CAPITOLO
DUE.
Annie
mi svuota.
Ogni
suo sorriso o carezza o semplicemente respiro mi ruba qualcosa. Unisce le mani
a conca e mi raccoglie come se fossi acqua di mare, come se fossi sabbia. Si
allontana e dalle sue dita vedo i brandelli di me che cadono a terra – e io che
mi chino a raccoglierli, tutte le volte.
Mi
accorgo solo ora che lei non c’è, solo adesso che ho tutto me stesso, di quanto
mi manchi quella sensazione. Lo stomaco così leggero da essere inesistente, un
cuore trasportato dalla marea e i polmoni sul punto di esplodere tanta aria c’è
dentro. Guardavo Annie e ogni preoccupazione se ne andava, perché lei era
l’unica e mi andava bene così. Erano brividi di piacere quando i suoi capelli
che mi sfioravano il collo e sorrisi quando ero io a passare le dita sulle sue
labbra secche dal sole e dal sale. Erano le sue mani nei miei capelli, le sue
mani nelle mie, le sue mani ovunque che mi cercavano per paura, tristezza,
angoscia – e anche felicità. Annie rideva quando c’ero io e il Distretto
credeva che fosse una sirena a farlo, ai confini del nostro mare.
Il
lettino mi avvolge in un abbraccio morbido ma non umano. È un calore che fa
sudare e piangere allo stesso tempo. L’immagine di Annie è accompagnata da una
canzone triste che ricorda i disegni delle barche nel mare di notte. Sono
debole e stanco e l’unica cosa che riesco a fare è piangere e pensarla.
Pensarla mentre si lascia baciare sulle guance e sulla fronte e sulle labbra,
mentre le accarezzo i capelli o sgranocchia un biscotto. La immagino che si
rigira nelle coperte o che guarda una conchiglia caduta dal tavolo, andata in
mille pezzi, e si rivede in quei cocci cadendo a terra anche lei. Piange,
Annie, quando qualcosa crolla. Si abbraccia come se volesse rimanere intatta,
per non perdersi, poi mi chiama – Finnick – è un sussurro.
Si
alza con me, piano, le gambe molli e storte come se avesse appena scoperto di
averle e non le sapesse usare. Si stringe alle mie spalle e si morsica il
labbro. Non parla più, non piange più.
E
io rimango lì, lascio che raccolga qualcosa da me per tapparsi i buchi, per
ricostruire il proprio guscio. Mi fermo e la guardo mentre sta appoggiata sul
mio petto e disegna cerchi sulle mie mani. Rimodello il mio cuore per annullare
gli spifferi rimasti dai pezzi che Annie mi toglie – e quando l’aria fredda
cerca di entrare mi basta alzare lo sguardo e specchiarmi nei suoi, di occhi.
Il sole ritorna ad accarezzare la superficie del mare e va di nuovo tutto bene.
Vivo
per farla splendere. Perché il riflesso delle stelle sull’acqua è più brillante
e prezioso.
Annie
mi ha lasciato il suo ricordo. Una scia di polvere di stelle che mi ha
marchiato il cuore.
La
stanza d’ospedale è un cubo bianco e il soffitto è diventato il mio migliore
amico.
Quando
non sono al Distretto o nel buio delle mie palpebre la luce al neon mi guarda,
aspettando che dica qualcosa. Ma fissare troppo a lungo la lampada mi fa
lacrimare gli occhi e sono costretto a chiuderli.
Un
urlo squarcia il ronzio dei pochi macchinari che ci sono, sento una linea
elettrica attraversarmi il corpo dalla testa ai piedi e balzo a sedere, nella
confusione di tutto il reparto: in fondo alla stanza, nell’angolo opposto al
mio, una ragazza si agita sul letto facendo volare le coperte e i vari fili e
tubi vicini a lei. I suoi capelli si agitano nel nulla raccolti in quella che
penso sia una treccia, la sua carnagione spicca nell’infinito bianco intorno a
lei.
«Serpenti!»
dice, la sua voce è familiare ma ovattata dal ronzio che ho nella mia testa,
«ci sono dei serpenti!» continua. Ritorno steso, scivolando sulle lenzuola
mentre il fantasma delle onde del mare accoglie i miei piedi, poi le mie gambe,
supera l’ombelico e mi costringe a trattenere il respiro per il freddo. Sono
nell’acqua, ora, con il sale che mi tiene a galla – il sole raggiunge il mio
viso e il resto del corpo. Quello nella mia testa non è rumore, ma il suono del
mare.
Vengo
trascinato lontano, sperando di raggiungere le rive del Distretto 4.
I
giorni passano ma il sole non arriva mai, in questa stanza.
Mi
danno una giacca di lana da mettere sulle spalle, una donna mi pettina i
capelli e mi sorride con fare dolce. Abbasso gli occhi, socchiudo le palpebre e
respiro piano, contando tutte le volte in cui i miei polmoni si riempiono.
Quando arrivi a dieci puoi andare. Mi dico,
ripetendo le parole del dottore. Alzo un dito ad ogni respiro e quando ho le
mani bene aperte mi metto in piedi.
Sento
una mano dietro la schiena e una sotto al gomito. Mi aiuta a sollevarmi anche
se sono perfettamente in grado di farlo – accompagnandomi fino alla mensa. Oggi mangio con gli altri, lo dicevano
come se fosse una conquista, qualcosa di cui andare fiero. Non ci sono vittorie
per me, che ho lasciato Annie in balia di Capitol
City.
Sento
un dolore al petto che mi fa piantare i piedi al pavimento, vorrei strapparmi la
camicia dell’ospedale e aprirmi il torace, afferrando quel poco che è rimasto
del mio cuore e donarlo ad Annie, in modo da farla resistere fino a quando
qualcuno andrà a prenderla.
Devono andare a prenderla. O almeno
prendere Peeta – se non è morto – e quando vedranno
lei la raccoglieranno da terra. Come ho fatto io che la raccoglievo dal
pavimento della sua stanza dopo la sua vittoria ai Giochi.
La
mano senza corpo dietro la mia schiena mi dà un colpetto, automaticamente
riprendo ad avanzare verso la mensa. Ma è Annie quella che ho in testa: Annie e
le sue paure, Annie e i suoi pianti, Annie e la sua disperazione mentre rimane
bloccata e trema senza accorgersene. Annie che ha bisogno di abbracci e
sussurri per essere calmata ma che ora non ha niente. Sarà ancora a terra,
appoggiata a quelle lenzuola senza profumo mentre dalla finestra vede le luci
brillare e le persone del Distretto ignare del dolore che Annie ha dentro.
Perché non è stata la testa del suo compagno di Distretto ad essere tagliata
via, ma la sua.
La ragazza pazza del Distretto 4.
«Puoi
sederti qui» mi indica la donna, ubbidisco perché so che se sto in piedi potrei
cadere a terra in un milione di pezzi.
Alzo
il volto e vedo Katniss con i capelli raccolti
all’indietro e il volto ancora più inespressivo del mio. Poi colgo la rabbia
nei suoi occhi e la confusione in quella linea sottile delle sue labbra. La
disperazione le ha scavato il viso e mette in risalto gli zigomi più di quanto
non lo fossero già. Il suo camice bianco racconta che è ancora in ospedale –
come me.
Siamo
due Vincitori che avrebbero preferito morire nell’Arena.
Ricordo
il pavimento bianco e poi un tappeto di serpenti che lo ricopre ma che solo lei
vede. Le urla erano le sue e se parlasse le risentirei. Le sono grato per stare
in silenzio.
Gale
si siede vicino a lei, posandole davanti un vassoio. Katniss
non reagisce e vorrebbe sparire piuttosto che essere ancora lì, ma prende il
cucchiaio e inizia a spezzettare la carne che si trova davanti. Si fa forza.
L’infermiera
mi serve allo stesso modo e il pezzo di carne mi guarda, lasciando decidere a
me il suo destino. Mi guarda come faceva la lampada sopra di me.
Non
ho la stessa forza di Katniss, non riesco nemmeno a
mangiare qualcosa per non morire. Chiudo gli occhi sentendo le lacrime che
vogliono uscire, mi premo le mani sulle palpebre e il mio respiro rimbomba nella mia testa. Devo essere forte?
No. Non devo niente a nessuno. Se faccio qualcosa è solo per Annie, ma qui – al
13 – è tutto inutile. Mangiare non l’aiuterà a stare meglio.
«Ciao
Finnick».
Voglio
tornare nel mondo dei sogni, rimanere sulla sabbia del Distretto con Annie che
dorme appoggiata sul mio petto. Voglio il suo respiro che mi sfiora la pelle e
le sue mani che stringono la mia maglia. Voglio tutto quello che non posso
avere.
«Ciao
Finnick».
E
questo posto fa schifo – perché lei non c’è. Annie è un fantasma che mi aspetta
sul lettino dell’ospedale per abbracciarmi e dirmi che un giorno ritornerà. Le
sue parole sono frasi che conosco, la raccolta di tutto quello che mi ha detto
da quando ci siamo conosciuti. Finnick, il mio nome è più bello quando lo dice lei – è meno
sporco di sangue e profumi di Capitol City. È il Finnick prima dei Giochi e dei segreti.
«Finnick».
Batto
le mani sul tavolo quando Gale mi chiama. La sua voce è tremenda e troppo alta
per il mio livello di sopportazione. Stringo i denti e sento le lacrime scavare
sulla mia pelle: non fanno altro da giorni. Bruciano le cellule che sfiorano e
ogni mio nervo trema per il dolore.
La
mia schiena si incurva mentre le vertebre gemono e grattano contro quelle
vicine. Sono un puzzle troppo debole per rimanere intatto a lungo e al primo
soffio mi spezzo. Tutti si affrettano a raccogliermi ma nessuno sa come
rimontarmi.
I
rumori mi confondono e mi tappo le orecchie rendendo tutto più ovattato, sento
il sangue che scorre e mi ricorda che sono ancora vivo. Che forse anche Annie
lo è – che magari c’è una possibilità.
Delle
mani mi afferrano facendomi alzare dalla sedia, non controllo i miei movimenti
ma sento la schiena rigida e il mio corpo sembra di plastica dura e incolore,
perché nessuno sembra vedere quanto sto male. Sono un cumulo di ossa disperate
che vuole gridare ma non riesce e allora piange per tutto: perché la missione
della sua vita non l’ha portata a termine, perché non ha raggiunto il lieto
fine, perché se stanno maltrattando Annie alla Capitale sarà per colpa sua.
La
mia schiena incontra il materasso e non so da quanto tempo sono steso sul
lettino. Spalanco le palpebre e oltre il velo di lacrime c’è il soffitto
familiare dell’ospedale.
«Non
è ancora pronto».
Non
lo sono.
«E
adesso che si fa?».
Si
riporta indietro Annie. Qui. Con me. In modo che possa abbracciarla e dirle che
va tutto bene, che finirà tutto presto e stavolta per sempre. Non ci sono
Giochi da giocare o Mietiture da sopportare.
Il
mare non scappa e aspetta solo noi.
NOTE D’AUTRICE
Una
settimana esatta, ed eccomi qui.
Questo
capitolo non avrà note lunghissime, perché non mi piace (soprattutto dopo che
ho scritto il capitolo dodici, eh…) – ma andiamo
avanti.
Di… “importante” c’è
da sapere che la scena dei serpenti è stata scritta dalla Collins, per chi non
ricordasse, Katniss dice che durante la sua
convalescenza ha avuto parecchi deliri ed allucinazioni e, una di queste è
stata – appunto – il vedere il pavimento dell’ospedale coperto di serpenti. Ho
voluto aggiungerlo semplicemente per tenere la storia ben ancorata alla trama
del libro.
Inoltre,
la prima parte della fan fiction – just leave me your stardust
to remember you by – conterà 11 capitoli e saranno aggiornati circa
quasi una volta a settimana (come questa volta). Ma essendo avanti a scrivere
sarete sempre informati uwu
Detto
questo, grazie per essere arrivati fino a qui e buona giornata ♥
radioactive,
Un gentile ed
onesto grazie a:
Tutto il gruppo di Ultraviolenceh (♥)
con cui parlo sempre volentierissimo ogni giorno e mi trovo bene – cosa
complicata di questi tempi.
Singolarmente,
ringrazio Deb
per essere stata la prima con cui ho trattato l’argomento “fan fiction” che poi
si è evoluta in B&B; LaGattaImbronciata perché «Finnick per te è come Peeta
per me» e perché ha coniato il mio termine preferito (disagimantica). Le ringrazio anche come Il Pavone e la Piantana –
per Colors, per avermi permesso di fare i banner a
tutte le storie che pubblicano in quella serie e per la concessione di Boats and Birds,
che considero (forse con un po’ troppa modestia) una sorta di piccola costola
di Colors. Una figlia illegittima ecco, magari anche
un tributo al vostro lavoro.
In tutti i casi,
qualsiasi cosa io faccia spero che teniate presente che è “giustificato” (che
brutto termine in questo contesto) dalla massima
stima che ho verso di voi.
Gabryweasley,
che è diventata
la nostra mascotte, ma ci fa sempre urlare ed esultare quando si fa sentire.
Solo buone cose (e attenta quando fai gli esercizi sulla palla!) ♥
E ultima ma non
meno importante, yingsu,
con cui ho passato – fino ad ora – tre anni stupendi, a cui auguro tutto il
bene del mondo magari insieme a me, eh e che non abbandonerò mai,
neanche se dovessi fare una rivoluzione per ribaltare la politica dell’Italia e
tu fossi la ragazza pazza del mio
Distretto. Lo so che hai una sorta di indigestione di Hunger
Games, ma non posso fare a meno di citarti per tutto
il bene che mi fai.
Ovviamente, un
saluto va anche a tutto il gruppo di A
Panda piace fare le bolle d’assenzio, che mi tengono occupata (anche quando
non devono), magari qualcuna di voi si metterà a seguire questa fic, chissà ♥
I pezzi di Mockingjay che trovate ogni tanto all’inizio dei capitoli
sono tratti dalla traduzione del libro da parte del blog fromabooklover.blogspot.