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Autore: Fradale91    09/07/2014    26 recensioni
“Mi stai dicendo che due mesi fa ti sei iscritto ad una chat per ragazzi omosessuali e che lì sopra hai conosciuto questo Harvey” - “Harry…” lo sentii puntualizzare a mezza bocca- “e che adesso lui ti ha chiesto di poterti vedere in webcam?”.
[...]
“Farai tu le videochiamate al posto mio.” mi spiegò risoluto, sicuro come non lo avevo mai visto essere su niente da quando lo conoscevo.
[Larry/Ziall, Catfish!AU.]
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Niall
 
La mia vita sentimentale non era mai stata così complessa come in quel momento.
In realtà, fino ad allora, non avevo neanche mai avuto una vera e propria vita sentimentale e quello era il motivo principale per cui mi stavo ritrovando del tutto impreparato ad affrontare la situazione venutasi a creare.
Quando Harry era entrato nella mia vita mi ero sentito come travolto da un uragano: la mia esistenza non mi era mai sembrata così piena. Avevo finalmente provato per la prima volta la famosa sensazione delle farfalle nello stomaco, dell’alzarsi felici dal letto senza un apparente motivo, del sorridere inaspettatamente perdendosi nei propri pensieri.
E nonostante avessi costretto Louis a farsi vedere al posto mio in tutte le videochiamate, quelle sensazioni non erano mai scomparse del tutto nel corso del tempo.
Forse si erano un po’ affievolite a causa dei miei impegni e delle strane coincidenze che mi avevano portato a mancare ad alcuni collegamenti con il riccio. Ma lui era sempre e comunque lì, nella mia testa. L’unico dettaglio, il problema che stava rendendo la mia vita più complessa di quanto non fosse mai stata, era che Harry aveva iniziato ad avere compagnia nei miei pensieri. Non era più solo ad albergare nella mia mente.
A convivere con lui, tra l’altro, c’era l’ultima persona che mi sarei mai aspettato di trovare nei meandri più profondi della mia psiche: Zayn.
Dopo i due baci che si era preso quasi con prepotenza e, soprattutto, dopo la confessione riguardo i suoi sentimenti nei miei confronti, mi era stato praticamente impossibile non lasciarlo entrare nella mia testa.
Ciò che mi stava sorprendendo più di ogni altra cosa era il fatto che non mi stesse dispiacendo per niente la sua presenza accanto a quella del riccio.
Ma questo non me la sentivo ancora di ammetterlo con qualcuno, tanto meno con lui.
Da quando l’avevo conosciuto non avevo fatto altro che odiarlo: sapevo che continuare a farlo sarebbe stato stupido, soprattutto dopo aver scoperto di quale pasta fosse fatto realmente.
Ricevere suoi baci non mi era dispiaciuto e avevo anche apprezzato la sua sincerità, il suo coraggio nel venire da me ad aprirsi nonostante l’astio che avevo sempre mostrato nei suoi confronti.
Quel gesto aveva cambiato radicalmente il mio modo di vederlo ma c’era comunque Harry nella mia vita e non potevo eliminarlo da un momento all’altro solo perché, all’improvviso, mi si era presentata davanti l’occasione di vivere una storia “reale”.
Nonostante i sogni sugli occhi scuri di Zayn non mi stessero disturbando ne avrei volentieri fatto a meno. Sarebbe stato tutto più semplice.
Passavo le giornate a pensare ad Harry e le notti a lasciarmi travolgere da pensieri ambrati, tanto da sembrare quasi neri.
A confondermi ancora di più, c’era il fatto che i miei contatti con il riccio – quelli diretti tra il vero me e lui – erano diminuiti a dismisura da quando erano iniziate le videochiamate. Non riuscivo a credere che fossero passati due mesi dai primi collegamenti via Skype.
Louis ed Harry si stavano parlando e vedendo da più tempo di quanto avessimo fatto io e il riccio prima che tutto quello iniziasse. Ed io? Beh, io ultimamente non riuscivo neanche più a sentirlo per messaggio. D’altronde che bisogno aveva Harry di scrivermi visto che era convinto di vedermi in webcam praticamente ogni giorno?
Io personalmente avevo evitato di contattarlo per non sembrare assillante: con che scusa potevo mandargli sms subito dopo aver chiuso una chiamata?
Ciò che avrebbe dovuto unirci, costituire un passo avanti nel nostro rapporto, di fatto ci stava allontanando sempre di più.
E non potevo neanche lamentarmene dal momento che era stata tutta una mia idea. Mi ero illuso che con il tempo avrei trovato il coraggio di mostrarmi in webcam, di dirgli chi ero veramente e come stavano le cose. Ma non era successo.
E più passava il tempo più le cose si facevano difficili, decidere di esporsi praticamente impossibile. Come potevo dirgli che per due mesi aveva parlato con quello che per lui era un perfetto sconosciuto?
Era fuori discussione.
 
La porta dell’appartamento sbatté facendo tremare persino le pareti della mia stanza. Mi risvegliai dalle mie riflessioni soltanto apparentemente, dato che una delle cause della mia confusione mentale era appena entrata in casa mia.
Sapevo perfettamente chi aveva varcato la porta dell’ingresso. Zayn aveva preso particolarmente alla lettera le sue parole. Mi aveva detto “non ho intenzione di rinunciare a te” ed era proprio ciò che stava facendo dal giorno della sua “dichiarazione”.
Stava da noi in ogni suo momento libero, senza farsi problemi. La cosa che mi lasciava del tutto interdetto era che non si preoccupava neanche di montare scuse per giustificare la sua costante presenza nel nostro salotto. Era lì per me e non si vergognava ad ammetterlo.
Mi venne da chiedermi se, per caso, anche le sue visite nei mesi passati fossero dovute a quello che provava nei miei confronti. Prima della sua confessione non mi era neanche mai venuto in mente che potesse sentire qualcosa per me e non avevo mai pensato che potesse passare da noi per un motivo diverso dal “far visita al proprio migliore amico”.
Feci ruotare la sedia dietro la scrivania e mi sfilai dalla mia postazione per uscire dalla stanza.
Quel giorno avrei incontrato Ashton e gli altri per un ultimo ripasso di gruppo prima dell’esame di Higgins. I ragazzi del mio corso si erano gentilmente offerti di aiutarmi visto che, non essendomi riuscito a prenotare all’esame parziale di quella materia, avrei dovuto darlo per intero.
Recuperai i libri e la giacca sul letto ed aprii la porta della mia camera per raggiungere l’ingresso.
Il chiacchiericcio di Louis e Zayn raggiunse subito le mie orecchie; mi fermai un attimo prima di svoltare l’angolo per ritrovarmi in salotto faccia a faccia con loro. Presi un respiro profondo e lo feci, le guance già arrossate d’imbarazzo.
Gli occhi del moro saettarono in un attimo verso i miei e abbassai la testa borbottando un “Ciao.” quasi inudibile.
Nella sua mano destra, scura e tatuata, faceva mostra di sé un piccolo mazzo di orchidee. Quando le vidi non potei fare a meno di alzare gli occhi al cielo: avevo perso il conto degli omaggi floreali che mi aveva portato in quei giorni.
Lui se ne accorse ma non si offese per il mio atteggiamento: forse perché aveva notato anche il piccolo sorriso che, bastardo, mi era spuntato sulle labbra. Il tentativo di mascherare l’apprezzamento per quella romanticheria era andato a farsi benedire.
Si avvicinò a me con passo spedito e, solo quando fu talmente vicino da confondere il suo respiro con il mio, mi porse i fiori accompagnando il tutto con un piccolo bacio sull’angolo sinistro delle mie labbra.
Arrossii ancora di più e mossi la testa a mo’ di saluto quando lo sentii bisbigliare un “Ciao, Niall.” quasi timido.
Louis, dall’altro lato della stanza, sbuffò infastidito da quella scenetta uguale a tutte quelle a cui aveva assistito negli ultimi giorni.
Lo ignorai e “Dovresti smetterla di baciarmi.” asserii trovando, chissà dove, il coraggio di guardare Zayn negli occhi. Lui sorrise, sfrontato.
“Non ti ho baciato,” rispose “ma se vuoi che lo faccia per darti la possibilità di rimproverarmi non ho problemi a...”.
Lo interruppi con un gesto della mano e “No, g-grazie.” declinai l’invito balbettando.
Sorrise ancora, divertito dal mio atteggiamento come se non lo stessi affatto rifiutando di continuo, giorno dopo giorno.
Scossi la testa, incredulo. Mi chiesi per quanto tempo avrebbe portato avanti quel corteggiamento prima di gettare la spugna. Non sembrava neanche vicino al voler desistere.
Non ho intenzione di rinunciare a te.
Quella frase non faceva che perseguitarmi giorno e notte.
Indietreggiai un po’ per ricreare una certa distanza tra noi e “Io sto uscendo.” annunciai a nessuno in particolare. O forse per mettere al corrente entrambi.
Louis si buttò sulla poltrona, senza neanche rispondermi.
Il viso di Zayn, invece, s’illuminò.
“Ti accompagno!” si offrì entusiasta, precipitandosi a recuperare la giacca di pelle sul divano. Non dissi nulla, non rifiutai e non accettai. E non lo feci per il semplice fatto che non ero ancora in grado di decidere se le sue proposte fossero fastidiose o lusinghiere. Anche se un’idea iniziavo ad averla.
Posai le orchidee sul mobile dell’ingresso e mi avvicinai alla porta. Solo quando fui ad un passo dall’uscire dall’appartamento mi ricordai di chiedere al mio coinquilino “Puoi chiamare tu Harry?”.
Lo vidi irrigidirsi sulla poltrona ma non ne seppi il motivo.
“Sono passati un po’ di giorni dall’ultima volta che l’abbiamo sentito. Credo che si aspetti una chiamata ma non posso proprio rinunciare a queste ore di studio.” spiegai, come per giustificarmi.
Era talmente assurdo mancare alle videochiamate con il riccio che mi sentivo in dovere di dare chiarimenti almeno a Louis.
Lui mi parve nervoso nonostante non fosse di certo la prima volta che gli chiedevo un favore del genere ma non mi soffermai più di tanto sulla sua reazione.
Lo ringraziai in anticipo e uscii dall’appartamento seguito da Zayn. Prima di arrivare alla fermata dell’autobus mandai un messaggio ad Harry per avvisarlo della chiamata che ci sarebbe stata di lì a poco.
 
 
 
Louis
 
Non l’avrei fatto. Non ne avevo nessuna intenzione.
Erano passati cinque giorni dall’ultima videochiamata che avevamo fatto io e Niall insieme, e tre da quella che avevo fatto solo io ad Harry. In tutta onestà non mi ero ancora ripreso.
Non avevo avuto il coraggio di parlarne neanche a Zayn: un po’ perché non volevo distruggere il suo buon umore – nonostante non riuscissi a capire da cosa fosse scaturito, visti i continui rifiuti del mio coinquilino – e un po’ perché mi sentivo troppo in difetto per quello che avevo fatto.
Il senso di colpa era direttamente proporzionale al piacere che avevo provato nel condividere quel momento con Harry. E continuava a crescere ogni volta che ripensavo alla nostra chiamata. Nell’avviarla, quella sera, non mi sarei mai aspettato di vivere una cosa del genere, così intima.
Mi aveva soddisfatto talmente tanto che avevo paura a farla di nuovo: l’idea mi terrorizzava semplicemente.
Il suo viso stravolto dall’eccitazione, i suoi occhi su di me, ad assorbire ogni mio movimento per goderne il più possibile - nonostante ci fossero un computer e un oceano a separarci -, le sue dita lunghe e sottili strette intorno alla fonte del suo piacere… erano tutte immagini che non facevano altro che tormentare i miei pensieri giorno e notte. Ma poi era arrivato quel nome sussurrato dalle sue labbra a rovinare tutto. Non aveva smorzato il mio orgasmo solo perché ero riuscito a venire prima che lo pronunciasse. Eppure aveva contribuito a rendere il ricordo di quel momento particolarmente amaro.
Ciò che rendeva tutto più complesso era il fatto che non riuscissi a capire cosa avesse generato il piacere di Harry. Aveva nominato Niall ma, di fatto, era me che aveva osservato mentre si toccava con cura e dedizione. Era l’idea che sarei venuto con lui ad averlo guidato verso l’orgasmo, ne ero certo. E quelle erano cose che non si potevano cancellare o negare. Gli piacevo o, quanto meno, gli piaceva il mio aspetto. Ma non potevo fare a meno di pensare che forse lo apprezzava solo perché lo associava all’idea che si era fatto di Niall nei due mesi in cui si erano parlati senza di me, in cui si erano conosciuti. Non avevo certezze di nessun genere su di lui e sui suoi sentimenti, mentre i miei si facevano sempre più pericolosi e scomodi, data la situazione.
Ed era quello il motivo principale per cui mi stavo tenendo lontano dal pc e da Skype.
No, quel pomeriggio non avrei assolutamente chiamato Harry. Avevo bisogno di distaccarmene fino a quando tutto quello avrebbe smesso di sembrarmi sbagliato.
Forse, però, non sarebbe successo mai.
 
Con mia grande sorpresa riuscii a concentrarmi per studiare un po’. Ci riuscii talmente tanto che mi accorsi dell’ora che si era fatta soltanto quando sentii Niall rientrare dalle sue quattro ore di studio. Erano le dieci di sera.
Aveva un’espressione strana dipinta in faccia e continuava a guardarmi senza staccare gli occhi dal mio viso.
Quel suo atteggiamento m’innervosì e mi chiesi se per caso non fosse venuto a conoscenza del fatto che non avessi chiamato il riccio. Scossi la testa dandomi dell’idiota: in che modo avrebbe potuto farlo? In nessuno.
A meno che…
“Harry mi ha scritto un messaggio.” disse avvicinandosi al tavolino da caffè del salotto.
“Come non detto.” pensai.
Si sedette sul divano lanciando la giacca sul posto accanto al suo e lo guardai dalla mia postazione sulla poltrona.
“Ah…” fu tutto ciò che mi uscì di bocca. “E cosa…?” tentai di chiedere ma lui mi interruppe.
“Mi ha chiesto come mai non l’avessi chiamato visto che gli avevo promesso di farlo circa un’ora prima.” mi spiegò.
Non sembrava nervoso ma era senz’altro curioso di capire cosa fosse successo.
Avrei potuto montare una scusa come “Mi sono messo a studiare e mi è passato di mente.” ma che senso aveva rimandare quel discorso? Sapevo che quel confronto era necessario e che sarebbe dovuto avvenire, prima o poi. Tanto valeva affrontarlo.
In ogni caso non gli diedi spiegazioni sul perché non ero stato fedele ai nostri accordi.
“E tu cosa gli hai detto?” gli chiesi chiudendo il libro su cui ero stato piegato per ore.
Si passò una mano tra i capelli, sembrava stanco.
Mi guardò con occhi quasi liquidi e “Non gli ho ancora risposto.” sussurrò. Il modo in cui mi osservò mi fece sentire come se mi fossi appena tradito da solo: il fatto che non avessi neanche tentato di mentire o di mettergli a credere una scusa qualunque, gli fece capire che quella di non chiamare Harry era stata una mia scelta volontaria. E se me l’avesse chiesto esplicitamente, non avrei negato.
Era tempo di smetterla con le omissioni e le bugie.
“Hai avuto un contrattempo?” mi domandò, sorvolando sul fatto che non avessi detto niente dopo la sua risposta. Mi sembrò come se stesse cercando in tutti i modi di sfuggire anche lui dalla realtà, come se non volesse sentirsi dire come stavano veramente le cose. Eppure non avevo dubbi sul fatto che, almeno in parte, avesse capito tutto. O molto.
Scossi la testa e “No, Niall…” ammisi “non ho avuto contrattempi.”.
Lui annuì. Come immaginavo, aveva previsto quella risposta da parte mia.
“Forse dovremmo parlare, Lou…” fu tutto ciò che disse dopo, sedendosi meglio sul divano.
 
L’ultima volta che ci eravamo ritrovati soli nel nostro salotto ad affrontare una conversazione difficile come quella risaliva al giorno in cui Niall mi aveva raccontato per la prima volta di Harry: il giorno in cui tutto era iniziato.
In un modo o nell’altro, sentivo che quello che stavamo vivendo sarebbe stato il giorno in cui, invece, tutto sarebbe finito.
Non aspettai che mi chiese di nuovo come mai non avessi sentito Harry. Era arrivato il mio momento di spiegare.
“Non l’ho chiamato perché l’ultima volta che l’ho fatto è successo qualcosa.”.
Aggrottò le sopracciglia come se mi stesse guardando davvero per la prima volta da quando era arrivato.
Deglutii a fatica mentre lo osservavo riflettere: probabilmente stava tentando di ricordare cosa fosse successo durante l’ultimo collegamento con il riccio, ignaro del fatto che ce ne fosse stato un altro solo tra me e lui.
Confermò la mia ipotesi quando mi chiese “Cosa c’è stato di strano nell’ultima videochiamata che abbiamo…”.
Ma lo interruppi bruscamente e “Quella non è stata l’ultima.” gli dissi.
Vidi la confusione dipingersi sul suo viso e il senso di colpa tornò a divorarmi dall’interno in un attimo.
Capì. Non che fosse difficile indovinare cosa potesse essere successo di sconvolgente in una videochiamata tra due persone divise da un computer, ma non ebbi dubbi sul fatto che capì.
La sua espressione cambiò: si alzò in piedi iniziando a misurare la stanza a grandi falcate. Le mani erano corse a torturare i capelli e per un attimo temetti potesse iniziare ad urlarmi contro.
Poi, invece, si fermò.
“Da quanto tempo ti piace?” chiese senza giri di parole. La gola mi seccò.
Forse l’avevo sottovalutato, non mi ero mai reso conto che i rari momenti che passava immobile durante le videochiamate li spendeva ad osservare me e le mie reazioni a tutto ciò che Harry diceva. Mi sentii nudo, quasi violato, ma durò un attimo, giusto il tempo di rendermi conto che non ero io quello ad essere stato tradito da un amico.
“Ha importanza?” domandai a mia volta, incapace di rispondere. Come potevo dirgli che Harry mi era piaciuto fin dall’inizio? Era una cosa che sembrava ridicola persino a me.
“Certo che ha importanza!” urlò esasperato, la speranza che potesse restare calmo svanita nel nulla, “Potresti cercare di essere sincero almeno adesso?”.
Mi feci piccolo sulla poltrona. Non potevo uscire da quella situazione: avevo sbagliato tutto, fin dall’inizio, e non c’era nulla che potessi dire per giustificare il mio comportamento e tutto quello che avevo fatto.
Non sono cose che si possono controllare.
Le parole di Zayn tornarono a violentare la mia mente anche in quel momento ma non ero sicuro di potermici aggrappare ancora. Erano vere solo in parte e me ne accorsi solo allora.
Alcune cose avrei potuto senz’altro gestirle meglio. I sentimenti nei confronti di Harry magari no: quelli erano nati spontaneamente e contro la mia volontà.
Ma nascondere tutto a Niall per due mesi, beh, quella era stata una scelta mia. Ed era arrivato il momento di farci i conti.
“Mi è sempre piaciuto.” ammisi infine. Glielo dovevo e la mia mente, su due piedi, non aveva trovato altre parole per sganciare quella bomba.
Rise amaramente scuotendo la testa. Mi stava odiando, potevo leggerglielo in faccia.
“Pensavi di dirmelo, prima o poi?” mi chiese. Era deluso e arrabbiato.
Realizzai di tenere veramente a lui solo in quel momento, solo quando ormai lo avevo ferito irrimediabilmente.
“Forse…” bisbigliai incerto “o magari avrei aspettato che mi passasse.”.
Tornò a sedersi sul divano e si accasciò sullo schienale. Sembrava sgonfiato e svuotato da qualsiasi emozione e sentii l’impulso di andare lì ad abbracciarlo. Non lo feci, ovviamente. Non ne avevo il diritto.
Stette zitto per secondi che mi parvero ore e poi “Staremo entrambi lontani da lui per un po’.” sentenziò con il tono di uno che non ammetteva repliche.
Sbarrai gli occhi e tentai di aprire bocca per fare domande, per chiedergli il motivo di quella decisione radicale, ma lui non mi diede la possibilità di dire nulla.
“Ti sto chiedendo un favore e assecondarmi è il minimo che tu possa fare, non trovi?” chiese retoricamente.
Mi zittì. Annuii afflitto ma non lo contraddissi, avrei fatto qualsiasi cosa per rimediare ai miei sbagli. E se non sentire Harry per un po’ l’avrebbe aiutato a calmarsi e a placare l’odio che stava provando per me, avrei fatto anche quello.
 
 
 
 
Liam
 
“Sono passati dieci giorni, Lee.”.
Il mio migliore amico si buttò accanto a me sul letto. I suoi occhi chiari erano cerchiati da scure occhiaie gonfie.
Ad una prima occhiata sembrava uno che non dormiva da giorni. Ad una seconda, uno che non dormiva da mesi.
Mi spostai sul materasso per fargli spazio e gli passai un braccio intorno alle spalle per fargli poggiare la testa sul mio petto in un gesto che aveva il sapore di conforto, rassicurazione e casa.
“Sono passati dieci giorni da cosa?” domandai nonostante sapessi già la risposta. Parlarne gli avrebbe fatto bene.
Lui sospirò e si strinse di più al mio busto, come in cerca di calore.
“Dall’ultima volta che l’ho sentito.” bisbigliò contro la trama della mia maglietta.
Non c’era modo di tranquillizzarlo, non ci sarei riuscito in nessun caso. Cosa potevo dirgli per farlo stare bene? L’unica cosa che l’avrebbe davvero tirato su di morale sarebbe stata sentire Niall. Ma per quello non potevo fare nulla, non dipendeva da me.
Non avere i mezzi per far sorridere Harry mi stava mandando fuori strada: non era mai successo, mai, in tutti i nostri anni di amicizia.
“Gli avevo solo mandato un messaggio per chiedergli come mai non mi avesse chiamato,” continuò “e lui non ha più risposto.”.
La sua voce mi parve sofferente mentre la sentivo esporre per l’ennesima volta la versione dei fatti. Avevo la sensazione che continuare a ricordare e ricapitolare l’ultimo contatto che aveva avuto con Niall gli fosse utile, come se lo alleggerisse ogni volta un po’ di più.
Annuii, nonostante da quella posizione non potesse vedermi.
“Lo so, Haz.” sussurrai sulla sua testa.
Restammo in silenzio per un po’, tanto che iniziai a sentire il suo battito regolare infrangersi sul mio stomaco.
Per un attimo sperai si fosse addormentato, ne aveva bisogno. Ma poi parlo di nuovo.
“Forse gli sono sembrato assillante con quella domanda.” disse con voce impastata “Avrei dovuto evitare…”.
A quel punto mi misi a sedere trascinandolo su con me. Lo presi per le spalle in modo che mi guardasse dritto negli occhi e “Era solo una domanda, non colpevolizzarti sempre.” gli ordinai.
Non era giusto che si stesse sentendo così soltanto per aver chiesto qualcosa. Di legittimo, tra l’altro.
Niall non poteva averlo ignorato per dieci giorni soltanto per quel motivo. Doveva essere successo altro.
Abbassò lo sguardo scuotendo la testa. Non era convinto e sapevo che non avrebbe smesso di sentirsi in colpa solo grazie alle mie parole da migliore amico.
“O forse si sente in difficoltà per ciò che abbiamo fatto durante l’ultima videochiamata.” ipotizzò ancora.
Arrossii. Mi aveva raccontato del momento d’intimità che avevano avuto lui e Niall e non potevo fare a meno di sentirmi un po’ a disagio nel parlarne.
“Anche quello è colpa mia, tra l’altro.” aggiunse sovrappensiero.
Mi ripresi dall’imbarazzo nel sentirlo darsi la colpa un’altra volta.
“A me sembra che a lui non sia dispiaciuto affatto, invece.” dissi con un po’ troppa acidità nel tono di voce.
I suoi occhi si riempirono di lacrime e si coprì il viso con entrambe le mani prima di dire, frustrato, “Sto solo cercando di dare un senso a tutto.”.
Lo abbracciai di nuovo nell’inutile tentativo di dargli conforto.
Cantilenai nel suo orecchio frasi rassicuranti, nonostante non fossi certo di avere la sua totale attenzione: la mia priorità era calmarlo. Quello veniva prima di ogni altra cosa. Lui si lasciò cullare dalle mie parole e solo quando io stesso non seppi più che dire mi spinse via in un attimo di ritrovata energia.
Mi fissò con gli occhi sbarrati, come se improvvisamente avesse avuto l’illuminazione che stava aspettando da dieci giorni.
“So cosa devo fare!” quasi urlò, costringendomi ad allontanarmi un po’ da lui per ripararmi dai suoi strilli.
Aprii bocca per chiedergli quale fosse la sua idea ma lui era già saltato giù dal letto per tornare nella sua stanza.
“Andrò da lui.” sbraitò un attimo dopo dal corridoio.
Ci misi un po’ a rendermi conto di ciò che avesse detto ma, quando le sue parole presero un senso nella mia testa, mi alzai di scatto a mia volta per seguirlo.
“Cosa hai detto?” chiesi in preda al panico. Non poteva essere serio. Non stava davvero pensando di prendere un aereo per andare a cercare un ragazzo che conosceva da poco più di quattro mesi solo perché non riusciva a sentirlo da dieci giorni.
Quando entrai nella sua camera, tuttavia, lo vidi tirare fuori il suo trolley da viaggio da sotto il letto.
Sentii il sudore colarmi sulla schiena per l’agitazione.
“Haz,” tentai di articolare il suo nome nell’attesa che un’idea geniale per fermarlo mi balenasse nella mente “calmati un attimo, per favore.”.
Lui sembrò ignorarmi, la sua attenzione già rivolta verso l’armadio da cui tirò fuori un paio di magliette.
“Non c’è altro da fare, Liam.” mi rispose categorico.
Spalancai le braccia, esasperato.
“Sì che c’è!” urlai “Prova a chiamarlo, no?”.
Finalmente, nel sentirmi dire quelle parole, si fermò. Mi guardò per qualche secondo, come per ponderare se fossi lucido o no, e poi proruppe in una risata che di serio aveva poco.
“Pensi che non ci abbia già provato?” mi domandò “Cosa credi che abbia fatto in questi giorni?”.
Scossi la testa per fargli capire che non ne avevo idea.
“Ho provato di tutto: messaggi, chiamate, chat, Skype… è scomparso nel nulla!” mi spiegò.
Mi avvicinai al suo letto e mi ci buttai sopra. Avevo bisogno di stare calmo per entrambi. Lui sembrava essere impazzito.
“E qual è il tuo grande piano?” chiesi stizzito “Andare a Chicago e cercarlo tra le strade del centro?”.
Infilò due pantaloni in valigia e tornò per la terza volta di fronte al suo guardaroba.
“So dove studia” borbottò “quindi andrò al campus e lo cercherò lì.”
Lo disse con una tale sicurezza da darmi l’impressione che stesse pensando a quel viaggio da un bel po’ di tempo. Per essere un’idea venutagli solo qualche minuto prima, dovetti ammettere che non era male. Quanto meno, cercare Niall in un campus sarebbe stato più semplice che cercarlo in una grande metropoli dell’Illinois.
In ogni caso non potevo permettermi di incoraggiarlo.
“È una follia!” dissi nonostante, minuto dopo minuto, l’idea stesse iniziando a sembrare fattibile anche a me.
Continuò con i suoi preparativi ignorandomi per qualche secondo.
“Non ti sto chiedendo di venire con me, se non vuoi.” sussurrò in tono comunque troppo alto perché lo ignorassi. Sbuffai alzando gli occhi al cielo.
La sua voce era uscita fuori in modo del tutto contrastante con i suoi pensieri: la sua, al contrario di quello che potesse sembrare, era una vera e propria richiesta di compagnia.
E come potevo lasciarlo solo? Come avrei potuto permettere che andasse da solo in uno degli stati più caotici d’America alla ricerca disperata di un ragazzo di cui aveva visto le sembianze solo tramite computer?
Mi alzai dal suo letto e lisciai i miei jeans sulle cosce.
Il suo sguardo ardeva a contatto con il mio: era ansioso di sapere cosa avrei fatto.
Sadico, lo lasciai qualche secondo sulle spine prima di cedere.
“Vedo a che ora c’è il primo volo per Chicago.”.
 
 
 
Harry
 
Passammo la notte in aeroporto.
Il primo volo che avevamo trovato disponibile sarebbe partito alle sei di mattina e sarebbe durato quasi otto ore. Dato il fuso orario una volta arrivati a Chicago lì sarebbero state le sette di mattina: stavamo per vivere il giorno più lungo delle nostre vite.
Io e Liam ci sedemmo nell’enorme sala d’aspetto di Heathrow in attesa di poter ritirare i biglietti prenotati solo un paio di ore prima dal nostro appartamento.
Appena il mio migliore amico poggiò la sua testa sulla mia spalla, già esausto, mi ritrovai completamente solo con i miei pensieri.
Per un attimo mi parve tutto senza senso. Cosa stavo facendo? Da quando ero diventato così impulsivo? Non lo ero mai stato.
“L’amore fa fare cose strane.”
Rabbrividii nel rendermi conto del pensiero che la mia mente aveva appena formulato. Non potevo già parlare d’amore, ne ero consapevole, eppure stavo costringendo me e Liam ad affrontare un viaggio lunghissimo per cercare quella che credevo essere la mia persona.
Magari non ero innamorato di Niall, ma quella che provavo per lui non poteva neanche essere definita semplice attrazione. Non avrei fatto tutto quello per una banale cotta come le altre. Stavo letteralmente attraversando mezzo mondo per lui. Qualcosa doveva pur significare.
Mi convinsi che ne sarebbe valsa la pena. E lo feci anche perché sapevo che ormai non avrei più potuto cambiare idea. O comunque, anche se avessi potuto, non avrei trovato il coraggio per dirlo a Liam.
Era già tanto che mi avesse assecondato in quella follia, non potevo farmi vedere indeciso. Almeno io dovevo continuare a credere che tutto sarebbe andato per il meglio.
 
“L’unica cosa che mi angoscia” disse Liam una volta fatto il check-in “è il fatto che non potrò sentire Dani per le prossime otto ore.”.
Ridacchiai. Avrei voluto fargli notare che in alcuni giorni riuscivano a non sentirsi anche per più di otto ore, ma non mi parve il caso.
Lo vidi osservare ansioso il cellulare.
“E adesso sta dormendo quindi scoprirà della mia partenza solo domani mattina quando non potrò rispondere alle sue chiamate.” aggiunse poi.
Gli posai una mano sulla spalla e “Starà bene, Lee…” lo rassicurai. Non era davvero preoccupato, solo un po’ nostalgico.
Lui scosse le spalle per farmi capire che non aveva più voglia di parlarne e ci avviammo al gate pronti a salire sull’aereo.
 
Il mio migliore amico dormì per quasi tutte le otto ore di volo.
Lo invidiai: io non ero riuscito a chiudere occhio neanche per dieci minuti di fila. Sapevo che quella sera – ci sarebbe stata una sera? Non ne ero ancora sicuro – me ne sarei pentito ma era stato più forte di me. L’ansia e l’oscillare burrascoso dell’aereo non mi avevano permesso di rilassarmi.
Una volta scesi l’aria di Chicago ci raggelò le ossa in un attimo.
Liam si strinse nella sua giacca borbottando qualcosa riguardo il modo frettoloso con cui aveva fatto la valigia. In effetti mi resi conto anch’io di non aver preso molte cose adatte a quella temperatura rigida.
Mi augurai che il freddo fosse dovuto soltanto all’ora, ma ne dubitai un secondo dopo.
Quando fummo definitivamente fuori dall’aeroporto, “Adesso che si fa?” mi chiese il mio amico guardandosi intorno.
Numerosi taxi sfrecciarono per la strada trafficata a causa dei diversi arrivi.
“Colazione.” risposi. Ne avevamo già fatta una prima di partire e una sull’aereo ma per noi era mattina un’altra volta quindi tanto valeva riiniziare bene la giornata.
Lui annuì ed entrammo nel primo bar a disposizione.
Soltanto quando fummo entrambi di fronte ad una tazza fumante di caffè americano, Liam parlò di nuovo.
“Ripetimi il piano in modo più dettagliato.” mi ordinò gentilmente. La sua fronte era aggrottata e il suo sguardo era perso dentro il liquido scuro che ancora non si era deciso a bere.
Io feci un lungo sorso dal mio, invece, e poi “Andiamo al campus e lo cerchiamo, Lee.” ripetei esattamente come avevo fatto quando mi aveva chiesto le mie intenzioni per la prima volta in camera mia.
Per farmi trovare più preparato, però, aggiunsi “Oggi, che io sappia, dovrebbe avere lezione fino alle quattro.”. Non che avessi imparato a memoria il calendario delle lezioni di Niall…
Liam annuì, come per autoconvincersi che la mia fosse proprio un’idea brillante, e poi, finalmente, assaggiò il suo caffè.
 
Il campus era letteralmente enorme.
Dall’aeroporto ci impiegammo un’ora per raggiungerlo, dopo averne persa un’altra per finire con calma la nostra colazione e per chiedere informazioni utili sui mezzi che avremmo dovuto prendere per muoverci verso l’università.
La metro, da come ci avevano detto, non arrivava fino al campus ed eravamo stati costretti a muoverci in autobus, rallentati dal traffico infernale della grande metropoli.
In ogni caso eravamo lì e la paura che forse non sarei comunque riuscito a trovare Niall mi attanagliò lo stomaco. Quel posto era una città nella città.
“L’idea” iniziò Liam “sarebbe quella di mettersi in mezzo a questo enorme giardino e guardarsi intorno, vero?”.
Sorrisi per alleggerire la tensione e “Più o meno…” risposi “a meno che tu non ne abbia una migliore.”.
Lui scosse la testa per farmi capire che non ne aveva. Sospirammo entrambi, contemporaneamente, e ci avviammo verso la scalinata che torreggiava sul giardino principale del campus.
Aspettammo sui gradini fino alle dodici e in quelle ore di attesa Liam mi aveva stretto il braccio per richiamare la mia attenzione ogni volta che un ragazzo dai capelli castano chiaro ci era passato accanto.
Ma di Niall nessuna traccia.
Mi venne il dubbio che forse non l’avevo riflettuto abbastanza durante le nostre videochiamate. E se davvero non l’avessi riconosciuto? Mi diedi una botta al braccio per tornare sul pianeta terra. Il mio migliore amico mi guardò come se fossi pazzo ma poi mi abbracciò le spalle e “Vedrai che lo troveremo.” mi rassicurò.
“Credo sia l’ora della pausa pranzo.” dissi invece io guardandomi intorno.
Un fiume di ragazzi invase la scalinata su cui eravamo seduti dirigendosi tutti verso un’unica direzione.
Io e Liam ci alzammo in contemporanea dalla nostra postazione, più per non essere travolti che per altro, e ci ritrovammo a seguire gli studenti senza neanche rendercene conto. In fondo, se era davvero l’ora di pausa, anche Niall avrebbe raggiunto la mensa insieme agli altri.
 
Ci accorgemmo, dopo circa duecento metri di cammino, che “la mensa”, di fatto, era, almeno in parte, costituita da tavolini all’aperto.
Mi chiesi con che coraggio gli studenti avrebbero mangiato fuori, dato il clima. Eppure un gran numero di ragazzi uscì dall’edificio con enormi vassoi per il pranzo.
Aspettammo che la maggior parte delle persone si sedesse intorno ai tavoli e iniziammo a guardarci intorno quando la situazione si calmò. C’erano centinaia di persone e una parte di me si era già rassegnata al fatto che non avremmo trovato mai la persona che stavamo cercando.
Ci addentrammo tra i tavolini e sentii lo stomaco del mio amico brontolare di nuovo per la fame, nonostante le tre colazioni.
“Pensi che ci faranno mangiare qualcosa o senza la tessera per la mensa non potremo neanche avvicinare alle casse?” chiese Liam, senza smettere di girare la testa a destra e a sinistra come un avvoltoio.
Mi sedetti su una delle panche libere, desolato, e sbuffai senza neanche rispondergli.
Lui riprese a parlare a ruota libera su quanto il cibo degli studenti si sarebbe raffreddato da lì a qualche secondo e proprio quando stavo per bloccarlo, esasperato dalle sue chiacchiere, vidi due figure familiari a qualche tavolo di distanza di fronte a me.
Mi rialzai di scatto e strinsi il braccio di Liam con talmente tanta foga che lo sentii lamentarsi e cercare di allentare la mia presa.
“Lee!” quasi urlai.
Si voltò verso di me e, quando capì cosa – o meglio, chi – avessi visto, seguì il mio sguardo fino a farlo posare sulle due persone che stavo osservando.
“Oddio…” bisbigliò al posto mio. Io sembravo non avere più voce.
Mi scosse per una spalla come per farmi risvegliare dallo stato di shock in cui mi trovavo.
“Quello con lui chi è?” mi chiese in riferimento al ragazzo biondo e magrolino seduto di fronte a Niall.
Deglutii a fatica e “Il suo coinquilino Louis.” risposi con la gola secca.
Restammo fermi, come congelati, per qualche secondo finché Liam non prese di nuovo il mio braccio per strattonarmi.
“Che stiamo aspettando?” domandò retorico, la stretta delle sue dita sempre più forte.
Presi un respiro profondo e quello sembrò farmi tornare con i piedi per terra, come se avesse mandato parecchio ossigeno al cervello immobilizzato dal timore.
Lo guardai dritto negli occhi e annuii deciso, pronto a raggiungere i due ragazzi.
 
Feci dei grandi passi verso il loro tavolo, in un attimo dimentico di Liam. Non sentivo neanche la sua presenza dietro le mie spalle ma non potevo più preoccuparmi di lui.
Le mani presero a sudarmi e le strinsi in due pugni asciugandomi i palmi con le dita.
“Niall.” bisbigliai quando ancora ero troppo lontano per farmi sentire.
Continuai a ripetere il suo nome man mano che avanzavo verso di lui. Lo pronunciai sempre più forte finché il mio bacino toccò il bordo del loro tavolo e mi accorsi di non poter più avanzare.
Raggiunta la mia meta “Niall!” dissi di nuovo, più deciso.
A quel suono, Louis alzò di scatto la testa finalmente accorgendosi della mia presenza.
L’avevo visto solo una volta tramite webcam ma la sua pelle mi parve dieci volte più bianca e trasparente di quanto avesse fatto in quell’occasione. I suoi occhi erano chiarissimi e le sue guance appena chiazzate di rosso.
Lo guardai solo un attimo, però, perché il mio sguardo ricadde subito su Niall in attesa di una sua reazione.
Non mi aveva sentito? Avevo pronunciato il suo nome molto chiaramente…
Nel dubbio, lo feci un’altra volta.
“Niall?” chiesi fissandolo.
Louis, alla mia sinistra, mi guardava con occhi e bocca spalancati senza dire nulla. Mi sentii un fantasma.
Poi, finalmente, successe qualcosa.
“Hai intenzione di rispondere?” chiese Niall senza alzare gli occhi dal suo piatto. Sembrava annoiato.
Mi chiesi a chi si stesse riferendo. Era impazzito? Stava forse parlando con se stesso?
Dovevo essere in un sogno. Mi venne il dubbio che stessi dormendo, che fossi ancora sull’aereo e che fossi finalmente riuscito a prendere sonno, ma il pizzico che mi diedi sul dorso della mano mi confermò di essere del tutto sveglio.
Poi, non ricevendo risposte da nessuno, Niall si decise ad alzare gli occhi su di noi.
Guardò prima il suo coinquilino e poi me. Inizialmente, quando i suoi occhi si posarono sulla mia figura, mi parvero vuoti, come se non avesse realizzato davvero la mia presenza. Ma poi un’infinità di emozioni attraversò le sue iridi bloccandogli il respiro.
Arrossì come non lo avevo mai visto fare e guardò il suo amico senza dire una parola.
Liam mi raggiunse alle spalle presentandosi con un “Ciao!” verso Niall. O meglio, verso quello che io credevo essere Niall. Iniziavo ad avere dubbi sulla situazione.
Non riuscivo a decifrare le loro reazioni, si guardavano senza dire una parola e poi tornavano a guardare me per ricominciare la loro danza di sguardi da capo.
“Qualcuno potrebbe spiegarmi che succede?” chiesi irritato. Nella mia mente si stava formando una certa idea ma il mio cuore si rifiutava di prenderla in considerazione.
Per un attimo, tutto si bloccò.
Poi il biondo, Louis, si alzò dalla panca in legno sulla quale era seduto e “Harry…” bisbigliò con la pelle in fiamme, “sono io Niall.”.
 
 
 
Niall
 
Lo sguardo che mi rivolse il riccio dopo quella confessione non avrei potuto descriverlo neanche con un vocabolario a disposizione.
Nella mia testa cercai di farlo lo stesso. Era deluso, sorpreso, arrabbiato, confuso e smarrito insieme. Era anche un insieme di altre cose ma mi limitai a vederlo così.
Perché era lì? Non potevo credere che Harry fosse davvero di fronte a me. 
In realtà non riuscivo neanche a credere di avergli appena confessato tutto. Avevo sempre pensato che, una volta detta la verità, mi sarei sentito meglio, più leggero e con la coscienza pulita.
Non era così, non mi stavo affatto sentendo sollevato. La sua espressione ferita mi stava aprendo una crepa nel petto.
Respirai dalla bocca per prendere più aria ma fu del tutto inutile.
Lui si girò verso Louis e “Tu chi sei?” gli chiese con un tono di voce piatto.
Il mio coinquilino abbassò lo sguardo e “Louis.” rispose soltanto, in un sussurro quasi inudibile.
Harry si lasciò andare ad una risata sarcastica. Temetti di vederlo scattare verso di noi in un impeto di rabbia da un momento all’altro. Ma non lo fece. Restò lì, in piedi e immobile.
“Non ci credo…” disse, più a se stesso che a noi, alzando gli occhi al cielo.
Liam, appena dietro di lui, aggrottò le sopracciglia, forse ancora un po’ confuso.
“State scherzando?” chiese serio, facendo balzare lo sguardo da me a Louis. Aveva l’aria da bravo ragazzo, un viso buono, ma allo stesso tempo sapevo fosse la persona più vicina ad Harry. Era quasi un fratello per il riccio, uno di quelli parecchio protettivi. Non che non mi meritassi un pugno, in quel momento…
“Giuro che te ne avrei parlato…” trovai il coraggio di dire al riccio “prima o poi…”.
Lui rise di nuovo ma i suoi occhi erano velati da lacrime di rabbia.
“Voglio andare via.” riferì a Liam dandoci le spalle. Fece qualche passo lontano dal tavolo e per istinto allungai un braccio per fermarlo.
Il suo migliore amico però non mi permise di toccarlo. Mi fulminò con lo sguardo e, sfiorando una spalla di Harry, lo bloccò al posto mio.
“Haz…” lo chiamò “abbiamo fatto otto ore di volo per vederlo, forse… potresti sentire cosa ha da dire.”.
Rimasi senza fiato per quelle parole: avrei voluto ringraziare Liam per il suo aiuto. Sapevo che era l’unico che avrebbe potuto convincere il riccio ad ascoltarmi ma non capivo esattamente perché si stesse adoperando a farlo. Avevo ingannato il suo migliore amico e non avevo dubbi sul fatto che mi odiasse. Eppure mi stava dando una mano.
Harry si voltò di nuovo verso il nostro tavolo ma, con mia sorpresa, rivolse la sua attenzione solo a Louis.
Parve riflettere qualche secondo e poi “Lui sa che cosa abbiamo fatto durante l’ultima chiamata?” gli chiese indicando me.
Guardai anche io il mio coinquilino: era nervoso, lo vedevo dal modo in cui si stava torturando il labbro inferiore.
Scosse la testa e “Non proprio…” confessò “ma suppongo lo immagini.”.
Il riccio scosse la testa, l’espressione sul suo viso quasi inorridita da tutto quello che stava venendo fuori dalle nostre confessioni.
Non osavo mettermi nei suoi panni: non potevo immaginare cosa stesse provando in quell’istante.
“Non so chi dei due odio di più al momento” disse “ma Liam ha ragione. Abbiamo fatto otto ore di volo per venire qui e non me ne andrò finché non mi avrete spiegato tutto.”.
 
Tornammo tutti e quattro nell’appartamento mio e di Louis con il primo autobus disponibile.
Lasciammo entrare Liam e Harry in salotto mentre noi ci dirigemmo in cucina per prendere qualcosa da bere. La tensione era ancora alle stelle nonostante avessi la sensazione che il riccio si fosse un po’ calmato.
Il mio coinquilino, invece, non accennava ad aprire bocca. Il suo nervosismo non si era placato e continuava a mordersi le labbra come se volesse staccarsele.
Senza dire niente ci limitammo a prendere acqua e bibite varie dal frigo e a tornare in salotto per non lasciare soli i nostri ospiti. Li trovammo in piedi a perlustrare la stanza.
“Avete fame?” chiesi senza rendermene conto.
Liam si girò a guardarmi e scosse la testa per dire di no. Sul suo viso c’era un’espressione strana, ebbi quasi la sensazione che mi stesse mentendo per educazione, ma non avrei insistito.
Harry invece si passò entrambe le mani tra i capelli, il colorito del suo viso divenne quasi grigio.
“Pensavo di farcela ma non riesco a stare qui.” disse avviandosi di nuovo verso la porta d’ingresso sotto lo sguardo stralunato di tutti.
Per un attimo rimanemmo fermi, indecisi se seguirlo o meno.
Fu Liam a reagire per primo, ovviamente, ma vederlo muoversi verso l’uscita mi risvegliò dal torpore in cui ero caduto.
“Penso di dover andare io…” asserii con un po’ d’incertezza nella voce. Sentivo solo di doverlo fare ma non sapevo ancora cosa avrei detto a Harry, se mai avesse acconsentito a parlarmi.
Il castano annuì e “Lo penso anch’io.” concordò lasciandomi spazio per farmi passare.
 
Trovai Harry fuori il portone del nostro palazzo, le mani ancora tra i capelli e il passo frenetico mentre si muoveva tracciando con i piedi percorsi senza senso.
Non si accorse subito della mia presenza e approfittai per osservarlo in silenzio. Era la prima volta che lo guardavo davvero: fino a quel momento l’avevo visto solo attraverso qualche foto e tramite quell’unica volta che mi ero mostrato in webcam fingendomi Louis.
Era davvero bello, più alto di quanto immaginassi e con delle spalle da fa invidia ad un nuotatore. Mi chiesi se per caso praticasse proprio quello sport. Non potevo saperlo visto che negli ultimi due mesi non ero stato io ad interessarmi a lui, a fargli domande sui suoi hobby e ad approfondire la sua conoscenza.
Solo in quel momento mi resi conto di quanto fossi rimasto estraneo da quel rapporto e di quanto fosse stata inutile la mia idea di non mostrarmi per quello che ero.
Mi ero talmente allontanato da lui che mi stupii di quanto poco mi sarebbe importato se avesse deciso di mandarmi al diavolo.
Mi premeva soltanto che mi perdonasse, non aspiravo neanche più a salvare i brandelli a cui si erano ridotti i nostri contatti.
Presi coraggio e mi feci avanti senza rifletterci più di tanto.
“Stai bene?” chiesi uscendo dal portone.
Lui interruppe il suo percorso e alzò lo sguardo su di me.
“È tutto un casino.” rispose come se io non avessi parlato. Disse quelle poche parole in modo piatto: ebbi quasi la sensazione che fossero solo un suo pensiero uscito per caso dalla sua bocca. Tuttavia non potei ignorarle.
“Lo so… ed è colpa mia.”.
Mi sedetti sui gradini antistanti il portone in attesa che mi raggiungesse. Quando mi fu finalmente vicino restò in silenzio per qualche secondo. Realizzai che forse ero io quello che avrebbe dovuto dire qualcosa, dare spiegazioni, ma le parole mi restarono bloccate in gola.
Da dove potevo iniziare?
“Dimmi perché l’hai fatto.” mi ordinò, ma senza risentimento.
Scrollai le spalle scuotendo la testa. Gli occhi mi si velarono di lacrime ma riuscii a ricacciarle indietro.
“Sei mai stato sincero con me o mi hai ingannato fin dall’inizio?” mi domandò poi, con il tono di uno che, nonostante tutto, aveva paura di ricevere una risposta.
Ed io avevo paura a dargliela ma non potevo lasciargli credere che fossi una persona del genere.
“I primi mesi hai parlato davvero con me, in chat.” iniziai a spiegare “Ma quando mi hai chiesto di farmi vedere in webcam ho avuto paura che potessi non piacerti e allora… ho chiesto a Louis di farsi vedere al posto mio.”.
Lui annuì stancamente guardando l’asfalto tra i suoi piedi e torturandosi le mani.
“Non volevo ingannarti, lo giuro!” aggiunsi “Credevo davvero che prima o poi avrei trovato il coraggio di dirti la verità ma… suppongo che la situazione mi sia un po’ sfuggita di mano.”.
Lo sentii tirare su con il naso e solo in quel momento mi accorsi del fatto che stesse piangendo. Non erano veri e propri singhiozzi ma il nervosismo l’aveva portato alle lacrime: era una cosa che succedeva spesso anche a me, per questo non mi allarmai.
Si asciugò le guance con i palmi ampi delle mani.
“Mi odi davvero?” chiesi voltandomi verso di lui nell’attesa che facesse lo stesso. Le mie guance erano rossissime ma avevo davvero bisogno di guardarlo negli occhi per capire il suo stato d’animo.
Le sue iridi chiare e velate si posarono su di me e le trovai stranamente calme.
“Non lo so…” rispose, sincero.
Lo lascai sfogare senza interromperlo: io avevo spiegato tutto ciò che c’era da sapere sulla mia versione dei fatti.
“Ho capito perché l’hai fatto e, guardandoti, ho la certezza che non era tua intenzione ferirmi o ingannarmi ma io… non so chi sei.”.
Disse quelle ultime parole con un’espressione dispiaciuta e ne capii il senso prima ancora di sentirlo parlare di nuovo.
“Per me sei uno sconosciuto, capisci?” continuò “Non è te che ho visto negli ultimi due mesi, che ho sognato diverse notti e con cui sono andato al mio primo e, probabilmente ultimo, appuntamento tramite computer.”.
C’era amarezza nella sua voce, come se si stesse giustificando per un errore che, però, non aveva commesso lui.
“Perché ho quasi la sensazione che tu stia per scusarti?” chiesi sinceramente confuso.
Lui temporeggiò un attimo e poi “Perché sto per farlo.” confermò, lasciandomi visibilmente perplesso.
Mi presi qualche secondo per capire il motivo per cui avrebbe dovuto fare una cosa del genere ma non mi venne in mente nulla. Era semplicemente assurdo.
“Harry non…” provai ad interromperlo, ma fu lui a bloccare me.
“Voglio scusarmi perché, nonostante io comprenda la tua sincerità, non è per te che provo qualcosa in questo momento.” disse con sicurezza.
Ci misi un po’ a rendermi conto di ciò che avesse appena detto ma fu un attimo e l’immagine di un Louis sorridente di fronte al pc mi apparve nella mente.
Era Louis quello con cui Harry aveva parlato in modo diretto, quello che aveva visto e quello che l’aveva fatto ridere. Il feeling tra loro due l’avevo percepito fin da subito, nonostante all’inizio mi ero rifiutato di ammetterlo anche a me stesso. I loro sorrisi erano sempre stati spontanei o, almeno, lo erano stati quelli del mio coinquilino. Lo conoscevo da un paio d’anni e non l’avevo mai visto ridere anche con gli occhi. Harry era stato in grado di farglielo fare.
“Credo di poterlo capire.” lo rassicurai “Anche se ero convinto che odiassi anche Louis.”.
Si passò una mano tra i capelli, nervoso, e “Infatti non so cosa provo nei suoi confronti al momento.” rispose. Sembrava in difficoltà e in lotta con i suoi stessi pensieri.
“So che mi ha ingannato anche lui” specificò “ma quello che cerco di dirti è che, anche se ho iniziato tutto questo con te, ora sento di conoscere più L-Louis.”.
Sorrisi per l’incertezza che mostrò nel pronunciare il nome del mio migliore amico. Sapeva a malapena come si chiamava ma aveva condiviso con lui molte più esperienze di quante ne avesse condivise con me.
Non potevo davvero fargliene una colpa.
“Forse dovresti parlare con lui, allora.” gli sorrisi tranquillo.
Mi stupii nel sentirmi sollevato dopo quella conversazione. In fondo sembrava essere diventato uno sconosciuto anche lui, per me.
Scosse la testa prima di alzarsi in piedi e “In realtà, credo di aver bisogno di un po’ di tempo per riflettere.” mi rispose.
Annuii ma non lo seguii. Rimasi seduto sul gradino di fronte al portone con gli occhi rivolti verso la strada.
Lui sembrò capire le mie intenzioni e il mio bisogno di restare un po’ solo, perché mi lasciò lì e si incamminò di nuovo dentro.
“Chiamo Liam per andare in albergo.” furono le ultime cose che mi disse prima di sparire.
 
 
 
Harry
 
Il Travelodge Hotel risultò essere più carino di quanto mi sarei aspettato. Non che io e il mio migliore amico, nel prenotarla, avessimo prestato molta attenzione ai comfort che la nostra sistemazione ci avrebbe offerto ma fu comunque un sollievo constatare che non ci fossero scarafaggi in giro. Dopo una giornata come quella sentivo solo la necessità di dormire tranquillo senza dovermi preoccupare di poter contrarre una malattia anche solo respirando.
La stanza che ci era stata assegnata aveva una carta da parati ricoperta di rose sbiadite e un letto matrimoniale a baldacchino che però sembrava sul punto di crollare a terra da un momento all’altro.
Mi buttai sul materasso coprendomi il viso con le mani.
Il nervosismo e la rabbia che avevo provato al campus nel capire le vere identità di Niall e Louis si erano un po’ affievoliti dopo la conversazione con il biondo, ma la situazione mi risultava ancora surreale.
Mi sentivo stupido: non potevo credere di non essermi accorto di nulla per tutto il tempo delle videochiamate. Mi vergognavo per essere stato così ingenuo.
Non riuscivo a capire se fossi stato io troppo cieco o loro troppo bravi a mentire. Più ci pensavo e più non riuscivo a venire a capo della questione. Facevo difficoltà anche a parlarne ad alta voce: avevo paura che, facendolo, sarei parso ancora più ridicolo a me stesso.
Sentii il materasso cedere vicino a me e percepii il corpo di Liam sdraiarsi accanto al mio.
“So quello che stai pensando e vorrei che la smettessi.” mi disse piano, come se non volesse disturbare più di tanto il corso dei miei pensieri.
“No” lo contraddissi “secondo me non lo sai.”.
Ridacchiò sistemandosi meglio al mio fianco e “Scommettiamo?” chiese divertito passandomi una mano tra i capelli. Tolsi le mie dal viso e lo guardai con un sopracciglio alzato che sapeva volesse dire “ci sto”.
Sorrise, in quel modo rassicurante e luminoso insieme, e “Stai pensando che è assurdo che tu non ti sia accorto di aver parlato con una persona diversa da Niall per tutto questo tempo.” snocciolò come se non mi avesse appena letto nella mente.
Sbuffai e alzai gli occhi al cielo, la soddisfazione di dargli ragione neanche da prendere in considerazione.
Pensai avesse finito ma prima che potessi rispondergli aggiunse “E stai pensando anche che, nonostante tutto, non riesci ad odiarli davvero.”.
A quel punto mi misi a sedere: un conto era saper interpretare i miei pensieri, un altro arrivare ad essi ancora prima di me.
“Smettila di fare il veggente!” gli intimai cercando di sembrare minaccioso. Non ci riuscii, ovviamente. Un sorriso mi sfuggì dalle labbra e iniziammo a ridere entrambi.
Mi piacevano le risate con Liam, facevano sembrare il mondo un posto tranquillo e privo di problemi. Ma purtroppo, come tutte le cose belle, durarono poco anche quelle.
“Hai ragione” concordai “non riesco ad odiarli.”.
Lui annuì, quasi soddisfatto di aver avuto ragione fin dall’inizio.
“Voglio dire,” mi corressi, però, subito dopo “di sicuro non odio Niall, quello vero.”.
Liam, ancora sdraiato, aggrottò le sopracciglia ed io mi affrettai a spiegare ancora.
“Ci ho parlato, so perché ha mentito e so anche che non voleva davvero ferirmi.” raccontai sbrigativo.
Non me la sentivo di avercela con lui: avevo capito le sue motivazioni e nonostante lo trovassi un bel ragazzo, non potevo fargliene davvero una colpa se non aveva avuto il coraggio di mostrarsi per quello che era realmente fin dall’inizio.
Di Louis, però, non potevo dire lo stesso. Non sapevo molto di lui, del motivo per cui aveva acconsentito ad appoggiare Niall e per cui aveva portato avanti la menzogna così a lungo. E purtroppo mi resi conto solo in quel momento che erano le sue spiegazioni quelle che mi interessavano di più.
Era lui che sentivo di conoscere, di apprezzare. Ed era per lui che ormai provavo qualcosa. Ma lui, per me, cosa sentiva? Ero solo uno sconosciuto? Il ragazzo a distanza del suo coinquilino? O anche lui nel corso di quei mesi aveva trovato piacevole la mia conoscenza, passare il tempo con me?
Mi era sembrato che ci fosse molto in comune tra noi, nei due mesi in cui gli avevo parlato credendolo Niall. Ma se fosse stato semplicemente un buon attore? Eppure i suoi sorrisi mi erano parsi così veri…
Lo sguardo del mio migliore amico continuava a bruciarmi la pelle, forse in attesa che esprimessi anche quel pensiero ad alta voce.
“È su Louis che hai dei dubbi?” mi chiese mettendosi a sedere a sua volta.
Lo guardai senza rispondere e vidi sul suo volto diverse espressioni susseguirsi una dopo l’altra. L’ultima che gli rimase impressa sulla pelle fu quella di completo stupore.
“Provi qualcosa per lui?” domandò incredulo.
Distolsi gli occhi dai suoi e presi a torturarmi le mani.
“Il fatto che il suo nome non sia Niall non cambia le cose. È con lui che ho condiviso gli ultimi due mesi della mia vita.” risposi sperando che quella spiegazione risultasse sensata anche alle sue orecchie, oltre che alle mie.
Ed evidentemente fu così, perché vidi i tratti del suo viso rilassarsi lasciando spazio alla comprensione.
“Hai ragione,” concordò “sei venuto qui per Louis. Il suo nome, in fondo, non ha poi tutta questa importanza.”.
Annuii, facendogli capire di aver colto il punto della questione.
Mi sistemai di nuovo sdraiato sul materasso poggiando la testa sul cuscino e mi preparai a lamentarmi di quanto fossi stato stupido a trascinare me e lui in hotel prima di parlare anche con Louis. Ma Liam mi anticipò di nuovo, ovviamente.
“Domani mattina torneremo da loro e ti prenderai le spiegazioni che meriti.” mi assicurò con quel tono protettivo che assumeva ogni volta che sentiva il bisogno di prendersi cura di me.
Gli feci cenno di sdraiarsi al mio fianco e solo quando mi raggiunse, al sicuro nella sua stretta, mi arrischiai a chiedergli “E se dovesse andare male?”.
Lui mi strinse un po’ e “Louis non vivrebbe tanto a lungo per pentirsene, se dovesse ferirti.” mi rispose ridacchiando.
Ma io lo sentii a stento: la giornata più lunga della mia vita, con mia sorpresa, aveva raggiunto davvero la sua sera.
 
 
 
 
Louis
 
Feci fatica persino a fare colazione quella mattina. Mi sentivo la bocca impastata, avevo la sensazione che fosse rimasta chiusa per ore e ore.
Io e Niall non avevamo parlato molto dopo che Harry e Liam avevano lasciato l’appartamento per andare in hotel. Il mio coinquilino mi aveva raccontato a grandi linee di essersi scusato con il riccio ma poi era tornato nella sua stanza senza neanche uscire per cena. Non mi era sembrato arrabbiato, il suo viso mi era parso sereno e disteso, nonostante tutto.
Quindi avevo passato la serata in totale solitudine e poi ero andato a dormire –riuscendoci a stento - continuando a rigirarmi nel letto e a ripetermi ciò che il biondo mi aveva riferito prima di chiudersi in camera: “Harry vorrà parlare anche con te.”.
Ripensai alla notte infernale appena passata portandomi svogliatamente alla bocca un pezzo di muffin raffermo sotto lo sguardo silenzioso di Niall.
E fu in quel momento che mi venne in mente Zayn. Mi resi conto del fatto che lui non fosse ancora a conoscenza dell’arrivo di Harry a Chicago. Non avevo dubbi sul fatto che da lì a poco avrei avuto bisogno della sua presenza e delle sue parole di conforto, quindi presi il cellulare dalla tasca, aprii la casella dei messaggi e gliene scrissi uno digitando un semplice “emergenza Harry” che sperai potesse risultargli esplicito.
Poi, il campanello suonò.
 
Per un attimo né io né il biondo facemmo nulla: ci guardammo soltanto.
Un secondo dopo, però, ci alzammo in contemporanea per dirigerci verso l’ingresso.
Sul nostro zerbino, dopo aver aperto la porta, trovammo proprio le due persone che, almeno io, mi ero aspettato di vedere.
Harry aveva lo sguardo rivolto verso il basso, mentre Liam fissava me e il mio coinquilino con l’aria di uno che sembrava dire, con il semplice solco disegnato tra sue sopracciglia, “vi tengo d’occhio”.
Fu il riccio a parlare per primo.
Alzò lo sguardo su di me e “Vorrei parlarti.” mi disse soltanto. Le mani gli tremavano per l’agitazione.
Io annuii, quasi in trance, e mi feci da parte per permettere ad entrambi di entrare in casa. Non potevo di certo dire che quella sua richiesta mi avesse stupito: avevo avuto ore per prepararmi a quel momento anche se l’ansia prese lo stesso il sopravvento dentro di me. Cercai di placarla: in fondo, dall’istante in cui l’avevo visto al campus, non avevo mai pensato davvero che me la sarei cavata senza un confronto diretto con lui. Aveva il diritto di ricevere spiegazioni anche da me ma la paura di restare solo con lui mi attanagliò comunque lo stomaco.
Feci per chiudere la porta ma Niall mi bloccò il braccio: in una mano aveva la sua giacca e sembrava pronto per uscire.
“Vado a prendere un po’ d’aria.” ci informò infilandosi le maniche del giubbino e uscendo dopo aver rivolto un sorriso a tutti.
 
Quando rimasi solo con Harry e Liam ci fu un silenzio imbarazzante per qualche secondo.
Avere il riccio ad un metro di distanza stava creando parecchi problemi al mio battito cardiaco e il fatto che avessi quasi la totale certezza che di lì a poco avrebbe chiuso definitivamente il nostro “rapporto” non faceva altro che deprimermi un po’. Un bel po’.
Ma se sbattermi in faccia il suo odio per me l’avrebbe fatto sentire meglio non mi sarei tirato indietro.
Tenevo molto a lui e gliel’avrei dimostrato in quel modo, se fosse stato necessario.
“O-ok…” balbettai affondando le mani nelle tasche dei miei jeans e acconsentendo definitivamente ad un confronto con lui. Gli feci un cenno con la mano per indicargli il divano e lui lo raggiunse sprofondando sui cuscini.
Poi, fu Liam a parlare.
“Io credo che andrò in bagno per… un po’ di tempo.” ci informò facendo alzare gli occhi di Harry al cielo e provocando a me una risatina nervosa.
Gli diedi istruzione su quale porta aprire e lo vedemmo scomparire nel corridoio.
Per la prima volta ignorai la mia poltrona e raggiunsi il riccio sul divano per sedermi accanto a lui. Se quello doveva essere l’ultimo momento per stargli vicino, l’avrei sfruttato al massimo.
“Se hai intenzione di farmi fuori” iniziai nel tentativo di stemperare la tensione “lasciami almeno raggiungere un attimo Niall per dirgli che potrebbe avere problemi con l’affitto.”.
Tenni lo sguardo fisso su di lui per studiare la sua reazione e quando lo vidi sorridere e coprirsi la bocca con una mano tornai a respirare anch’io, già più sollevato.
“Non ho intenzione di farti fuori.” negò poi, tornando serio.
Ma certo che no.” pensai io tra me e me. Harry non avrebbe fatto del male neanche ad una mosca. Non potevo dire di conoscerlo bene ma su quello non avevo dubbi.
Si passò le mani sul viso e poi guardò il vuoto di fronte a sé: probabilmente si stava chiedendo da dove potesse iniziare il suo discorso.
Ma “Prima che tu dica qualunque cosa” esordii anticipandolo “ci tengo a scusarmi anch’io come so ha già fatto Niall.”.
I suoi occhi chiari volarono su di me e, guardandolo, sentii il bisogno implacabile di avvicinarmi a lui per baciargli le palpebre. E l’avrei fatto se solo la parte razionale del mio cervello non mi avesse fatto notare quanto sarebbe stato fuori luogo un gesto del genere. Scossi la testa per tornare al mio discorso.
“Non so bene quanto ti ha detto lui ma giuro che non era mia intenzione mettermi in mezzo tra voi.” continuai “Dovevo farvi solo da tramite, non era previsto che tu iniziassi… a piacermi così tanto.”.
Avrei voluto distogliere lo sguardo da lui per l’imbarazzo ma il vederlo arrossire, nel sentire quelle mie parole, mi trattenne. Aprì la bocca per lo stupore, sgranò gli occhi e lasciò le sue guance libere di tingersi di rosso. L’avevo visto arrossire diverse volte ma mai a così pochi centimetri da me. Era uno spettacolo.
Avrei volentieri posato i miei palmi freschi sul suo viso per godere del calore della sua pelle.
Mi resi conto soltanto dopo che, data la sua reazione, forse Niall non l’aveva reso partecipe dei miei sentimenti nei suoi confronti.
Arrossii anch’io sperando che non se ne accorgesse.
Non sembrava intenzionato a dire qualcosa e per riempire il silenzio ripresi di nuovo a parlare io.
“Dopo la nostra ultima chiamata,” continuai, arrossendo ancora di più, “non me la sono più sentita di andare avanti.”.
A quel punto, però, m’interruppe.
“Perché ti eri pentito di quello che avevamo fatto.” asserì. Doveva essere una domanda ma gli uscì come un’affermazione. Sembrava esserne convinto.
Sgranai gli occhi nel rendermi conto di quanto stesse andando fuori strada e “No, Harry!” lo contraddissi subito “Tutto il contrario.”.
Distolse lo sguardo da me per rivolgerlo alle sue scarpe.
“Mi sentivo in colpa nei confronti di Niall perché quello che avevamo fatto mi era piaciuto troppo.” spiegai.
E stranamente non mi vergognai ad ammetterlo. Eravamo in ballo e tanto valeva mettere tutte le carte in tavola.
Lui fremette e le sue spalle ebbero un piccolo spasmo. Non trovò il coraggio di guardarmi di nuovo ma vidi un sorriso imbarazzato spuntare sulle sue labbra.
“Non era giusto quello che stavo iniziando a provare per te.” aggiunsi. Ma un secondo dopo mi corressi “Anzi, non è giusto quello che provo per te.”.
Restò in silenzio per un po’ ed io, a quel punto, feci lo stesso. Non avevo molto altro da confessare.
Poi, però, parlò di nuovo.
“Non so cosa dire.” ammise in difficoltà.
Forse non si aspettava tutto quello: forse, prima di parlare con me, nella sua mente si era concretizzata l’idea che io l’avessi solo ingannato per tutto quel tempo, che mi fossi preso gioco di lui e basta.
“Non devi dire niente, Harry.” lo tranquillizzai “Posso capire il motivo per cui mi odi ma io avevo comunque bisogno di farti sapere queste cose.”.
Le sue spalle ebbero di nuovo un fremito.
“È questo che pensi?” mi chiese ansioso “Credi davvero che io ti odi?”.
Soppesai le sue domande e “Beh… sarebbe piuttosto comprensibile.” gli feci notare.
Scosse la testa asciugandosi i palmi sudati delle mani sui jeans.
“Sì” concordò poi “lo sarebbe…”.
“Se non mi odi…” iniziai a chiedere, senza però riuscire a finire la domanda.
“Non lo so cosa provo per te,” mi anticipò lui “ma quello che so è che ora come ora non riuscirei a smettere di pensarti neanche se me lo imponessi con la forza.”.
Concluse quella frase abbassando sempre di più il suo tono di voce.
Non lo presi come un segno d’insicurezza, ma solo come un chiaro segnale di quanto fosse in lotta con se stesso. La sua mente, probabilmente, gli stava suggerendo di detestarmi ma lui non riusciva a farlo. Avrei voluto abbracciarlo.
“Ho condiviso con te momenti importanti, intimi, e sei la persona che sento più vicina a me in questo momento.” continuò, lasciandomi del tutto a bocca aperta “Se escludiamo Liam…”.
Mi guardò di nuovo.
“So che non sei Niall ma… ormai è ai tuoi sorrisi che penso costantemente.”.
Il cuore rischiò di sfondarmi la cassa toracica ma cercai di restare impassibile.
“Non posso fare questo a Niall…” mi sentii di dire. Nonostante mi pesasse pronunciare quelle parole, soprattutto dopo aver sentito ciò che aveva detto Harry, dovevo farlo. Avevo già rischiato di mandare in frantumi la loro storia, non potevo permettermi di farlo di nuovo.
Il riccio sorrise amaramente e “Niall sa già tutto, Louis.” mi rispose “Ma probabilmente il vero problema è che tu non te la senti di portare avanti questo rapporto a distanza con me. In fondo non sei tu ad avermi contattato in chat quattro mesi fa per iniziare una “storia virtuale”.”.
Forse aggiunse altro a quelle parole ma io non me ne resi conto. La mia testa si era fermata al “Niall sa già tutto”. Da lì in poi non avevo più ascoltato nulla.
I miei occhi erano rimasti fissi sulle sue labbra ma non per leggerne il labiale. Aspettai che si girasse di nuovo totalmente verso di me e, in un attimo, lo stavo già baciando. Davvero.
Sobbalzò per quel gesto inaspettato e per un po’ lo sentii immobile, come se non avesse intenzione di reagire a quel contatto.
In ogni caso non mi arresi. Gli cinsi il collo con entrambe le braccia e mi aggrappai a lui per non lasciarlo andare via.
Fu allora che reagì.
Prima sorrise sulle mie labbra e poi mosse piano le sue. I suoi movimenti lenti erano come carezze e me ne beai senza più un briciolo di senso di colpa.
Finalmente ne avevo la conferma: era me che voleva, ero io quello a cui “non riusciva più a smettere di pensare”.
Le sue mani enormi mi strinsero i fianchi sollevandomi appena dal mio posto: mi stava chiaramente invitando a sedermi su di lui. Lo assecondi e mi ritrovai a cingere i lati delle sue cosce con le mie ginocchia che, in qualsiasi altra posizione, ero sicuro avrebbero preso a tremarmi.
Le sue dita s’insinuarono appena sotto l’orlo della mia maglietta mentre rafforzavo la presa sul suo collo con l’intento di non staccarmi più da lui.
Avevo immaginato diverse volte di baciarlo ma la convinzione che fosse sbagliato non mi aveva mai permesso di approfondire i miei pensieri. Comunque nessuna mia fantasia avrebbe reso l’idea.
Quando le nostre lingue entrarono in contatto per la prima volta mi convinsi che per lui sarei anche potuto tornare in Inghilterra per sempre, nel caso in cui me l’avesse chiesto.
Sarei rimasto lì a baciarlo per ore ma la voce di Liam dal corridoio ci interruppe.
“Non so più cosa fare in bagno.” lo sentimmo urlare frustrato.
Ci staccammo ansimando nella stessa aria e mettendo le nostre fronti a contatto, nessuna intenzione di rispondere alle lamentele del castano.
Tutto quello che mi disse Harry, prima di attaccarsi al mio collo per lasciarci su un segno ben visibile del suo passaggio fu: “Adoro i nomi francesi.”.
 
 
 
Zayn
 
Il messaggio di Louis mi aveva fatto scattare come una molla.
Non che avessi capito il significato di quell’”emergenza Harry” ma era comunque riuscito a farmi venire il panico.
Cosa poteva essere successo? Sapevo solo che lui e Niall avevano deciso di prendere le distanze dal riccio per un po’ dopo che la verità, almeno tra loro due, era venuta fuori. Erano giorni che non parlavano di lui e il fatto che il mio migliore amico mi avesse mandato quella evidente richiesta d’aiuto, non doveva essere un buon segno.
Forse lui e Niall si erano ritrovati a parlare di nuovo di Harry e le cose si erano messe male. Forse stavano litigando e avevano bisogno di una persona estranea a tutto quello che mettesse fine al litigio. Ma nello stesso momento in cui mi venne quell’idea, la scartai: io non ero affatto estraneo a tutto quello. Non potevano aver bisogno di me. Non sarei riuscito a prendere le parti di nessuno di loro due, se mai mi avessero chiesto di farlo.
In ogni caso sarei andato da loro.
 
Mi preparai in fretta ed uscii di casa. Mettermi a correre sarebbe stata la soluzione più rapida per arrivare prima possibile all’appartamento dei ragazzi ed io iniziai a farlo. Ma fu in quel momento che mi accorsi di un autobus in lontananza che, sapevo, mi avrebbe lasciato proprio di fronte il palazzo di Niall e Louis.
Lo fermai buttandomi quasi in mezzo la strada e salii mostrando il mio abbonamento all’autista. Ringraziai mentalmente il cielo per quella coincidenza caduta a pennello e per il fatto di non dover affrontare una corsa a perdifiato di almeno dieci minuti.
Rimasi in piedi per tutto il tempo del viaggio, troppo agitato dall’idea, seppur remota, che di lì a poco avrei dovuto scegliere tra il mio migliore amico e quello che, speravo, sarebbe potuto diventare il mio ragazzo, un giorno.
Non riuscivo ad immaginare cos’altro potesse essere successo se non una lite tra i due per Harry.
L’autobus si fermò bruscamente facendomi quasi cadere alle spalle di un anziano quando mi resi conto che si trattava proprio della mia fermata. Ringraziai chiunque l’avesse prenotata al posto mio e scesi di corsa correndo verso il palazzo rosa pallido che conoscevo meglio delle mie tasche.
Ero talmente immerso nei miei pensieri che mi accorsi della presenza di Niall sul gradino di fronte al portone solo quando rischiai di finirgli addosso e calpestarlo. Mi bloccai ad un passo da lui e “Ti ha addirittura cacciato fuori di casa?” gli chiesi.
Lui alzò lo sguardo su di me.
“Di che parli?” mi domandò, poi, a sua volta, visibilmente confuso.
Mi sedetti accanto a lui e sentii il mio battito accelerare per la sua vicinanza.
“Louis mi ha parlato di un’”emergenza Harry”” virgolettai “e ho pensato che stavate litigando per lui.”.
Sospirò come se gli costasse fatica farlo.
“L’emergenza è che Harry è qui.” mi spiegò tranquillo.
Io, al contrario, rischiai quasi di strozzarmi con la mia stessa saliva.
“E Lou non mi ha cacciato di casa,” mi aggiornò subito dopo “sto qui per mia scelta.”.
Sorrisi per quel tentativo di conversazione che stava spontaneamente cercando di portare avanti.
“Peccato” risposi, senza poterne fare a meno, “ero già pronto a proporti una convivenza.”.
Alzò gli occhi al cielo ma un risolino gli sfuggì dalle labbra. Gioii per quella piccola vittoria.
Mi guardò, ancora divertito, e “Ma tu non ti arrendi proprio mai?” mi chiese posando la guancia sul palmo della sua mano come per sorreggersi.
“Di norma sì…” asserii “ma mi sembrava di averti detto che con te non l’avrei fatto.”.
Annuì, forse nello stesso momento in cui le mie parole di qualche tempo prima gli tornarono in mente.
Quando riuscii a riprendermi un po’ dalla sua visione e dalla consapevolezza che il suo viso era di nuovo a pochi centimetri dal mio, realizzai a mente ciò di cui mi aveva messo al corrente qualche secondo prima.
Harry è qui.
La saliva tornò a strozzarmi.
“Quando hai detto che Harry è qui…” iniziai “intendevi dire…”.
Lui mi interruppe e “Sì, intendevo dire che è di sopra, probabilmente nel mio salotto.” confermò.
Avrei voluto riempirlo di domande, del tipo: quando è arrivato? Ha già scoperto tutti i vostri inganni? È arrabbiato? Ti odia? E tu perché non sei con lui?
Ma la sua espressione rilassata mi dissuase dal farlo. Sembrava tranquillo, in pace con se stesso.
“N-non dovresti essere contento?” chiesi confuso. Il suo atteggiamento era inspiegabile. Pensavo avesse aspettato quel momento per mesi e adesso che aveva l’opportunità di parlare, vedere e toccare Harry, se ne stava lì seduto nella calma più totale.
“Ha scelto Louis.” rispose abbozzando un sorriso che, unito a quelle parole, mi parve quasi inquietante “È lui che vuole.”.
La mia bocca si spalancò per lo stupore e per qualche secondo mi sembrò di restare in apnea. Il suo atteggiamento calmo era comunque insensato ma evitai di farglielo notare di nuovo, evitai di chiedergli “E allora perché non sei triste?”. Ero semplicemente scioccato e le parole faticarono ad uscirmi fuori.
Lui osservò attentamente la mia reazione e ridacchiò.
“Non dovresti essere contento?” mi scimmiottò facendomi eco, come se fosse divertito da quella situazione.
Io, in risposta, mi alzai in piedi, le guance rosse di rabbia e i pugni chiusi lungo i fianchi.
“No che non lo sono!” sbottai “Nessuno può permettersi di scartarti! Il fuso orario gli ha liquefatto il cervello?”.
Fu Niall a quel punto a restare a bocca aperta. Cosa si aspettava? La sua felicità veniva comunque prima di ogni altra cosa per me, la mia reazione era del tutto normale.
Si alzò in piedi per tornare alla mia altezza e “Zayn…” tentò di replicare ma io lo interruppi bruscamente.
“No!” ripetei di nuovo “Adesso salgo su e gliene dico quattro.”.
Gli voltai le spalle, deciso, e feci qualche passo verso il portone quando, prima di attraversarlo, mi ritrovai di nuovo il biondo davanti.
Mi rise in faccia come se avessi fatto una battuta particolarmente brillante e “Cretino.” mi apostrofò, poi, prima di bloccarmi il viso con le mani e fiondarsi sulle mie labbra già socchiuse.
Annaspai per la sorpresa e mi appoggiai ai suoi fianchi per non rischiare di cadere.
La mia mente ci mise un po’ a rendersi conto che, per la primissima volta, era lui che stava baciando me. Di sua spontanea volontà!
L’euforia portata dalla realizzazione di quel dato di fatto mi spinse ad abbracciare la sua schiena per tirarmelo addosso, neanche temessi che potesse ripensarci e staccarsi da me.
Ciò che stavo provando nel ricevere un suo bacio non potevo neanche minimamente paragonarlo a quello che avevo sentito, tempo prima, nel rubargliene due.
Sembrava come se lui si stesse impegnando per renderlo ancora più bello. I suoi movimenti erano quasi studiati alla perfezione o, forse, erano semplicemente troppo giusti per le mie labbra. La sua lingua giocava fluida con la mia e il respiro iniziò a mancarmi più per la bellezza di quel momento che per la mia incapacità, effettiva, di prendere aria.
Si staccò lentamente, quasi percependo le mie necessità.
“Lui non vuole me,” mi disse “ma non sono triste perché è da un po’ che neanche io voglio più lui.”.
Temetti di svenire da un momento all’altro ma alla fine sorrisi come avevo fatto poche volte nella mia vita. Lo osservai attentamente, per quanto la vicinanza dei nostri nasi potesse permettermelo.
Avrei voluto dirgli molte cose ma tutto quello che mi venne da riferirgli fu “Hai la pelle così bianca che non vedo l’ora di sporcarla.”.
Le sue labbra, rosse e socchiuse, tremarono appena. Poi, come se volesse prendermi alla lettera, arrossì.
Ridacchiai nel vederlo in difficoltà e, nonostante non avessi dubbi sul fatto che avesse capito perfettamente il vero significato della mia frase, “Non intendevo in questo senso.” aggiunsi, alludendo alle sue guance divenute scarlatte, solo per il gusto di vederlo arrossire ancora di più.
Mi accontentò e la cosa mi deliziò molto più di quanto avrebbe dovuto.
Un secondo dopo l’avevo già spinto con le spalle verso il portone della palazzina per baciarlo di nuovo.
“Mio.” fu l’ultima cosa che gli sussurrai sulla bocca.
 
 
 
 
Quasi due mesi dopo.
 
 
 
Louis
 
Una voce metallica risuonò dagli auto-parlanti dell’aeroporto annunciando l’atterraggio di un volo in arrivo da New York. Mi chiesi se fosse la stessa voce che qualche minuto prima doveva aver annunciato l’arrivo del mio volo da Chicago a tutte le persone presenti nel salone d’attesa di Heathrow.
Mi avviai verso il ritiro bagagli ed estrassi il cellulare dalla tasca per accenderlo di nuovo dopo le otto ore di viaggio.
Ero a Londra, finalmente.
L’ultima volta che c’ero stato risaliva al giorno in cui ero partito insieme a Zayn per iniziare la nostra avventura universitaria americana. Sembravano passati secoli, quando in realtà erano trascorsi solo due anni da allora.
Seppur di passaggio, comunque, ero di nuovo lì, in Inghilterra. E la cosa non poteva che sembrarmi parecchio eccitante.
La mia valigia spuntò fuori sul rullo spiccando tra le altre e la afferrai al volo sospirando sollevato nel constatare che fosse intatta.
Il cellulare mi vibrò nella mano facendomi sussultare e segnalando, proprio in quel momento, l’arrivo di tre messaggi.
Il primo era da parte della mia compagnia telefonica che, premurosa, mi avvisava dei cambiamenti che avrebbe subìto il mio piano tariffario durante la mia permanenza in Inghilterra.
Il secondo era di Niall. Sorrisi aprendolo e constatando che fosse multimediale: era una foto sua e di Zayn. Il moro lo baciava su una guancia, gli occhi chiusi ma comunque sognanti. Sotto di loro, un messaggio scritto che recitava “Salutaci Harry!” e che lessi con il tono di voce squillante del mio coinquilino.
E il terzo, beh, era proprio da parte di colui a cui avrei dovuto riportare i saluti dei miei due migliori amici. Colui che, da circa due mesi, nella mia rubrica si poteva trovare sotto il nome di “Harold”.
Il suo messaggio era costituito da tre semplici parole: “Sono già qui. x”.
Quel “già” mi fece battere il cuore un po’ più forte. Significava un sacco di cose ma, principalmente, il fatto che lui fosse arrivato in aeroporto in largo anticipo solo per aspettarmi.
Guardai l’orario di arrivo dell’sms e notai che risaliva a due ore prima. Sorrisi fino a sentire un certo dolore sugli zigomi. Era ansioso di rivedermi tanto quanto lo ero io di rivedere lui.
 
Mi avviai verso l’uscita con le gambe molli per l’emozione. Giustificai quella sensazione attribuendo parte della colpa al viaggio.
La fila per raggiungere la sala d’aspetto sembrava infinita e scorreva lentamente. Forse anche troppo. Mi guardai intorno cercando di superare le teste davanti a me nel vano tentativo di individuare Harry tra la folla ma la mia visuale non riusciva ad aprirsi più di tanto.
Un gruppetto di ragazzi a qualche metro da me iniziò ad urlare, euforico. Sorrisi leggermente, guardandoli: sembravano non vedersi da tanto tempo.
Ma mi feci distrarre poco da loro. In un attimo la mia attenzione tornò alla folla in cerca di un viso familiare che negli ultimi due mesi avevo ripreso a guardare solo via webcam.
L’ansia che potesse essere andato via dopo le due ore di attesa mi sfiorò per un secondo per poi dissolversi nel nulla quando nella mia visuale comparve un corpo slanciato che agitava le mani in aria nella mia direzione.
Ridacchiai per la sua poca coordinazione e ringraziai la mia statura quando iniziai a farmi spazio tra le persone per uscire da quell’intreccio di corpi estranei e raggiungere l’unico a cui sarei volentieri rimasto incastrato per sempre.
La mia valigia andò a sbattere sulle gambe di qualche povero malcapitato che non rinunciò a mandarmi maledizioni ed insulti. Ma feci finta di niente. Solo quando fui totalmente fuori dalla folla iniziai a correre, per quanto il peso dei bagagli potesse permettermelo.
A qualche metro da Harry, però, lasciai la presa sulla maniglia del mio trolley, facendolo cadere con un tonfo, e mi precipitai su di lui già pronto a prendermi.
L’impatto con il suo corpo mi sarebbe sembrato doloroso in qualsiasi altra situazione. Ma quando lo sentii stringermi la schiena dopo aver avvolto i suoi fianchi con le gambe, la mia mente si rifiutò categoricamente di pensare a dolori e sofferenze di qualsiasi genere.
Restammo così per minuti forse, gli sguardi dei presenti tutti su di noi.
Eravamo in pieno dicembre eppure ebbi la sensazione di andare a fuoco. Sentivo il sudore raffreddarsi dietro la nuca ma non avevo il coraggio di staccarmi da lui. Neanche potesse svanire nel nulla ed io cadere a terra senza più un appoggio.
Allentai la presa delle mie braccia intorno al suo collo solo per poter poggiare la testa sulla sua spalla e lasciargli un bacio sotto il mento.
Rabbrividì sotto il mio tocco e, quando lo sentii sospirare, mi accorsi che nessuno dei due aveva ancora aperto bocca.
Salii con le labbra verso il suo orecchio per lasciare un bacio anche lì e continuai lungo la sua guancia bucata da una fossetta appena nata dal piccolo sorriso che si era cucito addosso.
Quando arrivai sulla sua bocca però, indugiai appena. Mi beai della visione perfetta del suo viso proteso verso il mio, in attesa. Le sue palpebre tremavano di aspettativa e sentii un vuoto farsi largo nel mio stomaco.
Aspettai di vedergli un piccolo broncio increspargli il viso e, ridacchiando, smisi di fare resistenza. Poggiai delicatamente le mie labbra sulle sue e mi sentii come se dopo due mesi qualcuno avesse di nuovo premuto il tasto play sul mio corpo togliendomi finalmente dalla modalità stand-by in cui ero stato obbligato a rimanere in sua assenza.
Forse chiunque al posto nostro avrebbe dato inizio a quell’incontro con una conversazione tranquilla di fronte ad una tazza di caffè presa in un bar anonimo, tanto per riprendere confidenza.
Ma nei mesi in cui ci eravamo sentiti dopo la partenza sua e di Liam da Chicago ci eravamo avvicinati talmente tanto che l’idea di sprecare del tempo con chiacchiere inutili, ero sicuro, non fosse passata nella mente di nessuno dei due.
La mia lingua si fece strada verso la sua e prendemmo aria entrambi prima di approfondire il bacio. Mi resi conto delle sue mani enormi chiuse a stringere i miei glutei solo quando sentii qualcuno tossire vicino a noi tanto da spingermi a staccarmi da Harry per distoglierlo dai suoi intenti.
Ridacchiai sulle sue labbra arrossate e “Non qui.” gli dissi, finalmente rivolgendogli la parola per la prima volta.
Lui annuì ma non spostò le sue mani. Restammo per qualche secondo a guardarci, indecisi se riprendere da dove ci eravamo interrotti o se spostarci da lì alla ricerca di un po’ di privacy.
Alla fine fu il mio cellulare a decidere per noi. Mi vibrò nella tasca e fui costretto a scendere da Harry per rispondere alla chiamata.
Il nome di mia madre lampeggiò un paio di volte prima che mi decidessi a rispondere.
“Sei atterrato e non mi hai avvisata?” mi disse appena accettai la telefonata senza neanche aspettare un “Pronto?” da parte mia.
Ridacchiai e “Stavo per farlo.” mentii passandomi una mano sulle labbra come se lei potesse vederle così, arrossate di baci, e rimproverarmi di aver dato spettacolo in pubblico.
Mi riempì di qualche domanda di circostanza sul viaggio e le risposi a monosillabi mentre osservavo il riccio avvicinarsi al mio trolley per recuperarlo da terra.
In un attimo mi fu di nuovo vicino e mi prese la mano per guidarmi verso l’uscita. Mi emozionai per quel gesto e per poco rischiai di perdermi l’ennesima domanda di mia madre.
Verrai a trovarmi?” chiese speranzosa.
Alzai gli occhi al cielo per la richiesta scontata e le risposi fissando i miei occhi su Harry.
“Mamma, ma certo che verrò a Doncaster uno di questi giorni. Tra l’altro… ho una persona da presentarti.”. 









Note finali: e quindi siamo giunti alla fine di questa catfish!AU. Boh, io non ho molto da dirvi. Spero che il finale non vi abbia deluso e vi ringrazio ancora per aver apprezzato (almeno fino al secondo capitolo LOL) questa minilong. Su Twitter vi ho stalkerate un po’, non me ne vogliate. Ho fangirlato un sacco nel leggervi e mi auguro di non essermi persa dei commenti/citazioni della storia. Come al solito, spero mi lascerete un pensiero qui (dove posso leggerlo di sicuro) o su twitter menzionandomi. Grazie ancora per esservi appassionate/i a Looked. Vi lascio il mio Twitter e il mio Ask. Tanti cuoriiiiii! 

 








 
  
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