Fanfic su artisti musicali > Taylor Swift
Ricorda la storia  |      
Autore: Readme    08/07/2014    6 recensioni
-“E l'amore? Dimmi Taylor Swift, tu che osi cantare di amore e delle conseguenze amare e dolci che può portare all'interno delle nostre misere vite. Tu che canti di come esso ci domini e di come, ladra della nostra razionalità, ci spinga a fare l'improbabile. Dimmi, cos'è l'amore Taylor?”
- “Un'illusione” -
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Taylor Swift
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incompiuta
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



“We're not, no we're not friends, nor have we ever been.
We just try to keep those secrets in our lives.”


- Ed Sheeran, “Friends”.


____________________________________________________________________________________________________________


TAYLOR SWIFT: AVVISTATA A LONDRA.




La country-pop star Taylor Swift (24 anni, foto a destra) fa il suo inaspettato rientro nelle scene pubbliche in Inghilterra, o meglio ancora, nella capitale inglese. Dopo aver fatto un volo senza usufruire della prima classe, che dalla sua città natale, l'ha portata dritta verso Londra, Taylor Swift accenna un sorriso alla vista dei paparazzi. L'ultima volta che la giovane star è stata avvistata, era a New York, subito dopo aver presentato uno dei primi singoli estratti dal suo ultimo (in)successo - “Red” -. Come avrete già capito – e ricordato -, l'ultimo disco è riuscito a vendere solo 278.000 copie, quasi un milione in meno di quanto ci si aspettasse, dopo il successo del suo ultimo album – Speak Now (2010) – e del primo singolo estratto - “We are never ever getting back together” - che aveva promesso alla stella – caduta – del country, un successo assicurato. Dopo l'irrecuperabile flop, la cantautrice, senza dare spiegazioni precise, ha vissuto gli ultimi tre mesi nella privacy assoluta. La domanda che ora si porranno i fans e non, entusiasti del suo ritorno, è: perchè è tornata?.

O meglio, è tornata?







 




Temperanza.







Il suo ritorno in Inghilterra era stato del tutto inaspettato e se solo avessero conosciuto realmente la donna in questione, sarebbe stato ovvio – fin dal principio – che anche quest'ultima ne era sorpresa. Una ferita sfiorava, come una carezza, l'orgoglio della ventiquattrenne, arricchendo le sue gote di un rossore – naturale per chi non era ancora abituato al clima londinese – che stonava sulla sua pelle chiara. Inutile riscaldare le proprio dita riponendole nelle corte tasche della giacca. Un verde militare avvolgeva il corpo minuto di Taylor Swift, i capelli corti raccolti in una disordinata crocchia e nascosta sotto un cappello del medesimo colore. Le lunghe gambe, coperte da un semplice pantalone, tremavano e seppur la scusante del freddo, sarebbe stata accettata volentieri da chiunque, Taylor riconosceva in quel gesto, l'ennesima vigliaccheria di chi, era riuscito a fuggire egregiamente per poi tornare sul luogo del delitto. Qualcuno avrebbe potuto scambiare quel suo ritorno come un atto di spavalderia e Taylor accettava questo modo di pensare, nascondendosi dietro un sorriso impertinente, sottolineato dal rossetto rosso. Gli occhi cangianti, erano protetti da occhiali dalla montatura pesante, a dir poco “ingombranti” per i fotografi, che riunitisi in attesa di un altro scandalo, avevano ricevuto la soffiata del suo arrivo, da parte di alcuni passeggeri. Passeggeri rimasti così increduli alla sua presenza su un semplice volo – privo di prima classe – da essersi fatti notare dalla donna, che al contrario, aveva cercato di godersi il volo con i suoi auricolari viola nelle orecchie, non trattenendo un sospiro di sollievo nel constatare che nessuno aveva voluto importunarla. Perciò rimase in parte sorpresa di ricevere così tanta attenzione; in effetti, lei non era nessuno. Il sorriso affiorato poco prima, fu soffocato dalla realizzazione che tutto ciò che ora la stava circondando, era reale. Aggrottò le sottili sopracciglia nascoste dal cappello e ringraziò i suoi occhiali che la proteggevano da quei flash – che ingannavano, che tentavano – e dalle profondi occhiaie che neanche più i correttori riuscivano a coprire. Gli ultimi tre mesi non era riuscita a dormire in orari precisi o per più di cinque ore di seguito. Le oxford, laccate da un caldo colore come il beige, scricchiolavano sul pavimento dell'aeroporto. Le sue gambe erano decise ad allontanarsi da quello stormo di uccelli che con le loro domande, puntavano alla sua giugulare. Se solo rispondere ai loro quesiti privi di pudore, le avesse reso la libertà, avrebbe ceduto loro ogni qualsivoglia segreto. Ma conoscendo fin troppo bene gli individui in questione, sapeva che anche dopo averla dissanguata, avrebbero giocato con la sua carcassa morta, alla ricerca di chissà cosa, scavando ed illudendosi di aver trovato qualcosa di nuovo, di sporco. Accelera ancora di più il passo, mentre la valigia scarlatta che stringe dal manico in pelle, urta sulle gambe, come ad intralciarla.




*




I normali vetri di un normale taxi, proteggevano lo sguardo – di un celeste opaco – della giovane donna, che cercava invano di non affidarsi a se stessa, di non perdere tempo – e cuore – nell'osservare le ricche strade londinesi. Non era davvero preciso il motivo per il quale si trovava proprio in quella capitale europea, ma Taylor cercava di non rifletterci troppo. Aveva vissuto gli ultimi mesi in quel modo, evitando ogni sorta di ragionamento, solo in questa maniera si sarebbe goduta il suo spazio senza doversi avvalere di sensi di colpa inutili e dolorosi. Ma ora che l'umidità di Londra aveva cominciato a superare lo strato di vestiti che coprivano il suo busto, sentiva i ricordi riaffiorare e la cassa toracica premere sui polmoni fino a farle mancare l'aria – anche se a Taylor Swift, mancava ben altro -. Se c'era una cosa che poi sapeva distrarla al meglio, erano le favole. In quel periodo però, aveva deciso di dedicarsi al suo passato, un po' per ricordare cosa l'avesse spinta a lottare per realizzare il suo sciocco sogno, un po' perchè la nostalgia non è mai abbastanza, anche alla sua giovane età. Aveva così ritrovato i libri grazie ai quali aveva studiato per seguire i corsi scolastici ed alla fine, diplomarsi. Tra fogli colmi di segni rossi e temi basati sui testi delle sue prime canzoni, Taylor aveva ritrovato un libricino che primeggiava su tutti gli altri con il suo titolo, non poco estraneo ad una Taylor di pochi anni più giovane. Il “Simposio” di Platone, l'aveva intrattenuta per quasi più di un mese. Non che ci avesse messo tanto a rileggerlo, ma tra vecchi appunti illeggibili e proposizioni articolate, per comprenderlo al meglio, ci aveva impiegato molte più letture. Era strano come, a distanza di anni, Taylor si ritrovò a sottolineare con un evidenziatore dello stesso colore, le stesse frasi che da adolescente le erano piaciute al primo impatto. Ricordava con attenzione ogni storia narrata dai filosofi che avevano partecipato al simposio, ma con più rammarico, non riusciva a non pensare alle prime pagine. Il mito narrato da un tale Aristofane, l'avevano resa consapevole di cose che in realtà già sapeva. Taylor mancava. Ecco cosa, Taylor mancava di una parte di sé e richiedeva con estremo desiderio, di acquisire quella parte di se stessa, che le spettava di diritto. Perciò, non ci aveva pensato due volte – anzi, non ci aveva pensato affatto – e senza avvisare nessuno, era partita verso il primo luogo che le era saltato in mente. Verso ciò che le avrebbe restituito l'intero. Ma la domanda che aveva posto in uno spazio remoto della sua testa, era formata da una semplice parola: chi?

Perchè, pur se all'inizio aveva accettato con entusiasmo questo viaggio non programmato, ora si rendeva conto che non sapeva neanche da dove cominciare. Non riusciva a capire se stessa e a dare un contegno all'ipocrisia che aleggiava nella sua testa. Perchè se da una parte, voleva trovare quel qualcosa che le mancava, dall'altra, non aveva intenzione di scoprire cosa poi sarebbe successo a se stessa. Insomma, non era ancora pronta a veri e propri cambiamenti! Eppure continuava a ostentare quel desiderio con ardore, sperando allo stesso tempo di rimanere delusa. Ne era così abituata, che se fosse successo il contrario, non avrebbe saputo apprezzarlo.

Il taxi cominciò a rallentare, finchè il tassista non le rivolse cordialmente la parola per avvisarla di essere giunti alla meta predisposta. Pronta a pagare l'uomo, Taylor sfilò dalle tasche il suo borsellino, ma il tassista la fermò immediatamente, porgendole in cambio una penna ed un foglio macchiato ai lati da una bevanda scura, probabilmente caffè. - “E' la cantante preferita di mia figlia, se non creo troppo disturbo, potrebbe farle un autografo? Il suo nome è Penny” - timidamente, la voce rauca di quest'ultimo, giunse alle orecchie della donna, che senza far cenno di stanchezza, aveva sorriso sinceramente alla richiesta di questo padre. Perciò, scrisse alcune parole per Penny, aggiungendo annotazioni personali riguardo alla rarità del suo nome. Pagò comunque l'uomo (il mio nome è Carl, Mrs. Swift) e uscita dall'automobile tinta di un giallo invecchiato, tirò fuori dalla piccola valigia un ombrello, pronta ad affrontare le prime gocce di pioggia. L'appartamento che aveva affittato non era molto lontano, ad un angolo di distanza dal luogo in cui si era fatta lasciare. Amava camminare sotto l'ombrello, in più non voleva essere vista mentre arrivava direttamente al suo nuovo appartamento. Vi giunse in pochi minuti e dopo aver riconosciuto la facciata – in puro stile inglese – raccolse le chiavi da una tasca secondaria e vi entrò. Formato da soli tre vani – camera da letto, cucina, soggiorno, bagno – quel piccolo appartamento, le parve simile alla casa in cui aveva vissuto prima di trasferirsi a Nashville. Le parve un dejavù; uno scherzo del destino che ora le stava ricordando come la sua vita fosse stata semplice, prime di intestardirsi con il mondo della musica. Potevano sembrare pensieri dettati dalla rabbia, dalla delusione, dal rancore; ma Taylor non era arrabbiata, semmai, era fin troppo calma. Si stava lasciando trasportare dal tempo, cadeva fitta come la pioggia, trascinata dalla forza di gravità verso il centro della terra. Un'altra forza però, l'aveva portata lì. A chiedersi il motivo, non ci pensava neanche. Perciò, per occupare il suo tempo, osservò le stanze e constatò se i suoi vestiti – precedentemente inviati in quell'appartamento – fossero tutti lì. Sul letto a baldacchino, vi era stesa la sua chitarra, quella decorata dagli strass e che appunto, luccicava pur con la luce spenta. Stanca, Taylor si adagiò sul materasso, troppo morbido per i suoi standard, ma decise che era troppo stanca per farci caso. Sfiorò con le mani il dorso della chitarra e con le dita le corde, che al suo tocco risposero. Il suono prodotto, sembrò quasi quello delle fusa che Meredith si diletta di farle quando l'accarezza sotto il collo. Sorrise sentendo la nostalgia del suo gatto, ma prima di perdersi in altri ricordi, si rialzò, andando alla ricerca della valigia lasciata in cucina. Trovata, l'aprì, ritrovando immediatamente l'oggetto desiderato. Il libricino una volta nuovo, ora era decorato da una copertina quasi del tutto inesistente e da macchie di tè al limone. Taylor lo strinse tra le mani, raggiunse nuovamente la camera da letto e accomodatasi sul letto, accese la lampada che si ergeva sul comò accanto al letto e si cimentò nuovamente nella lettura di quell'opera, sperando di trovare nuove risposte, che fino ad allora le erano sfuggite.



Ed è ignobile quell’amante volgare che s’innamora piuttosto del corpo che dell’anima; e del resto non può essere nemmeno costante, giacchè è innamorato di qualcosa che costante non è. Non appena appassisce il fiore del corpo, di cui era innamorato, s’invola lontano, smentendo tanti discorsi e tante promesse; ma chi s’innamora di un nobile carattere, ne resta amante per tutta la vita, in quanto si fonde a cosa che resta




*




Andava alla ricerca della sua stessa immagine. Le gambe si flettevano ad ogni suo comando, senza comunque avere un vero intento. Taylor provava in ogni modo a non respirare con la bocca, consapevole che ciò le avrebbe rallentato il passo, graffiando la sua gola e riempendo i polmoni di aria non necessaria. Le narici si allargavano e si restringevano, mentre le labbra sempre più secche, cominciavano a perdere la loro forma. I piedi affondano in un pavimento morbido, che rendeva faticoso il suo passo e piacevole la fatica. Lo specchio che si ergeva in fondo al corridoio, pareva sempre più vicino, ma non appena solo dieci falcate mancavano al raggiungerlo, questo si allontanò un'altra volta, portando via con sé la sua immagina che ora sembrava solo un macchia di giallo e rosa. Nuda di ogni speranza, priva di una qualsiasi realizzazione e ceca, ceca della realtà.


Si svegliò di scatto ed a quel movimento, susseguirono cigolii proveniente dalla rete sottostante al materasso ed un rumore sordo, provocato dalla caduta del libricino che era rimasto sul suo petto per tutta la durata di quell'incubo. Pallida e con la fronte madida, Taylor accese con le mani tremanti la lampada rimasta sul comò. Boccheggiò e tenne la mano sinistra sul petto, accanto al suo cuore, provando a ristabilire il suo battito accelerato. Sentì ciocche di capelli appiccicate sulla fronte a causa del sudore, cercò così di spostarle, senza però ottenere l'effetto desiderato. La testa le doleva, la crocchia era rimasta lì per tutte quelle ore ed ora presentava i suoi conti. Percorsa da un brivido, la ventiquattrenne si alzò e cominciò a liberarsi dagli indumenti che ancora indossava. La giacca – precedentemente tolta – era poggiata ordinatamente su una sedia, ma Taylor non aveva la stessa pazienza di prima, voleva solo togliersi di dosso quella sensazione umidiccia che le ricordava quella del sogno appena avuto. Si sfilò il maglione – gettandolo sul pavimento di legno – poi passò a sbottonarsi la camicia quasi del tutto bagnata – la quale fu gettata accanto al maglione – ed infine, giunse ai pantaloni che erano stati una scelta così comoda, mentre ora si rivelano stretti ed impossibili da tenere. Con le mani, cercava di liberarsi da quella seconda pelle e presa dal nervosismo, cominciò a muoversi per tutta la stanza, finchè il pantalone non si abbassò fino alle caviglie. Solo allora si stese sul materasso, ritenendo piacevole la sensazione di fresco che il piumone stava dando alla sua schiena nuda. Chiuse così gli occhi mentre con i piedi, si liberava completamente di quella trappola. La sensazione di fresco però, sparì quasi immediatamente e lo sconveniente calore di prima, ricominciò a diffondersi per il suo corpo. Pronta a non volersi dare per vinta, si rialzò, scelse dei comodi e semplici indumenti puliti e si avviò verso il bagno.


Le mattonelle, dello stesso colore caldo che caratterizzava la cucina, ornavano tutto il pavimento del bagno, alternandosi con altri mattoni dalle sfumature diverse appartenenti allo stesso marrone. Le quattro mura, erano invece colorate da un leggero rosa cipria, quasi tendente al beige. Taylor decise di non soffermarsi troppo sul design di quel luogo. Sarebbe stata solo una casa provvisoria che avrebbe dovuto lasciare entro due settimane. Perciò, diresse la sua attenzione verso la cabina doccia. Si sciolse i capelli e cercò con le sottili dita di districare i nodi, ma l'umidità li aveva resi ancora più indomabili – se ciò fosse stato possibile – e dopo uno sospiro che racchiudeva ben altro che l'odio verso i suoi capelli, Taylor si spogliò della sua biancheria intima e si accomodò all'interno della cabina doccia. Rasserenata dall'ondata di piacere che stava per ricevere da un semplice bagno, Taylor aprì l'acqua, aspettando che quest'ultima giungesse alla temperatura desiderata e quando accade, si concesse un minuto per rilassarsi. Chiuse gli occhi e con la testa posizionata difronte all'acqua che scorreva, aspettò che questa, scivolasse sul suo corpo e che portasse via con sé, ogni nervo teso o che perlomeno, nascondesse tutti quelli tesi e vulnerabili ad ogni tipologia di pensiero. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto fare i conti con ciò che era, con ciò che le stava accadendo e soprattutto con la sua vigliaccheria, ma tutto era accaduto perchè voleva sognare, perciò, se fosse stata in tempo, avrebbe potuto modellare quel suo sogno fino a renderlo piacevole. Tesa – forse anche più di prima – Taylor si accorse che l'idea della doccia, non aveva risolto nessun problema e se, una frivola idea come quella non aveva portato a nessun risultato, quella di viaggiare verso un continente diverso, avrebbe potuto portarla al successo? Nuda come nel suo sogno, Taylor si appoggiò al lavandino, per poi accomodarsi sulle mattonelle. Tendeva l'indice sulle linee grigie che dividevano un mattone dall'altro e fissava il vuoto che aspettava di ritrovarsi una volta uscita da quella casa. Quelle mura ora, fungevano da rifugio, come in passato aveva fatto un'altra casa nella sua città natale. Prima, era troppo accecata dalle sue stesse parole – desideri – per poter capire cosa l'aspettava, ora invece, era consapevole – fin troppo – che aldilà di quelle mura rosa cipria, si nascondeva un inferno a cielo aperto. Molestata da se stessa, Taylor si rialzò e si avvolse in un asciugamano bianco, uscì dal bagno per riaccomodarsi in camera da letto. Lungi dall'aver la forza per poter fare una qualsiasi altra azione – anche quella di respirare (suppose la sua testa nel vivo di un ragionamento; una libertà di pensiero mai concessa negli ultimi mesi) – lasciò i capelli bagnati gocciolare sulla sua schiena e macchiare il pavimento ad ogni suo passo. I piedi nudi, lasciavano orme delicate sul pavimento che ora sembrava troppo ripido per essere percorso ad una velocità maggiore. Era come ritrovarsi in una favola, una Taylor inconscia del futuro, lasciava dietro di sé tracce del suo passaggio, affinchè qualcuno la ritrovasse. Hansel e Gretel. Quei due nomi si posizionarono davanti ai suoi occhi, ma fu un lampo breve, dalla durata di nanosecondi. Un lampo che riaccese il blu del mare in tempesta all'interno delle iridi che parevano vuote, ma che si spense, portando via con sé una scintilla che chissà quando si sarebbe potuta riaccendere.


Si stese sul letto sfinita, ma certa che non avrebbe potuto dormire, che i brividi che ancora sentiva attraversare costantemente la sua schiena, non erano frutto dello sbalzo di temperatura che aveva affrontato dal bagno fino alla sua camera, ma erano ancora segni di quell'incubo che non si decideva di lasciarla andare, di rompere con lei. Con quale ironia riuscì a pensare quella frase, fu a lei stessa sconosciuta, ma le labbra – ora umide – la ringraziarono accennando un sorriso, spezzato dal malumore che non voleva darle un attimo di pausa.


Taylor a volte incolpava se stessa, consapevole che l'unica cosa che le rimanesse, che rendesse quel suo avvenire reale, quel suo passato degno di essere ricordato – e rifatto, se fosse potuta ritornare indietro -, era proprio il dolore. Quel dolore direttamente proporzionale alla gioia che aveva vissuto. Forse era qualcosa che riguardava il karma, una reazione, una legge universale. Perchè il destino può darti tutto e togliertelo senza neanche una ragione valida. Abbastanza valida da non poter essere confutata ed abbastanza giusta, da non poter essere ribattuta.




*




Sei a Londra e non mi hai avvisato. - HS




Sei a Londra, non mi hai avvisato e effettivamente, non so dove tu possa essere ora. - HS




Dove posso raggiungerti? - HS




Continuerai ad ignorarmi per quanto ancora? - HS




Avvisami, così potrò organizzarmi in diverso modo. - HS




Sei a Londra, non mi hai avvisato, non so dove tu sia, ma ti sto raggiungendo. - HS




64-65 Princess Square, - TS




*




Le sottili dita stringevano rigide il telefono – bianco, sorpassato da altri modelli -, una mela morsa di color argento era ancora visibile da lontano. Il telefono producevano alcune vibrazioni che invece di disturbare il precoce sonno della stessa donna, riuscivano a risuonare come dei punti di riferimento ai quali aggrapparsi in quel preciso momento, per poter rimanere vigile ora che era attratta dal desiderio di dormire. Altre vibrazioni disturbavano Taylor, fremiti che rimarcavano il ricordo di quell'incubo che la vestiva di preoccupazione. Pressata da un'ansia dipendente da complessi e fissazioni prive di solide basi, aspettava solo che le cose cambiassero senza che lei facesse alcunché. La vita era così ingiusta, le persone così corrotte e il mondo così sbagliato. E lei era così cinica. Era così facile prendere una posizione, esporre il proprio disgusto per ogni minimo particolare, inconsapevole che i particolari formano il tutto, che in quel tutto c'era anche lei. Il problema di fondo era sé stessa – letteralmente. Era lei che non riusciva ad accettare sé stessa – ed ancora – era lei quella sbagliata, non il mondo. Faceva parte di un quadro che avrebbe mozzato il fiato a chiunque, eppure si sforzava di fare da spettatrice, indifferente del resto perchè troppo preoccupata del proprio giudizio. Ora giaceva su quelle lenzuola umide e aspettava che il resto cambiasse affinché potesse essere accettata. Serrò gli occhi con audacia, ribelle al proprio istinto di autoconservazione. Accecò il senso della vista nascondendosi dietro la volontà di voler affrontare il buio; contemporaneamente impose al senso dell'udito di non svolgere il suo dovere, impegnata a svolgere il suo quotidiano ruolo nel libro della sua vita, ove la vigliaccheria era un tratto della sua persona. La linea tra fantasia e realtà era così sottile.




Aprimi. - HS




Stava accadendo e lei stava cadendo. I polmoni erano a corti di aria, necessitavano riempirsi di ossigeno, ma Taylor riusciva solo a boccheggiare. I capelli ancora umidi inumidivano la sua fronte e da una ciocca che era rimasta sulla sua guancia, scivolò una goccia d'acqua che inumidì il lato destro delle sue labbra che fino ad allora erano rimaste secche. Le due linee rosate si strinsero tra di loro, fino ad assaggiare il sapore di quello shampoo che ora risultava acido sulla lingua. A nemmeno dieci metri di distanza, qualcuno continuava a bussare alla sua porta, contemporaneamente il cellulare continuava a vibrare. Tutto ciò andava a pari passo con il battito del suo cuore, che risultava fastidioso alle sue stesse orecchie con quel silenzio interrotto da distinti richiami che provenivano dal mondo esterno. La schiena scivolò con difficoltà dalle coperte e le gambe attutirono la caduta avvenuta in pochi secondi. La mano libera di Taylor aveva cercato di aggrapparsi alla federa, ma troppo stanca – cercava di ripetersi che era quello il motivo – non era riuscita a fermarsi. Appena riuscì a reggersi in piedi, lasciò il telefono sul materasso e stringendo l'asciugamano da un lato, con passi che procedevano ad una velocità incostante, raggiunse la porta. La mano scivolò sulla serratura ed aprì la porta.


Gli occhi celesti di Taylor, si affacciarono sullo sfondo. Una londra notturna e colma di colori freddi, veniva illuminata da alcuni lampioni. Le strade deserte e il rumore di rare macchine che percorrevano la street, erano la chiara prova dell'ora tarda. Un cappello nero – firmato Fedora – copriva la visuale e due lampioni dai colori inverosimili – verdi – accecavano lo sguardo della giovane donna – frastornato dall'eccesso di luci, dopo aver affrontato ore al buio -. Non faceva freddo, nessun vento improvviso colpiva la pelle pallida – e visibile -. I capelli continuavano a gocciolare, attratti dal centro della terra, mentre lei se ne stava lì, immobile, inalterata dalla sua presenza. Taylor si ritrovò a corrugare la fronte per i pensieri che cominciavano a depositarsi nella sua testa. Avrebbe potuto essere chiunque – giornalisti – e lei aveva aperto senza nemmeno preoccuparsene. Una sua mano si avvicinò al suo viso, il palmo si poggiò sul collo, mentre con il pollice – pressione dei calli sulla pelle, ore passate ad imparare a suonare la chitarra -, scansò quella stessa ciocca di capelli che per l'umidità non aveva voluto spostarsi.


Un sospiro sfuggì dalle labbra di Taylor che difficilmente riuscivano ad aprirsi – troppo tempo rimaste serrate -. Il sospiro si trasformò in un leggero sorriso e quest'ultimo in una sonora risata. Qualcuno avrebbe potuto indicarla come isterica. La persona che dinanzi a lei raggiungeva la sua stessa altezza, fu contagiato dal riso, ma decise di non far nessun passo in avanti. I suoi lineamenti – modificati dall'ondata di riso da cui era stato colpito – ora erano ritornati rigidi, persuasi dalla serietà iniziale di quella situazione. Taylor al contrario, era rimasta fedele a se stessa e con le labbra dipinte di un rosa più acceso, continuò a sorridere. Gli occhi si posarono sul cappello e le dita della sua mano destra, lo raggiunsero per poi levarlo via dalla sua testa. Il riccio crespo e poco curato dell'uomo, resero la sua figura più spensierata e i lineamenti che fino ad allora avevano reclamato serietà, furono addolciti. - “Questo è mio” - dichiarò con la bocca ancora impastata per il sonno. La sua voce tentennò e risultò sgradevole all'udito. Stridula per il troppo tempo rimasta zitta, spezzata da pause non necessarie e dovute alla gola che bruciava perennemente per le troppe lacrime versate. - “Sono venuto a riportartelo” - aggiunse con un sussurro ancor più basso. Taylor non seppe cosa dire, immune ad ogni tipo di ragionamento, ora pareva confusa difronte ad Harry. Il suono della sua voce l'aveva riportata alla realtà ed ora poteva sentire l'umidità di Londra perforare le sue ossa e rendere difficile il suo respiro. La sua inaspettata presenza non aggiungeva un peso sulle sue spalle, al contrario le donava un piacere insolito. - “Dovresti farmi entrare” - la fronte corrugata di Harry, minacciò il verde dei suoi occhi, che si fecero più scuri. - “O cacciarmi” - ne seguì un nuovo sguardo, carico di aspettative. - “Non pratico la medicina, ma credo che una lunga esposizione al freddo senza essere completamente coperti, non sia una scelta saggia” - le fossette fino ad allora rimaste invisibili, si fecero largo sul viso di Harry e punta da un inspiegabile desiderio, Taylor portò l'indice verso il suo viso, pronta ad affondarlo in quei solchi. Resasi consapevole che il suo gesto sarebbe risultato ambiguo, deviò traiettoria, afferrando con una mano il bavero della sua giacca e trascinandolo all'interno del suo appartamento. Harry fu sorpreso dal suo gesto, ma non si tirò indietro ed attratto dalla forza di questa donna, fu portato a scontrarsi contro di lei. Anche se era coperto da strati di vestiti, poteva sentire la freddezza della pelle nuda della ventiquattrenne, che ora – più pallida che mai con l'assenza di una qualsiasi luce – era colorata solo sulle gote, infiammata da un rossore che fortunatamente era impossibile da constatare.


Taylor boccheggiò, stranita dall'afflusso di sangue che irritava le sue guance, ma soprattutto, rimase perplessa per la moltitudine di pensieri che ora stava stordendo ogni fibra del suo corpo. Risalivano su per la schiena ed esplodevano come fuochi d'artifici all'interno della sua testa. Si chiese se il solo freddo, potesse causarle tanti affanni, se quel posto e quell'assenza di parole, potessero depositare in lei qualche sintomo.


Il cappello le scivolò dalle mani e pronta a sottrarsi a quello sguardo, si porse per raccoglierlo. Resasi conto che anche Harry cercava di fare lo stesso, provò a fare un passo indietro, ma fu inutile. Le loro fronti si incontrarono e il gemito di dolore che fu strappato da entrambe le labbra, divenne una risata che scaldò le membra di Taylor, che da parte sua, cercava di reggersi con le mani sul pavimento. Harry teneva la mano sulla parte dolorante, mentre il capello – unico muro materiale che interpretava la distanza accumulatasi tra di loro – rimaneva sul pavimento.


-“Stai bene” - accennò Harry con i gomiti poggiati sul pavimento e le gambe distese.
Per molto tempo – contarlo era stato inutile – Taylor aveva ricevuto lo stesso messaggio dettato da voci dalle tonalità distinte. Il telefono squillava con una suoneria fastidiosa e narrava l'avvenire di un altrettanto fastidioso messaggio. Lo stesso di sempre, dettato ripetutamente da diverse mani. Era stata osservata nell'attesa che potesse esplodere, che l'accumulo che ormai si era formato all'interno della sua vita fosse spazzato via, come per magia. I calli che aveva portato come segni di vittoria sulle dita – vittoria di una sciocca sedicenne sui propri sogni – ora erano nascosti agli occhi di chiunque; facevano da testimoni alla sua sconfitta, alle menzogne raccontate e riassunte in una parole ripetuta infinite volte. Come se a raccontarsi la stessa favole si potesse imparare dalla morale ad affrontare la vita, Taylor aveva deciso che se lo aveva detto quotidianamente e senza fare obiezioni, dovesse essere vero.


Stai bene?

Si.



Labbra inumidite da risate passate già in secondo piano, si apriva e richiudevano lentamente per poter dar aria al cervello. Quella di Harry non era stata una domanda, né dal suo tono di voce era riuscita a cogliere del sarcasmo. - “Sto bene” - disse con semplicità, le labbra stirate in un sorriso genuino e gli occhi inumiditi da chissà quale pensiero, pronte a portarsi via la polvere che l'aveva resa ceca. - “Ti andrebbe di alzarti dal pavimento e di sederci da qualche altra parte?” -
-“Non mi stai cacciando?” - sospirò lui. - “No. Ma forse. Più tardi” - si alzò per poi stringersi nel suo asciugamano e inoltrarsi nella sua camera. Lui la seguì, insoddisfatto dalle sue ultime parole e da se stesso. Interrotto dall'arrivo di quella donna nella sua città e contrapposto al desiderio di andare via ed essere lui – questa volta – quello a scappare. Insoddisfatto da se stesso, perchè era troppo egoista per lasciarla andare – ma troppo volubile per essere ciò di cui lei ha bisogno. Ma era la sua migliore amica, doveva pur far qualcosa. Non ne era obbligato, ma allo stesso tempo lo era. Non poteva rimanere fermo, non ora che era riuscito a ritrovarla.


Taylor afferrò qualche indumento e raggiunse il bagno. Harry non disse nulla, aspettò il suo ritorno – perchè stavolta non doveva cercarla, era proprio lì – e accomodatosi sul letto, scansò la chitarra e incuriosito, raccolse un libro poggiato al suo fianco. Tra le pagine segnate, un rosa acceso sottolineava più volte il medesimo paragrafo.


Ma oltre che di giustizia, Amore è dotato di somma temperanza. E’ infatti opinione comune che dominare i piaceri e gli istinti è frutto di temperanza, e che non esiste piacere più forte di Amore; e se tutti gli altri piaceri sono più deboli, finiscono con l’essere sopraffatti da Amore, e così egli domina, e dominando piaceri e istinti Amore eccelle in temperanza


Strinse gli occhi, li riaprì ed infine li richiuse nuovamente. Aggrottò la fronte e dopo aver poggiato il libro aperto sul suo petto, si toccò la fronte per poi massaggiarla. Se c'era una cosa che Harry aveva sempre saputo dell'amore, è che non si può dominare. E' lui che domina te, che prende spazio nella tua vita e supera gli altri desideri che fino ad allora si erano ritenuti importanti. Era semplice saperlo, arrivare a quella conclusione in una sala di registrazione, con le chitarre che suonano e il pentagramma che deve essere riempito. Però, ora che l'unica chitarra che aveva vicino non stava suonando ed un libro – inchiostro su carta – gli rivelava quanto impertinente questo sentimento si rivelava, non pote non pensarci. - “Cosa fai?” - la voce di Taylor, di un tono più alto di prima, lo fece sobbalzare. Le sue mani facevano ciondolare davanti al suo sguardo il libro che poco prima stava leggendo. I capelli ancora bagnati, ora erano sistemati dietro le orecchie. Ancora non abituato a vederli così corti, si morse le labbra a disagio. Al posto dell'asciugamano, una vestaglia avvolgeva la figura minuta di Taylor e si poteva anche intravedere una camicia da notte al di sotto. - “Ti stavo aspettando, mi annoiavo e ho trovato questo sul tuo letto” -


-“Platone? Davvero Taylor? Non lo leggi dai tempi del diploma” - Taylor sbuffò per poi muovere la testa e rendere i suoi capelli più sbarazzini. Sorrise, tolse la chitarra dal letto e la sistemò in un angolo della stanza. Infine, come una bambina, si accomodò sul letto facendolo muovere più del dovuto. Entrambi stesi in avanti, ma ognuno con uno sguardo rivolto altrove. Harry teneva la testa girata verso il suo viso, pronto a imprimere nella sua memoria il profilo della ventiquattrenne e Taylor volgeva la sua attenzione al soffitto. - “Ricordi quando dicevo che la musica per me è arte?” - chiese all'improvviso Taylor. - “Dicevi anche, che volevi prenderti l'impegno di creare una tua arte. Affinchè chiunque potesse comprenderla” - aggiunse lui, con gli occhi ora volti a quei lontani giorni in cui entrambi condividevano lo stesso sogno. Bambini con pochi anni di differenza che riuscivano a capirsi. - “Ho fallito” -
- “E non ti azzardare a dire che non è vero, perchè ho fallito. Nessuno è riuscito a comprendermi, perchè la musica non è arte” - scattò Taylor, con il cuore che batteva forte e faceva da eco a tutte le parole che aveva sempre avuto paura di pronunciare. Il volto ora era girato verso Harry e gli occhi illuminati da una scintilla che avrebbe potuto avere il sapore della collera. E dell'amarezza. - “E cos'è l'arte?” - chiese Harry rilassato, mentre Taylor si addolciva al ricordo del loro libro preferito.

-“Una malattia”-*

-“La religione?”-

-“Il surrogato elegante della fede” -

-“Sei una scettica” -

-“No davvero. Lo scetticismo è il principio della fede” -

-“Ma che cosa sei?” -

-“Definire è limitare” -

-“Dammi un filo” -

- “I fili sfuggono di mano. Ti smarriresti nel labirinto” -

-“E l'amore? Dimmi Taylor Swift, tu che osi cantare di amore e delle conseguenze amare e dolci che può portare all'interno delle nostre misere vite. Tu che canti di come esso ci domini e di come, ladra della nostra razionalità, ci spinga a fare l'improbabile. Dimmi, cos'è l'amore Taylor?”

- “Un'illusione” -


Persi l'uno nel respiro dell'altro, si baciarono. Harry poggiò la sua mano sulle sue guance, l'altra sulla sua vita per poter trascinare verso di sé il suo corpo, affinchè neanche l'aria potesse dividerli. Taylor si aggrappò alle sue labbra, dominata da quella illusione che già anni prima l'aveva ingannata e che ora le mostrava il meraviglioso della vita, prima di farla cadere sulla terra fredda.

Mani che si cercavano e sussurri che risuonavano solo nelle loro teste, mentre Dorian Gray, venuto a patti con i suoi peccati, cercò nella morte un mezzo per liberarsi, loro lo trovarono nell'amarsi.






____________________________________________________________________________________________________________





 
And if you know me like I know you,
you should love me, you should know.
Friends just sleep in another bed
and friends don't treat me like you do.
Well I know that there's a limit to everything,
but my friends won't love me like you


- Ed Sheeran, “Friends”.



















Angolo dell'autrice:

Salve a tutti, era da molto che non pubblicavo nulla. Appena finita la scuola, ho cominciato a lavorare su quest'idea. Semplicemente ascoltando “Friends” di Ed Sheeran, una trama si è formata all'interno della mia testa. Dopo notti passate a metterla in ordine, ho cominciato a scrivere. Normalmente, quando mi viene un'idea, scrivo di getto e posto, senza prestare attenzione ai particolari o senza elaborare al meglio alcune parti. Stavolta ho fatto le cose con calme e in modo criptico. L'idea di fondo è questa: Harry e Taylor sono amici fin dall'infanzia, il resto è storia.

Ho aggiunto molte parti, con l'aiuto del mio professore di filosofia (grazie al quale Platone non potrà mai abbandonare la mia testa) ho cominciato a approfondire la psiche dei personaggi, cercando di renderli coerenti e non perdendomi in proposizioni senza senso e colme di parole complicate. In più, dandomi più tempo, ho avuto modo di leggere “Orgoglio e pregiudizio” di Jane Austen – il quale consiglio a tutti – che ha ispirato lo stile di questa storia e mi ha dato lo spunto per vari passaggi. Infine, l'ultima parte – la presenza di Harry e il dialogo accompagnato dai loro pensieri – è ispirato alla mia ultima lettura, ovvero “Il ritratto di Dorian Gray” che mi ha impegnato per diverso tempo. Nell'ultima parte del dialogo infatti, prima del famigerato bacio, le prime nove battute (accompagnate infatti da un asterisco*) sono prese da quest'opera. Infatti, è – secondo la mia storia – il libro preferito dei due protagonisti, che hanno letto durante la loro adolescenza insieme. Perciò, stanno citando il loro libro preferito (che romantica/i).

Credo di aver finito – e di aver detto fin troppo?

Comunque, questa storia nasce come one shot, ma dovrei continuare, perchè le idee più elle nascono sempre a testo concluso. Alla prossima! E grazie se leggerete/recensirete :)
  
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Taylor Swift / Vai alla pagina dell'autore: Readme