È difficile anche scegliere tra singolare e plurale, ormai: sia nelle azioni che nei dialoghi vi è un'alternanza non sempre logica e piuttosto istintiva da parte mia. Un altro tipo di alternanza è quella tra mondo interiore e mondo esterno, e anche qui spero di non creare confusione in chi legge.
E il Dottore attese, accovacciato su quelle pietre scomode.
Il Dottore pregò.
Cinque lune sorsero, una ad ogni ora della notte, illuminando il suo
volto contratto e le mani straziate e strette a pugno. Sulle sue
ginocchia, Dorium non sembrava meno ansioso.
Quando si ha il tempo e la volontà di riflettere, la logica sale dal
fondo e scioglie il mistero, per quanti strati di leggenda altri
possano avervi lasciato deporre.
Fusione genetica, ecco che cosa avveniva nel nucleo del pianeta. Due
coscienze in un corpo solo. Non c’era da meravigliarsi se su Gingko la
sovrappopolazione non era un problema.
Clara non potrà tornare a casa mai più, pensò, ma subito cancellò
quella preoccupazione inutile, perché la priorità era che entrambe si
salvassero, in qualsiasi modo, in qualsiasi caso, altrimenti non vedeva
la necessità di andare avanti nella sua ricerca o di muoversi da quel
punto esatto, se è per questo, di muovere un solo muscolo, di pensare
un solo pensiero, perché Clara aveva detto la verità e per questo si
era arrabbiato così tanto, la verità faceva male ma non per questo era
meno vera, lui era sempre fuggito davanti al dolore,
l’aveva mascherato e coperto di gingilli colorati, aveva studiato
differenti tonalità di risate e di squittii per coprire l’urlo senza
fine della sua coscienza.
Lui andava a visitare l’Esposizione Universale e raccoglieva le sfide
dei Guardiani e degli Eterni e tornava a cercare nuovi complici per
trascinarli verso la morte.
No, mai più, tentò di promettere a se stesso, ma
l’eco fu quello di una risata di scherno.
Ci provi ogni volta, ma poi ricadi nel medesimo schema. Non
puoi restare solo, perché la solitudine ti rende cattivo. Non dovresti
avere qualcuno con te, perché la compagnia ti rende vanesio e
temerario. La medesima oscillazione, Signore del Tempo, imprigionato in
un pendolo mentre fingi di essere libero.
Ma stavo migliorando.
Stavo forse, finalmente, crescendo.
Ero pronto a tornare a casa con una prospettiva diversa.
Non conta nulla, questo?
Forse no.
Ma loro contano tanto. Tutto. Sono disposto a dare tutto pur
di riaverle.
- Dottore, guarda.
Alzò gli occhi stanchi e venati di rosso e trattenne il respiro.
Il terreno aveva cominciato a smuoversi. Si sostenne contro le pietre e
scattò all’indietro, senza badare ai crampi che quella posizione gli
aveva procurato.
Gli sembrò di trovarsi in un quadro, in quel celebre dipinto del
maestro Botticelli in cui Venere nasce dalle onde del mare. Ma non era
il mare, era la terra che si apriva a restituire ciò che aveva rapito,
e non era una dea, era una ragazza sotto shock, nuda e sporca, che
tossiva e singhiozzava.
D’istinto l’avrebbe presa in braccio così com’era, senza badare alle
conseguenze.
Razionalmente, però, capì che la gente del luogo poteva aiutarla.
Doveva dar loro fiducia perché davvero, questa volta non aveva idea di
come comportarsi. Né poteva improvvisare come sempre.
Forse, i tempi dell’improvvisazione erano conclusi a tempo indefinito.
Già al tempo dell’ultima rigenerazione si era reso conto che il suo
duplice battito aveva preso a seguire un ritmo diverso, più calmo e
cupo; e che le sue gambe erano sempre fatte per correre, sì, ma in una
direzione precisa…
E non da solo. Mai più da solo.
Così il Signore del Tempo e lo scaltro mercante rimasero quieti su una
poltrona della sala d’aspetto, ognuno nel suo piccolo spazio
d’intimità, in un bozzolo di pensieri affannosi e dormiveglia,
preparandosi ad attendere per un tempo ancora più lungo.
Dietro le palpebre, il Dottore fissava ciò che aveva colto di lei in
quei pochi minuti, prima che la portassero via: non il colore dei
capelli, ch’erano intrisi di terriccio, ma quel volto così nuovo e
puro, che recava in ogni tratto ciò che di più bello ricordava di
entrambe.
Una fusione completa, armoniosa. In questo non c’erano stati problemi.
Ma loro, le due menti che quel corpo conteneva, come avrebbero reagito?
Forse aveva sbagliato ad abbandonarla con degli sconosciuti, avrebbe
dovuto essere al suo fianco, a confortare l’una e l’altra, con parole
diverse e forse non perfette, ma senza dubbio più giuste di quelle che
stavano ascoltando ora…
Carezzò il legno della scatola con il dorso della mano fasciata, come
per rassicurarsi che qualcosa non era cambiato.
- No, non dormo, se te lo stavi chiedendo.
- Sensibile. - Iniziò a schioccare la lingua al ritmo di un’aria del
Rigoletto finché l’altro non sbuffò.
- Pensavo…
- Non pensare, - disse il Dottore tra i denti. - Non c’è wi-fi? Cerca
di scoprire qualcosa nel database di questa Clinica della Luna di Miele.
- Pensavo che sarebbe andata peggio, se fossimo finiti noi due lì sotto.
- Non meriti una risposta, te ne rendi conto?
- Forse.
- Ti odio, Dorium Maldovar.
- Spero proprio di no, Dottore: non lo sopporterei. - Chiuse gli occhi,
e il Dottore ebbe un brivido. Si addormentò, la gola scoperta al vuoto
del mattino, insensibile a se stesso.
*
[Aprite gli occhi. No, quelli interiori. Guardatevi l’un
l’altro. Percepite con tutti i sensi la presenza del coniuge.]
Era buio, dentro. Era vuoto. Eppure no, non lo era. Una presenza la
sfiorava, l’afferrava, si aggrappava a lei.
Sono qui.
Sei tu?
Sì. Sei tu?
Ma dove? Come?
Prima di associare mentalmente il ricordo di un aspetto fisico a quella
presenza, riuscirono a scorgersi per ciò che realmente erano. Anime
nude, pura vita.
In quei primi momenti qualcosa impedì loro di sprofondare nel terrore.
Si trattava di coraggio artificiale, sotto forma di iniezione, una
pratica che non era certo la norma lì alla Clinica.
Era un luogo solitamente gioioso, in cui, se da un lato la nuova Unità
doveva affrontare un percorso di riabilitazione, era comunque
pienamente consapevole di ciò che era accaduto. Poiché nel loro caso
non si era trattata di una fusione volontaria, ma di un terribile
incidente, era stata implementata una procedura più complessa, il cui
esito rimaneva quanto mai incerto.
*
[Costruite un mondo interiore condiviso, a cui ognuno
apporterà le sue conoscenze e i suoi ricordi. Potete creare qualsiasi
realtà vi faccia sentire bene. Scegliete con cura, perché è qui che si
svilupperà la vostra esistenza mentale ed onirica, nonché i rapporti
più intimi.]
Lo scrigno in cui Ada aveva scelto di custodire i propri ricordi era
una costruzione a metà tra una residenza nobiliare di campagna e un
tempio greco. L’edera cresceva sui mattoni scuri, tra una colonna e
l’altra, creando nell’insieme una facciata suggestiva ma insolita.
All’interno, ogni singola parete era coperta di scaffali ingombri di
libri. Qualcuno parlava di lei, della bimba dai capelli sottili e della
ragazzina troppo magra e troppo poco interessata ai ragazzi della sua
età. Ma la maggior parte, quelli rilegati con maggior cura e pieni di
illustrazioni, contenevano tutto ciò che sapeva sul Dottore.
Clara aveva creato un’immensa foresta di querce. Tra un albero e
l’altro, su cavalletti incastrati tra le radici o appese ai rami più
bassi, migliaia di tele dipinte; erano quadri veri e propri, ritratti
di sua madre, per lo più, piccole e durature gioie, tenui e profondi
rimpianti, reminiscenze dei primi amori... e le sue avventure sulla
TARDIS, naturalmente.
Informazioni ed emozioni, interno ed esterno; questi due luoghi,
seppure creati separatamente, erano fusi in un’unica realtà che
apparteneva ad entrambe.
Non avendo alcuna percezione visiva del corpo che si ritrovavano ora a
condividere, per molti giorni vissero per lo più in quel rifugio,
fingendo che si trattasse di un sogno molto bello e molto lungo. O il
paradiso. O entrambe le cose.
Ma ogni volta che erano costrette ad ascoltare le istruzioni e le
rassicurazioni dall’esterno, il sogno si spezzava. Anche se la foresta
e il palazzo non sparivano, era come se quelle voci giungessero
dall’alto a sciogliere l’incanto. A intervalli regolari, qualcuno
imboccava quel corpo con del cibo e allora sì che tutto svaniva, era di
nuovo buio e non c’era più differenza né distanza tra loro. C’era anche
del dolore, ma breve e pungente. Anche il dolore faceva sparire il
cielo e gli alberi.
E iniziarono a sentire davvero quel corpo, ad
unirsi e dividersi con scioltezza e senza più timore, e a percepire
sempre più forte la mancanza di lui.
*
[Mettetevi d’accordo su cosa esprimere all’esterno. Nei primi
tempi ci vorranno anche diversi minuti; man mano che la vostra intesa
sarà rafforzata, riuscirete a prendere una decisione e rispondere
all’interlocutore in un batter d’occhio.]
Per la sua prima visita, il Dottore aveva indossato una giacca
blu-verdastra dalla fodera color girasole. Rimase perciò un po’ deluso
quando lo avvisarono che a lei non erano ancora
permessi contatti visivi.
Lei. Loro. Non era entrato pienamente nell’idea. Aveva letto il manuale
per i familiari degli sposi, bene, parole-belle paroline. E Dorium era
riuscito a penetrare nel database della Clinica, ma davvero non c’era
niente che a cui non si potesse arrivare con la pura logica e un po’ di
buon senso. Non vedeva l’ora di farla uscire di lì. Farle uscire,
cioè...
- Buongiorno.
Dalla foresta si alzò un volo di farfalle. Nelle stanze ricolme di
libri s’insinuò una brezza che spettinava le pagine e il profumo
dell’erba si mescolò a quello della carta.
Che cosa dovevano dire?
[Se interpellati singolarmente, siate chiari e sinceri sulla
vostra identità. Se non interpellati, potete partecipare
all’interazione sociale come restarne esclusi.]
- Dottore - sussurrò Clara, e ascoltò quella voce che era la sua e non
lo era. Ada s’insinuò a prendere la parola, ansiosa e avida di quella
presenza.
- Sei qui, oh, sei davvero qui, dimmi che non sei più arrabbiato, dimmi
che non ci lascerai qui, non voglio non voglio non...
Il Dottore scoppiò a ridere, una risata di sollievo e gioia e
riconoscimento, ma Ada ci rimase male lo stesso.
- Temevo proprio che avrei fatto confusione con quello che avreste
detto. Ma avevo dimenticato il tuo accento; te lo porti dietro proprio
dovunque vai.
Entrambe provarono un sollievo analogo. Sarebbe stato molto più
semplice. No, era lo stesso difficile e comunque definitivo, ma erano
tanto più libere rispetto a quanto era stato loro insegnato in quei
giorni confusi. Ada benedisse la sua triste infanzia newyorkese per la
prima volta nella vita.
- Ssssh. No che non sono arrabbiato, ma voi potreste e dovreste
esserlo. Mi vergogno moltissimo per aver permesso che succedesse. E non
potrei mai lasciarvi, mai.
Lei sorrise e questa volta il Dottore non poté dire di chi fosse in
realtà quel sorriso, perché il silenzio non aveva inflessioni,
naturalmente, ma preferì non chiedere.
Diede uno sguardo veloce attorno a sé, per assicurarsi che nessuno
guardasse. D’accordo, potevano esserci delle telecamere. Infilò una
mano in tasca, afferrò il cacciavite sonico e in pochi secondi
disattivò qualsiasi segnale, vero o presunto.
- Pronte ad ammirare il mio nuovo look?
- Non possiamo togliere la benda - protestò Clara. - Non abbiamo
concluso la riabilitazione.
- Oh, invece credo proprio che sia conclusa, terminata e infiocchettata
e porco schifo slacciati… voilà. Ora, consapevolissimo di non essere il
più bel panorama della galassia, ma potete aprire quegli occhietti?
Erano occhi molto belli. Nuovi, come tutto il resto, con le iridi di
una sfumatura a metà tra il nocciola di Clara e il verde pallido di
Ada. Si riempirono di lacrime in fretta.
- Orribile! - valutò l’accento newyorkese.
- Abbastanza tremendo, ma nella mia epoca va di nuovo di moda, perciò…
- si espresse Clara, un po’ meno drastica.
- Era solo un tentativo, l’altra giacca era inzaccherata. Perfetto, si
torna al blu classico. Perciò lasciatemi sbrigare le scartoffie e non
più tardi di domani saremo di nuovo in viaggio.
*
[Nessuno dei due è obbligato a stringere amicizie che solo
l’altro desidera coltivare, né a svolgere il lavoro del coniuge; ma
sarebbe ugualmente ingiusto escludere l’altro da rapporti che desidera
intrattenere o compiti che vorrebbe svolgere.]
Clara si era addormentata sul divano, un libro aperto sul grembo: c'era
una foto di Turlough e Tegan che battibeccavano allegramente. Ada
scivolò fuori dalla stanza e raggiunse la foresta.
Clara aveva iniziato a lavorare ad un quadro nuovo, notò. Finora aveva
creduto che spuntassero come funghi sotto gli alberi, non che lei,
seppure con un pennello immaginario, li dipingesse davvero. Sbirciò
cauta sotto il lenzuolo che ricopriva la tela.
Il soggetto raffigurato assomigliava ad un Silente, a prima vista,
scarno e scavato e pauroso. Ma aveva occhi del colore dell’acquamarina
grezza, e sulle guance terree brillavano due lacrime.
Una figura di donna, seminascosta dietro di lui, lo stringeva tra le
braccia. Nessuno sfondo - il quadro non era ancora terminato - ma
alcuni tratti erano dettagliati all’inverosimile. Le mani, in
particolare, e i capelli che catturavano la luce lunare in striature
d’argento pallido.
Quando tornò nella casa, rimase a guardarla per un po’. Era possibile
che il vento soffiasse da quella parte?
Perché era il suo sogno da secoli.
Dalla prima puntata della settima stagione, per la precisione, quando
l’eco di Clara era un Dalek pasticciere e il Dottore aveva un mento
enorme e il sorriso di un bambino.
Quando era convinta di non poterlo desiderare per sé, perché nonostante
la sua salute mentale non fosse sfolgorante non era mai arrivata al
punto di crederlo reale, e aveva sperato che prima o poi, insomma, tra
lui e Clara si sarebbe concretizzato qualcosa.
Quel ritratto…
Sarete una cosa sola, era stata la profezia, e
poi: Quanto amore!
Non si riferiva soltanto all’amore tra di loro.
Era qualcosa di più grande.
Era…
*
- Ho trovato come chiamarti. Non posso andare in giro a
presentarti in coppia, perciò d’ora in poi sarai, ta-dan, Honey
Markwald.
- Honey? Mi sale la glicemia, Dottore. - Lei tirò fuori la lingua di
sbieco, come per simulare uno strangolamento.
- Honey nella Clinica della Luna di Miele. Sembra il titolo di un manga
hentai, te lo concedo.
- E poi, Markwald? Cosa c’è di male in Osham? -
protestò Clara.
- Tutto! - decretarono Ada e il Dottore all’unisono.
[Una volta conclusa la procedura di assimilazione, la nuova
Unità sarà pronta ad integrarsi nella società.]
- Ma è infinitamente più elegante! - borbottò Clara, un po’ piccata. Se
era rimasta amareggiata dall’accaduto, lo nascondeva assai bene. E sì
che avrebbe dovuto nasconderlo doppiamente, perciò si dimostrava
oltremodo coraggiosa.
- A proposito di eleganza, avevi detto che quei vestiti erano stati una
cattiva idea e saresti tornato al solito completo.
- Il Dottore mente, ricordi? Non è male per nulla. Ottanio e giallo,
suvvia, c’è di peggio nella galassia, e alla fine ti dona.
- Merci, mademoiselle. Markham, ascolta sempre la tua ragazza. Vi ho
portato una sorpresa. Ti ho portato una sorpresa,
Honey.
Aveva tirato fuori il cacciavite sonico e Ada si accorse della
modifica, anche perché l’aveva osservato attentamente quand’era uscito
dalla console. Di sicuro quel micropulsante non c’era, e nemmeno la
luce laterale che si era accesa in quell’esatto istante.
- Quando il dito indica il cielo, tu guardi il dito, eh? Di là, girati
di là!
La parete opposta al letto stava diventando trasparente. Peggio, stava
diventando uno specchio. - Non sono pronta! - Questa volta il Dottore
non seppe dire chi stesse parlando. Forse era questa la voce autentica
di Honey. - Non voglio guardare, non…
- Rilassati. Sei stupenda. Non è come se non poteste più riconoscervi,
troverete entrambe voi stesse in ciò che siete ora. A me piace
moltissimo, se posso dirlo. Ciò che non mi piace è che non abbiate
potuto scegliere. Dovremmo sempre poter scegliere, ma non è quasi mai
così… per me non lo è stato…
Honey teneva ancora lo sguardo fisso sul pavimento opaco. Annuì, le
labbra che tremavano.
- Mi dispiace, avrei dovuto impedire tutto questo, ma se non si può
tornare indietro, si deve guardare avanti. Guardati. Guardatevi. Spero
che riusciate a vedere ciò che vedo io.
- Ho paura.
Tremavano le foglie, nella foresta, e i tralci d’edera sulla facciata
del palazzo.
- Lo so. Ma io sono qui, e non può succedere nulla di male. Coraggio,
aprite gli occhi.
Honey ubbidì. Inspirò forte e guardò davanti a sé.
Indossava un abitino leggero che doveva fungere da camicia da notte, e
nient’altro.
Era bella. Ma soprattutto era vero - meravigliosamente vero - che
potevano riconoscersi entrambe in lei, e il timore che aveva provato
fino ad un attimo prima scomparve come brina al sole.
Sorrise e pianse, toccandosi il viso.
Per Ada era come vedere se stessa e Clara nello stesso momento. Ma
ancora meglio, vedeva ciò che aveva sempre sognato di essere.
E per Clara era come vedere se stessa e Ada, fuse in una perfezione
inesprimibile.
Proprio come il duplice mondo che avevano costruito ad amplificare le
loro anime, quel corpo era uno scrigno perfetto. Ma a differenza di ciò
che potevano vivere tra i pensieri, all’ombra degli occhi chiusi,
all’esterno vi era solo il vuoto.
Lo credevano perché negli ultimi, difficili, confusi giorni non avevano
potuto vedere la luce del sole, se non di nascosto? O perché per ogni
ora trascorsa con il Dottore ce n’erano state almeno cinque di fila a
venire analizzata? Nessuno era mai stato scortese o violento con lei,
ma lo stesso non era libera…
Mentre la parete tornava lentamente alla normalità, Clara colse dietro
il proprio riflesso ciò che mancava nel quadro. Non somigliava più a un
Silente, ad uno spettro, all’ombra confusa di un uomo - era ormai un
ritratto persino lusinghiero di colui che stava dietro di loro.
- Che cos’hai visto, allora?
- Noi. E te.
Il Dottore strinse a sé Honey per un po’, fiero e sollevato che non vi
fossero ormai più ostacoli e segreti tra loro. Ora, però, c’era la
parte divertente, o almeno quella più avventurosa.
- Dunque, ho scoperto che c’è un piccolo inconveniente.
- L’ultima volta che hai detto così, abbiamo combattuto contro un
Macra. - Ada mise le mani avanti, sospettosa.
- Sì, e sei stata uno splendore. - Il Dottore strizzò l’occhio, un
sorriso folle e impaziente. - Niente di così mostruoso. Solo… ho
provato a chiedere il permesso perché andaste via di qui in anticipo,
ma vorrebbero tenervi ancora un pochino per, che so, studiare il caso.
Oh, sì, ti considerano un caso eclatante, ma ci
pensate quanto sono noiosi? Solo perché non siamo di qui, capirai. Era
ovvio che avrebbe funzionato.
Non le avrebbe mai confessato tutta la preoccupazione di quella notte.
Come aveva dentro fuoco e ghiaccio senza che l’uno potesse spegnersi né
l’altro fondersi, così erano la leggerezza e la gioia con la malinconia
e l’oscurità nel suo animo - mai si sfioravano, mai si mescolavano,
erano frutti di sommo nutrimento o puro veleno. E mentre donava
speranza, tratteneva per sé il dolore.
- Per questo stamattina ci hanno prosciugato le vene a furia di
prelievi, e tutte quelle domande…
Il Dottore deglutì rumorosamente quando si accorse dei segni sul
braccio di lei. Sentiva freddo proprio al centro del petto. Con una
carezza lenta li nascose, ma d’improvviso vi premette il pollice, la
furia negli occhi, la luce dorata si sprigionò e a nulla valsero le sue
proteste:
- No, fermati! Stai gettando anni di vita per la puntura di un ago?
- Non è la puntura. Non è il sangue. È che non voglio… non lo sopporto!
- Era feroce, quello sguardo, e quasi a Ada sembrò di rivedere
l’Undicesimo nella puntata di Manhattan, ma lei non era River, loro non
erano importanti in quel modo, giusto?
Quando il Dottore le lasciò il braccio, il segno era sparito, ma gli
occhi di lei erano lucidi.
- Non farlo più. Non osare farlo mai più.
- Ho abbastanza energia per undici rigenerazioni, cosa mai può farmi?
Non badare a queste sciocchezze.
- Ne avessi anche cinquecentosette, ho detto… - Questa volta furono
entrambe a lanciargli quello sguardo perentorio e umido di commozione.
- Andiamo. Andiamo via. - Il Dottore scattò verso l’uscita e le porse
la mano, tesa perché la sua l’afferrasse, com’era giusto e bello e
necessario.
- Corri!