Serie TV > Doctor Who
Segui la storia  |       
Autore: SakiJune    10/07/2014    0 recensioni
Ada Markham vive a Londra e NON è una ragazza come tutte le altre: è una fangirl del Dottore, proveniente da un’altra dimensione. Per un capriccio di Clara, delusa e scontenta dopo la rigenerazione del Dottore, Ada giunge a bordo della TARDIS e gli equilibri stagnanti tra i membri dell’equipaggio subiranno un serio scossone.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Clara Oswin Oswald, Doctor - 12, Jenny, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Threesome
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'From Lungbarrow to Trafalgar Square'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

- Sembra proprio che tu abbia fallito, collega.
Il Guardiano Nero non sembrava deluso né tantomeno sorpreso dalla fuga del Dottore dalle grinfie del Mandarino.
Era costretto a cambiare i piani, prendendo in mano la situazione in prima persona, e non gli dispiaceva affatto. I Signori del Tempo sarebbero tornati ad infestare l’universo? D’accordo, lo accettava e rilanciava la sfida.
Che Gallifrey osasse risorgere, dunque!
Chei tornassero a spiare nell’Occhio, quegli sciocchi, e a fingersi qualcosa di diverso da Effimeri saccenti!
Avrebbe atteso un poco, e poi avrebbe sferrato il suo attacco… un attacco subdolo, i cui dettagli si sarebbero svelati al momento giusto.
Il suo era un sogno di potere, certo, sulle lunghe distanze. Ma il suo desiderio più o meno nascosto rimaneva annientare la forza vitale del Dottore nel modo più doloroso possibile. E se questi due obiettivi potevano essere raggiunti in un colpo solo, ecco, la sua soddisfazione sarebbe stata totale.

 

*


La TARDIS viaggiava a rilento, il Dottore lo percepiva, era come se si facesse trascinare dal Vortice anziché cavalcarlo. Quasi tutte le luci erano spente, il cilindro si alzava e abbassava con cautela inusuale. Era stremata dallo sforzo… ma fino a che punto? Tentò di scacciare la paura, ma come sempre essa non giungeva mai senza un riscontro ragionevole dalla realtà.
Accarezzò la console, chiedendole cosa potesse fare per lei, su quale pianeta potesse trovare sollievo e recuperare le forze.
E questo valeva anche per lui e Ada.

Più taceva, più lasciava che il silenzio trasudasse come acqua dalle pareti - frammenti di un viaggio nel deserto del Gobi, qualcosa come mille e seicento anni prima, quando il suo corpo era fragile ma la sua mente sgombra di paradossi temporali e di falsi ricordi sovrapposti in un caotico gioco di trasparenze - e più gli risultava difficile iniziare a dire alcunché.
Lei dormiva o fingeva di dormire, un’espressione sofferente sul viso.
Non era pronto per consolarla. Non era pronto per sapere cos’era accaduto davvero… lo sarebbe mai stato?
Impostò lo scanner per le funzioni mediche e controllò che il bambino stesse bene. Il sollievo fu incredibile e constatò con amarezza che, nella sua cappa di dolore e di incredulità, ci fosse ancora uno spiraglio per una simile sensazione.
- Un fiore di cardo resiste alla tempesta che strappa i petali di rosa.
Era il verso di una poesia? O quel pensiero, quell’immagine, era frutto della sua immaginazione? Non importava, era comunque bello, era comunque vero.
- Thistle… sarebbe un bel nome per una bambina.

Ada aveva atteso per tutto quel tempo che lui le parlasse, ma non trovò il coraggio di aprire gli occhi e fargli capire che era sveglia. Voleva rispondere a quelle parole così preziose, ma aveva ancora il timore che lui fosse orribilmente deluso. Una parte di lei si detestava per essere viva, eppure sotto quel pessimismo desiderava di avere ancora un significato per lui.
Tu, però, hai il permesso di conservare i miei ricordi. E di tirarmi per la giacca se mai dovrò dimenticare chi sono.
Era stato così, tra loro, un tempo. Prima di Gingko… prima dell’amore, c’era stata la complicità.
Trascorse le ore successive in un frenetico dormiveglia, sul lettino a scomparsa che il Dottore aveva aperto per lei. Si sentiva come in ospedale. Non afferrava perché non potesse andare nella sua stanza, e lui non aveva ritenuto opportuno spiegarglielo.

Quando la TARDIS affrontava uno sforzo notevole, il primo stratagemma che attuava per risparmiare energia era liberarsi delle proprie stanze in esubero. Se questo primo lancio di zavorra non bastava a riprendersi, continuava ad eliminarne finché non raggiungeva un equilibrio.
Il Dottore lo sapeva bene e aveva controllato quanto fosse andato perso. Tanto, tantissimo: tutti i magazzini, la cucina, la biblioteca, cinque stanze da letto come minimo. No, non poteva proprio rischiare che Ada si trovasse in camera mentre avveniva una cancellazione. Si sarebbe ritrovata all’improvviso nella stanza di controllo secondaria, senza preavviso, e non si sarebbe semplicemente spaventata… avrebbe capito. A dirla tutta, avrebbe compreso più di quanto lui stesso volesse ammettere.
Inserì il randomizzatore e in un primo momento non accadde nulla; se l’era immaginato e non gli dispiacque attendere. Si sarebbe adattato ai nuovi ritmi, non l’avrebbe strapazzata mai più, avrebbe recuperato il manuale di istruzioni e l’avrebbe seguito alla lettera, d’ora in poi avrebbe avuto per lei la massima cura… solo, doveva assicurargli che non l’avrebbe abbandonato. Non adesso, non ancora, mai.
E poi non aveva sentito la Campana del Chiostro. Se la situazione fosse stata così grave, avrebbe suonato, non era così?
Non era…


- Che cos’è?
- Assaggia.
Le prime parole fra loro dovevano necessariamente essere semplici, senza alludere al passato o al futuro. Erano atterrati su un pianeta di nome Freon. Il Dottore ci era stato, lo considerava sicuro, e se la TARDIS l’aveva scelto dopo tutto ciò che era accaduto…
- È una granita. Sa di cetrioli.
Tecnicamente sì, era una granita, anche se non arrivava dal chiosco di un luna park e il bicchiere era uno di quelli ripiegabili che le mamme portano in borsetta e il Dottore teneva tra le altre cianfrusaglie nelle sue capaci tasche.
- Non ti piacciono i cetrioli?
Parole semplici, che per il momento non avevano il peso e la consistenza di un’autentica comunicazione. Come se un interruttore si fosse spento. Come se un ponte fosse crollato e fossero costretti ad attraversare quel fiume a guado, a passi cauti, ognuno dalla propria riva, timorosi che un pesce carnivoro li azzannasse o una piovra gigante li trascinasse sul fondo.

Sì, questa volta anche il Dottore sembrava essersi dimenticato come stare a galla.
Spariva per ore, chiudendo a chiave la TARDIS dietro di sé. Restava il silenzio.

Per Dorium il silenzio era stato ancora più forte, per i primi giorni, perché lo stridio che aveva accompagnato la materializzazione del campo di forza era riuscito ad assordarlo quasi totalmente. Per fortuna quella perdita di udito si era rivelata temporanea. Per quanto fosse stato sincero nel rifiutare l’offerta del Giocattolaio, dover rinunciare ad un’altra parte di sé gli sarebbe risultato insopportabile.


Il giorno dopo la granita era stata ai mirtilli. Il Dottore adorava i mirtilli, almeno quanto un tempo era andato pazzo per le banane.
- Hanno davvero molti gusti. Dev’essere la specialità del pianeta.
- Esatto, c’è un vero e proprio culto del gelato.
Lei chiedeva sciocchezze per riempire quel silenzio, e lui mentiva inventando una città inesistente, con viali e giardini e portici e soprattutto gelaterie immense, bianche e linde. Gli abitanti avevano tre occhi e vivevano in palazzi di ghiaccio.
- Potrei uscire con te, domani. - azzardò lei. - Sto bene, adesso, e se la popolazione è così amichevole…
- Non siamo qui in vacanza, Ada. Sto cercando dei pezzi di ricambio e sì, per farlo sono costretto a mescolarmi ai locali, ma non siamo qui in viaggio di piacere.
- Da come mi racconti…
Lui scrollò le spalle con una smorfia. - Sai com’è, mi piace raccontare storie. Ma credimi, non mi diverto.
Non si divertiva, no, quella era l’unica verità che le aveva raccontato da quando erano atterrati. Vide le sue labbra tremare e si preparò ad un sano scoppio di pianto liberatorio, invece Ada si limitò a piagnucolarsi addosso.
- Mi odi. Mi odi e ti fa schifo pensare che poi tornerò ad essere quella che ero. Ti faccio già schifo adesso.
Il Dottore strinse i pugni, profondamente ferito, ma si rese conto che prendere sul serio quell’attacco di vittimismo sarebbe stato controproducente.
- Non voglio più sentirti parlare così, te lo proibisco - la minacciò, gli occhi severi e le narici dilatate come se stessero per emettere fumo.
- Non vuoi più sentirmi parlare.
- No, non adesso. Non se ti comporti da bambina. - Inspirò brevemente; era crudele parlare a quel modo, ma... - Non te lo puoi permettere, stai per diventare madre.
- Non vuoi sapere quello che è successo - protestò lei, come se non avesse sentito.
- Un giorno. So quanto basta. Siamo sopravvissuti. - Chiuse gli occhi, come se ciò che stava per pronunciare avesse una forma visibile e fosse terrorizzato all’idea di guardarlo. - Abbiamo perso Clara. Non c’è altro. Non ho bisogno di filosofie o sensi di colpa o paranoie, devi solo restare tranquilla, renderti conto che siamo in salvo… e che molto del merito è tuo.
- Ho fatto del male alla TARDIS, l’ho sforzata troppo. Sta male, la sento, non è normale…
Il Dottore si morse il labbro, sfuggendo il suo sguardo, e trovò impossibile mentire direttamente. Le voltò le spalle e si sforzò di parlare in un tono normale.
- Lei non te l’avrebbe lasciato fare se non fosse stata prima di tutto la sua volontà. Voleva salvarmi e ci è riuscita, ci siete riuscite, è questo che conta. Andrà tutto bene.
Tornò ad armeggiare intorno alla console e per quel giorno non ci furono più parole, né false né sincere.



- È sparito il guardaroba!
Le istruzioni erano di “non farla andare in giro”, ma era una battaglia persa in partenza quando la persona che dovresti sorvegliare è in grado di camminare e tu sei appeso al soffitto.
- Forse ha soltanto cambiato posto. Succede. Quando sono arrivato qui, c’erano degli scalini. Non deve agitarsi, però, il Dottore mi ha raccomandato di-
- No! Non c’è, non c’è! I suoi vestiti, c’erano i suoi vestiti…
Anche quando era arrivata lei c’erano quei maledetti scalini per raggiungere la console e poi erano spariti, ma si era trattato di una piccola modifica che tra l’altro aveva i suoi perché, prima o poi qualcuno si sarebbe fatto molto male ruzzolando durante gli atterraggi.
Ada intuiva quale fosse la verità, ma non l’avrebbe mai ammesso, perché il senso di colpa sarebbe stato troppo forte da sopportare. E se anche Dorium avesse capito cosa stava succedendo, la pietà che provava per lei gli avrebbe impedito di condividerla.
- Non è andato perso niente, sono sicuro che ci sia solo un po’ di confusione. Quando lui ritornerà…
Ma lei si era rituffata nell’ormai minuscolo labirinto della TARDIS, aprendo le porte che ancora si aprivano e battendo freneticamente su quelle che si erano trasformate in ciechi pannelli.
Finalmente la trovò. Era chiusa, ma il dispositivo di apertura sembrava attivo. Lo premette. La porta scivolò di lato, mostrando soltanto la parete nuda. Ada gridò, colpendo il metallo così forte da farsi sanguinare le nocche. Dimenticò i due gradini che aveva appena salito e inciampò. Batté la testa sul pavimento, perché entrambe le mani erano scese d’istinto a proteggersi il ventre.
La voce di Dorium echeggiava per i corridoi, chiamandola e maledicendo il Dottore che aveva affidato la sua donna ad una cosa inerme.
Ada si svuotò dalle lacrime, dal vomito, dagli ultimi spasimi di quell’ondata di dolore.
Quando tornò lucida, la sua prima impressione fu che il pavimento fosse diventato meno freddo. La TARDIS aveva pensato a lei.
Provò vergogna.
L’odore acre del vomito le fece rivoltare lo stomaco, ma si fece forza e si alzò in piedi.
- Signorina Markham! Mi risponda, per il Mainframe Papale! - Dorium continuava a sgolarsi.
- Sto bene, - dichiarò a voce alta, per quanto la gola le bruciasse. - Mi perdoni.
Lentamente, andò nella stanza da bagno - era molto più piccola ora, ma sembrava funzionare - e riempì la vasca. Si spogliò dai vestiti appiccicosi e li gettò in un angolo, poi si ricordò che avrebbe comunque dovuto lavarli, perché non poteva più cambiarsi. Lo specchio le restituì come sempre l’immagine di Honey, solo più stanca e con la sclera degli occhi venata di rosso.
Era il bambino a permetterle di conservare quell’aspetto, ricordò. Lui - o lei - aveva in sé il DNA di Clara, insieme al suo e a quello alieno del Dottore. Non era nei giardini della mente che poteva ritrovarla, né in un vecchio maglione… era nella loro creatura che Clara Oswald avrebbe continuato a vivere.
- Perdonami - sussurrò al piccolo. - Perdonami anche tu…

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Doctor Who / Vai alla pagina dell'autore: SakiJune