochi che riuscivano a salvarsi la pelle, scappavano a più non posso, cercando di allontanarsi il più velocemente possibile dal centro ormai invaso. Infatti Ame era un regno piuttosto grande, composto da un centro città la cui scena dominava un maestoso – almeno una volta – castello color pastello, dai tetti celesti come il cielo limpido delle giornate soleggiate.
Il centro città, così come anche il castello, non erano circondato da mura, visto che Ame era il regno più pacifico dell’aldilà, chiamato anche dai terrestri “paradiso”.
Il centro – luogo principalmente costituito da negozi e mercati - veniva ampliato dalla città vera e propria, composta da abitazioni e qualche prato verde che si estendeva qua e là a macchia d’olio.
E poi, per finire, un enorme distesa di alberi che formavano il bosco più grande dell’aldilà, circondava il regno ed era quello il luogo che i fuggitivi cercavano di raggiungere. Il bosco di Ame era enorme, quasi nessuno conosceva la sua vera ampiezza e cosa c’era nella sua parte più profonda, ma nonostante questo, nessuna esitava a raggiungerla in quel momento, perché era l’unica via di salvezza.
Nel castello, di cui il giallo pastello luminoso di un tempo era stato sostituito ormai da un grigiastro tendente al verde, con le finestre rotte, crepe su ogni muro, buchi e porte fuori dai loro archi, una ragazzina aveva lo sguardo basso e emanava un’aura inquietante. E la sua aura sembrava ancor più paurosa, visto che era così bassa e carina da sembrare un dolce angelo innocente.
Aveva dei lunghi capelli bianchi legati in due codini alti chiusi in due nastrini rossi e un vestitino pomposo in pizzo nero e rosso. Portava delle ballerine rosse con un po’ di tacco, probabilmente per compensare quei centimetri mancanti della sua altezza. Dava le spalle ad una grande finestra ancora intatta, ma sporca e rovinata da alcuni graffi, e guardava negli occhi un uomo di mezza età pelato e con gli occhiali.
Lui se ne stava malsanamente sdraiato per terra facendo leva sui gomiti per guardare almeno un minimo in faccia la ragazzina. La sua fronte era imperlata di sudore, il suo cuore batteva a mille. La ragazza albina – così l’aveva soprannominata l’uomo durante quei pochi minuti in cui l’aveva incontrata – alzò lo sguardo, rivelando due grandi occhi verdi chiaro che non riuscivano ad addolcire nemmeno un po’, purtroppo, lo sguardo truce che aveva assunto in quel momento.
Sembrava molto arrabbiata, anzi, non lo sembrava: lo era. Era furibonda. Odiava quell’incarico, ancor di più quando la gente le faceva perdere tempo come quell’uomo.
«Ehi, tu, vecchio. Ti conviene rivelarmi tutto quello che sai, tutte le informazioni che possa ritenere utili» emanò con voce decisa, con quel suo timbro ancora fanciullesco, «altrimenti non te la passerai bene» continuò, rilassando lo sguardo.
L’uomo deglutì un po’ di saliva e cercò di formulare una frase, non solo nella mente ma anche ad alta voce, e ci riuscì. «Come professore e ricercatore ufficiale della nobile famiglia del regno di Ame, non mi è permesso rivelare informazioni segrete di alcun genere. Anche nella mia situazione attuale non permetterò di farmi sfuggire nemmeno una parola, e mai lo farò nemmeno in futuro» cominciò lui, dapprima in un sussurro e via via sempre più forte, alzando e cercando di non fare notare il tremolio nella sua voce «Sul mio onore!» terminò infine.
Quel discorso non sfiorò nemmeno l’anima della fanciulla, che silenziosa e impassibile era rimasta ad ascoltare il discorso non annoiata, ma nemmeno toccata.
Pensò solo che probabilmente aveva frainteso, perché se lui non ubbidiva ai suoi ordini l’unica cosa che le rimaneva da fare era portarlo via, via da quel regno, tra il fuoco e le fiamme, dove la felicità, la verità, e tutti i sentimenti buoni degli umani che dominavano Ame erano solo una mera illusione.
Non l’avrebbe ucciso, non lei almeno, e non in quel momento, non lì. L’avrebbe solo portato al cospetto del Re di Enfer, sovrano degli inferi.
«Forse hai capito male, io non ti ucciderò, farò in modo che tu soffra lentamente nel luogo che non avresti mai voluto visitare».
Lesse negli occhi del professore il terrore, mentre si voltava verso la finestra a guardare la situazione del centro città. Chiuse li occhi riducendoli a due fessure e osservò il cielo pieno di nuvoloni che cominciava a piangere.
Anche quel giorno pioveva.
Perché?, si domandò lei.

Avrebbe mai visto splendere il sole in un limpido cielo azzurro?






 
» NOTE AUTRICE :
Salve a tutto il fandom di TP. Finalmente sono riuscita a finire di scrivere anche il sesto capitolo della mia long e mi sento felice e soddisfatta per questo. Sono riuscita a tornare a scrivere e inoltre il capitolo è anche lungo, almeno per i miei soliti canoni di lunghezza. E nulla, sono contenta. Comunque, la prima e la seconda parte della storia sono scritte diversamente, questo perché le ho scritte in periodo diversi: l’inizio qualche mese fa, la fine in questi giorni. Ma non voglio stare qui ad annoiarvi, era solo un appunto che volevo fare.
Passando a cose più importanti; vorrei modificare il titolo della fanfiction, visto che, per come si sta evolvendo, non ci incastra più molto con la storia, e poi non mi piace tantissimo, anche se sono affezionata a quel “Vite finite”. Seconda cosa, ho deciso di sospendere per un po’ la mia long, per il semplice fatto che non è più molto seguita, e se devo scrivere per nessuno – praticamente -, non mi va proprio. Non fraintendetemi, solo che portare avanti una long è faticoso, inoltre preferisco le one-shot, quindi mi concentrerò su quelle d’ora in avanti. Poi se vedo che qualcuno segue ancora questa storia, beh, potrei farci un pensierino e cambiare la mia idea. Vedremo. Con questo è tutto. Mando tanto amore a quelli che mi vogliono bene, e a quelli che non me ne vogliono beh, mando amore anche a loro (ma amore omicida, eh, eheh). さようなら (ciao!).

× Haru
   
 
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