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Autore: Lantheros    10/07/2014    1 recensioni
Un antico potere millenario, custodito da sempre nelle profondità della terra.
Due mondi completamente diversi finiranno per incontrarsi, in un luogo singolare farcito di vetuste tecnologie a vapore e gigantesche fregate volanti.
Una coppia di giovani unicorni, proveniente dagli estremi stessi del Creato, troverà un punto in comune su cui lavorare, per venire a capo del grave segreto che la fumosa metropoli di Mechanus custodisce.
Dalla materia inanimata.
Alla vita.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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    Quando la portella si richiuse ermeticamente, Dust si ritrovò al buio e isolato dai rumori esterni.
Si guardò nervosamente attorno, sospeso nel vuoto grazie ai cavi, senza poter scorgere nulla attraverso gli strani occhiali che indossava.

 

All’interno della minuscola cabina non poteva sentir altro se non il rumore del suo respiro affannoso e il battito del suo cuore.


Urla ovattate provennero dall’esterno.

Stavano forse cercando di catturare Zamak?

 

    L’intero pony meccanico prese quindi a vibrare. Il binocolo gli mandò una serie di lampi accecanti alla vista, sfumando poi verso un’immagine appena distorta di cosa potesse vedere il Titan.
Non sapeva bene come funzionasse il colosso in cui era rinchiuso ma le vibrazioni dietro di lui gli fecero intuire come si trattasse di un meccanismo mosso da caldaia, sicuramente grazie a chissà quante Pietre Ignee.
Cristalli arcani e altri incantesimi permanenti gli consentivano di vedere attraverso quegli strani occhiali, nonché gestire il sistema di leveraggi meccanici per muoverlo.

Dust provò a guardarsi attorno e percepì il cigolare dell’elmo, unitamente alle immagini che gli giungevano dall’esterno.

Vide l’intera zona, ovviamente da posizione rialzata, compresi i pegasi che si stavano preparando ad assaltarlo.

Un piccolo assembramento si stava allontanando per i vicoli, probabilmente scortando il traditore verso le retrovie.
Avrebbe voluto voltarsi e andare a salvarlo ma sarebbe significato mandare all’aria tutto ciò che lui e Copper avevano affrontato fino a quel momento.
Non poteva farlo.

Con molta delicatezza, mosse appena le proprie zampe, cercando di comprendere il meccanismo di azione/reazione alla base del Calcator. Con sua somma sorpresa, sebbene con circa un secondo di ritardo, l’enorme macchina da battaglia sembrava rispondere in modo perfetto ai suoi spostamenti, proprio come se non dovesse far altro che mimarne i movimenti. La cabina sussultava e gemeva, lasciandolo piuttosto spaventato durante i primi istanti.

Il rumore degli ingranaggi iniziò subito ad essere elaborato dal suo cervello, che prese a creare i nessi causali proprio come aveva fatto con l’esoscheletro di Copper.

 

Il talento è una dote naturale che non si impara.

 

Dust fece oscillare il capo, aspettando che il visore del Calcator inquadrasse la sommità del cuore, non troppo lontano dalla sua posizione. Solamente un isolato scarso lo separava dall’agognata meta.

Non avrebbe atteso oltre.

Cercò di camminare a mezz’aria, muovendo gli zoccoli come se dovesse spostarsi, e il Titan iniziò le sua lenta marcia frontale.
La cabina iniziò ad ondeggiare, unitamente alle vibrazioni che ogni singolo tonfo dei passi causava all’intera struttura.

Gli edifici ai suoi lati risentivano delle zoccolate sul terreno e riversavano cocci e polvere sulle strade, ad ogni falcata.

I pegasi si tenevano a debita distanza, senza perderlo di vista: sapevano che la fanteria non avrebbe potuto nulla contro una simile mostruosità da guerra.
Il pilota, nonostante fosse protetto da spesse lamiere di solido metallo, aveva una paura matta.
Fino a qualche giorno fa era Silver Dust, l’allievo della Principessa Celestia, giunto in visita a studiare una curiosa città meccanica. Ora era il pilota di un costrutto da battaglia, in marcia verso un obiettivo che avrebbe messo a rischio un’intera metropoli.
Ancora non si capacitava di quanto stesse succedendo.

    D’innanzi a lui si parò un assembramento di edifici.

Ebbe un attimo di esitazione, per poi ricordarsi cosa stesse guidando.
Deglutì e quindi si mosse con decisione: il Titan impattò contro le pareti esterne, riducendo i mattoni in briciole e le lamiere in fogli accartocciati. L’urto scosse l’abitacolo e i cavi in tensione gli diedero dolorosi strattoni alle zampe; nonostante fosse solo un pilota, i colpi esterni potevano essere purtroppo percepiti direttamente sul corpo, proprio a causa del curioso sistema di guida.

Strinse i denti e continuò. Gli ingranaggi del veicolo presero giri e numerosi sfiati di vapore emersero attorno a lui, mentre si spingeva con forza attraverso gli ostacoli, creando un nugolo di polvere e detriti.

Sbucò infine in uno spiazzo, a qualche decina di metri dall’enorme torre centrale.

Quando il fumo si diradò, Dust si rese conto di come sarebbe potuta finire se fosse giunto senza il Titan.

Lo spiazzo era presidiato da una coppia di Calcator, spediti direttamente dalle navi volanti (i crateri nel terreno ne erano testimonianza), mentre tutti gli edifici limitrofi ospitavano un piccolo reggimento di incantatori da battaglia, pronti a riversare distruzione tramite i rispettivi corni.

Il puledro ebbe un brivido lungo la spina dorsale.

 

I Calcator si attivarono e gli unicorni evocarono potere.

 

    Dust non ebbe tempo per pensare e, colto dal panico, rimase imbambolato ad osservare la scena.

Decine di fulmini e sfere di fuoco saettarono verso di lui, impattando violentemente contro la corazza. Silver venne sballottato da una parte all’altra della cabina, completamente assordato dai botti che schioccavano attorno.

Il corpo del Titan era però ancor più massiccio, rispetto a quello delle versioni depotenziate, e resse perfettamente  all’assalto.

I fumi e le scintille delle magie non fecero in tempo a diradarsi che gli zoccoli dei Calcator nemici lo percossero frontalmente. Nonostante la stazza, il Titan vacillò e cadde di schiena contro un edificio alle spalle, demolendolo quasi del tutto.


“Non saresti dovuto venire qui, ragazzino!”, intimò uno dei piloti nemici, con la solita inflessione metallica.

 

Il collega fece impennare il proprio colosso, cercando di sfondare l’armatura del Titan durante la ricaduta. Questa volta, però, l’istinto di sopravvivenza di Dust ebbe il sopravvento.

 

    Il puledro sollevò istintivamente una zampa, per proteggersi, e il colpo del soldato cozzò violentemente contro l’arto sollevato del Titan. Con un altro gesto, scostò violentemente la macchina che lo aveva assalito, facendola franare sullo spiazzo retrostante.

Il Titan non era solo più massiccio ma anche più potente dei modelli precedenti.

Il collega intervenne per bloccarlo. Dust si rialzò e si preparò a difendersi. Venne intercettato da altri colpi ma tutto resse alla perfezione. Il suo viso si fece agguerrito, un istante prima di menare una spallata e spedire il suo assalitore contro un altro edificio.

Altri incantesimi giunsero a fornire man forte, senza causare nulla se non baccano e spettacolari effetti esplosivi.

Il Titan premette contro il Calcator del Divites, cercando di schiacciarlo contro le case. Il commilitone, da poco gettato a terra, si era prontamente ripreso, cingendo l’elmo di Dust da dietro e cercando di allontanarlo. Durante la manovra, i due soldati ebbero l’occasione di colpirlo dritto al muso.

Silver avvertì un boato e vide la metà destra dell’immagine svanire. Gli avevano sicuramente distrutto un occhio del veicolo.
Come aveva fatto a non pensarci prima?

I Calcator lo stavano stringendo in una morsa metallica ma al puledro bastò spalancare le zampe: gli ingranaggi ruotarono senza sosta, emettendo lampi e scintille, permettendo al Titan di liberarsi.

Afferrò quindi l’elmo di un nemico e lo frantumò con un diretto.

Lamiere e fiotti di liquido oleoso schizzarono in tutte le direzioni.

Il secondo nemico cercò di intervenire ma i suoi attacchi non potevano semplicemente danneggiare il Titan in modo serio. Tentò di mirare alle giunture ma anche quei punti erano stati rinforzati.

Così, nonostante la sua inesperienza, Dust non fece altro che imparare dai suoi nemici: dopo aver sfondato il casco di un Calcator, menò una zampata all’altezza delle ginocchia e spaccò di netto un arto anteriore dell’altro Divites. La macchina, priva di un supporto, franò sul moncherino grondante di olio.

Un secondo colpo del Titan intercettò il collo e spinse all’indietro il capo, che rimase a penzolare, sostenuto da una serie di cavi e tubi divelti. Altri spruzzi di liquido e fiotti di vapore ebbero libero sfogo.

 

“CHIAMATE I RINFORZI!! CALCATOR E INTERCETTORI!!”, urlò uno degli unicorni, stando debitamente al riparo negli edifici.

I colleghi, intanto, continuavano a bersagliare il Titan e la zona vicina con fiotti di magia, trasformando l’intera zona in una tabula rasa farcita di esplosioni.

Dust era ormai mezzo assordato e la cabina risentiva di ogni colpo in arrivo.

Si voltò e vide la struttura circolare del cuore.

Decise di chiudere la faccenda il più in fretta possibile.

    L’unicorno lilla iniziò a galoppare nell’abitacolo e altrettanto fece il Calcator, nemmeno fosse stato un treno in partenza.

La macchina sfrecciò dritta verso la torre, spaccando il lastricato della piazza su cui si muoveva, in mezzo ad esplosioni e botti arcani.
A pochi metri dall’impatto con le mura, Dust distolse impulsivamente lo sguardo e strinse i denti: il Titan sfondò le spesse pareti di lamiera, permettendo a quasi metà Calcator di penetrare all’interno della struttura.

I cavi gli diedero dei contraccolpi terribili, facendolo urlare dal dolore.

Poi, tutto parve chetarsi.


    Silver scosse il capo, estremamente dolorante. Non vedeva più nulla. Con ogni probabilità, il sistema visivo era stato definitivamente compromesso.

Anche i cavi non erano più in tensione, sintomo che il mezzo poteva essersi danneggiato.

Sollevò impacciatamente il visore, ritrovandosi di nuovo nel buio della cabina. Dietro di lui, intanto, gli scoppi si stavano affievolendo. Cercò di sganciarsi dai sistemi di supporto, in preda all’agitazione della fretta.

Cadde sul pavimento della cabina, sentendo le ossa del corpo dolergli per gli sforzi appena compiuti.

 

Attese qualche secondo sdraiato, ansimante, per poter riprendere fiato.

Con un po’ di fortuna, forse, il Calcator si era incastrato perfettamente nel foro appena creato, rendendo inagibile l’apertura agli inseguitori. Questo gli avrebbe fatto guadagnare un po’ di tempo.

 

Altre urla esterne lo convinsero a non esitare troppo.

Si rimise sulle zampe ed invocò un piccolo lumino bianco sul corno. Osservò nervosamente la console dei comandi, individuando la leva che Zamak aveva tirato per chiudere la portella. La azionò, sperando che i meccanismi di sgancio non si fossero compromessi.

Dopo i canonici sfiati di vapore, la portella si aprì cigolando, portando con sé alcuni frammenti di soffitto, che cascarono disordinatamente dall’alto.

 

    Dust si ritrovò al primo piano della torre centrale.

Il cuore.

Ce l’aveva fatta.

 

La stanza in cui aveva appena fatto irruzione era nella penombra, con una serie di flebili cristalli luminescenti affissi alle pareti come unica fonte di luce.

Numerose tubature creavano un intricato sistema metallico, che si diramava in modo più o meno caotico per l’intera area sotto il suo sguardo. Le condotte sembravano tuffarsi direttamente nel terreno, per chissà quale destinazione. Manometri, indicatori e valvole un po’ unte erano disseminati ovunque, creando un ambiente abbastanza inquietante assieme alle parti arrugginite e ai giochi di luce ed ombra, tipici degli ambienti scarsamente illuminati.

Alle orecchie del puledro giunse un costante ronzio di sottofondo, ad indicare come qualcosa stesse scorrendo all’interno dei tubi.

Notò quindi una rampa di scale a chiocciola, in ferro battuto nero, che dal centro della camera si innalzava fino ai piani superiori.

Diede un’ultima occhiata al Calcator alle sue spalle: un colosso di acciaio e ingranaggi, schiantato malamente contro un’enorme torre circolare. Lo aveva servito per poco. Ma lo aveva servito bene.
Trottò verso la rampa, iniziando una lunga arrampicata.

 

Gli zoccoli fecero tintinnare il ferro dei gradini, mentre Silver Dust si spostava verso il proprio obiettivo finale. Non sapeva bene dove fosse ma, con ogni probabilità, lo avrebbe trovato all’ultimo piano dello stabile.

Durante la camminata incrociò i piani intermedi, ciascuno ospitante la solita selva di tubi e canaline. Man mano che saliva, tuttavia, il ronzio si faceva sempre più flebile.

Non vi erano finestre: l’illuminazione era completamente artificiale, così Dust non poté stabilire cosa stesse accadendo all’esterno. Poteva solo sperare di raggiungere in fretta il cuore e far sì che gli sforzi suoi e di Copper non fossero stati inutili.

Continuò a salire finché, quasi allo stremo delle forze, non trovò la via bloccata da una botola meccanica sul soffitto. Accanto vi era una leva. La mise in funzione.

La portella si spalancò lentamente, lasciando che un’accecante luce bianca si palesasse dalla stanza che aveva in custodia.

 

    Dust si coprì lo sguardo per un istante, dovendo riabituarsi ad un ambiente privo di oscurità.

Quando la via fu sgombra, il giovane incantatore non riuscì a trattenere lo stupore.

    La zona apicale della torre era quasi completamente costituita da vetro pregiato, lasciando che una gran quantità di luce naturale potesse filtrare da ogni direzione.

I tubi, in modo analogo ai piani inferiori, erano sparsi un po’ ovunque ma in modo molto più ordinato. I materiali (quali infissi, supporti per le finestre e le pavimentazioni) erano simili al rame pregiato, completamente diverso da quello degradato visibile lungo le strade suburbane di Mechanus.

Silver gettò un’occhiata a trecentosessanta gradi, estasiato.

Dall’esterno erano visibili gli alti grattacieli della metropoli, mentre un cielo costellato di navi da guerra gettava l’intera stanza in una situazione quasi surreale, degna del un dipinto di un folle.

Al centro, infine, si ergeva imponente una colossale macchina cilindrica, costellata di cristalli, fori, leve e centinaia di microtuboli iridescenti, probabilmente composti dello stesso cristallo incastonato nel sistema.

I minerali pulsavano di luce bianca ed inviavano segnali ritmici e costanti, attraverso i piccoli condotti incantati.

Dust non aveva mai visto nulla di simile: una sorta di console centralizzata in cui era possibile inserire cristalli mnemonici precompilati. Con i giusti algoritmi, Mechanus era stata in grado di usare un vasto insieme di cristalli come un connubio di processori, permettendo alla matematica di occuparsi delle operazioni di routine quali l’indirizzamento della lava, del vapore, l’apertura o la chiusura dei meccanismi tramite gli ingranaggi e così via.

Quasi non era richiesta manodopera; tutto ciò di cui necessitava il cuore era un insieme di cristalli correttamente generati, nonché una manutenzione straordinaria.

Il pony color lilla camminò lentamente verso l’impianto, senza schiodargli gli occhi di dosso.

Il suo cervello venne invaso da tonnellate di schemi ripetitivi, dovuti al rumore e alla vista delle infinite pulsazioni cristalline.

Un boato esterno lo riportò alla realtà.

Altri Calcator erano stati sganciati dalle sommità dei cieli e, con ogni probabilità, non ci sarebbe voluto molto affinché i soldati facessero irruzione dalla base dell’edificio.

Avrebbe desiderato rimirare l’opera ancora più fondo ma non era quello il momento.

 

    Con un balzo deciso, il puledro salì su una delle tante impalcature in rame che circondavano il cuore, permettendo così l’accesso alla sua superficie verticale, in cui i cristalli potevano cioè essere estratti o inseriti con facilità.

Dust notò immediatamente un foro sufficientemente grande da ospitare l’oggetto magico che trasportava con sé.

 

Era quindi giunto il momento.

Con estrema delicatezza, aprì magicamente la sacca a tracolla ed estrasse il cristallo mnemonico.

Lo osservò attentamente, con muso inespressivo.

 

Tutto.

 

Tutto ciò che aveva compiuto, dal voler studiare a fondo gli Inanimus all’assurdo assalto a Mechanus, era avvenuto in funzione di quel piccolo oggetto multisfaccettato.

Fece una rapida rielaborazione di quanto avvenuto in quegli ultimi giorni e l’unica cosa che gli venne alla mente fu: follia.

Follia!

Come aveva potuto gettare un’intera metropoli nel caos più totale?

Come aveva anche solo pensato di sfidare i Divites? E per cosa, poi?

Per delle meccaniche animate?

Per un cristallo dal contenuto misterioso?

Cosa avrebbe pensato la Principessa, una volta venuta a conoscenza dei suoi stupidi gesti avventati? Silver Dust, l’allievo che avrebbe dovuto studiare usi e costumi di Mechanus, si era erto a guida di un colpo di stato, mettendo a rischio non solo la propria vita ma anche quella di migliaia di altri pony.

Sì.

 

Follia.

 

Ma a pensarci bene…

C’era sicuramente qualcosa che non andava, in quella città. Lo aveva notato fin dai primi giorni.

 

Perché non era normale che i pony venissero sfruttati dai più forti.

Non era normale che i minatori venissero mandati al macello, vittime di presunte macchine assassine… che però avevano cercato di entrare in contatto con lui pacificamente.

Non era PER NULLA normale che le forze armate avessero la libertà di spadroneggiare sull’intero suolo civile.

 

No.

Scosse il capo.

La vera follia non era stata la sua.

Bensì quella dei Divites e di coloro che non si accorgevano dell’assurdità di quello stile di vita.

 

Silver osservò il cristallo fluttuare d’innanzi a lui. Lo fece ruotare, in modo che la luce della stanza venisse riflessa più volte sulla sua superficie.

 

Decise di non dilungarsi ulteriormente.

Inserì il cristallo in uno dei fori.

 

    Sulle prime, non accadde nulla.

L’oggetto si limitò ad oscillare dolcemente nel vano.

Dopo alcuni secondi, tuttavia, acquisì una rapida rotazione sul proprio asse.

Dust fece qualche passo indietro, rischiando di cadere dalla rampa, quando udì l’intera struttura tremare. Alzò lo sguardo e controllò la stanza.

 

Un’accecante bagliore azzurro provenne dal cristallo ed iniziò a contaminare le piccole tubature bianche che fuoriuscivano dalle zone vicine.

Ad uno ad uno, in modo concentrico, la luce di tutti i cristalli bianchi venne sostituita da quella azzurra. Quando tutti i dispositivi furono privati della loro colorazione originale, avvenne un’assordante onda d’urto. Silver venne sbalzato a terra e tutte le vetrate andarono in frantumi, creando una vera e propria pioggia di piccoli frammenti luccicanti, diretti verso il terreno.

Ci fu quindi una pausa, in cui Dust ebbe il tempo per rialzarsi e cercare di capire cosa fosse successo.

Per un istante pensò che fosse tutto finito…

 

…finché un tremore, simile ad una scossa sismica, non iniziò a diffondersi lentamente lungo la torre, per estendersi quindi all’intero quartiere circostante.

 

*** ***** ***

 

    Pegasi e soldati in armatura stavano trascinando un pony dal vestito vecchio e sgualcito, lungo i viottoli cittadini.

Attorno a loro, senza che fortunatamente ne fossero coinvolti, un unicorno in esoscheletro teneva testa ad un intero reggimento di difesa.

 

Copper era esausta.

Non soltanto si era lasciata trascinare dalla foga della battaglia, perdendo completamente il controllo di sé, ma era anche avvenuto un fenomeno assai pericoloso: non era più lei a sfruttare l’esoscheletro. Di fatto, se non fosse stato per la corazza che indossava, sarebbe crollata a terra priva di energie. Non vi era più volontà da parte sua, in quanto l’aveva completamente devoluta negli istanti di battaglia che stava ancora consumando.

Il suo corpo era ormai una mera impalcatura, sorretta dalla struttura della corazza e utilizzato come canale di energia.

Nient’altro.

Alle Essenze non servivano altro che tendini per muoversi, occhi per vedere ed un sistema nervoso che connettesse tutto quanto.

 

La zona, per centinaia di metri attorno alla puledra, si era trasformata in uno scenario apocalittico.

Il grosso delle abitazioni era in frantumi, mentre gli scheletri metallici di navi volanti erano riverse tra le macerie, alcune in fiamme. Nuvoloni neri si innalzavano minacciosi verso il cielo, derivanti dalla combustione delle sostanze impiegate dai motori come propellente.

Una manciata di Calcator era letteralmente sparsa ovunque; i soldati riversi sul campo, feriti oppure in fuga verso un riparo.

 

Al centro della devastazione, in cima ad un frammento di palazzo ancora in piedi, l’inventrice ansimava e gemeva dal dolore, circondata dal canonico alone di luce vermiglia.

Il sudore l’aveva inzuppata completamente, lasciando che i crini le penzolassero fradici lungo il volto, come se fosse appena uscita dall’acqua.

Si era puntellata con le zampe, senza avere la forza di sorreggersi grazie ai muscoli. Lo sguardo era chino e la bocca spalancata, nell’atto di iperventilazione.

Nonostante sembrasse sul punto di crollare, l’esoscheletro le impediva di fermarsi, inondandole il fisico con sempre più sostanze stimolanti.


La linea di confine era stata superata.

Se la corazza avesse smesso di funzionare, la sua occupante sarebbe con ogni probabilità svenuta per lo sforzo. Era andata oltre. Non poteva più tornare indietro.

L’unica cosa che forse le rimaneva da fare… era spingersi fino alle estreme conseguenze.

 

Rialzò lentamente il capo, mostrando due occhi arrossati.

I muscoli del suo corpo, allo stremo, ebbero svariati tic nervosi.

La mente della puledra fu sul punto di vacillare ma una scarica di adrenalina le arrivò puntualmente al cervello, ridestandola immediatamente.

Non fu affatto piacevole.

 

    A terra, intanto, Steel Hammer stava riorganizzando le forze, debitamente al riparo tra le macerie, in mezzo ai suoi uomini.

“S-signore!!”, balbettò uno dei militari, completamente pesto. “Non riusciamo a fare nulla!”.

Hammer, senza scomporsi, si sporse per osservarla, quindi scrutò l’interlocutore: “Non importa. La stiamo tenendo impegnata e… distratta dal suo compito. Confido che sarà solo questione di tempo prima che l’unicorno viola venga intercettato dalla squadra volante”.

 

Un terrificante urlo femminile provenne dal campo di battaglia.

Copper aveva letteralmente lanciato un ruggito rabbioso nell’aria e, colta dalla frenesia, si era messa a cercare il suo prossimo bersaglio.

“HAMMER!!”, tuonò adirata. “ESCI FUORI, VIGLIACCO!! AFFRONTAMI MUSO A MUSO!!”.

I soldati si girarono ad osservare il generale, che si era prontamente ritirato dietro le mura distrutte.

Per la prima volta, i sottoposti riuscirono a leggere una vena di paura nell’espressione del proprio superiore.

 

Giunse quindi un piccolo distaccamento dai viottoli: stavano trascinando alcuni corpi, aiutandosi con la levitazione. Raggiunsero Steel e, assicurandosi che non potessero reagire, buttarono a terra un gruppetto di prigionieri, tra cui il barbuto Smoky Coal.

 

“Signore! Questi facevano parte del gruppo che ci ha rallentato durante l’inseguimento, signore!”.

Il puledro fulvo venne fatto sdraiare a terra come un sacco di patate. Le zampe erano legate dietro alla schiena.

Uno dei militari ne afferrò i crini e gli sollevò il capo, permettendo al generale di guardarlo dritto negli occhi.

Hammer si avvicinò, con aria di superiorità.

“Una… resistenza, mh?”, commentò. “Per quale diavolo di motivo avete protetto quel puledrino? Vi doveva forse dei soldi?”.

Smoky digrignò i denti dal dolore, quindi cercò di rispondergli senza perdere la propria strafottenza: “Il… il puledrino c’entra fino ad un certo punto…”.

“Ah sì? E quale altro motivo avreste avuto per…”.

Lo stallone ridacchiò sotto i baffi: “…certe volte è semplicemente divertente prendere a sberle i vostri soldatini…”.

Uno dei suoi compagni cercò di divincolarsi dalla presa di sottomissione, inutilmente: “SIETE SOLO DEGLI SCHIFOSI APPROFITTATORI!! SIAMO STUFI DELLA MISERIA CHE CI AVETE GETTATO ADDOSSO!”.

Una zoccolata in armatura lo zittì immediatamente.

“Credo che il vostro gesto sia stato completamente inutile”, rispose il generale. “Come potete vedere… avete solamente rallentato l’esito degli eventi”.

“Ma almeno è stato divertente…”, ribatté Coal.

 

Un secondo gruppo di soldati, questa volta dei pegasi a terra, si fece largo nello scenario devastato.

Due di loro afferrarono un prigioniero dal manto bianco e lo condussero da Steel, riunendolo agli altri pony catturati.

Zamak non aveva posto resistenza. Nelle condizioni in cui versava non sarebbe servito a nulla, così si era offerto di seguirli spontaneamente. Non c’era stato bisogno di legarlo.

Quando Hammer lo vide, non riuscì a nascondere una certa sorpresa.

“…comandante Kirksite…”, disse. “Devo ammettere che sono alquanto sorpreso di vederla qui…”.

“Signore!”, intervenne uno dei pegasi, dopo aver porto saluto militare. “Il comandante Zamak Kirksite è stato sorpreso mentre offriva aiuto al puledro viola, signore!”.

L’unicorno grigio puntò gli occhi glaciali in quelli celesti: “…corrisponde al vero, comandante?”.

Il volto dello stallone bianco mutò in un’espressione indignata.

“Ha deliberatamente attaccato un Calcator con il suo veicolo di classe Titan”, continuò il pegaso, “offrendolo poi al fuggiasco per continuare verso il proprio obbiettivo”.

Steel corrugò la fronte. Non aveva previsto una cosa del genere.

“…quindi… il comandante Zamak avrebbe offerto il suo Calcator al…”

“Sì, ho aiutato quell’unicorno!!”, lo interruppe stizzito. “Gli ho fornito il Titan e, con un po’ di fortuna, sarà ormai giunto al cuore!”.

Il generale gli lanciò un’espressione truce quindi, tentando di contenere la rabbia, rispose: “…di tutte le azioni sconsiderate che poteva fare, generale, questa è stata di gran lunga la più stupida. Spero si renda conto delle conseguenze delle sue azioni…”.

“Con tutto il dovuto rispetto, signore… me ne frego! È già un miracolo che io sia in vita dopo che avete aperto fuoco amico sulle vostre stesse truppe!”.

“Le vostre azioni avranno gravi ripercussioni. Verrete messo alla corte marziale…”.

“Non mi importa…”.

“…e la vostra famiglia, nonché vostra sorella, subirà l’onta del vostro tradimento”.

“COSA??”, tuonò Zamak, un istante prima di volargli addosso. Una coppia di soldati lo trattenne prontamente. “LASCIA FUORI LA MIA FAMIGLIA DA QUESTA STORIA!!”.

“Troppo tardi, ex-comandante…”, dichiarò il generale con tranquillità.

Diede quindi precise disposizioni ai suoi uomini.

 

Da lontano, intanto, Copper ruotava nervosamente il capo in ogni direzione, nella speranza di individuare qualche “puntino luminoso” troppo avventato. Con un po’ di fortuna, magari, sarebbe stato proprio il generale Hammer.

Notò quindi un piccolo manipolo di militari fuoriuscire dalla copertura degli edifici crollati.

Senza nemmeno pensare, mossa solamente dall’istinto di cui era caduta preda, piegò le zampe, attivò gli ingranaggi e si preparò ad assalirli.

Diede un colpo di reni, frantumando la sezione di palazzo sotto gli zoccoli. Aprì le ali e atterrò pesantemente a pochi metri dai bersagli.

Si preparò all’azione.

Quando vide di chi si trattava… qualcosa in lei cambiò radicalmente.

L’armatura rallentò immediatamente il moto dei meccanismi, cessando all’istante la propria funzione stimolante.

 

Il generale era uscito allo scoperto, assieme a Zamak, opportunamente scortato dai soldati. Le lame di alcune lance erano a pochi centimetri dal collo bianco.

Steel sorrideva, sicuro di sé.

 

L’espressione sul volto della puledra passò da un’ira estatica ad una profonda e immediata preoccupazione. Perlomeno fu lucida a sufficienza da riconoscere il parente.

L’armatura, tuttavia, non cessò di produrre energia dalla fusione delle Essenze, continuando a brillare come una cometa.

 

“ZAMAK!!”, urlò terrorizzata.

“COPPER!”, cercò di risponderle. “VATTENE!! NON…”.

Alcune percosse lo gettarono a terra, interrompendo la sua supplica.

Copper si mosse per aiutarlo ma Steel le fece cenno di non muoversi.

“A-a-ah”, la canzonò. “Un altro passo e tuo fratello si riduce ad uno spiedo…”.

“STEEL!!”, lo apostrofò. “SCHIFOSO, LURIDO VIGLIACCO!! SMETTILA DI NASCONDERTI DIETRO AD ALTRI CORPI! VIENI QUI ED AFFRONTAMI, SE HAI IL CORAGGIO!”.

“Non è una questione di coraggio, mia cara. Tu possiedi un’arma imponente. A me manca persino una zampa. Sarebbe uno  scontro impari, non trovi?”.

“IL TUO ESERCITO NON CONTA??”.

“Sono pagati. Non stanno mica combattendo per beneficienza…”.

L’esoscheletro riacquisì potenza: “MOLLA SUBITO MIO FRATELLO!!”, ribadì Copper.

“Datti una calmata. Subito. Non costringermi a fargli il contropelo”.

L’ira si impadronì di nuovo dell’unicorno dai crini ramati, che fece appello ad ogni rimasuglio di buonsenso rimasto in lei, per evitare di perdere nuovamente il controllo.

Kirksite tentò nuovamente di dissuaderla: “COPPER! VATTENE SUBITO! TU NON HAI NULLA DA SPARTIRE CON QUESTI CRIMINALI!”.

I mercenari di Hammer sollevarono lo stallone ferito e gli puntarono altre armi.

“Disattiva l’armatura”, dichiarò Steel. Copper strinse i denti. “Sai benissimo che non avrei remore a ferirlo… o ucciderlo…”, puntualizzò l’ufficiale.

“Torcigli anche solo un pelo e ti assicuro che ti pentirai di essere venuto al mondo…”.

“Copper, ti prego!”, la implorò Zamak. “Da troppo tempo usiamo la violenza per risolvere ogni singolo problema!! Avevi ragione!!”, urlò, agitandosi tra le grinfie dei Divites. “Avevi ragione e io torto!! Ora però… vattene, non hai niente da guadagnarci a contrattare con loro!”.

“LA CORAZZA!!”, lo interruppe Hammer.

 

Il pony in esoscheletro cadde preda di una profonda sofferenza.

Non sapeva cosa fare.
Arrendersi?

A quale pro? I Divites non erano rinomati per l’affidabilità delle loro promesse. Cosa avrebbe impedito loro di farli fuori entrambi, una volta tolta l’armatura?

E se li avesse attaccati… che certezze avrebbe avuto che il fratello sarebbe stato salvo?

 

“I… io…”, balbettò.

 

    Un imperioso rumore metallico avanzò quindi verso di loro.

Tutti si voltarono.

 

Fu un rumore sordo.

Possente.

 

Un rumore simile alle lamiere che si contorcono ma mille volte più forte, mille volte più profondo; come se decine di grattacieli si fossero accartocciati su loro stessi.

 

Ma nulla, apparentemente, accadde.

 

Tutti i presenti, compresi soldati ed ufficiali, indirizzarono l’attenzione verso un punto indefinito della metropoli lontana.

Passarono alcuni secondi, quindi giunse un secondo rumore, questa volta così potente da far tremare il terreno per la semplice vibrazione nell’aria.

 

“C-che diamine è stato??”, domandò uno dei militari, visibilmente agitato.

 

Anche Copper dimenticò per un istante la spinosa situazione in cui si trovava. Si girò a sua volta, quindi una consapevolezza improvvisa, ora che si era calmata, la fulminò istantaneamente.


“…DUST!”, dichiarò ad occhi sgranati.

 

Ci fu uno scossone.

 

Uno scossone violentissimo, del tutto simile ad un terremoto.

La maggior parte dei pony cadde a terra, mentre una minoranza riuscì a mantenere l’equilibrio aggrappandosi a qualcosa.

 

Un altro scossone.

 

Le tegole delle case più basse caddero e si frantumarono.

Rumore di arredo che si spaccava sul pavimento iniziò a provenire dalle abitazioni ancora illese.

 

Dopo un lungo attimo di silenzio, giunse infine un terzo scossone, il più devastante di tutti, seguito da una vibrazione crescente, che fece tremare le ossa a tutti i pony nel raggio di chilometri.

 

Urla di terrore iniziarono a levarsi ovunque.

 

Copper tentò inutilmente di scrutare la zona lontana.

Era stato Dust?

Tutto quello era… per via del cristallo?

 

La puledra ebbe un sussulto quando vide alcuni edifici sullo sfondo variare letteralmente di altezza, come se le fondamenta avessero ceduto. E, dopo di loro, altre strutture presero a sprofondare ed elevarsi, come mosse da chissà quale poderosa forza sconosciuta.

Uno dopo l’altro, interi quartieri residenziali presero a vibrare e contorcersi, producendo rumori assordanti e terrificanti.

Nugoli di polvere e detriti si spansero in ogni direzione.

I soldati e tutti i pony coinvolti iniziarono a retrocedere rapidamente, assolutamente impreparati all’assurdo fenomeno a cui stavano assistendo.

 

I numerosi ingranaggi della città si misero in moto all’unisono.

 

La case si mossero, incastrandosi tra loro come i pezzi di un puzzle.

 

Fondamenta ancorate nel terreno emersero, sollevate dagli ingranaggi accanto.

 

La tubature sotterranee vennero estirpate, spezzandosi in alcuni punti ed iniziando a riversare ondate di lava e vapore per le strade.

 

In quel preciso istante, Copper ringraziò il lavoro di evacuazione che i Divites avevano attuato per preparare il campo di battaglia.

 

Nessuno capì cosa stesse accadendo. Sembrava che interi quartieri cittadini si stessero letteralmente riorganizzando e riassemblando sotto gli occhi attoniti dei presenti. Schianti e suoni di lamiere contorte saturarono l’ambiente.

Dalle stradine secondarie giunsero gli ultimi residenti che avevano preferito evitare l’evacuazione, scorrazzando verso le periferie come un piccolo sciame impazzito.

 

Il polverone di detriti iniziò a riempire il cielo, per centinaia e centinaia di metri, gonfiandosi inesorabile nelle zone circostanti. Giunse anche verso Copper e l’esercito dei Divites, costringendo tutti a gettarsi a terra e ripararsi alla bene e meglio.

 

Dopo molti secondi di puro terrore, il fumo iniziò a depositarsi, permettendo agli osservatori di rimirare uno spettacolo unico quanto spaventoso.

 

    Quasi un terzo di Mechanus, ai piedi della vallata, si era letteralmente sradicato dal suolo. I componenti si erano avvicinati uno all’altro, grazie agli ingranaggi di cui era composta la metropoli.

Copper e gli altri non ci potevano credere.

Una gargantuesca figura equina si stava formando proprio sotto i loro occhi.

Gli ingranaggi sembravano fungere da giunture, mentre le tubature di lava e vapore, come vene, ne costituivano il sistema circolatorio. Palazzi ed edifici si erano raggruppati e ne modellavano la forma.

 

Secondo dopo secondo, minuto dopo minuto, il volto di un gigantesco costrutto si era plasmato, pur rimanendo grezzo ed abbozzato.

 

Una spaventosa colonna di edifici, animata da tonnellate di ingranaggi, si elevò dal terreno, schiantandosi al suolo e producendo un boato così potente da far sussultare la terra.

Una zampa.

 

L’enorme macchina semovente si stava lentamente sollevando da terra, producendo una quantità incalcolabile di baccano e frammenti di edifici.

Durante l’intero fenomeno, molte strutture vennero semplicemente raccolte da terra, a formare il corpo del pony metallico, solo per poi staccarsi da esso e tornare dritte al suolo, percorrendo decine di metri e causando impatti terrificanti con il terreno sottostante.

 

Il petto del costrutto si illuminò improvvisamente, debitamente coperto da un assembramento di palazzi. Il cuore della città di Mechanus era diventato il vero cuore pulsante di quella bestia colossale.

 

Quando Copper lo vide, lasciò da parte la paura e la meraviglia che l’avevano invasa, pensando ad una cosa soltanto.

 

DUST

 

    “COS’È QUELL’AFFARE??”, domandò Zamak, tenendosi al riparo di un muretto.

Soltanto lui e pochi temerari (o irrefrenabili curiosi) si trattennero dal fuggire in preda al panico.

Il pony di metallo era ormai quasi completo.

Dietro di sé aveva cancellato interi isolati, attualmente parte integrante del suo corpo. La sua stazza era impressionante , arrivando a quasi un terzo dell’altezza complessiva del vulcano: un vero e proprio mostro che si stagliava all’orizzonte e che occupava buona parte dell’azzurro del cielo.

Un secondo lampo di luce precedette l’accensione di due enormi soli azzurri. Tutti i sistemi di emissione erano confluiti ai lati dell’elmo, formando di fatto gli occhi della creatura.

 

Steel, cogliendo tutti impreparati, avanzò zoppicante in mezzo alla devastazione.

 

“AVETE VISTO??”, berciò, fuori di sé. “AVEVO RAGIONE!!”. Il frastuono era così soverchiante da costringerlo ad urlare, impedendo in ogni caso di udirlo chiaramente. “SAI COS’HA FATTO IL TUO AMICO??”, chiese a Copper. “CI HA CONDANNATI TUTTI A MORTE!! HA CONDANNATO MECHANUS INTERA!!”.

“NO!!”, rispose urlando. “LUI… LUI NON PUO’ AVERLO FATTO!!”.

“COSA STAI DICENDO??”, le spiegò, con un ghigno malevolo. Hammer sembrava aver perso completamente il senno. “GUARDA QUELL’AFFARE!! GUARDA! GUARDA COSA HA RISVEGLIATO!! UNA BESTIA DI METALLO, GENERATA DALLA CITTA’ STESSA!”.

Copper cercò di controbattere ma la realtà dei fatti non poteva essere negata.

 

Qualsiasi cosa fosse contenuta in quel cristallo… aveva inserito una coscienza di qualche tipo nel cuore della città. Una volontà che, inspiegabilmente, era riuscita a collegare tra di loro i sistemi di interi edifici e ad usarli come materiale da costruzione per un corpo dalle proporzioni epiche.

 

“QUELL’UNICORNO HA DECRETATO LA FINE DI MECHANUS!!”, ripeté, ridendo come un folle e sollevando l’unica zampa sana verso il cielo, beandosi dei frammenti che continuavano a piovere a terra. Il pezzo di un grattacielo si infranse a pochi metri da lui, facendo drizzare il pelo ai presenti. Hammer, invece, non mosse un muscolo. Continuò a ridere.

 

Nel giro di pochi istanti, tutte le forze armate, soprattutto le navi volanti, si riorganizzarono per fronteggiare la nuova minaccia.

 

L’Inanimus fece ruotare l’elmo. Ogni singolo movimento era lento, per via del peso impressionante che doveva gestire, e accompagnato da stridii che riecheggiavano per l’intera vallata, causando inoltre il distacco di vari frammenti dal corpo.

 

Mosse un passo.

L’enorme zampa anteriore si sollevò dal suolo, portando con sé terra e lamiere. Quando tornò a terra, tutto tremò per svariati secondi.

Si stava muovendo. Lento e implacabile ma si stava muovendo.

 

E, in mezzo a quel delirio, Steel non la smetteva un solo istante di ridere.

 

Copper decise che ne aveva abbastanza.

 

    Spiegò le ali e si focalizzò sull’unica cosa che le importasse veramente in quel momento.

La tuta era quasi al limite e si sarebbe presto esaurita.

Non le importava.

Produsse un portentoso getto di vapore dai fianchi, permettendole di schizzare nel cielo come un missile, in direzione della possibile locazione di Dust.

“COPPEEER!!!”, la richiamò il fratello, vedendola allontanarsi a velocità incredibile.

 

L’inventrice non aveva mai spinto l’armatura fino a quei livelli.

Non solo dovette sopportare un’impressionante forza G, per via dell’accelerazione priva del benché minimo riguardo, ma si stava sostanzialmente gettando in mezzo ad una pioggia di detriti; il più piccolo misurava come minimo quanto un quarto di casa.

Non aveva importanza.

 

Non era stata all’altezza.

 

Non era riuscita a vegliare su di lui.

 

Aveva perso il controllo, lasciando che la cosa più importante che mai avesse avuto al mondo si isolasse da lei.


Ed ora…

 

Dust si trovava in mezzo a quell’inferno. O almeno sperava che fosse ancora vivo.

 

La paura iniziò ad attanagliarla dall’interno.

 

I frammenti di edifici cadevano.

 

L’Inanimus avanzava lento sullo sfondo, come una colossale macchina d’assedio.

 

Le fregate iniziarono a puntare i cannoni da guerra contro di lui.

 

Come poteva… come poteva farcela??


Come avrebbe potuto?? Una singola puledra!

Armata solamente di una corazza infusa dell’Essenza di una creatura sconosciuta!

Era al limite…

Non avrebbe potuto…

Non avrebbe retto…

Sia fisicamente che mentalmente…

 

Ma Dust era là, in mezzo all’inferno in terra.

 

Così…

 

…avvenne.


    Le Essenze allineate entrarono in perfetta simbiosi, come mai le era successo prima.

Copper Head si era sempre limitata ad utilizzare l’esoscheletro per ottenere qualcosa di concreto, fino a quel momento.

 

Per difendersi.

 

Per attaccare.

 

Per offrire un supporto a se stessa o per altri.

 

Ma mai…

 

Mai si era trovata a mettere a repentaglio la propria vita pur di salvare qualcuno.

E così… l’Essenza dell’Inanimus, racchiusa nella corazza, interpretò il suo desiderio…

 

Non avrebbe più dovuto invaderla con sostanze neurochimiche.

Non avrebbe dovuto potenziarla per il combattimento.

 

Non necessitava nulla di tutto quello.

 

L’unica cosa che voleva Copper… era salvare il suo amico.

 

Una fiamma per una fiamma.


Fu così che si accese un fuoco, nel cuore del perfetto connubio di macchina e carne.


Essere vivente e non.

 

Due Essenze diverse. Eppure così affini.


    Le lamiere esterne dell’armatura si serrarono, unitamente ai dispositivi di sblocco.

Una rinnovata fonte di energia, alimentata dal desiderio dell’unicorno di salvare qualcuno che amava, esplose nel suo corpo ormai allo stremo.

Anche l’acqua di sistema era evaporata quasi del tutto.

La corazza iniziò a surriscaldarsi e Copper percepì il metallo divenire sempre più bruciante.

 

L’aura attorno a lei sprigionò una quantità di energia così grande da confondersi con la radiosità del sole.

 

Tutti, a terra, videro una colonna di luce perdersi nella pioggia di oggetti che l’Inanimus stava generando durante il proprio passaggio.

 

Copper non stava più ragionando; era mossa dal semplice desiderio di trovare Dust… e portarlo fuori di lì.

 

Iniziò a leggere l’essenza degli oggetti in caduta libera, potendo così stabilire come e dove sarebbero precipitati. Spinse il flusso di vapore al massimo ed iniziò a planare da un detrito all’alto, correndo lungo cartelloni pubblicitari volanti, enormi tubi e intere sezioni di parete divelte.

 

La scia di luce che lasciava dietro di sé era impressionante, così come le manovre impossibili che stava compiendo pur di ritrovare il compagno.

 

Sullo sfondo, intanto, l’Inanimus continuava nella sua lenta marcia verso la parte ancora sana di Mechanus.

Le navi volanti aprirono il fuoco, generando una selva di dardi fiammeggianti che si infransero contro il suo corpo, producendo un danno pressoché irrilevante.

 

L’intera zona sembrava essere finita in mezzo ad una apocalisse delirante, con un cielo farcito di esplosioni, fiamme e metallo.

 

Per poter raggiungere repentinamente l’amico, Copper si ritrovò a dover galoppare e planare tra i frammenti sottostanti il ventre del costrutto.

Ad ogni passo, pezzi di edifici e fiotti di lava colavano letteralmente dalla mole del pony meccanico, costringendo Copper ad una serie di manovre al limite del possibile.

Sospinta da una nuova energia e agevolata al cento per cento dalle Essenze fuse nell’esoscheletro, raggiunse la zona in cui si sarebbe dovuto trovare Dust.

Prima di potersi avvicinare, venne intercettata dalla parete di una fabbrica. L’incantatrice invocò potere al corno e metri e metri di metallo della struttura divennero incandescenti. La materia si fuse e la puledra vi passò attraverso, creando uno spettacolare spruzzo di rovente metallo liquido.

 

Stabilizzò le ali e impostò un’attenta planata parallela al terreno.

Cercò di individuare qualsiasi forma d’Essenza che potesse scorgere al suolo.

Lo vide.

 

Dust, a centinaia di metri di distanza, era rimasto imprigionato in una ragnatela di palazzi distrutti. Si stava freneticamente spostando da una parte all’altra, nel tentativo di trovare uno spiraglio e, al tempo stesso, evitare ciò che gli stava piovendo dal cielo (e che lo avrebbe sicuramente ucciso in caso di impatto).

 

Il volto di Copper si illuminò di un sorriso raggiante.

“DUUUUST!!!”, strillò, con tutto il fiato che aveva in gola. L’esoscheletro, intanto, aveva raggiunto temperature al limite dell’ustione.

Silver, a terra, era completamente terrorizzato.

Non udì la voce dell’amica ma la sua luce si palesò come un raggio di sole attraverso le nubi.

Alzò lo sguardo.

“COPPEEER!!!”, rispose, improvvisamente euforico. Un intero ammasso di tubature gli crollò a pochi metri, costringendolo a gettarsi a terra.

La compagna ebbe un tuffo al cuore e tanto bastò a distrarla: il container di un’industria le piombò letteralmente addosso, con un impatto mortale.

Silver riportò l’attenzione sopra di sé e non poté far altro che urlare a squarciagola il nome dell’amica, temendo per il peggio.

 

Ci fu una sfiammata di energia, che dal container giunse al terreno come una stella cadente.

 

Copper atterrò violentemente sulle zampe, emettendo un’aura degna di un astro del cielo. Era finita a pochi metri da Dust, che dovette aggrapparsi ad un tondino piantato nel terreno, per non essere spazzato via dal suo arrivo.

 

“DUST!!”, ripeté, mentre altri frammenti giungevano dal cielo, in procinto di schiacciarli entro pochi secondi.

L’altro ebbe appena la forza di tuffarsi verso di lei.

Per tutta risposta, Copper lo afferrò saldamente con le zampe anteriori e altrettanto fece l’amico, ventre contro ventre.

L’unicorno lilla cacciò un urlo, quando percepì il metallo rovente dell’esoscheletro sulla pelle.

Non appena Copper fu sicura di averlo stretto a sé, un secondo prima che una valanga di macerie li seppellisse, attivò gli ugelli a piena potenza, in una traiettoria verticale spezza collo.

 

I due si ritrovarono a volare contro gli ostacoli in caduta libera.

Copper fece appello a tutto il proprio istinto e capacità, riuscendo non solo a schivare ogni singolo frammento, ma anche a circumnavigare il corpo dell’Inanimus e a portare entrambi in una zona isolata, nell’azzurro del cielo.

 

Il tutto avvenne in pochissimi attimi, toccando velocità che misero a dura prova la coppia di unicorni.

I due continuarono a cabrare verticalmente, in una manovra mai vista o tentata prima da pegasi o aviatori. Dovettero quasi chiudere gli occhi, per non subire l’effetto tagliente dell’aria sui musi.
Durante la manovra, Dust gettò un’occhiata alle proprie spalle. Vide il terreno roteare, in quanto Copper stava guadagnando quota in avvitamento, lasciando dietro di sé un’impressionante colonna di fumo bianco, attorcigliata su se stessa.

L’Inanimus si stava facendo sempre più lontano ma era così massiccio da far da padrone all’intera scena. Dardi incandescenti saettavano dalle fregate, viaggiando verso di lui e infrangendosi in sonore esplosioni.

La marcia del costrutto, tuttavia, non ne risentì minimamente. Ad ogni scoppio, altre sezioni di città si allontanavano dal suo corpo, schiantandosi con violenza al suolo.

 

Gli ugelli dell’armatura di Copper cessarono improvvisamente di emettere vapore.

La riserva di acqua si era esaurita definitivamente.

L’unicorno dai crini ramati, con ancora una discreta quantità di adrenalina in corpo, sembrò non accorgersi della temperatura che l’esoscheletro aveva raggiunto, finché non vide Dust lamentarsi dal dolore.

Preoccupata per le sorti del compagno, cercò prontamente una zona verso cui atterrare: non avrebbe di certo potuto mollare la presa su di lui. Meglio qualche ustione che non la caduta libera verso terra.

 

“RESISTI!”, gli disse, cercando di non perdere la calma.

 

Dopo qualche secondo, in cui la loro traiettoria parabolica raggiunse l’apice della curva, Copper individuò una grossa fontana in una piazza urbana.

Ripiegò le ali sui fianchi, assumendo una postura simile alla punta di una freccia, e prese a precipitare veloce come un fulmine.

 

“RESISTI!!”, ribadì, non sapendo più quanto avrebbe dovuto stringerlo a sé per non farlo scivolare e quanto gli avrebbe invece causato del male.

 

Visti da terra, sembrarono davvero una cometa in procinto di schiantarsi contro la città.

E fu quanto che avvenne.

 

Un istante prima dell’impatto, Copper afferrò saldamente il busto dell’amico e, con una piroetta a mezz’aria, puntò la schiena verso il punto d’arrivo, cercando di proteggerlo. Lei poteva sempre contare sulla propria armatura. Lui no.

 

La fontana esplose sonoramente, sollevando enormi spruzzi d’acqua e di terra.

Gli unicorni continuarono a proseguire nella traiettoria, scavando un solco di svariati metri sul terreno e schiantandosi infine contro una casa.

Zamak vide tutto e percepì le zampe tremare dalla paura.

Corse verso di loro, incurante delle ferite, urlando a squarciagola il nome della sorella.

I Divites, completamente spiazzati dalla situazione in cui si erano venuti a trovare, non badarono più agli ordini che gli erano stati impartiti. Era tutto troppo assurdo. Tutto troppo pericoloso.

La paga non valeva tanto.

Alcuni lo seguirono, senza però alcun intento malevolo.

 

Kirksite scivolò tra le stradine, verso il punto d’impatto, raggiungendolo dopo eterni minuti di corsa.

Li trovò riversi tra alcune macerie.

 

    Copper stringeva gli occhi e aveva le zampe serrate attorno all’amico.

Era atterrata di schiena; Silver era accasciato su di lei.

La corazza era ricoperta dall’acqua della fontana, ora ridotta ad un cratere zampillante, e fumava copiosamente per via della temperatura raggiunta.

Sia lei che Dust sembravano privi di sensi.

Poi, poco per volta, Copper iniziò ad aprire timidamente un occhio.

Spalancò le palpebre.

“DUST!!”, urlò, rimettendosi in piedi, emergendo da chili di terra e detriti.

L’esoscheletro non emetteva più alcuna luce ed era visibilmente ammaccato e danneggiato. Di fatto, le stava più che altro impedendo i movimenti.

La puledra osservò il corpo esanime del compagno. Lo girò su un fianco ed iniziò a strattonarlo, urlando più volte il suo nome.

Zamak e i soldati giunsero immediatamente.

“COPPER!! COPPER STAI BENE??”, le domandò lo stallone.

 

Attorno a loro, un inquietante silenzio stava facendo da padrone alla scena. Era possibile udire i rimbombi lontani dei passi dell’Inanimus e delle continue esplosioni delle armi da fuoco dalle fregate.
A parte quello, tutto taceva.

 

Dopo pochi secondi, Dust parve rinvenire.

Si destò di soprassalto, come se fosse appena emerso da un’apnea.

L’amica, per l’emozione, si coprì il muso con le zampe, quindi si fiondò su di lui e lo abbracciò al collo.

“A-ah…”, mugugnò l’altro, ancora dolorante, cercando di allontanarla con delicatezza.

“S-scusa!”, balbettò Copper, tirandosi indietro con volto preoccupato.

“No… tran… tranquilla…”, farfugliò sorridendo, rimanendo però sdraiato. “È che… mi sa che ho qualche osso incrinato…”.

“ODDIO!! ODDIO MI DISPIACE!!”, cercò di scusarsi, sinceramente afflitta. “Io… io ho cercato di fare il possibile!! Ho… ho cercato di vegliare su di te!”, gli spiegò con foga, percependo alcune lacrime solcarle le guance. “Sono… sono rimasta sui tetti ma… ma poi… ho perso il controllo e… e tu sei scomparso… e quindi…”.

“…Copper…”.

La puledra stava cadendo nel panico e gesticolava come una matta.

“…poi c’è stato quel frastuono e… e il terremoto! E quell’enorme affare si è assemblato dal nulla! Non sapevo dove fossi! Mi sono fiondata a cercarti, ho fatto tutto il possibile per…”.

Silver aveva iniziato a muovere i muscoli. Zamak era intervenuto prontamente per aiutarlo a rialzarsi. Anche se ferito, rimaneva pur sempre uno stallone grosso quanto un armadio.

“Forse… forse le ossa sono a posto…”, commentò, fornendo però chiare manifestazioni di dolore. “Ma mi sa… che domani sentirò male dappertutto…”.

“Mi… mi dispiace, Dust…”.

Silver le sorrise dolcemente.

“…per cosa? Sei venuta a salvarmi come una stella dal cielo. Di questo dovresti dispiacerti?”. “L’armatura era rovente…”.

“Beh mi sono bruciacchiato un po’… E ammetto che mi hai fatto prendere un colpo quando ti sei tuffata in picchiata verso i palazzi…”.

“Copper”, intervenne Zamak. “Tu stai bene?”.

La puledra si rese conto solo in quel momento dello stato in cui era ridotta.

 

La corazza era quasi a brandelli.

Il cuore era spento.

Gli ingranaggi completamente fermi.

La spossatezza le cadde addosso come un’incudine, costringendola improvvisamente a tremare e accasciarsi su uno zoccolo.

“COPPER!”, urlò il fratello.

“Non… non è niente…”, precisò. “È normale… è quello che succede quando calco un po’ troppo lo zoccolo…”.

 

Una roca voce famigliare provenne alle loro spalle.

Steel Hammer camminava zoppicante verso la zona d’impatto, con volto stranamente inespressivo.

“Bravi…”, commentò, fissandoli intensamente.

Dietro di lui, dalle lontane vie cittadine, piccole folle di evacuati stavano lentamente emergendo allo scoperto.

Ora che l’Inanimus si era allontanato, la curiosità aveva preso il sopravvento, inducendoli ad avvicinarsi cautamente al luogo del disastro.

Gli abitanti di Mechanus, agghindati con i soliti vestiti retrò, gli occhiali e i copricapo sgargianti, continuavano ad osservare basiti lo spettacolo di distruzione, nonché l’Inanimus che marciava lentamente sullo sfondo.

 

Il cielo e l’aria erano saturi di pulviscolo in fiamme.

Odore di terra, polvere e cenere saturavano l’intera zona.

 

“Soprattutto te, Silver Dust”, riprese Hammer, quando fu accanto al trio.

“Ehy”, sbottò Zamak. “Avvicinati ancora di un passo… Mi rimane forza sufficiente da spezzarti anche l’altra zampa…”.

“Mhf… Cosa vuoi che faccia?”, domandò retoricamente la sorella. “Senza un esercito o una carica legale è poco più di un vecchietto menomato…”.

Hammer non si scompose.

Dust osservò tristemente i presenti, quindi rivolse l’attenzione all’Inanimus.

“Sei soddisfatto?”, gli chiese il generale. “Sei contento di tutto questo?”.

Il pony lilla non rispose. Aggrappato al fianco di Zamak, non riusciva a smettere di osservare l’apocalisse che aveva scatenato.

“Io…”.

“Eri stato messo in guardia”, continuò. “Tutti hanno cercato di avvertirti”. Poco per volta, gli abitanti iniziarono a raggiungerli. Tra loro c’erano anche Novarius, di nuovo con gli occhialini, e il burbero Smoky Coal. “Eri stato messo in guardia. Invece hai voluto fare di testa tua. Per cosa, poi? Per un mucchio di ingranaggi e metallo?”.

Dust osservò il professore, da cui non trapelava alcun tipo di emozione apparente.

“Loro…”, buttò lì, cercando di spiegarsi. “Loro non sono solamente ingranaggi e metallo! Io li ho visti! Ho comunicato con loro!”.

Steel si allontanò, salendo faticosamente su un mucchio di macerie, con l’Inanimus bersagliato dalle navi sullo sfondo, intento a marciare verso la parte ancora intera di Mechanus.

“Certo”, rispose ironicamente, sollevando la zampa al cielo. “E questo è il risultato. Dico… ma sei cieco o ci vedi??”. L’unicorno dai crini scuri cadde preda di un profondo senso di delusione e rammarico. “Guarda. GUARDA! Interi quartieri distrutti! Un mostro di ferro che ora sta marciando implacabile, distruggendo tutto ciò che incontra sul suo cammino!”.

Voci e brusii si levarono ovunque.

“IO HO SOLO CERCATO DI AIUTARE LA CITTA’!!”, si sgolò.

“Ci hai proprio aiutati, sì! Ci hai aiutati a crollare definitivamente!”.

Smoky emerse dalla folla come un leone, puntando una zampa verso l’ufficiale: “FAI POCO LA VOCE GROSSA, LURIDO GALOPPINO! Tu meno che tutti hai il diritto di fare la morale a questo puledro! Non hai mai fatto nulla per Mechanus che non fosse negli interessi della vostra casata! Questo forestiero ha capito in pochi giorni che c’era qualcosa che non andava e ha avuto il coraggio di provare a cambiare le cose!”.

“Cambiamento?? CAMBIAMENTO?! È questo il cambiamento che volevate?? Mechanus condannata a sparire per sempre??”.

“La vera condanna di Mechanus siete stati voi!! Questo giovane unicorno potrà anche aver sbagliato ma non ha fatto altro che accelerare l’inevitabile!”.

“S… sbagliato?”, sussurrò Dust a sé stesso, che ancora non riusciva a realizzare cosa avesse compiuto a Mechanus. Puntò lo sguardo verso Copper.

I due si osservarono a lungo e il compagno lesse nel suo sguardo una profonda vena di rassegnazione.

Lontano da loro, intanto, l’Inanimus aveva iniziato a salire lungo il fianco della sommità montuosa, per raggiungere la parte superiore della Metropoli.

“Quindi…”, esordì timidamente il puledro, rivolgendosi a Copper, “… è così che va a finire?”.

“Io…”.

“Un… disastro? Un completo disastro? Questo ho causato?”.

“Dust…”, cercò di spiegargli, sfiorandogli delicatamente una zampa.  “Sapevamo entrambi… che sarebbe potuta finire in mille modi. Ci… ci abbiamo provato…”.

Il matematico si spense, come la fiamma di una candela soffocata.

 

Chinò il muso.

Aveva fallito…

Cosa ancora peggiore… aveva condannato un’intera metropoli alla distruzione.

 

Non gli importava più cosa avrebbe pensato la Principessa.

Non gli importava come lo avrebbero punito.

 

Si sentiva semplicemente in colpa per tutto ciò che aveva messo in atto.

Pensò di essere un completo fallimento, su tutti i fronti.

E…

 

Aveva condannato chissà quante vite a patire le conseguenze delle sue azioni.

 

Steel riprese a parlare.

“Solleva quello sguardo”, gli intimò severamente. “Abbi almeno la decenza di guardare la devastazione che hai causato!”.


    In quel preciso istante, il rumore di un’esplosione investì tutti i pony nello spiazzo.

I corpi di tutti sussultarono dalla paura, compreso quello di Steel, che si voltò rapidamente per capire cosa fosse stato.

Non si trattò del rumore degli scoppi delle armi da fuoco o dei palazzi che crollavano a terra.

 

Fu un boato completamente diverso.

Ad alcune centinaia di metri dall’Inanimus, la sommità del vulcano era deflagrata in modo spettacolare, sollevando muri di terra e polvere in tutto il cielo.

 

“Ma… ma cosa…”, balbettò Hammer.

 

Un secondo scoppio fece tremare il suolo, che quel giorno non ne avrebbe potuto più di botte e scossoni.

 

Dal vulcano emerse una terrificante ondata di lapilli rossi, che si spansero lentamente nell’aria.

 

Dust fece un cenno di dissenso con il capo, incredulo.

 

Urla di terrore provennero dagli osservatori accanto.

 

Scosse di terremoto colpirono più volte la zona, accompagnate dal sordo ribollire del vulcano, che non la smetteva di riversare fumo nel cielo.

 

Lenti fiotti di lava cominciarono quindi a fuoriuscire dal cratere e da numerose bocche che si erano venute a creare lateralmente.
I fiumi di magma iniziarono a riversarsi in ogni direzione, sia dal lato disabitato del vulcano che in direzione della megalopoli.

 

Fu allora che il colosso di metallo smise di marciare, lasciando l’intera popolazione di Mechanus a bocche aperte.

 

Il mostro spalancò le zampe e si lanciò verso la pietra fusa, in un impatto terribile.

La lava si infranse contro la sua mole, facendo schizzare fuoco e spruzzi incandescenti in ogni direzione. I rumori di quanto stava accadendo giunsero ovattati, per via della lunga distanza che li separava dagli ascoltatori.

 

Nessuno riusciva a crederci.

 

L’Inanimus si era letteralmente gettato contro la lava, cercando di fare scudo con il proprio corpo.

 

Ulteriori muri di fumo, vapore e detriti si scatenarono violentemente, iniziando a saturare tutta la zona circostante.

Lo spiazzo in cui si trovava Dust venne lentamente invaso da un ulteriore caos tempestoso, formato da cenere e altro materiale che era stato proiettato verso di loro già dal momento dell’eruzione.

 

Zamak afferrò saldamente Copper e Dust e li protesse con la propria stazza imponente.

 

I cittadini caddero nel panico e fecero il possibile per non farsi travolgere.

 

Steel cadde a terra. Cercò di osservare il fenomeno ma gli fu praticamente impossibile, in mezzo a quella coltre impenetrabile.

 

Ci vollero interminabili minuti di attesa, prima che l’intera zona potesse tornare ad una situazione apparentemente tranquilla.


    Provenivano ancora gorgoglii lontani, quando la visibilità parve ripristinarsi.

Zamak era completamente ricoperto da pulviscolo e altrettanto era accaduto a pony, strade e strutture. Tutto era stato parzialmente sommerso da alcuni centimetri di sabbia e cenere.

L’unicorno bianco, ancora sbigottito, si sollevò lentamente, facendo cascare fiotti di materiale dal pelo.

Gli unicorni sotto di lui, a loro volta spaventati, si guardarono attorno increduli.

 

Tutti, abitanti e soldati, riemersero timidamente dai ripari.

Alcuni sbucarono letteralmente da una spessa coltre di calcinacci.

 

Sullo sfondo, ancora parzialmente invaso dalla foschia dell’esplosione, era visibile il lucente magma che scendeva dal vulcano. Il materiale rovente terminava in un informe ammasso di edifici, tubi e ingranaggi.

 

Quello era ciò che rimaneva dell’Inanimus, completamente distorto dal calore della lava.

Molte delle strutture di Mechanus, tuttavia, erano adibite al trasporto di tale materiale ed erano quindi molto resistenti al calore. Il corpo della macchina era cioè stato in grado di resistere meglio di quanto avrebbe potuto.

 

Nonostante il suo intervento, tuttavia, l’avanzata delle lava non poteva essere arrestata del tutto ma avrebbe comunque donato tempo a sufficienza per rallentarla. Con un po’ di fortuna, tutta la zona poteva essere evacuata e, magari, la roccia fusa si sarebbe rappresa prima di causare dei danni.

 

    Dust, incurante di ogni cosa, si mosse lentamente di fronte a sé, per osservare meglio il fenomeno.

Aveva la bocca spalancata in una smorfia di meraviglia.

Copper fece altrettanto.

 

Gli occhi del pony meccanico erano spenti e il suo cuore aveva cessato di pulsare.

 

“Non… non può essere…”, ammise Dust. “Che Celestia mi sia testimone…”.

 

“Ma…”, dichiarò timidamente Copper. “Ha… ha fatto quello che penso?”.

 

“Un’eruzione!! C’è stata un’eruzione del vulcano!!”, strillò qualcuno.

 

Urla confuse si mescolarono tra loro.

Nessuno ci stava capendo più niente.

Terremoti, città che si animavano, invasioni militari… ed ora persino un’eruzione.

 

Avvenne quindi un altro curioso fenomeno.

 

Fasci di luce azzurra iniziarono a filtrare tra i vicoli lontani, ancora intatti, facendosi sempre più vicini. Era come se una notevole fonte di luce si stesse lentamente avvicinando, spostandosi con pazienza tra budelli e stradine.

 

La coppia di pony non sapeva più cosa aspettarsi.

 

Quando la luce fu sufficientemente vicina, poterono finalmente capire chi o cosa fosse.

 

*** ***** ***

 

    Il fumo imperversava per i vicoli tra i palazzi.

 

La colata di lava avanzava con lentezza, creando baluginanti effetti di calore sopra di sé.

 

Edifici collassavano.

 

Motori e sistemi meccanici (travolti dal magma e dai danni causati dall’Inanimus) presero fuoco, gettando verso l’alto sinuose lingue di fumo nero.

 

Tubature sparse ovunque presero a riversare acqua e vapore.

 

Le navi da guerra si chetarono improvvisamente.


Tutto questo stava accadendo a Mechanus, per centinaia e centinaia di metri quadri.

 

E in mezzo a quella distruzione… una creatura millenaria fece la propria comparsa.


    Un Inanimus, in parte simile ai pony meccanici che Dust aveva avuto modo di conoscere, avanzò con estrema grazia e lentezza verso di lui, emergendo dalle strade semidistrutte.

 

L’abbagliante luce azzurra proveniva dal suo cuore.

 

Il costrutto era molto più alto e slanciato, rispetto ai suoi simili, con fattezze che ricordavano vagamente la figura di un alicorno.

La sua superficie era opaca e corrosa dalla ruggine. Sembrava anche molto fragile e diversi componenti risultavano mancanti o incompleti.

Gli ingranaggi, sotto il telaio, erano molto sottili e ricordavano i meccanismi di antichi orologi ormai datati.

 

La creatura camminava con passo leggiadro, del tutto differente da quello pesante degli Inanimus ordinari. La sua immagine rimandava ad una struttura leggiadra ed estremamente debole.

Il materiale di cui era composto era così rosicchiato dal tempo da poter avere centinaia, forse migliaia di anni.

 

Dust lo osservò in silenzio, completamente affascinato.

Copper stette al suo fianco.

Nessuno a parte loro osò avvicinarsi alla macchina semovente.

 

Ticchettii.

Tanti, stranissimi ticchettii giunsero alle orecchie del matematico dalla mente eidetica.

 

Gli occhi dell’Inanimus scintillavano come cristalli.

 

Entrambi riconobbero qualcosa di famigliare, in lui.

Per Copper fu lo strano tepore azzurro che proveniva dal suo petto.

Per Silver… fu quel curioso sistema di meccanismi, del tutto simili a quelli dell’Inanimus che aveva conosciuto nel laboratorio di Novarius.

 

    La figura slanciata del pony meccanico si fermò a circa un metro dalla coppia.

Zamak tentò istintivamente di avvicinarsi ma la sorella gli fece cenno di non muoversi.

 

Dust si avvicinò ancora di più potendo osservarlo in modo estremamente accurato, dal basso verso l’alto.


Nessuno dei due parlò.

Nessuno fece niente.

Pony e macchina stettero uno di fronte all’altro, in muto silenzio.

Si fissarono.

Nulla più.

 

“Eri… eri tu…”, bisbigliò quindi il puledro, avvertendo una strana morsa al petto.

 

Gli ingranaggi del costrutto iniziarono a rallentare.

La sua luce divenne baluginante e incostante.

Silver, preoccupato, fece qualche passo indietro.

 

Il cuore della creatura parve esplodere in un’onda di luce, sollevando una colonna di energia abbagliante verso il cielo, che deflagrò in una spettacolare bolla concentrica.

Tutti dovettero ripararsi gli occhi.

 

Piccoli fiocchi luminosi, simili a coriandoli luccicanti, iniziarono a discendere dolcemente dal cielo; unica fugace traccia dell’esalazione di potere appena avvenuta.

 

I cittadini, rapiti da tale meraviglia, sollevarono gli occhi verso l’alto. Alcuni protesero le zampe, per raccogliere i piccoli frammenti, che presero a svanire uno dopo l’altro.

 

Una dolce nevicata di effimera bellezza.

 

    Il puledro riportò lo sguardo all’Inanimus. Di lui non rimanevano che i resti.

Le giunture avevano ceduto e il corpo era collassato su se stesso, come un’armatura priva di sostegni.

 

Tutto parve tacere.


    Un flebile vento iniziò a lambire la zona, creando qualche fiotto sabbioso dalle macerie e facendo oscillare i crini dei pony.

Dust non si mosse e rimase a scrutare intensamente ciò che rimaneva della creatura.

 

Zamak, Novarius, Coal e persino Steel, assieme ad altri curiosi tra civili e soldati, si avvicinarono cautamente al pony lilla.

 

Fu l’unicorno bianco a rompere il silenzio.

 

“…cosa… cos’era?”.

L’altro non rispose.

“Un… Inanimus…”, buttò lì lo scienziato occhialuto.

“…sì. Un Inanimus”, rispose Dust, con volto imperscrutabile, senza nemmeno voltarsi. “Ma non un Inanimus qualunque”.

 

Il puledro raccolse delicatamente l’elmo tra le zampe e lo fece ruotare tra gli zoccoli.

 

“Cos’era, allora?”, domandò nuovamente Kirksite.

“Lui è… Cioè… io credo… che lui sia stato… il primo…”.

Copper gli sfiorò una spalla: “…in che senso… il primo?”.

“Io penso”, le spiegò, osservandola dritta negli occhi, “che lui fosse quello che, nei ricordi del cristallo, venne definito come… il Primogenito. Il primo. Il primo Inanimus mai creato”.

“Creato?”, intervenne Novarius. “Creato da chi?”.

Silver si girò appena, sorridendogli. Tornò quindi ad osservare la devastazione che aveva ridotto Mechanus ad un campo da battaglia.

“…credo che non lo sapremo mai, dottore…”.

 

Zamak ebbe una folgorazione.

“I civili!!”, sbottò. “Dobbiamo assicurarci che i civili siano al sicuro! La lava non è stata bloccata del tutto!”.

L’unicorno dagli occhi azzurri si voltò verso i presenti, sfoggiando un muso estremamente battagliero.

“Chiunque sia in grado di sollevare un attrezzo, con la magia o che altro, venga con me!! Dobbiamo andare a verificare che non ci siano feriti e che tutti possano fuggire in sicurezza!”.

Dopo qualche secondo di esitazione, alcuni pony si mossero verso di lui, comprendendo la gravità della situazione.

“Ehy… EHY!!”, intervenne Hammer, avvicinandosi all’ex-comandante. “Le ricordo che lei non ha più alcuna autorità, qui! Non mi costringa a…”.

Una zoccolata in pieno volto gli spaccò qualche dente e lo spedì dritto tra i cumuli di detriti. Zamak non ci era andato nemmeno troppo pesante.

“Oltre alla zampa, ora si metta in lista anche per una protesi dentaria, generale”, lo liquidò, ponendosi a capo della piccola formazione di volontari e conducendola tra le strade, con fare impeccabile.

Un vasto numero di pony, compresi alcuni militari, si unì all’operazione.

 

Dust e Copper, esausti, rimasero ad osservare l’Inanimus.

 

Coal si accese un mozzicone di sigaro, con la tipica aria da finto duro che lo accompagnava costantemente.

Sbuffò un po’ di fumo e si avvicinò all’amico, rimirando il devastante (e spettacolare) scenario che si stagliava all’orizzonte.

“Tutto questo è molto interessante, coso”, gli disse, continuando a guardare il paesaggio. “Ma ci sono molte faccende che non mi tornano”.

“Dust…”, aggiunse l’amica color creta, “ammetto che sono confusa anche io”.

 

Il puledro mantenne un’aria di apparente inespressività.

 

“Io… non posso dirlo con certezza”, suppose. “Ma… solo ora… solamente adesso… credo di aver compreso ogni singola cosa”.

“Davvero?”, domandò incuriosito Novarius, che risentiva dell’astinenza da budino.

“Io… io credo che queste macchine… abbiano compiuto un sacrificio nel vero senso del termine”.

“…sacrificio??”, blaterò Hammer, asciugandosi le labbra dal sangue, nell’impacciato tentativo di rimettersi in piedi. “Cosa vai dicendo? Ti sei forse dimenticato dei feriti e dei morti nelle miniere?? Nessuno ha mosso loro alcuna offesa! Sono stati loro ad attaccarci per primi! Vallo a spiegare alle loro famiglie!”.

“Davvero, generale?”, commentò, fulminandolo con lo sguardo. “Ci pensi bene… Anni ed anni di sfruttamento intensivo della zona. Non parlo solo dei minerali ma anche degli scavi che sono andati sempre più in profondità nel vulcano, estraendo le Pietre Ignee che lui stesso generava. Come qualsiasi risorsa naturale che si rispetti… siete sicuri di non averla condotta verso il collasso?”.

Novarius si schiacciò gli occhialini contro il muso: “Beh… c’è sempre stata la remota possibilità… cioè… che il vulcano potesse…”.

“BALLE!”, lo interruppe l’ufficiale.

Silver continuò a spiegare le sue ragioni: “E se gli Inanimus avessero capito fin da subito? Sono macchine. Forse ragionano secondo metodi probabilistici o statistici. Potrebbero aver compreso come le possibilità di un collasso fossero imminenti. Loro già si trovavano nel vulcano e necessitavano delle Pietre Ignee per poter vivere”.

“Quelle creature non sono vive!”, sbottò Hammer.

“Vive o morte non ha importanza. Con o senza anima, non importa. Hanno cercato di tenervi alla larga dalla vostra stessa distruzione, con l’unico metodo che conoscevano”.

“Attaccando i minatori…?”, suggerì amaramente Copper, che aveva assistito agli assalti in prima persona. “Cercando di… ucciderli?”.

“Pensateci un attimo”, continuò l’allievo della Principessa. “Sono costrutti mossi da una mente alveare. Per loro… importa salvare l’intera comunità. Sacrificarne una parte equivale a quello che per noi è amputare un ramo malato per salvare la pianta. Non credo abbiano mai avuto la concezione di vita individuale come la intendiamo noi… Hanno ragionato secondo la loro natura, cercando di allontanarvi il più possibile dalla distruzione dell’intera città. Pensate… pensate a cosa sarebbe successo se, ignari, foste stati colpiti dall’eruzione…”.

“Sono solo ipotesi, però…”, osservò Novarius.

“Non sono solo ipotesi. Guardate”, rafforzò, indicando gli edifici sradicati. “Guardate cos’hanno fatto! Interi sistemi di tubature immuni alla lava utilizzati come vene! Ingranaggi perfettamente incastrati tra loro come muscoli! Hanno preventivato tutto! L’hai detto tu stessa, Copper! Loro attaccavano in funzione di dove edificavate! Vi hanno così obbligati a creare inconsapevolmente una rete che gli avrebbe permesso tutto questo! L’unica cosa che gli serviva era inviare il giusto impulso dal cuore della città…”.

“È… è pazzesco…”, ammise l’inventrice. “Stai dicendo… che avevano previsto tutto?? Che ci hanno anche usati per costruire quel gigante??”.

“Cosa ti aspetti da un perfetto insieme di nessi causali? Perché credo che quello fosse il loro modo di ragionare. Hanno previsto che vi sareste annientati da soli. Hanno cercato di dirvelo ma non potevate comunicare! Eravate troppo diversi! Poi sono arrivato io e c’è stato il primo contatto. Hanno capito! Hanno intuito che sarei andato a fondo della faccenda! Sapevano di te e della tua armatura. Hanno previsto ogni singola cosa! Sapevano che ci avremmo provato e così ci hanno fornito il cristallo, nonché le Pietre Ignee per la tua corazza. Hanno persino previsto che i Divites avrebbero fatto sgombrare la zona per il nostro arrivo, minimizzando così i rischi per la popolazione, qualora avessimo risvegliato il loro colosso!”.

Steel non riuscì più a controbattere.

“E siete stati fortunati”, concluse Dust, rivolgendosi all’intera folla di presenti. “Siete stati immensamente fortunati! Queste creature si sono completamente sacrificate per voi, un attimo prima che il vulcano esplodesse! Ogni singolo istante della loro recente esistenza si è mossa SOLAMENTE per salvare voi! Sapevano dei rischi e li hanno corsi! Hanno preparato tutto questo per salvare migliaia, forse milioni di vite!”.

“Ma perché??”, domandò Copper. “Perché lo avrebbero fatto?? Sono macchine! Perché si sono… sacrificate per noi…?”.

Silver si chetò, assumendo un atteggiamento sofferente.

Guardò nuovamente l’elmo del Primogenito, ancora tra le sue zampe.

“…non lo so, Copper. Non so perché queste creature abbiano sacrificato… la loro fiamma vitale… per salvare le nostre. Non lo so…”.

Cadde un breve silenzio.

 

“Forse”, riprese pacatamente il puledro, “certe volte non c’è una spiegazione. Forse… è questo il vero significato del sacrificio. Non c’è un reale motivo per cui una fiamma bruci. Brucia perché è nella sua natura farlo”. Coal e Novarius lo ascoltarono pensierosi. “Queste creature… non hanno chiesto niente a nessuno. Non hanno chiesto di essere capite o comprese. Non hanno preteso favori o quant’altro. Hanno capito che eravate in pericolo… e vedendo che non riuscivano a dissuadervi attraverso i loro canoni… hanno agito di conseguenza”.

Smoky aggrottò la sopracciglia. Persino lui era rimasto sorpreso dalla possibile realtà dei fatti.

“L’unica cosa che so…”, sospirò Dust. “È che gli Inanimus hanno agito per salvarci tutti, fin dal primo giorno. E sono sicuro… che tante cose sbagliate verranno dette verso di loro. Dal fatto che fossero degli assassini, fino a presunte implicazioni di sabotaggio da parte mia. Ma la verità… è che la loro fiamma è bruciata per un unico scopo soltanto. Quello di salvarvi…”.

 

Tornò il silenzio.

 

“E… e ora?”, chiese titubante Copper, sollevando il muso verso il compagno. “Cosa… cosa ne è stato di loro?”.

“Si sono… spenti? Svaniti. Morti, forse? Non saprei dirlo…”.

“Tutti quanti?”.

“Forse. Se è vero che erano mossi da una coscienza collettiva… Beh, credo che tutto si sia concentrato in quell’enorme costrutto. Con la sua distruzione… penso che l’intera… anima che lo muoveva sia svanita per sempre. E con lei, tutti gli Inanimus che guidava. È solo un’ipotesi…”.

 

L’unicorno dai crini ramati percepì un profondo senso di tristezza, sostituito quasi immediatamente da una consapevolezza terribile, che le fulminò improvvisamente i pensieri.


    Copper si allontanò dal gruppo, galoppando come una matta, senza dire niente a nessuno.

Il suo volto trasudava un’agghiacciante preoccupazione.

Dust lasciò l’elmo allo scienziato, che per poco non lo fece cadere, e si lanciò all’inseguimento della compagna.

“COPPEEER!!”, urlò. “DOVE STAI ANDANDO??”.

L’altra quasi non lo sentiva, assolutamente rapita dall’agitazione.

 

Cercò di spostarsi più rapidamente che poteva ma non era solamente stanca, aveva anche un’armatura che la ostacolava nei movimenti.

Così, senza interrompere la marcia, iniziò a staccare pezzi di esoscheletro dal corpo.

 

Dust vide la scia di frammenti.

Non poteva crederci.

 

Copper si stava liberando della sua adorata armatura, come se ora avesse qualcosa di più importante a cui pensare.

Sembrava non si sentisse più costretta dalla protezione in cui si era rintanata, da quando aveva costruito quella portentosa invenzione.

 

Quindi capì.

 

Si stava dirigendo verso il settore industriale.


Corse.


Corsero entrambi.

 

Affannosamente.

 

Dust era alle sue calcagna, non riuscendo però a raggiungerla.

 

Attraversarono gli edifici in macerie.

 

Si intrufolarono tra angusti spazi crollati.

 

Emersero in enormi piazzali, incorniciati dal cielo apocalittico sullo sfondo.

 

La preoccupazione dell’amica, ormai col fiatone e quasi completamente esausta, era palpabile.


…tu sarai il primo.
Sarai la mia creatura.
La mia Essenza scorre in te.


Copper, scivolò su alcuni calcinacci, sbucciandosi dolorosamente le ginocchia, ormai prive di protezioni. Ignorò il dolore; si rimise sulla zampe e continuò a galoppare.


Non so cosa accadrà.
Ma tu vivrai per me.


Percorse ponti crollati, sempre con Silver Dust al seguito.

Balzò da un plinto crollato all’altro, rischiando per poco di cadere nel vuoto.


In questo luogo di eterna segregazione…
…continuamente coinvolto nell’arte creativa…
…tu sarai invece il mio alito vitale.


Raggiunse l’infinito ripetersi degli stabili industriali.

La zona era stata toccata marginalmente dal disastro ma alcuni pezzi di edificio e lapilli di lava erano comunque giunti fino a quel punto, causando il crollo di alcuni stabili.


Sai, Sirrush?
È vero.

Io non ne avrei alcun diritto.

Non spetterebbe a me, tale compito.


La coppia avanzò freneticamente in direzione del laboratorio dell’inventrice.


Ma… pur essendo un essere millenario…
Rimango comunque una creatura fallibile.
Una creatura pervasa da emozioni e necessità.


Copper rabbrividì quando vide la facciata del proprio edificio, quasi completamente crollata. Una sezione di tubatura l’aveva colpito in pieno.
Senza perdersi d’animo, si gettò in mezzo alle macerie.

Dust la richiamò, inutilmente, e continuò a seguirla.


Forse non lo sai.

Ma in ogni cosa che ho creato…

Ci ho messo una parte di me.


La puledra si districò affannosamente in mezzo alle lamiere.

Sbucò nella stanza dove assemblava le invenzioni, irriconoscibile a causa dei danni.

Inquadrò le scalinate e le percorse, inciampando più volte.


E quindi…

Una parte di me scorre in tutte le cose.

Tutto si ricollegherà.

Tutto è comunque parte di un unico insieme.

Ne sono sicuro.

Ecco perché non temo per lui.


Raggiunse la stanza blindata. I meccanismi erano disattivati, probabilmente in avaria a causa dei crolli. Parte del soffitto era divelto, piegando una sezione di porta e creando un fortuito foro da cui passare. Si chinò e cercò di giungere dall’altra parte.

 


Il Nuovo Mondo sta per nascere.
E tu nascerai con esso.


Dust vide l’amica scomparire nell’apertura. Era troppo piccola affinché lui, di corporatura maschile, riuscisse a passarci agilmente. Fece quindi appello a tutte le sue energie ed evocò un incantesimo di levitazione, cercando di ingrandire il varco. Dopo aver fatto scricchiolare la porta sul pavimento semidistrutto, riuscì finalmente a passare.


…sarai il piccolo sassolino che si infila in un meccanismo perfetto…
…chissà cosa sarai in grado di fare…


Evocò un lumino sulla fronte.

Copper era vicino a lui.

In lacrime.

Teneva le zampe sul muso ed osservava una figura di fronte a sé.


…chissà… quanta luce potrà portare in questo mondo…


La puledra si gettò al collo dell’amico meccanico.

Il suo volto metallico sorrideva.

Il suo cuore pulsava di calda luce arancione.

Un pianto liberatorio scaturì dai polmoni del pony color creta.


…la tua fiamma?


Dust si sentì invadere da una quantità ingestibile di emozioni.

Nessuno ci avrebbe mai creduto.

Persino la Principessa avrebbe stentato a credergli.

 

L’avvento di un’anomalia.

 

Di un’essenza imprevista.

 

Che senza alcuna preparazione si sarebbe affacciata nel Nuovo Mondo.


Dalla materia.



 

All’Anima.

   
 
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