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Autore: pluie_de_lumieres    09/07/2014    6 recensioni
Iniziammo a mangiare insieme, fu lui a tenermi per la prima volta un posto a mensa e.. No, d'accordo, fui io ad avvicinarmi a lui. Il tavolo del lupo solitario, che fino al giorno prima mi ero limitato ad osservare da lontano e a catalogare come “Inavvicinabile”, quel giovedì per me cambiò categoria e..
||ZIAM||
Fluff, breve e a lieto fine :)
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Liam Payne, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ho appena finito di scriverla, non l'ho ricontrollata, volutamente. Per ora non me la sento, ma è tutto ciò che questa fantastica coppia è riuscita a trasmettermi. Mi lascia senza fiato il feeling così tangibile che nasce ogni volta che stanno vicini. Credo di adorarli. Al tempo stesso, questa OS è dedicata ad una persona speciale che, grazie ai Ragazzi, ho avuto l'opportunità e la fortuna di conoscere. Tante idee mi sono venute grazie a lei, che è sempre fonte di ispirazione e motivo di messa in atto della cosa. Grazie di tutto.

A Jude


A
piece of me

Camminava furiosamente per il corridoio. Come non notare la rasatura che girava attorno al suo cranio perfetto? Quei capelli avevano l'aria di essere davvero morbidi. I capelli tipici degli asiatici, dannati asiatici, coi loro capelli eternamente lisci, resistenti, folti, corposi. Non aveva affatto l'aria allegra. Credo mi innamorai al primo gancio mollato all'armadietto, quello che lo ammaccò per intenderci. Il segno del suo pugno è ancora lì. Non bastò ad aprirlo, ma coi tuoi modi da padrone nel mondo, c'era da aspettarselo, no? Tutto si sistema con un cazzotto ben assestato, vero?

Oh sì, quello sono io, no, quello ero io, sì esatto, quello laggiù, in fondo al corridoio, che se ne sta imbambolato ad osservare il Bad Boy dell'istituto, la pecora nera -e non si fa per dire, vestiva davvero solo di nero, con la barbaccia nera, i capellacci neri, insomma, una specie di lupo nero, solitario- e sì, quello ero io che.. “Frocio! Stai ancora cercando qualcuno che si prenda cura del tuo culo vergine?” ogni mattina riceveva un trattamento del genere.

Non mi notava nessuno, se non qualche cretino in cerca di divertimento o rogne, visto che puntualmente, improvvisandomi palatino della giustizia, facevo un giro dal preside ed enucleavo tutti i nomi di chi mi aveva dato fastidio. Insopportabile, non è vero? Sì, ero proprio io. Me la facevano pagare cara, eh! Ma io dovevo, cazzo, dovevo vendicarmi in qualche modo.
“Oh, Liam! Che diavolo ti è successo?” Nicola.
“Liam, ad un certo punto la mamma inizierà a pensare che ti diverti a fare da punchball a tutto l'istituto!” Ruth.

“Sto bene, sto bene! Ho fatto di nuovo i nomi al preside”.

“Liam, tesoro, ti ho detto che vado io dal preside a sistemare la faccenda, devi proprio ridurti così ogni settimana?”.
“Ho 17 fottuti anni, volete smetterla tutti di preoccuparvi così?” anche io dicevo parolacce, sapete? Certo, non come faceva lui, lui faceva paura, lui sapeva farti scappare con un solo urlo.

Si preoccupavano per me, ero stato un fuscello fino all'anno prima e non facevo che ammalarmi, era un continuo. La salute era stato il mio principale impedimento per: gite, feste, compleanni, ricevimenti, rinfreschi, pigiama party, uscite con gli amici. Amici, si fa per dire. Non che ne avessi molti. Okay, non ne avevo, uscivo con Nicola ed il suo ragazzo, o con Ruth e le sue amiche quando i miei riuscivano a convincerla. No, non mi piaceva affatto uscire, io odiavo uscire! Me lo avevano fatto odiare! Ma uscire con chi, poi? Solo fuori, solo dentro, cosa volete che cambi? Meglio dentro, coi videogiochi, gli snack ipercalorici e un buon divano.

 

Le mie giornate venivano scandite da quella monotona routine: colazione, integratori, scuola, Lui, pranzo, casa, studio, giochi, cena, letto. Al posto dei giochi inseriteci il pianoforte tre volte a settimana e le visite in ospedale, e ci siamo!

Dov'è che subentra Lui, vi starete chiedendo. Il punto è che lui c'è sempre stato, nonostante fosse esterno ed estraneo alle mie vicende, la sua figura ombrosa faceva parte della mia giornata, perché non c'era giornata in cui non posassi gli occhi sui suoi capelli del colore della pece. Mi chiedevo di continuo da dove venissero i suoi bellissimi occhi a forma di goccia rovesciata, dall'insolito colore del miele. Se mi era capitato di avere dubbi sul “Frocio”, davanti a lui di sicuro spariva il mondo. Non vedevo che lui.
“OUCH!”

“Cristo, stai bene? Che cazzo di testata!”
Che vi avevo detto? Non vedevo che lui.

E accanto all'incavo lasciato dal suo pugno, poi, ci era andato quello lasciato dal mio
“Il tuo testone sproporzionato non si sarà fatto troppo male” e la sua mano si protese verso me, o forse verso il pavimento? L'afferrai e tornai dritto in piedi.

“Testone?”

“Hai una testa enorme, ma ci vedi con quel cespuglio?”

I miei ricci non si toccano!
“Ci vedo, ero solo distratto”

E quella fu la nostra prima conversazione. Quindi non ero poi così invisibile, eh?

Non so a che tipo di storie siete abituati, ma questa non sarà propriamente come la immaginate, forse.
 

Iniziammo a mangiare insieme, fu lui a tenermi per la prima volta un posto a mensa e.. No, d'accordo, fui io ad avvicinarmi a lui. Il tavolo del lupo solitario, che fino al giorno prima mi ero limitato ad osservare da lontano e a catalogare come “Inavvicinabile”, quel giovedì per me cambiò categoria e..
“Posso sedermi?”
“C'è scritto per caso il mio nome?”

“No, ma ci sei seduto e tecnicamente se ti dà fastidio che qualcuno si sieda, puoi obiettare, perché-”
“Ma quanto diavolo parli? Vuoi sederti o no?”

Zayn mi trattava così, mi parlava così, mi dava pacche sulla schiena, mi tirava e scompigliava i capelli, e a volte mi faceva male. Spesso mi arrabbiavo, permaloso com'ero, e così poco abituato al contatto fisico -famiglia esclusa- e alla vicinanza di qualcuno che invade così tanto i tuoi spazi, ma quello che compresi col passare delle settimane è che, per quanto incazzato fossi con lui, non lo potevo allontanare da me. L'unica persona dalla quale volevo essere visto, era riuscita a vedermi.

Imparai che molti volevano conoscere Zayn, che tanti fingevano di conoscerlo, d'indovinare i suoi piatti preferiti, il suo colore e le sue abitudini. Ma non sapevo neanche se esistessero dei piatti che mangiava più volentieri di altri, perché l'unica cosa che avevo visto nel suo piatto a mensa, fino ad allora, era stata l'insalata con verdure grigliate e patate.

Quella malata pretesa di sapere tutto di lui, urtava Zayn in una maniera incredibile e passava lontana dai miei desideri.

Era come se tutto il tempo passato con lui avesse solo un'unica condizione: non chiedere. E a chi sarebbe mai importato?

Zayn si addormentava sulla mia spalla mentre guardavamo dei film, e Zayn era quello che mi tirava per un braccio, urlando “SCAPPA!” dopo aver suonato il campanello della signora Thompson, e Zayn era quello che mi tirava sul tetto per guardare le stelle, ed era quello che mi chiamava a notte fonda, chiedendomi cosa facessi, Zayn piangeva e non spiegava perché, e le sue mani facevano sempre male quando era amore quel che chiedeva in quella muta richiesta di attenzioni. Zayn aveva gli occhi lucidi quando mia madre entrava in stanza a portarci la merenda, e si alzava dal tavolo prima di tutti per sparecchiare, portava fiori a mia madre e faceva gli auguri a Ruth e Nicola prima di me. Perché chiunque riusciva a scorgere la sua figura nera tra la folla, ma nessuno era riuscito a guardargli attraverso, perché la trasparenza che mi aveva assicurato aveva annullato quell'unica condizione che mi ero ritrovato ad accettare silenziosamente all'inizio.

Zayn era davanti a me, completo, meraviglioso ed unico e io amavo da morire il mio migliore amico.

Solo più tardi avrei scoperto che piangeva perché..
“Mi manca mia madre, quella cazzo di lapide è così fredda a Novembre, Leeyum. Sai io ci ho provato a razionalizzare la cosa, ma lei mi manca da morire e fa un cazzo di male quando è un abbraccio che vuoi e non puoi chiederlo, perché gli uomini non chiedono i fottuti abbracci, Leeyum” e lui sapeva commuoversi vedendo mia madre cucinare, e lui apprezzava una famiglia che non era neanche la sua, ma che lo aveva accolto come fosse stato un secondo figlio maschio.
Non chiesi altro, quella notte. Perché coi mesi avevo imparato che con Zayn non si chiedeva. Se davi dolcezza, lui ti premiava, lui ti regalava un pezzo di sé. E pezzo dopo pezzo, ero arrivato ad avere un quadro quasi completo di quel ragazzo d'oro. Quasi.
“Quando lei è morta per colpa di quella cazzo di malattia, Leeyum, c'eravamo io e mia sorella, ma la situazione è sfuggita di mano a mio padre. Cristo, beveva, beveva ogni fottuta notte e ..”
Ed era stato costretto a tralasciare gli studi, Zayn, per lavorare e far studiare sua sorella minore. Una notte era tornato tardi e suo padre aveva spedito sua sorella a far compagnia a sua madre.
“Perché lei le somigliava, cazzo! L'ha uccisa, perché le somigliava, perché era bellissima, bella come lei!”.
Quel mattino, alle quattro, piansi anche io con lui. Ricevetti tanti di quei pugni sul petto che neanche ve lo potete immaginare, voi, ma quanto poteva far male in confronto a quello che Zayn si portava dentro? Quel dolore struggente aveva messo radici profonde, spedito suo padre in prigione col coraggio di pochi e trattato me con la dolcezza unica e rara che lo caratterizzava. E non se lo meritava affatto, quel dolore, nessuno se lo sarebbe meritato, ma Lui? Lui meno di chiunque altro. Per questo stava sempre da solo, Zayn, per questo vestiva di nero, per questo si fermava a guardare i fiori curati davanti alle case, nei giardini, o le finestre illuminate dalla luce di una famiglia riunita intorno al tavolo della cena. Immaginava tutto quello per sé, e gioiva della fortuna altrui, che lo nutriva fino al midollo.

Ed io l'ho sposato. Perché non c'era modo migliore per ringraziare una persona che ti trascina sul tetto di casa tua, ignorando la tua paura, il terrore di cadere, perché vuole che tu veda, vuole che tu guardi. “Guarda tutte quelle stelle, Leeyum”, dice, prima di aggiungere “Soffro di vertigini anche io” e quella sua mano, tremante e sudata, stringeva le mie dita fino a far male. L'altra indicava il nero punteggiato di luminosissime stelle, il cielo che ogni notte ci inglobava. Non c'era modo migliore di ringraziarlo, se non farlo entrare a far parte della mia famiglia, se non quello di fargli vedere le lacrime di gioia di mio padre, che fin dal primo momento lo aveva visto con gli occhi di un genitore che vuole solo la felicità per il proprio figlio.

Ti amo, Zain Javadd Malik, e voglio passare il resto dei miei giorni accanto a te.

  
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