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Autore: supersara    08/07/2014    8 recensioni
Piccola OS ambientata subito dopo la Quarta Grande Guerra, che si basa sull'ottimistica previsione che Obito Uchiha sopravviva (e con lui anche tutti gli altri).
Dal testo: "Kakashi stava scendendo lentamente le scale che conducevano alle segrete del palazzo dell’Hokage..."
[ObitoXKakashi] Storia partecipante al contest "Cosa vi assegnerà la sorte?" di Mokochan.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kakashi Hatake, Obito Uchiha
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dopo la serie
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Obito &Kakashi – Hand in Hand




 
Kakashi stava scendendo lentamente le scale che conducevano alle segrete del palazzo dell’Hokage. Era passato poco più di un mese dalla fine della guerra. C’erano state molte vittime, troppe giovani vite spezzate, ma anche grazie al loro sacrificio, i sopravvissuti potevano ricominciare da capo, ricostruire il mondo devastato dagli orrori della battaglia, ed iniziare una nuova vita.

Di certo non era facile, non dopo aver visto i propri compagni, amici, fratelli o genitori, perdere la vita.

Eppure, pian piano, si andava avanti.

Persino Kakashi aveva trovato un motivo per avere speranza, e lo aveva trovato proprio grazie alla guerra.

Un sopravvissuto, anzi, il sopravvissuto per eccellenza, un uomo che poteva considerarsi tale da tutta la vita: Obito.

Ancora stentava a crederci, l’amico che aveva pianto per anni e che si era rivelato essere un nemico, alla fine aveva combattuto al suo fianco.

Era un traditore, scampato alla pena di morte soltanto per le ultime azioni compiute sul campo di battaglia, ma non era stato esonerato dalla prigione.

Il suo vecchio compagno gli faceva visita tutti i giorni, facendo tintinnare il mazzo di chiavi che gli aveva affidato l’Hokage in persona. Vederlo, per Obito, non poteva che essere una grande sofferenza. Era l’unico tramite che gli era rimasto con la sua vita di un tempo, quella vera, quella che avrebbe voluto condurre. In quel luogo abbandonato da Dio, Obito veniva consumato dal suo stesso rammarico, scivolando sempre più giù, nell’oscurità. La sua paura più grande era di trascinare con sé anche Kakashi.

Quest’ultimo provava i sentimenti opposti: per tutta la durata della sua esistenza, non aveva fatto altro che vivere nel ricordo di quel ragazzino che si era sacrificato per lui, e nel rimorso di averlo tradito. Naruto, Sakura e Sasuke lo avevano aiutato ad uscire dal baratro, ma niente poteva colmare il vuoto nel suo cuore, niente e nessuno, se non Obito.

Così, mentre per l’Uchiha il compagno rappresentava il buio che veniva dalla luce, per l’Hatake era la luce che si trovava nel buio.

“Ti ho portato un po’ di riso” fece Kakashi con tono dolce.

Obito non mangiava altro, era diventato magro, esageratamente magro, ogni fibra del suo corpo sembrava desiderare la morte. Il compagno faceva di tutto per sollevarlo, ma più passava il tempo, e più si rendeva conto che l’unico modo che aveva per farlo tornare quello di un tempo, era di tirarlo fuori da quelle quattro mura.

Tsunade aveva provato più volte ad avanzare tale proposta al Consiglio dei Kage, ma le alleanze prevedono che le decisioni debbano essere prese all’unanimità, e soltanto l’appoggio di Suna non poteva bastare. L’Uchiha era un criminale per tutto il mondo ninja, e persone come il Raikage o lo Tsuchikage non erano così buone da giudicare in base ad una redenzione finale.

Obito mandò giù a fatica due o tre bocconi, poi si arrese.

“Dovresti mangiare un po’ di più, o morirai di fame” lo ammonì il compagno.

“…Non sarebbe una brutta prospettiva” mormorò.

“Che hai detto?” Kakashi aveva sentito bene, ma più di una volta si era ritrovato a rimproverargli quelle parole, ottenendo sempre un rassegnato impegno di Obito a non pensarci più.

I due si guardarono per un istante, poi l’Uchiha sospirò dicendo: “Niente”.

Kakashi si passò una mano fra i capelli. Non stava andando affatto bene.

Il moro ormai non era che l’ombra di ciò che avrebbe voluto diventare, aveva perso sogni e speranze, si lasciava trasportare dal tempo, attendendo soltanto il momento in cui avrebbe finalmente smesso di vivere. I suoi occhi erano integri, ma sigillati con una nuova tecnica in grado di sopprimere lo sharingan. Kakashi sapeva bene che un potere come il suo non poteva farsi fermare da un sigillo tanto fragile, ma il suo vecchio compagno non aveva mai dato cenni di ribellione, sembrava non voler uscire da quella situazione, sembrava già morto.

Quando lo lasciò di nuovo nel buio, andò dritto davanti alla tomba di Minato Namikaze. Non sapeva il perché, sperava quasi che gli arrivasse un consiglio dal cielo. Subito dopo passò a trovare Rin, soffermandosi sui caratteri grandi che componevano il suo nome. Erano passati tanti anni, ma non si sarebbe mai abituato a quel nome scolpito nella pietra.

Obito la amava, era stata tutto per lui, era sopravvissuto soltanto appigliandosi alla speranza che un giorno l’avrebbe rivista. Ed ora che quella flebile illusione era svanita del tutto, per lui non c’era più nulla.

Kakashi poggiò un ginocchio a terra e colpì il suolo con un pugno. Avendolo accanto a lui, sapendo che era vivo e che erano di nuovo insieme, aveva scoperto di amarlo. Si, lo amava più di qualunque altra cosa al mondo. Ma come poteva? Anche lì davanti a quella lapide, dove ogni volta rivedeva quel volto impaurito, dolorante ed incredulo di una ragazzina che sapeva che stava per morire. Lui l’aveva uccisa, e anche se non aveva avuto altra scelta, era lui che gliel’aveva portata via per sempre.

Eppure, per quanto fosse egoistico da parte sua, non poteva permettere che Obito morisse.

Quel giorno si recò ad un appuntamento che aveva con i suoi allievi. Da quando era finita la guerra, erano tornati ufficialmente ad essere il team sette. Sasuke era stato assolto dai suoi crimini, con non poche difficoltà. C’era da dire che lui era diverso da Obito, non era da considerarsi un suo pari in fatto di trasgressioni.

“Kakashi-sensei, come sta Obito-san?” chiese improvvisamente Naruto.

L’uomo sospirò dicendo: “Potrebbe stare meglio”.

Sakura abbassò lo sguardo. Si era occupata spesso di lui, e sapeva bene che non era in buone condizioni, non tanto fisiche, quanto psicologiche.

“Ma perché ancora non lo fanno uscire?” si alterò il biondo, incapace di pensare con la razionalità di un ninja che segue alla lettera le regole.

“Non lo faranno uscire” lo informò freddamente Sasuke.

“Non dire così, dobe! Ma stiamo scherzando? Senza di lui non avremmo vinto la guerra!”

Kakashi decise di non prendere parte a quella discussione. Naruto era cocciuto e determinato, nessuno poteva andare contro le sue convinzioni. D’altra parte Sasuke era realista e si limitava a dire le cose come stavano.

La conclusione fu che il biondo scagliò un pugno contro il tavolo al quale erano seduti e disse: “Parlerò con nonna Tsunade!”

Sakura stava per replicare, ma il ragazzo si era già allontanato di corsa. L’Uchiha sbuffò alzandosi a sua volta per seguirlo.

“Quando Naruto si mette in testa una cosa non sente ragioni!” fece la ragazza.

Passò così un’altra settimana.

Obito era stanco. Stanco di pensare, stanco di vivere, stanco di vedere Kakashi cadere sempre più in basso. Lui poteva anche continuare a consumarsi giorno per giorno, ma era giusto costringere il suo ex compagno a seguirlo nel baratro? Per l’Hatake era diventato un pensiero fisso, una ragione di vita. Ma come poteva, una persona come lui, essergli di conforto? Era solo un peso.

Quel giorno, Obito, deciso a liberare Kakashi dalla sua scomoda esistenza, ruppe il bicchiere di vetro che aveva in cella e si tagliò i polsi.

Neanche venti minuti dopo, sentì il solito tintinnio di chiavi. Chiuse gli occhi deglutendo a fatica. Proprio quel giorno doveva arrivare prima?

L’odore ferroso del sangue arrivò immediatamente al naso fino del jonin, che senza perdere tempo entrò nella cella e si gettò sull’amico, che si era messo in un angolo buio con la schiena poggiata contro il muro. Era pallido e respirava a fatica. Le vene dei polsi erano state tagliate in profondità, ma a giudicare dalla fuoriuscita del sangue, probabilmente non era riuscito a lesionare un’arteria.

“Che hai fatto?” furono le prime parole che vennero in mente a Kakashi, che dovette fare appello a tutta la sua freddezza per non farsi prendere dal panico. Si tolse alcune fasce da allenamento pulite che portava con sé e andò a tamponare le ferite, spingendo forte. Poi avvicinò Obito, stringendolo in un abbraccio, mentre gridava di chiamare un medico.

L’Hatake fu rincuorato e soddisfatto nel vedere Sakura varcare la soglia della cella con il camice indosso e una valigetta con il suo kit. Intanto Obito aveva perso i sensi per la debolezza.

Proprio come aveva ipotizzato Kakashi, non era riuscito a perforare le arterie in profondità, aveva lesionato solo le vene. La ragazza lo medicò e fasciò in maniera impeccabile, del resto era la migliore. La perdita di sangue, abbastanza copiosa, era arrivata in un momento in cui il fisico dell’Uchiha era molto debole, perciò Sakura dovette prescrivergli delle vitamine ed altri integratori. Il problema stava nel fatto che avrebbe potuto riprovarci.

Così la rosa optò per tenerlo sotto l’effetto dei calmanti. Non scelse farmaci troppo forti, infatti la sonnolenza passò nel giro di tre o quattro giorni, servivano più che altro come antidepressivi, ed annebbiavano un po’ le idee. Beh, durante il primo giorno gliele avevano annebbiate parecchio, perché si era messo a recitare una vecchia filastrocca nel sonno.

Kakashi aveva ottenuto il permesso di stare con lui per tutto il tempo. Il Quinto Hokage non gli face storie, anche perché non avrebbe sentito ragioni.

Continuò ad osservarlo con apprensione, aveva temuto il peggio. Non poteva sopportare di perderlo, non poteva vivere senza di lui.

Quando l’Uchiha sembrò essersi abituato completamente agli psicofarmaci, non riuscì a trattenersi dal tirar fuori quel discorso.

“Perché lo hai fatto?”

Il moro era sdraiato supino sul letto, e continuava a fissare il vuoto. Kakashi era seduto su una sedia al suo fianco, le braccia conserte e l’espressione seria, attendeva una risposta.

“Non merito di vivere…e tu non meriti di consumarti insieme a me” la voce era flebile, quasi un sussurro.

L’espressione del jonin si fece più dolce.

“Obito, per tutto quello che è successo, io non do la colpa a te”

 
 
Alcune viti crescono nel terreno sbagliato,
altre si ammalano prima della vendemmia
e altre ancora sono rovinate da un cattivo viticoltore.
Non tutta l'uva fa il vino buono.
-La voce del tuono, Wilbur Smith-
 
 

L’Uchiha non riuscì a fermare le lacrime, trattenute fino a quel momento. Non capiva perché, ma stavano venendo a galla.

La mano di Kakashi si posò sulla sua, andando a stringerla.

“Se tu morissi, io non potrei più vivere” confessò l’albino senza spostare lo sguardo da quello del compagno.

“Kakashi” le parole del moro vennero interrotte dalle labbra dell’altro, che sicure, quasi prepotentemente si erano poggiate sulle sue.

Le lacrime di Obito continuavano a scendere imperterrite. Non era giusto tutto quello, non meritava un amore simile. Dopo la morte di Rin non aveva fatto altro che sbagliare, provocando dolore e distruzione, appellandosi ad una vana speranza. Come poteva pensare di essere felice? Come poteva continuare a vivere? Kakashi avrebbe dovuto odiarlo, e invece, proprio lui, gli stava dando quell’amore.

Quando le loro labbra si separarono, l’Uchiha si portò un braccio davanti agli occhi, continuando silenziosamente a piangere, mentre con l’altra mano stringeva forte quella del compagno.

In quel momento un barlume di speranza tornò ad accendersi nel suo cuore.

“Kakashi…raccontami com’è là fuori”

“C’è il sole, i bambini sorridono di nuovo…ti ci porterò presto” l’Hatake non aveva idea di quanto fossero vere quelle parole, perché nello stesso momento, al consiglio dei Kage, una persona molto influente stava avanzando la sua richiesta.

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Un pugno andò a scagliarsi contro la tavolata alla quale sedevano i Cinque. Tsunade era stata praticamente costretta portarselo dietro come scorta.

“Voglio che mi ascoltiate ‘ttebayo!” non aveva smesso un attimo di sbraitare, mantenendo sempre quella luce negli occhi, in grado di abbattere tutte le convinzioni.
Il Raikage sbuffò, non aveva più argomenti per controbattere.

“Io non vorrei che arrivasse ad odiarvi” Sasuke era stato in silenzio per tutto il tempo, pronunciando soltanto quell’unica battuta, al momento giusto. No, nessuno voleva farsi odiare da Naruto.

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Il giorno dopo, Kakashi ed Obito erano fuori. Liberi e leggeri, perché in quella cella avevano lasciato tutto il male ed il dolore. Ora c’erano solo loro due, mano nella mano, pronti a ricominciare.
 
 
 
 
 

 
 
 
SSS (SuperSaraSpace)
Magari T^T
A parte ciò ragazzi, lancio un appello a tutti gli autori: la qui presente storia è l'unica ObitoXKakashi presente nel sito (a parte un'altra in cui vengono soltanto accennati), perciò, se vi è piaciuta, e se anche a voi come me, piace questo paring, vi prego...SCRIVETENE ALTRE *-*
 
  
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