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Autore: velvetmouth    09/07/2014    2 recensioni
Primi del Novecento, Emilia Romagna. Le vicende di due giovani nati nel medesimo giorno si intrecciano inevitabilmente: Bianca Catellani, figlia di un ricco proprietario terriero e Orso Grossi, figlio di contadini che lavorano le sue terre. Vicende storiche, personali, in un affresco dell'Italia del periodo che spero di essere riuscita a trasporre fedelmente e in modo coinvolgente.
Genere: Drammatico, Generale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento, Guerre mondiali
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agosto 1900

Luglio 1900, Emilia Romagna

Il calore sprigionato dalla terra rendeva l'aria compatta e irrespirabile, quasi viscida mischiata agli umori del corpo; nei campi si continuava a lavorare instancabilmente anche col solleone, ci si fermava solamente quel tanto che bastava per scacciare un nugolo di mosche, asciugare la fronte dal sudore, affilare le falci. I campi erano completamente pieni di lavoratori, intenti nella mietitura finale del grano ormai di un giallo vivo, splendente. Covoni incredibilmente ordinati iniziavano ad ammassarsi vicino al torrente. Il gracidare delle rane richiamava stuoli di ragazzini scalzi e seminudi che si gettavano fino alla vita nel pantano, nel tentativo di arraffarne qualcuna per cena.
Una donna col pancione prominente si tolse il fazzoletto di testa, ci si asciugò il petto e continuò ad infilzare con la forca, la gonna legata sopra le cosce inumidite; il suo uomo le passò affianco, le colpì la nuca con un buffetto affettuoso, un mezzo sorriso abbozzato e gli occhi chiusi dal sole.
Sputò a terra tre volte prima di addentrarsi nel cortile di proprietà dei padroni, i Catellani. Quel posto lo aveva amato e odiato per tutta la vita.
Fernando Grossi non era un tipo da abbassar la testa alla prima sferzata, ma, come suo padre prima di lui e suo nonno ancor prima, aveva nei riguardi dei padroni una sorta di incondizionato istinto di obbedienza; che poi lontano da occhi ed orecchie ci si mettesse a parlar male dell'operato del fattore o della vita misera che conducevano era tutt'altro paio di maniche, ma di fronte al padrone il rispetto era qualcosa di quasi scontato, un dovere, una regola d'oro inviolabile. I pochi che si opponevano erano destinati alla cacciata, ad una vita da vagabondi, senza onore.
Ricordava ancora suo nonno mentre masticava tabacco e bofonchiava insulti e raccomandazioni a mezza bocca.
- Il padrone è il padrone e tu sei tu. Se lui è il padrone e tu sei tu un motivo ci deve essere. Ricorda chi sei, figlio di paesani, umili, onesti, gente per bene. Imparerai ad ubbidire e a portar rispetto, ad avere quel minimo di educazione che ti serve per essere benvoluto, lavorerai sodo e senza lamentarti, non disonorare mai la famiglia, sposati una brava figliola, metti al mondo più marmocchi che puoi e vattene in pace da questo mondo. Il padrone ti ha dato il lavoro, sei fortunato. Ma non schiacciare mai la tua dignità, Fernandin... Quella vale più di ogni altra cosa al mondo!-
Quelle parole continuavano a ronzargli nelle orecchie anche a distanza di anni ed anni. Il nonno ormai era morto, così come suo padre, ma ciò che era diventato, lo doveva anche e sopratutto a quegli insegnamenti, all'esempio, alle regole che aveva messo in pratica ed assimilato. La vita non era facile, forse non era neppure giusta, ma finchè le mani erano impegnate nel lavorare c'era poco spazio per i pensieri e con la stanchezza a fine giornata, ancor meno.
Era questa la differenza principale tra loro, i paesani e gli altri, i padroni: quando un uomo non fa niente per tutta la vita ha troppo tempo per pensare e a forza di pensare... Diventa un rimbambito.
La corte della fattoria era stranamente vuota, isolata, quasi fosse tutto abbandonato, disabitato. Ma altro che disabitato! Quel posto era pieno di persone, servi, camerieri, maggiordomi... Per non parlar di loro, al di là della proprietà, nei campi, nella cascina che di notte il padrone veniva a chiudere col catenaccio. Non vi era poi così differenza tra loro e le vacche da mungere, chiuse nella stalla. Bestie. A volte qualcuno li chiamava con quell'appellativo, ma non si sapeva mai se prenderlo come un insulto o no.
Fernando proprio non capiva perchè in quel momento si sentisse così in soggezione, così... Inerme ed esposto. Sentiva il sangue che gli ribolliva nelle vene, non solo per il caldo; l'ansia si mescolava al sudore forte e acre della fronte, i vestiti ne erano impregnati ed era come se avesse la sensazione che chiunque avrebbe potuto capir che aveva paura.
Ma questo non intendeva darlo a vedere; tutti lo ritenevano un tipo forte, duro, gran lavoratore, senza grilli per la testa ne' strane idee politiche.
Era una grossa bestia da soma, con spalle larghe e muscolose, torace ampio e possente, alto più di chiunque altro nella proprietà e con una sopportazione della fatica quasi senza euguali, rispettato fra i braccianti e anche dai padroni: non era raro che mandassero loro qualcosa di avanzato per Natale o altre feste comandate.
Comunque li vedeva gli sguardi delle ragazze quando portava i cavalli del padrone, o seminava con l'aratro...Specie nelle giornate di calura estiva, quando per forza di cose doveva togliersi la camicia e rimanere a torso nudo. Era sempre stato un bel toso, anche da bambino, già bello robusto, virile e forte, con una massa di riccioli rossi indomabili e lo sguardo vigile e indomito, i buchetti alle guance quando sorrideva.
Ma fra tutte quella che gli aveva rubato il cuore era stata lei, quella che ora portava dentro il suo frutto, quella che quando lavorava, faticando sotto il carico pesante di sacchi pieni di sementi lo ignorava testardamente; lei con quel profilo ricercato, delicato e così raro per una nata lì in mezzo, dalla mente acuta e sveglia e la lingua troppo lunga.
Fernando sorrise sghembo, mentre un raggio di sole gli trafiggeva lo sguardo. Sarebbe stato un maschio o una femmina? Di certo il primo di una lunga serie.
Si tolse il cappello prima di arrivare al portone principale. Bussò piano, quasi a non voler disturbare.

Non era nemmeno la prima volta che veniva chiamato, ma... Era come se sapesse che questa volta era speciale, nel bene o nel male.
Venne ad aprirgli la graziosa cameriera dai capelli scuri e le lentiggini, che gli sorrise. Lui fece lo stesso, pentendosene quasi subito pensando all'Olga incinta.
- Il padrone m'è venuto a chiamare-
Disse, torcendosi il cappello fra le mani. La ragazza si fece da parte per farlo entrare, gli disse di aspettare e poi sparì dietro una porta.
La casa era qualcosa di spettacolare agli occhi del contadino, del povero bracciante mezzo di sudore che era. Si sentiva come un insetto a camminar su quel pavimento lindo e pinto, a respirar la stessa aria della famiglia del padrone, quasi potesse contaminarla, quasi si potesse venir a sapere che aveva portato in casa una qualche malattia; Fosse mai! Anche la moglie del padrone era incinta e se avesse avuto qualcosa di sicuro la colpa sarebbe stata sua. Improvvisamente si sentì così in colpa e fuori luogo che la tentazione di scappare lo attanagliò, fece due passi indietro, cercò di pulirsi le scarpe infangate sullo scalino di ingresso.
Una voce che lo chiamava lo gelò mentre tentava di togliersi la polvere dalla giacca.
-Fernando! Cosa fai? Entra, non preoccuparti!-
Il padrone lo guardava dalle scale che portavano al piano di sopra, sorrideva sornione. Fernando si sentì ancor più insignificante di prima, quasi come se quel sorriso fosse messo lì a mo' di scherno. Di nuovo ebbe l'istinto di voltarsi e tornare a mietere per tutto il giorno. Ma non lo fece.
-Cosa fai ancora lì sulla porta? Forza entra! Ti va un goccio? Come sta l'Olga? Ci siamo quasi, mh?-
Sotto i baffi biondi e ben curati, faceva capolino una fila di denti bianchissimi, sembravan quasi perle. Fernando rimase a viso basso, incassando le spalle mentre passava di nuovo sotto la porta. Il padrone non aveva che qualche anno più di lui e molti centimetri in altezza in meno, eppure, riusciva comunque ad incutergli quel vago timore che lo faceva apparire un mollaccione senza spina dorsale.
Enrico Catellani scese le scale, fermandosi al secondo scalino, poi esortò il suo contadino a raggiungerlo. Fernando si avvicinò, rimanendo ai piedi delle scale. Anche da lì superava di un braccio il padrone; ma quello non smise mai di sorridere, anzi, pose un braccio attorno alle sue spalle massicce e lo condusse al piano di sopra, nel suo studio.
- Fumi, Fernando?-
Le dita lunghe e affusolate, quasi femminee di Enrico Catellani fecero scivolare sulla scrivania una scatola di latta piena di sigari.
- Non ne ho tempo, signor padrone-
Il padrone sembrò non cogliere la sottile ironia, la sferzata cinica della battuta o comunque non lo diede a vedere. Si limitò a chiudere la scatola con un colpo secco e ad accendersi il suo sigaro, boccheggiando tra un sorriso e l'altro.
Fernando rimase qualche minuto ad osservare la stanza, piena di foto della fattoria, volumi rilegati posti in mobili dal legno pregiatissimo. Avrebbe voluto chiedere direttamente il motivo della sua presenza lì, ma aveva già a malapena tenuto a freno la lingua, non era il caso di esagerare. L'Olga aveva una pessima influenza su di lui, pessima.
Posò lo sguardo sul viso disteso del padrone, non lo osservò con sfida, ne' aperta ostilità, solo una genuina e innocente curiosità.
Enrico boccheggiò ancora a lungo in silenzio.
Entrò in quel momento la morettina di prima, sempre sorridendo. Fernando finse di non vedere la mano del padrone che si insinuava sotto il suo senalino quando ella portò il vassoio con i liquori.
- Ti va un po' di rosolio fatto in casa, eh Fernando?-
I capelli a spaghetto, lasciati lunghi sulla fronte sfioravano le ciglia lunghe del Catellani, dando l'illusione che si trovasse dietro ad un biondissimo ventaglio.
- Signore sì, ma devo tornar a lavorare...-
I denti di perla fecero di nuovo capolino sotto i baffi, un suono gutturale esplose dalla gola del padrone.
- Quale lavoro, Fernando! Per oggi tu hai finito! Ah, Gilda, puoi andare...Senti se la signora ha bisogno di qualcosa...-
La porta fu richiusa, il liquore versato.
- Alla salute dei nostri figlioli! E delle nostre famiglie, che da anni coesistono e vivono l'una grazie all'altra!-
Fernando si ritrovò a pensare che quella grazie alla quale tutto l'intero sistema andava avanti fosse quella sua di famiglia, dei Grossi, ormai figliati in quantità tale da fornire alla fattoria la forza lavoro principale, ma lasciò che il rosolio gli bruciasse in gola, così come quei pensieri.
Lo sguardo del signor Enrico era liquido e lasciava trasparire altro, apparte l'ilarità di quelle labbra sottili, ma Fernando non chiese, ed egli non spiegò.
Sembrava in tutto e per tutto una visita ad un amico, sebbene egli fosse vestito di un abito di cotone giallo limone e portasse un dopobarba profumato e non avesse terra sotto le unghie. Parlarono dei campi, della semina in autunno, della salute dei lavoratori e del bestiame, discorsi futili e al contempo di vitale importanza, ma di cui Fernando non riuscì a capire il nesso.
Fu congedato con una stretta di mano poderosa, una pacca sulla spalla e in regalo una bottiglia di quel rosolio e saluti carissimi alla consorte.
Mentre scendeva dalle scale Fernando avvertì la pesante sensazione di essere stato preso in giro, di esser stato gabbato in qualche modo, ma come quando aveva messo piede lì dentro ormai ore prima, non riuscì a comprendere dove fosse l'inghippo. Si ritrovò a camminare come un automa, stranito e confuso, come in un sogno.
Credere che quello del padrone fosse un semplice interessamento lo fece sorridere amaramente. Da quando in qua i padroni si prendevan la briga di curarsi di loro a quel modo? Scrollò le spalle e stette attento alla testa mentre oltrepassava la porta, tenuta aperta da una ancor sorridente Gilda, che lo salutò con la mano.

Orso Grossi nacque nei campi, tra un covone di fieno ed il letame di vacca, il primo vagito a pieni polmoni d'aria aperta, nei grandi spazi della pianura.
Bianca Catellani nacque in villa, tra l'odore degli iris, il fiore preferito della signora, e l'angoscia del padre, il primo vagito a pieni polmoni nell'aria odorata di talco della camera da letto padronale.


  
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