Just a little woman.
Take Your hand and walk away.
“Ho
paura”, continuavo a ripetermi. Non amavo mentire a me stessa
e,
per occupare almeno un pochino la mia mente, ripetevo tra me quel
terribile mantra. Avevo paura, terrore, di farmi schiacciare da quel
peso che in quegli ultimi mesi stava diventando man mano più
leggero. Avevo paura di non poter sopportare quello che i genitori di
Jacob stavano venendo a dirmi. Non sopportavo l’idea di
rivederli…eppure il giorno prima, come una stupida, avevo
accettato. Ero sempre stata una ragazza speranzosa, di quelle che
credevano alle possibilità…in quel caso ne avevo
regalata una alla
famiglia del nemico. Lui era morto, lavandosi le mani di tutto quello
che aveva causato. Mi era dispiaciuto saperlo, avrei preferito
pensarlo in galera a morire col senso di colpa che gli avrebbe
schiacciato lo stomaco per poi ingoiare il suo cuore proprio
lì,
dove meritava stare; nel confine più profondo delle tenebre.
Odiavo
essere cattiva…ma, gli avvenimenti, mi avevano portata ad
esserlo
spesso nell’ultimo periodo. Quando dissi a Edward della
telefonata
dei Black e della mia risposta positiva ad un confronto, lui rimase
impassibile. Mi aspettavo che si arrabbiasse e, ammisi a me stessa,
che nel momento in cui accettai non avevo pensato ad una possibile
reazione di Edward: mi disse che lui avrebbe fatto lo stesso e che,
forse, quest'incontro ci avrebbe fatti vivere serenamente. Lui mi
capiva, aveva guardato i miei occhi ed era entrato dentro di me con
forza pura. Lo amavo, ogni giorno sempre di più, era quello
per il
quale valeva lottare, ogni singolo istante. Il campanello
suonò ed
io feci uno scatto fulmineo ritrovandomi in piedi davanti al divano.
Edward, da perfetto padrone di casa, aprii la porta facendoli
accomodare nella stanza in cui mi trovavo anch'io; il salotto.
"Bella...",
un sussurro flebile quello di Sarah, preceduto da un pianto quasi
isterico. Credetti di sembrare un fantasma. Billy, non appena mi
squadrò da capo a piedi, strabuzzò gli occhi e si
sedette quasi
come se stesse per cadere. Io fissai Edward, almeno lui era rimasto
tale a cinque secondi prima.
"Ciao",
gracchiai tra l'imbarazzo e la confusione.
"Da
quando non mangi?" Mi chiese la moglie. Feci spallucce e mi
accomodai di fronte a loro. La mia pelle si ricoprii di brividi non
appena realizzai che i genitori dell'abominio erano proprio
lì, nel
mio territorio, quello che fino a poche ore prima era il mio paradiso
e il mio più prezioso rifugio. Rimasero in silenzio per
minuti
interminabili mentre io guardavo Edward e mi torturavo le dita per
l'attesa pressante. Non capivo perché se ne stavano zitti.
Erano
venuti per parlarmi, di cosa non ne avevo idea, eppure stavano
lì,
appollaiati sul divano come se stessimo aspettando il té. Mi
schiarii la voce e, finalmente, attirai la loro attenzione, Edward,
dal suo canto stava per scoppiare a ridere. Quasi sorridevo anch'io,
mi bastava vedere un piccolo, accennato sorriso sulle sue labbra per
trovare quello spiffero di felicità di cui avevo tanto
bisogno.
"Siamo
venuti per farti presente del rammarico in cui ci troviamo. Sai bene
che per noi sei stata sempre come una figlia e, io stesso, alle volte
mi chiedevo come facessi a trovare qualcosa di bello in mio figlio.
Sapevo che prima o poi mi avrebbe fatto versare lacrime di sangue,
eppure, non credevo che lo avesse fatto anche con te. Un mi dispiace
sarebbe troppo fatto e banale. Siamo distrutti, Bella. E non
riusciamo a capacitarci di quello che è successo. Non
sapevamo
nemmeno che tu aspettassi quel bambino...", non appena Billy
Black nominò mio figlio cominciai ad urlare. Presa da una
rabbia
incontrollata finii per terra.
Di quel pomeriggio, ricordo poco; grosse ciocche dei miei capelli giacevano sul pavimento di marmo, strappati via dalle mie mani. Le mie dita sanguinavano e gli occhi di Edward imploravano pietà.
Aprii
gli occhi e la luce fioca dell'abat-jour me li fece strizzare per un
paio di volte. Piansi silenziosamente, ero troppo confusa. Mi sentivo
la testa vuota e, allo stesso tempo ero consapevole di avere un
macigno grosso quanto una casa sopra la testa. Con la coda
dell'occhio osservai Edward, mi guardava fisso aspettando una
qualsiasi mia reazione, pronto nel caso avessi perso ancora una volta
le staffe. Mi passai una mano sulla fronte sudata e cominciai a
guardarlo anch'io.
"Perdonami",
mormorò. Aggrottai le sopracciglia e lo guardai confusa.
"Non
avrei dovuto permetterti di incontrarli".
Scossi
la testa e le lacrime scesero per l'ennesima volta.
"E'
stata colpa mia!" Esclamai stringendo le lenzuola tra le mani.
Presi la mia testa a pugni ignorando le braccia di Edward, mi sentivo
indemoniata, presa da una forza che sapevo non mi apparteneva. Mi
addormentai solo quando stremata non avevo più lacrime da
versare né
forza per parlare.
Non
riuscii mai a darmi una spiegazione razionale per quello che accadde
lo stesso pomeriggio. Di certo, Billy Black e signora, non erano
stati i soli ad aver nominato mio figlio; mia madre, Alice, le mie
amiche, e tanti altri, quasi ogni giorno nominavano il mio piccolo,
eppure, il nome di mio figlio sulla bocca dei Black mi fece andare il
cervello in panne. Chiusi gli occhi e mi feci cullare dal respiro di
Edward che, dolcemente, accarezzava la mia pelle e la mia mente. Era
lui la soluzione a tutto. Lui era l'antidoto. Avendo la
consapevolezza che, nonostante tutto, lui fosse rimasto al mio fianco
potevo ammettere a me stessa che in un modo o in un altro la mia era
vita.
'Per
sempre', mi dicevo. Per sempre era solo il termine con la quale davo
il nome al mio futuro con Edward ma, 'per sempre' non rendeva chiaro
quello che era il mio concetto. 'Per sempre' era solo una frase,
Edward ed io eravamo molto di più.
"Ti
amo", sussurrai con gli occhi chiusi.
"Sempre"
mormorò, accarezzandomi la fronte con le sue labbra calde e
profumate. Mi accoccolai di più al suo petto e ricaddi tra
le
braccia di morfeo.
Scesi
dal letto e, a piedi nudi, mi diressi in cucina. Sentivo delle voci
familiari e, dato che, al mattino, appena sveglia, avevo bisogno di
minimo mezz'ora per realizzare tutto ciò che mi accadeva
attorno,
non capii immediatamente chi era venuto a farci visita. Appoggiai il
mio corpo sul telaio della porta della cucina e diedi una
sbirciatina, il cuore poteva seriamente uscirmi dal petto; vidi
Edward, rideva come non faceva da quelli che mi erano sembrati mille
anni.
Le
persone erano due. Esme e mia madre.
Mi
sedetti sul divano e appoggiai il capo sul cuscino dello schienale,
volevo avere la mente lucida e, sopratutto, non sembrare una specie
di elefante goffo di fronte mia mamma e Esme. Volevo fare una bella
impressione, meritavano di vedermi stare meglio dopotutto. Da
lì
riuscivo a sentirli chiaramente.
"E
tu, Edward? Come ti senti?” Era stata mia madre a parlare.
Strinsi
gli occhi in due fessure, non volevo che mi si sbattesse, per
l’ennesima volta, in faccia la realtà; odiavo
sentir tintinnare e
sospirare Edward ad ogni ‘come stai?’
“Bene.
Insomma, ce la caviamo”, la sua voce era stranamente
limpida...e,
osai pensare, solare. Diedi una sbirciata al piccolo orologio a
pendolo e notai con orrore che era mezzogiorno, avevo dormito per un
giorno intero.
“Bella
ha bisogno di me. Mi rendo conto che, negli ultimi mesi non le sono
stato molto d’aiuto...”, si fermò con un
sospiro per poi
riprendere con vigore. “Fino ad oggi è sempre
stata lei a tenermi
su, non pensando a tutto il male che si faceva, che io le facevo. Lo
ha sempre fatto...sono riuscito ad accettare che per quanto potremmo
dire o fare, niente e nessuno ci riporterà indietro nel
tempo,
niente potrà evitare tutto quello che è successo.
Devo pensare a
lei, potrei davvero dedicare tutta la mia vita per riuscire a vederla
sorridere ancora. Mi manca, lei, il suo sorriso e tutto quello che
era quando l’ho conosciuta. Non so se ormai è
tardi per farla
tornare com’era prima, ma ci proverò, non
è mai troppo tardi...”.
Scoppiai a piangere, non solo per le bellissime parole che aveva
appena sussurrato ma anche per quella nota profonda nella sua voce;
il senso di colpa. Scossi meccanicamente la testa e le lacrime
bagnarono il tessuto impeccabile del divano. Mi alzai promettendomi
di sorridere non appena avessi varcato la soglia della cucina.
Sigillai in un cassetto l’episodio del giorno prima e
sospirai.
Aveva ragione Edward, nessuna cosa ci avrebbe portati indietro nel
tempo. Lo avevamo sempre saputo, era anche arrivato il momento di
accettarlo.
“Bella!”
Esclamò Esme correndo ad abbracciarmi. Chiusi la bocca
maledicendomi
per non aver lavato i denti e la strinsi forte. Esme era fantastica,
il suo sorriso era sempre stato contagioso, ero sempre stata convinta
che avesse trasmesso lo stesso dono a Edward. Con gli occhi cercai il
figlio e lo guardai dritto negli occhi; vidi la ragione per la quale
dovevo assolutamente lottare, anche con i denti se si fosse
presentato necessario. La ragione di voler lottare per davvero e per
essere felice con lui ancora una volta, sperando in una
felicità
permanente.
Non
avremmo mai dimenticato il nostro piccolo Ted, era impossibile.
Avremmo però deciso di continuare a vivere sempre e per
sempre,
insieme. Immaginai la sua mano, tesa verso di me e la sua voce
sussurrarmi: “Prendi la mia mano, vieni con me, andiamo via
da
tutto questo dolore”.
‘Amami’,
urlavano i suoi occhi di smeraldo. Mi morsi il labbro superiore,
accorgendomi di essere rimasta immobile per minuti interi. Salutai
mia madre e le sorrisi.
“Non
sai che rivelazione tesoro!” Esclamò mia madre
puntando il dito
verso Esme. La guardai aggrottando le sopracciglia, inizialmente,
qualche secondo dopo, però, mi ricordai di una vecchia
conversazione
con Edward, quasi non le scoppiai a ridere in faccia...forse non lo
feci solamente perché il senso di nostalgia aveva preso
irrimediabilmente il sopravvento.
“Io
e Esme ci conoscevamo già...”, persi la voce di
mia madre via via
che continuava a parlare. Guardai Edward e non appena scovai
l’imbarazzo nel suo viso e nel suo modo di grattarsi la nuca,
una
cosa che, tra l’altro, trovavo adorabile, scoppiai a ridere.
Ripensai a quella sera, credendo che potesse far male invece,
continuavo a tenermi lo stomaco per le risa. Edward aveva avuto una
piccola cotta per mia madre, quando sua madre era stata ammalata e si
era recata dalla mia per farsi curare. Quella sera faceva parte del
mio periodo felice, eppure, ripensandoci riuscivo solamente a
rallegrarmi...mi sentii strana, forse era stato il tono e le parole
di Edward di poco prima a farmi ridestare.
Le
nostre madri restarono per pranzo. Mi sembrava incredibile da
pensare, eppure, Edward era diventato per davvero un’altra
persona
e il tutto in meno di quarantotto ore, ci avevo impiegato mesi e mesi
senza risultati, non appena fossimo stati da soli avrebbe dovuto
svelarmi il trucco. Sospirai di sollievo e capii il motivo per il
quale, ancora, non ero riuscita ad alzarmi del tutto; io ero quella
più forte tra i due. Avevo cercato di far alzare lui con
tutta la
forza che potevo possedere, ma la mia forza non era andata persa del
tutto, non almeno come credevo che fosse. Edward aveva preso la mia
energia, l’aveva piegata al suo volere per poi scaraventarla
come
un fulmine su di me. Avevo dato a lui la spinta giusta e,
inconsapevolmente, l’avevo data anche a me stessa. Si era
alzato e
con delicatezza aveva preso la mia mano e mi aveva portata con
sé.
Ci completavamo a vicenda, qualsiasi gesto potessimo fare per
l’altro
aiutava entrambi, non era questo forse essere seriamente
l’una per
l’altro? Sorrisi a quella mia potente rivelazione e corsi ad
abbracciarlo.
“Soli...”,
sussurrò sulle mie labbra, trasmettendomi tutto il suo
calore.
“Finalmente”,
mormorai con una punta di malizia. Non feci nemmeno in tempo a
chiedergli cosa volesse farmi che fui catapultata sul nostro letto.
Lo spogliai con foga, immaginando già il culmine del mio
piacere
datomi solo da lui, dall’unico. Guardai il suo petto nudo e
mi
dissi che ogni pensiero formulato dalla mia mente non era mai
abbastanza. La sua presenza mi annientava, mi metteva in ginocchio
per poi portarmi all’apice del piacere, dell’amore,
della fedeltà
e della consapevolezza che solo lui avrebbe potuto farmi cose di quel
genere. Scompigliai i suoi capelli e sorrisi ai suoi occhi, quella
sera ancora più splendidi. Ero dolce e lui lo era
altrettanto,
almeno fin quando non mi ritrovai con il seno tra le sue labbra e le
sue dita che scavavano con foga dentro di me. Mi penetrava forte per
poi uscire piano muovendo le dita in modo circolare. Il piacere fu
così immenso che quasi non mi misi a piangere.
Non
sentivo, non volevo, non pretendevo niente...niente che non fosse
Edward. Mi sentivo una molla, chiusi gli occhi e accolsi
l’ondata
di piacere, cercai di godermela, ma, non appena sentii le sua braccia
sotto le mie cosce capii che il meglio non era ancora arrivato. Con
un unico, potente e crudo colpo di reni il suo membro si
schiantò
dentro di me. Potevo sentire le canzoni di natale...o forse il mio
cervello si era fritto come i miei ormoni ormai in palla. Accarezzavo
ogni lembo della sua pelle, restando sorpresa ad ogni tocco, era
morbido, caldo, fresco e di marmo allo stesso tempo. Eravamo il sole
e la luna, qualcosa di fantastico come un’eclissi. Nonostante
il
piacere mi stesse portando al limite della ragione mi ricordai una
vecchia lezione di scienze; il sole e la luna non possono incontrarsi
troppo spesso. Dicevano che il sole e la luna sono troppo diversi, io
avevo trovato un eccezione alla regola. Noi eravamo perfetti. Venni
violentemente trasportandomi l’orgasmo di Edward, avevo preso
anche
quello. Avevo pensato al senso di sottomissione che mi prendeva negli
amplessi con Edward. Soltanto il quel momento, capendo più a
fondo
quello che eravamo, non solo partecipando ma anche guardandolo mi
resi conto che ci dominavamo e sottomettevamo a vicenda. Pensai a
tutto quello che mi ero persa negli ultimi mesi a quelle sensazioni
che, sì, puoi provare ogni volta ma nonostante possano
essere le
stesse la volta dopo sono sempre più intense, fortificate,
indimenticabili. Lo abbracciai stretto e mi addormentai senza neanche
volerlo. Un secondo prima di cadere nel sonno però, ebbi
paura che
non appena mi fossi svegliata tutto sarebbe divenuto solo un sogno.
I capelli appiccicati alla fronte furono la causa del mio risveglio. Era notte fonda e, nonostante fossi ancora nuda e dalla finestra filtrasse un venticello niente male, ero tutta sudata. Toccai l’altro lato del letto e mi accorsi che ero da sola. Mi alzai di scatto e spaventata rammentai l’ultima volta che era successa la medesima cosa. Cercai di scacciare quel prepotente senso di Dejavù e mi alzai, non mi curai nemmeno di cercare le ciabatte.
Mi resi conto però, avviandomi in sala, che il solo motivo per il quale non era a letto era perché non voleva svegliarmi col rumore che poteva causare lo riempire due valigie. Una era già colma, la mia, piena zeppa di bikini e vestitini estivi, la sua era vuota solo per metà. Se il caldo non fosse stato così asfissiante il mattino seguente lo avrei trovato nel letto con le valigie già pronte. Ancora nuda mi avvicinai a lui in punta di piedi, baciai il suo naso e lo guardi confusa.
“Perché?” Domandai alludendo alle valigie.
“Bella, vuoi essere felice con me?”
“Farei di tutto per essere felice con te, lo sai...”, mormorai sicura con non mai delle parole che avevano appena lasciato le mie labbra.
“Chiedimelo allora”, sussurrò guardandomi intensamente negli occhi. Capii immediatamente cosa voleva sentirsi dire che, allo stesso tempo, era quello che io stessa volevo dirgli. Presi la sua mano tra le mie e con le labbra accarezzai la base del suo collo, inspirai forte il suo profumo da uomo e lo guardi negli occhi.
“Prenderò la tua mano e, andremo via. Andremo via da tutto questo dolore. Ti amo, Edward...non hai idea di quanto ti amo”.
“Ti
sbagli. So benissimo quello che intendi”. Mi prese in braccio
e
ridendo facemmo ancora l’amore.
Dovevamo
partire per una vacanza e non sapevo dove saremmo andati, sapevo
solamente che sarebbe stato importante, come ogni avvenimento della
nostra storia.
Purtroppo eccomi qui a dirvi che sì, sono viva. Oltre al negozio che, mi tiene impegnata tutti i giorni e il periodo di merda non ho altre scusanti.
Mi è mancata questa storia e già non vedo l’ora di mettere il prossimo capitolo. La mia mente è stata così tanto occupata che non c’era lo spazio per pensare a questi due poveri cristi. Mi sono sentita in colpa, lo ammetto e NON LO DICO PER DIRE! Ma cercherò di non ritardare, ci metterò tutta me stessa, anche perché ho una storia sospesa che è come una spada di Damocle sopra la testa.
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Ora vado.
Come
sempre spero che il capitolo sia di vostro gradimento e che sarete in
tante a non essere deluse!
Fatemi
sapere :3
Con affetto e chiedendo perdono.
Roby <3