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Autore: Marlene Ludovikovna    08/07/2014    16 recensioni
È il 1936 quando il giornalista inglese Thomas Bartley, durante un viaggio in Marocco, s'infatua della giovane Kitty Pfenning, una sognante ragazza austriaca sempre immersa nelle sue letture, in viaggio con i genitori.
Quando Kitty deve ripartire per l'Austria i due iniziano a scriversi condividendo tutto e continuando le loro vite. Thomas diventa un giornalista piuttosto acclamato mentre nel frattempo Kitty cresce e, con l'avvento del nazismo, è sempre più decisa a scappare per l'Inghilterra e a raggiungere Thomas.
Un legame intenso, insofferente, sincero e un po' egoistico unisce Kitty e Thomas, decisi a ritrovarsi e ad amarsi senza ritegno.
- La vide e si sentì pieno d'una gioia stridente; essa nacque spontanea dentro di lui, nel momento in cui potè risentire il corpo Kitty tra le sue braccia: ora poteva davvero sentire che era vera. Poteva toccarla, stringerla a sé e sentire il profumo dei suoi capelli.
Non erano più a Tangeri, erano a Londra. Il profumo speziato era sostituito da quello umido della stazione. Tantissimi avvenimenti si erano successi per arrivare alla loro unione e ora erano lì ed erano insieme.
“Chi tu non abbandoni, né tempesta né pioggia lo faranno tremare...” Sussurrò Kitty. -
Genere: Angst, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
Capitoli:
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Nota al titolo

Né tempesta né pioggia fa parte di un verso della poesia di Goethe Canto del viandante nella tempesta ed è una poesia a cui sono molto affezionata, come sono affezionata anche all'autore. 
Cito il verso che ha ispirato il titolo: 
Chi tu non abbandoni, Genio, 
né tempesta né pioggia 
lo faranno tremare. 
Chi tu non abbandoni, Genio, 
La nube tempestosa 
e la bufera della grandine
affronterà cantando 
come l'allodola, 
o tu lassù! 

Ciò nel contesto in cui l'ho inserito si riferisce alla forza degli amanti nel ritrovarsi e nell'amarsi ancora. Ciò si svilupperà dalla seconda parte del racconto in poi. 


 
 Parte prima 



Capitolo primo.




C'è sempre un po' di perplessità negli arrivi. 
 I viaggiatori si ritrovarono davanti agli occhi l'imminente paesaggio di Tangeri, che sembrava venir loro incontro, mano a mano che la nave si avvicinava. 
Thomas Bartley si tolse gli occhiali e notò che il cielo era come denso, sembrava talmente compatto che avresti potuto toccarlo con la mano. 
Dorothy... disse lui spostando la mano nell'aria, a chiamare una donna bionda, interamente vestita di bianco. 
L'atmosfera qui non sembra più densa? Chiese lui. 
Maxwell Fane, occupato a guardare il paesaggio con il cannocchiale, non lo sentì neanche. 
Dorothy Haddleton Fane, che era impegnata a scimmiottare i movimenti del marito, si girò subito. 
Be', caro, credo sia... Il caldo. Rispose la donna, altezzosa e composta, con il suo accento che era più britannico anche del tè al bergamotto, portandosi il bianco scialle dall'altra parte con un gesto fluido. 
Mh, ma è un caldo strano... Sembra come se ci sia una specie di pulviscolo, come... La sabbia. Vedi, è come se tutto sia ricoperto da un sottile strato di sabbia. Disse Tom, gli occhi fissi verso il cielo con una mano a coprirsi dal sole. 
Thomas provò a parlare con Maxwell, che diceva di aver letto parecchi libri sull'argomento, ma quest'ultimo era troppo preso dal suo cannocchiale. 
Oh, non ti ascolterà mai. Cristoforo Colombo è troppo occupato a guardare dal suo cannocchiale... Oh, guarda, sembra aver avvistato terra! Che bravo! No, aspetta non è che poi si è sbagliato e siamo finiti in Germania? Perché con questo caldo non mi sembra abbastanza evidente... E poi non la timona nemmeno lui la nave. Povero scemo...
Mentre sbeffeggiava il marito, Dorothy aveva sempre quel sorriso glaciale che mostrava i denti bianchissimi – in modo quasi innaturale – e in quel sorriso le si innalzavano gli zigomi e le curatissime sopracciglia, mettendo in risalto gli occhi di un azzurro chiarissimo e dalla forma perfettamente rotonda senza essere troppo grandi. 
Dorothy era una di quelle donne che aveva ancor più grazia nell'atto derisorio. 
La sua bellezza matura, ironica, arguta e quel viso così inglese s'addicevano alla perfezione alle beffe. 
E così stava ferma lì, mentre guardava il marito con un'espressione tra il divertito e il disgustato. 
Thomas aveva già assistito a più o meno cinquanta battibecchi da quando erano partiti dall'Italia insieme e da quel momento in poi aveva intenzione di tenere il conto. Per quanto i due fossero persone gradevoli, Dorothy fosse una delle persone più  argute che Tom avesse mai conosciuto e Maxwell fosse una persona gentile e di buona compagnia, spesso sentiva il bisogno di liberarsi dei due per un po'. 
Ora però non era uno di quei momenti. 
Era un momento perfetto, in cui erano a metà tra il raggiungimento della meta e il viaggio, e le menti dei viaggiatori erano piene dell'euforia tipica degli arrivi tanto attesi. 
Dora, poi l'hai ritrovata la tua collana? Le domandò Tom. 
Oh, sì, sì era nella borsa.
Finirono velocemente di fare colazione, con la brezza mattutina a rinfrescarli. 
Dorothy era diventata golosa di delle brioche al lampone che servivano sulla nave, mentre Thomas si beveva un tè, con le gambe accavallate, mentre guardava il panorama avvicinarsi a lui. 
Mi chiedo cosa abbia da vedere con quel cannocchiale... Continuava a commentare Dorothy tra un morso e l'altro.
Poi fu annunciato l'arrivo e i tre furono aiutati a portare giù i bagagli.
Dorothy si muoveva in un turbine di stoffe bianche seguita da Maxwell e, infine, da Thomas. 
Thomas e Dorothy erano cugini ed erano andati insieme ad Oxford, avendo deciso di studiare Storia.  Tom aveva inventato per Dorothy tantissimi soprannomi come Dorey, Dottie, Dott, Dora, Doris, Rothy, Dore, Dorry e Dodò, mentre lei aveva creato un cocktail a base di rum, té al bergamotto e gin che aveva nominato in suo onore: Bartley. 
Dott Haddleton era stata costretta a sposare un amico di famiglia degli Haddleton che aveva ereditato una fabbrica tessile in India. 
Maxwell era abbastanza disinteressato a Dorothy, ma aveva due grandi passatempi: i cannocchiali e l'architettura. 
Maxwell Fane era il tipo di persona che era simpatica a tutti e che era sempre benvoluto, tranne che da Dorothy. Forse era proprio quello che lei odiava di lui. Stava di fatto che stavano insieme pur non sopportandosi. 
A Tom, Max era sempre stato indifferente. Era il tipo di persona talmente stupida in modo ingenuo che se per alcuni faceva tenerezza, a Tom faceva solamente venire voglia di buttarlo giù dalla nave in mare aperto. Nonostante ciò, averlo vicino non era un supplizio così grande e, anzi, ogni tanto era abbastanza piacevole. 

Quando scesero dalla nave a Dott venne quasi da svenire, mentre Tom restò fermo, stordito dal paesaggio che si trovava davanti. 
Era la cosa più diversa dall'Inghilterra che avesse mai visto. 
E non era che lui viaggiasse poco, ma che quei paesaggi pieni d'arancione in tutte le sue sfumature, e che sembravano racchiudere in sé l'estate più profonda ed eterna, erano solo dell'Africa. 
Due camerieri dell'albergo in cui avrebbero alloggiato furono mandati a prendere le valige e poi i tre vennero accompagnati all'albergo. 
Durante il tragitto Tom si mantenne silente. 
Era un suo tipico atteggiamento quello di estraniarsi, quando vedeva un posto nuovo. Restava fermo, zitto, guardava ogni cosa senza perdersi nemmeno un particolare. 
Una scarpa abbandonata per strada, una sigaretta, le porte, che sembrava non ne esistesse nemmeno una uguale all'altra e di cui ogni serratura aveva intarsi diversi. 
E poi quando ti addentravi nelle strade più strette ed interne sentivi quell'odore acido di arance in decomposizione riempirti le narici. Ciò non era affatto piacevole, ma dopo un po' ci si abituava.
Il loro albergo, il Grand Hotel du Savoy, era sul lungo mare, ed era una struttura in stile imperialista francese, con un portiere vestito di stoffe coloratissime ad accoglierli. 
Tom sorrideva a tutti, affabile, e Max continuava a guardarsi in giro con aria ebete mentre Dott passava tra il guardare lui con un'espressione contrariata e l'osservazione del nuovo posto.
Thomas chiese subito la sua stanza e gli venne data la numero 35, mentre a Dorothy e Max vennero date la 30 e la 28. 
Se c'era una cosa che era apprezzabile di Maxwell era che non s'impuntava per niente con Dot e le lasciava tutta la libertà che voleva entro certi limiti. 
Tom però era certo che sotto quelle sferzanti battute, Dot ci soffrisse un po'. Si era ritrovata sposata ad un omosessuale, costretta dalle due famiglie, con cui prima o poi avrebbe dovuto fare un figlio. Avrebbe preferito tutt'altra vita, ma spesso tra sé e sé fantasticava di essere Anna Karenina. 
Questo a Tom non importava granché – era sempre stato bravo a rimanere piuttosto indifferente davanti ai problemi degli altri -, ma trovava irritante che una persona intelligente come lei dovesse esser vittima dei meccanismi dei benpensanti borghesi. E c'era un'altra cosa a proposito di Dot: lei reincarnava perfettamente la benpensante borghese e nonostante ciò era cinica quasi quanto Tom e c'era una parte remota di loro in cui si sarebbero sempre amati, solo in un modo strano e diverso da come si amano due amanti. 
 I corridoi dell'albergo erano abbastanza ampi, ma soprattutto erano luminosi. 
Davanti ai tre viaggiatori  scorrevano i numeri delle stanze del secondo piano. 
Dorothy... iniziò Max.
Cosa c'è, caro? gli rispose Dorey con il suo solito tono algido. 
Potremmo dare tipo l'impressione di essere una coppia e non due sconosciuti, ogni tanto? Io ho un nome di famiglia da proteggere, sul serio, Dottie-Dot... 
Dorothy si scostò dal supplicante Max che usò il soprannome che Tom le aveva dato quand'erano bambini e andavano d'estate nel Dorset. 
Che schifo. Commentò, mentre Tom pensava: E siamo ad uno. 
Quando Dorothy raggiunse la sua stanza, senza ascoltarlo lo salutò con: “Addio” e chiuse la porta, lasciando Max davanti ad essa con uno sguardo ebete. 
Quando Maxwell provò a cercare l'appoggio di Tom, quest'ultimo scrollò le spalle.
Poi Thomas poté camminare ancora un po' da solo, con passo ciondolante, fino ad arrivare alla sua camera, godendosi quel tanto atteso momento di solitudine. 
Si fece lasciare lì le valige, poi si sedette sul letto e si lascio cadere pesantemente sul materasso. 
Se fuori non ci fosse stata una città che non aveva mai visto, Thomas sarebbe restato a dormire tutto il giorno, ma dopo una dormita di un'ora si destò. 
Per la prima volta osservò la stanza. 
Era sobria, dalle pareti bianche e con un bel letto a baldacchino dalle coperte color pesca, sopra al quale erano stati sparsi dei petali di rosa che Thomas senza essersene accorto aveva brutalmente schiacciato. 
Il bagno era bellissimo, semplice, ma con quel tocco europeo che rendeva tutto ancora più particolare. 
Gli asciugamani erano ricamati sul fondo, dello tesso color pesca del copriletto.
Tom si distese di nuovo e guardò il soffitto bianco. 
Poi si decise ad uscire. 

 Il profumo del lungo mare lo accolse riempiendogli le narici. 
Seguì il lungo mare, guardando la moltitudine di gente che si susseguiva: turisti europei, ragazzini che vendevano limonata con un carretto, gente che portava a spasso degli asini, donne completamente coperte e uomini vestiti tutti colorati. 
I gabbiani si spostavano al suo passaggio e sentiva accrescersi il lui la voglia di tuffarsi nell'acqua. 
Quel posto era... Bellissimo.
Non si poteva rimanere indifferenti a tanta bellezza. 
Thomas vagò tra le vie interne e il lungo mare finché un bell'edificio dalle vetrate ampie con le rifiniture in legno, tipico degli anni '20, che aveva il nome di Grand Cafè de la Poste, aveva un che di talmente bello che Tom fu praticamente costretto ad entrarvici. 
Da quelle vetrate s'intravedevano già i bei tavolini, le kenze – quelle  piante da interno, verdi, con grandi foglie come quelle di palme -, i camerieri che servivano composti. 
Thomas prese un tavolo da cui si vedeva fuori e ordinò una omelette e del caffè. 
La posizione del suo tavolo era perfetta. Vedeva tutto quello che accadeva dentro e allo stesso tempo aveva un'ampia visione di ciò che accadeva fuori. 
Catturò la sua attenzione una famiglia poco distante da lui. 
Quello che doveva essere il padre e il marito era un signore sulla sessantina con baffi bianchi alla Otto Bismarck e un pizzetto stranissimo, la madre una donna sui cinquanta dall'aria altezzosa, che gli ricordava un po' Dorothy, solo un po' più anziana e la ragazzina... 
La ragazzina. 
Thomas Bartley si sentì mancare il respiro con una fitta leggera allo stomaco. 
Quella che doveva essere la figlia di quei due e che si guardava in giro con occhi felini e aria distratta sembrava  più una bambina che una ragazza, nella sua camicetta bianca e la sua gonna verde, con le calze bianche che arrivavano quasi fino al ginocchio. Ai piedi aveva delle ballerine nere in vernice con il cinturino ed era completamente appoggiata allo schienale della sedia: l'espressione sognante, le labbra leggermente contratte e gli occhiali appoggiati sulla testa a tenere indietro alcuni ciuffi che erano usciti dalla complicata acconciatura di trecce, che teneva uniti i suoi capelli rosso rame che sembravano catturare i raggi di sole che entravano dalle finestre. 
Aveva un libro accanto e tra un sorso di tè alla menta e l'altro – quando non guardava nel vuoto – leggeva. 
La stanza era piena del tintinnare delle conversazioni – che per Tom avevano natura superflua e inutile - e di The man with the big sombrero di June Avoc.
Tra le due Thomas preferiva di gran lunga la seconda. 
Restò per un po', perso nella visione di quella bellissima creatura, come imbambolato. Inaspettatamente, lo sguardo di lei venne unito a quello di Tom in un occhiata timida e incuriosita. Thomas accennò un sorriso e lei tornò subito al suo libro, mentre i genitori parlottavano tra loro. 
Ad un certo punto Thomas vide entrare Max e Dott che erano presi da una delle loro discussioni. In quel caso era qualcosa riguardo alle razze e tutti quegli argomenti che andavano  tanto di moda di quei tempi. Dott diceva che tutte quelle cose sulle razze erano delle sciocchezze e Max diceva che però bisognava tenere a freno quelle che chiamava le razze inferiori. 
Si, be', allora dimmi perché diamine hai tanto insistito per venire in Marocco, se la sua popolazione ti fa così schifo?
Non è quello il discorso, Dorothy...
Ah, no perché stiamo parlando di scarpe infatti. 
Eh?
Senti, tu puoi pensare quello che vuoi mai io credo che tu sia un ipocrita e... Ah, guarda! C'è Tom!
Alzò il braccio con leggiadria per salutarlo, mentre gli sorrideva mostrando la sua dentatura perfetta. 
Tom si ridestò subito, con gran fastidio. 
E due, pensò. 
I Fane si sedettero al tavolo con lui e ordinarono da bere. 
Poi entrambi si fermarono a guardarlo. 
Allora, Tom, secondo te non è un'atteggiamento ipocrita andare in vacanza in Marocco se considera tutti gli africani inferiori agli europei e dice che gli fanno schifo? Iniziò Dott. 
Tom non fece neanche in tempo ad aprir bocca che Max arrivò a controbattere: Non sto dicendo questo, per la miseria!
E i due ritornarono a parlare tra di loro. 
Thomas colse l'occasione per alzarsi e svignarsela: prese il libro, il taccuino, la penna e il portafogli. Lasciò i soldi sul tavolo e se ne andò. 
Prima di uscire però lanciò un ultimo sguardo alla ragazzina. 
Pensò che fosse bellissima, con quel viso etereo quella spruzzatina di lentiggini. Quel viso da bambina e il corpo quasi da ragazza. 
Infine uscì, ancora incantato da quella piccola ninfa, lasciandosi avvolgere dal tepore dell'aria marocchina. 

 
Angolo Autrice.
 
Dopo tantissimo tempo senza pubblicare e diversi cambi di nome – Marlene Ginger, Mademoiselle Bovary e adesso diventerò Marlene Ludovikovna se mi cambia il nome prima della prossima era glaciale e della morte di Putin - ... Eccomi qui, pronta ad iniziare una nuova storia. 
Durante l'estate avrò tempo per arrivare a buon punto con gli aggiornamenti, per poi lasciarmi gli altri capitoli gia scritti da aggiornare a settembre.
In questa storia ho intenzione di mettere molto di me.
Inanzitutto le ambientazioni sono in tre dei paesi che mi sono più cari: Marocco, Inghilterra e Austria e i personaggi sono personaggi pieni di difetti, ma a cui già mi sono affezionata tantissimo, proprio per quello.
Per quanto riguarda le ispirazioni sono state: Tenera è la notte di Fitzgerald, Il té nel deserto di Bertolucci, Lolita di Nabokov, Espiazione di Ian McEwan, Tutto ciò che sono di Anna Funder, Il paziente inglese di Minghella,  An education di Lone Scherfig,  Marie Antoinette di Sofia Coppola e tante altre robe che non sto qui ad elencare per non arrivare a domani mattina ed essere ancora qui. :')

Quindi in questo nuovo inizio ringrazio - in ordine random - Amors per il banner, Altraprospettiva, Claudine Delacroix, Aspasia, Ned, Risa Prongs, tanti altri e quel lato di me che sarà sempre Kitty Pfenning.

Spero che questa storia riuscirà ad appassionarvi e a regalarvi tante più emozioni possibili, come ne ha date a me.
Un bacio e alla prossima;


Marlene C. Ludovikovna

 
   
 
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