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Autore: Francine    11/07/2014    4 recensioni
Saori aspetta. Perché sa che oramai è questione di tempo. Oramai ci siamo. La Guerra Sacra di questo secolo è al culmine, e lei può solo attendere. Attendere che il suo fato si compia. Forse, una volta per tutte.
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cancer DeathMask, Gemini Saga, Saori Kido, Sasha, Virgo Shaka
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Quando piovono le stelle'
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Quando la Fanciulla è apparsa nei Campi Elisi, lui l’ha riconosciuta subito.
Lunghi, lunghissimi capelli del colore delle viole di campo. Occhi grandi, enormi, smarginati. Che assomigliavano a lucenti pezzi di vetro. E una coroncina di fiori al polso destro. Fiori piccoli, dai petali bianchissimi, come il chitone della ragazza.
Gli ha sorriso, un sorriso timido, ma fiducioso. E le sue gambe si sono piegate. Davanti a Lei. A lei, che lui ha riconosciuto con un singolo sguardo. A lei, che lui ha sempre amato. Con tutto se stesso, anima, corpo, cuore e cosmo. Fin dall’inizio. Fin dall’era mitologica. Quando il suo nome era un altro. Quando si chiamava Sisifo.
«Mia Signora…» Anissa. Alexandra. Glaucopis. Areia. Pallas. Parthenos. Tritogenia. Polias. Ergane. Promachos. Itonia. Atritonia.
«Ne è passato di tempo», e la sua voce assomigliava ad un suono melodioso. Un balsamo per l’anima. Un raggio di sole, uno vero. Non come la luce soffusa che accompagna le anime dei beati tra i prati e i ruscelli dell’Elisio.
Un sentimento nuovo gli ha riempito il cuore. Come quando si incontra una persona cara. Una persona amata. Lontana ma non perduta. Distante ma vicina.
«Mia Signora…»
Non credeva di poter sentire ancora il cuore spaccarsi in due dall’emozione. Dalla tenerezza. Non credeva che avrebbe potuto commuoversi ancora. Non da morto.
«Ho bisogno di te, Toxòtis. Ho bisogno delle tue ali», gli ha detto, e lui sapeva – lui ha sempre saputo – che era lì per questo. Perché anche lui se n’era accorto. Anche lui aveva percepito la sua presenza. Laggiù, lontano, nel buio dell’Inferno. Athena.
«Andiamo», le ha detto. Con la voce di Aiolos. Con la sicurezza di Sisifo. Le ali splendenti del Sagittario aperte dietro di sé.
 
 
La nebbia si va diradando.
Presto l’aurora tingerà di rosa i monti e i marmi del Partenone. E lui dovrà andarsene. Dovrà muoversi. Nascondersi. E proteggere la neonata. La Dea.
Aiolos sa che è impossibile. Aiolos sa che sta per rendere l’anima e che è solo per la sua testardaggine che respira ancora. Si tiene attaccato coi denti a quest’esistenza disgraziata. Perché non può permettersi di cedere. Non ancora. Non fino a quando non avrà messo la bambina al sicuro. Lontano dalle grinfie di Saga.

Come farlo è la questione, adesso che si riposa, che recupera il fiato all’ombra del marmo candido, la bambina stretta al petto. Dorme, avvolta nella sua copertina rosa. Le ciglia, lunghe e scure, proiettano un’ombra sulle guance candide. Il respiro è lento. Calmo. Sereno. Tutt’altra cosa rispetto al pianto disperato di poche ore prima. Quando il suo cosmo ha sentito il grido della Dea, in quei vagiti che rompevano il silenzio della notte. Non erano i capricci di una neonata o una richiesta, un bisogno materiale, no. Era l’accorato appello della Dea. Che chiamava in soccorso i suoi Santi. E lui ha risposto.
È stata Athena a guidare i suoi passi verso la città. Verso l’Acropoli. Verso il Partenone. Mandandogli come guida una civetta. Bianca come la neve. E seguendo il suo volo lui sapeva – lui ha sempre saputo – che quell’animale sacro lo stava conducendo dove Saga non avrebbe potuto raggiungerlo. Che il male che s’è annidato nel cuore del suo compagno e amico non avrebbe avuto modo di superare i confini del vecchio santuario della Dea.
Ma la sua vita sta scivolando via. Si sta perdendo nel vento, come sabbia tra le dita, granello dopo granello, respiro dopo respiro. E lui prega, con tutto se stesso, che Athena gli mandi qualcuno. Un amico. Un suo compagno, anche se Aiolos non nutre grosse speranze in loro. Sono troppo piccoli per opporsi a Saga. Per ragionare con la propria testa e comprendere che quel Sacerdote non è il Sommo Sion, ma un impostore. E se persino Shura ha alzato Excalibur contro di lui – rischiando di colpire la neonata! – ha ben poche speranze di trovare soccorso nei suoi compagni.
Anzi, forse è meglio che non arrivi nessuno dal Santuario. Perché lui non potrebbe fidarsi. E se fosse un bluff? E se una volta tornati al tempio Saga riuscisse a mettere le mani sulla bambina? No, sarebbe peggio. Affidare a loro la bambina sarebbe spedire entrambi a morte certa. Per questo Aiolos prega. Trattenendo l’anima, mentre la luce del sole fende le tenebre. Prega che Athena lo aiuti. Lo sostenga, fino all’ultimo. E che gli invii un uomo della provvidenza. La stessa di cui il pope di Rodrio ha parlato ad Aiolia, mandandolo in confusione. Ma la divinità, qualsiasi nome essa abbia, non agisce forse nel medesimo modo, per la stessa via?

Di questo Aiolos è certo. Con una fede incrollabile ed un amore immenso che avrebbe fatto invidia all’apostolo Paolo. Athena manderà qualcuno. E lo solleverà da quel dolore.
Non sente più le costole. Le braccia. Respirare brucia. Come fuoco liquido nei polmoni. Il fegato ed i reni sono collassati. La milza reggerà ancora per poco. E la vista inizia ad annebbiarsi. Tra poco arriveranno le allucinazioni. Uditive prima, visive poi. Per questo Aiolos stringe l’anima coi denti. Deve resistere. Poco. Ancora poco. Ancora poche ore. Una sola basterebbe. Poi avrà tutto il tempo per riposare. Tirare il fiato. E vegliare su di Athena.

 
 
 
Come sei bella, pensa.
La neonata che stringeva al petto s’è fatta grande. È quasi una donna, adesso. I capelli sono sempre lunghissimi, che pendono oltre il collo della Giara, le ciglia nerissime e l’incarnato di alabastro. Aiolos vorrebbe che aprisse gli occhi e lo guardasse. Lo riconoscesse. Anche solo per un momento. Ma non c’è tempo. Non c’è mai tempo, nemmeno da morti. È un'eterna corsa in velocità contro lo scorrere della clessidra, la loro. Per sconfiggere Ade, una volta per tutte. Per la gloria di Athena.
Aiolos si dice che è meglio così. Che è meglio che lei non lo guardi. Perché altrimenti le ginocchia gli cederebbero. Le gambe si farebbero di burro. Cadrebbe ai suoi piedi. E userebbe tutte le lacrime che non ha pianto. Per questo posa appena il piede e riparte. Il tempo necessario perché Sasha atterri senza traumi e gli abbandoni le mani.
La fanciulla fa appena a tempo a sorridergli che lui è già ripartito. Via. Lontano. Veloce come la luce di una cometa. Incontro all’Armatura del Sagittario.
Lei lo guarda sparire in un lampo, prima di avvicinarsi alla Giara. Gli ha già detto grazie. Aggrappata alle sue spalle. E lì, tra le sue braccia, respirando il suo profumo, Sasha ha ritrovato il suo Sagittario. Il suo Toxòtis. Stessi capelli castani. Stessi occhi verdi. Stesso cosmo lucente. Stesse ali spiegate. Stesso amore infinito per lei. Padre Isacco diceva che non c’è amore più grande di quello di chi dona la vita per i propri amici. Perché è l’amore il fulcro di tutta l’esistenza umana. Ed è per amore che lei ha combattuto con Aron e Tenma, tanti anni fa, al posto di questa ragazza. Questa ragazza che è sola ad affrontare il suo destino, che è sempre stata sola ad attendere la fine delle battaglie. E Sasha ha pietà di lei. Per questo ha chiesto al suo Toxòtis di portarla da lei. Per poter fare la propria parte, e poco importa se come dama di compagnia o angelo al capezzale. A Sasha non pesa. Quante volte ha vegliato Cardia durante quelle febbri che gli fiaccavano il corpo e gli incendiavano il sangue? E quando El Cid si ruppe entrambe le gambe, non rimase accanto a lui quasi giorno e notte? E persino Albafica dovette arrendersi a lei. Che non aveva paura di respirare l’aroma velenoso delle sue rose. Che non aveva paura di accettarli per quello che erano. Ragazzi. Ventenni o poco più. Fiori recisi da una mano invidiosa che lei aveva riunito attorno a sé. E raccolto in una ghirlanda di fiori da portare al polso.
 
 
Coraggio. Resisti. Ci siamo quasi.
Dev’essere impazzito. Ha sentito quelle parole, le ha percepite forti e chiare, come adesso percepisce il corpicino esile del fagottino che stringe al petto, ma non s’è accorto di averle sentite nella mente, e non con le orecchie. Pensa che sia arrivata la fine, e che lui vuole ancora qualche scampolo di vita. Ne ha bisogno. Un bisogno disperato. Non per sé, o per dire addio a qualcuno di caro. Ma per la bambina. Perché ancora non può arrendersi, non fino a quando lei non sarà al sicuro. Lontano.
Apre gli occhi. Oramai è mattino. I cancelli del Partenone saranno aperti da pochi minuti, ma per lui è troppo rischioso restare lì. Deve andarsene. Anche se non sa dove. Anche se non sa come.
Coraggio. Manca poco.
Ancora quella voce. Ma chi?
Sono qui. Accanto a te.
Possibile che sia stata la bambina? Aiolos sa che passerà ancora un mese o due prima che lei inizi ad articolare dei suoni – che col tempo si trasformeranno in timidi ed incerti borbottii e poi in parole, più o meno intellegibili – così come sa che lui non li ascolterà mai. Eppure quella che ha sentito è la voce di Athena. Lo sa. Lo sente. Con quella certezza capace di smuovere le montagne.
E la vede.
Lunghissimi capelli del colore delle violette.
Sguardo splendente.
Chitone candido.
Braccia bianchissime.
Ed un braccialetto al polso destro. Fiori bianchi intrecciati in una ghirlanda.
Athena…
Resisti. Una mano gli accarezza il volto, allontanando il dolore e la stanchezza. Assorbendolo, come fa una spugna con l’acqua del mare. Arriverà un uomo. Tra pochi minuti. Un barbaro dell’estremo oriente. Vestito di grigio. Con un marchingegno che emette luce. Avrà la barba, scura e folta come quella del Cronide. Tu non temere. È Xenios ad inviarlo sul tuo cammino. Affidagli la neonata. Affidagli Athena. Lui la proteggerà. Lui farà sì che ad entrambi non venga fatto alcun male.
E io?, vorrebbe dirle il Sagittario, in un impeto di adolescente terrore. Che ne sarà di me?, pensa Aiolos, in un angolo della sua mente. Che ne sarà di mio fratello? Ma basta che il suo sguardo – per quanto annebbiato, per quanto stanco, per quanto spento – incontri quello splendente della Fanciulla e i suoi timori sono spazzati via. Con la forza del fortunale e la delicatezza della brezza di mare.
Veglierò io su Aiolia. E accompagnerò i tuoi passi, dopo.
Ed è con questa certezza – con questa promessa – che Aiolos aspetta. Mentre le mani della Fanciulla leniscono il suo dolore. Mentre la neonata dorme. Mentre il suo destino sta per compiersi. Mentre un barbaro che viene da un paese lontanissimo si avvicina a lui. Passo dopo passo.
 


Sono tutti qui.
Sono uomini, adesso.
Il Sommo Sion gli aveva raccontato di com’era, ai suoi tempi, riunirsi assieme ai propri compagni. Aiolos riusciva a considerare tale solo Saga, perché tutti gli altri erano troppo piccoli per suscitare in lui quel sentimento di cameratismo che traspariva dai racconti del vecchio sacerdote. E Aiolos non comprendeva fino in fondo cosa significasse lo splendore accecante dell’oro amplificato dal candore purissimo del marmo della Sala del sacerdote. Non capiva, ma sapeva che l’avrebbe visto, un giorno. Quando gli altri sarebbero stati abbastanza grandi da poter indossare la propria corazza senza ballarvi dentro o senza sembrare delle scatolette di sardine. Quando sarebbero stati degli uomini. Quando sarebbero stati dei compagni.
Il marmo del Muro del Pianto non è paragonabile a quello del Santuario di Athena, ma ad Aiolos sono sempre piaciute le sfide. E il Sommo Sion lo sapeva. Non è per questo che si affidò a lui per placare le intemperanze dello Scorpione e vincere la riservatezza del giovane Acquario?
Qualcuno ci ha rimesso i capelli, ma vedere lo sguardo che si scambiano i due e quella stretta di mano fraterna, val bene un salto dal barbiere.
Così come vedere Aiolia, davanti a sé, nell’Armatura del Leone. È un uomo, adesso. Più robusto di lui. Più grande. Ed Aiolos deve trattenere un groppo in gola mentre gli parla, la voce arrochita dal tempo.
«Sono fiero di te.»
Una frase che fa scorrere le lacrime sul viso abbronzato del Leone. Ed abbracciarsi, stringersi al petto quel fratellino tanto amato, è questione di un respiro. Un attimo, uno solo. Prima della fine. Prima che questo muro crolli, una volta per tutte. Prima che questi ragazzini giungano da Athena.
Manca poco. Poi potrai riposare.
E Aiolos li vede. Accanto a loro. Come angeli custodi. Vede Sisifo mettergli una mano sulla spalla, la stessa armatura del Sagittario ricoprire le membra del se stesso precedente. Del Toxòtis di un’altra epoca. Quando Athena si faceva chiamare Sasha e lui, il Toxòtis, aveva superato in volo lo Ionio per andarla a recuperare in uno sperduto villaggio del Sud Italia. Quando l’aveva amata con tutta l’anima, come un uomo ama una donna. Quando lei l’aveva salvato da se stesso. Quando lui aveva giurato di proteggerla. Sempre. Comunque. Attraverso il tempo e lo spazio.
È il giuramento che abbiamo fatto tutti noi. Ecco perché ci siamo reincarnati in voi. Ecco perché adesso metteremo fine a questa storia. Insieme.
Sisifo gli ha parlato dritto nella mente, un sorriso sincero e risoluto a balenargli negli occhi e a piegargli le labbra. Perché è ora. È arrivato il momento di sconfiggere Ade. Una volta per tutte. Di far splendere un raggio di sole che fenda in due le tenebre. E raggiunga Athena.
«Sono gli uomini che compiono i miracoli, non gli dei», ripeteva il Sommo Sion a lui e a Saga. E sono degli uomini, adesso, che abbatteranno il Muro del pianto. E che si ritroveranno, nel sole di domani. Nel riso di un bambino. Nella pioggia. Nel vento. Nel mare. Negli occhi di questi Santi di Bronzo che corrono oltre i pesanti portoni, ché il loro potere non li sfiori e non li annichilisca. C’è molto altro da fare, ma non saranno loro a farlo. Saranno le nuove generazioni. Saranno coloro che verranno. Perché i ragazzi, questi ragazzi che stringono l’Armatura di Athena, sono gli eroi del futuro. Perché la vita, perché il futuro è adesso.
Ed appartiene a loro. Ed appartiene ad Athena. Che loro raggiungeranno. Sulla scia di una cometa. Che splenderà nell’ora più buia dell’umanità. E che raggiungerà la Dea. Per portarle un raggio di speranza.
Tutti insieme.
Tutti qui.
se nel sole di domani 
ci perdessimo così 
e se anche fossimo lontani 
noi saremo insieme sempre tutti qui

 
 

Note, Ringraziamenti e Spiegazioni:
Ed è con soddisfazione ed un poco di fatica che siamo giunti alla fine di questa cavalcata.
Dodici capitoli per dodici (più o meno) protagonisti all’interno della notte più lunga, della battaglia più dura, la battaglia finale, quella che ha lasciato sul terreno tutti – se non proprio tutti, quasi tutti – i nostri beniamini.
Non so voi, ma il sacrificio dei Santi d’oro al Muro del Pianto (che trovo sia un termine più evocativo di Muro del Lamento. Cos’è, le anime hanno mal di pancia?!) è stato – ed è tuttora – qualcosa che ha scavato una profondissima frattura tra me e Kurumada. Perché delle Facce di bronzo salverei solo Hyoga, ad essere smaccatamente sincera. Perché sono i Santi d’Oro quelli che più mi interessano e di cui mi interessa raccontare (mi sa che non s’era capito).
Lascio andare questa storia con un po’ di rimpianto, con quel sentimento che si prova quando finisce qualcosa di bello; e si vorrebbe che continuasse, per sempre, ma si sa – si sente – che è giusto così. Che è giusto che ognuno vada per la propria strada. E che se la storia che abbiamo vissuto è stata così bella lo si deve proprio al fatto che abbiamo sempre saputo che sarebbe finita. E ce la siamo goduta fino in fondo.
 
Prima di immergermi nelle note – che non ho inserito capitolo per capitolo, preferendo metterle tutte qui – vorrei spendere due parole nei ringraziamenti. Dovuti e doverosi.
A Sen, per prima. Che mi ha consigliato, spronato e sostenuto durante questa lunga cavalcata.
A Nocturnia, sempre ripresa per i capelli dal decesso per i troppi feels (cit.).
A JLJ, sempre presente e sempre entusiasta.
A Titania, prezioso aiuto per inquadrare al meglio Saga.
Ad Avalon9.
A Scarlett Rose.
E a tutti coloro che la mia mente arteriosclerotica adesso non rammenta.
A chi ha inserito questa storia tra le preferite/seguite/ricordate.
A chi ha commentato.
A chi ha letto.
A chi è piaciuta.
A chi non è piaciuta.
A tutti voi, va il mio grazie più sincero.
Grazie per essere arrivati fin qui. E alla prossima.
E mentre vi bevete il caffè che vi siete strameritati per essere giunti fino alla fine, spazio alle note vere e proprie. Per qualsiasi dubbio, chiarimento o curiosità, sapete dove trovarmi.
Buona lettura.
 
Tutti Qui, Claudio Baglioni, 2005.
 
Sasha è la reincarnazione di Athena durante la precedente Guerra Sacra. Il suo nome è il diminutivo di Alexandra (=protettrice degli uomini), uno degli appellativi di Athena. A differenza di Saori, Sasha è un involucro umano in cui si è reincarnata l’anima di Athena, che invece di manifestarsi ai piedi della sua stessa statua in un corpo divino, ha scelto di provare l’ebbrezza dell’essere mortale, seppure al cinquanta per cento. Se questo vi ricorda qualcosa, sappiate che siete nel giusto. Le sue avventure sono narrate in Lost Canvas, che credo molti di voi conosceranno a memoria; ma era giusto specificarlo.
 
Orphée è il Santo d’Argento della Costellazione della Lira. Seiya e Shun scoprono che si era rifugiato all’inferno quando la sua amata Euridice era morta a seguito del morso di un serpente proprio la mattina delle nozze (quando si dice la sfiga, insomma). Fancazzista imperituro, suona la lira per il Sommo Ade e per i suoi Tre Generali. Se dapprima non vuole saperne di combattere per Athena (e considerato che durante la battaglia del santuario e contro Posidone se n’è stato bellamente a farsi gli affari suoi, io non me ne stupisco affatto), cambia idea quando scopre che la causa delle loro disgrazie è Pharao di Sphinx, Spectre al servizio di Ade cui pandora ha ordinato di fermare la coppia ad un passo dall’uscita del regno dei morti. Sì, ho seguito il mito pari pari. Perché nel mito è Persefone a consentire ad Orfeo di tentare di tornare indietro con la sua amtissima Euridice. E sì, se Euridice è morsa proprio la mattina delle nozze ed Orphée fallisce l’impresa è per ubris. E perché se la sono andata a cercare questi due. Diciamolo.
 
Camus nel mio headcanon ha un nome umano e tutto sommato banale: si chiama Etienne. Maman non ha ancora un nome, mentre Rémy è suo padre, nonché Santo d’Argento della Costellazione di Boote, nonché copia spudorata di un personaggio dei comics americani. A voi scoprire di chi si tratta.
Il Triangolo di Primavera è una figura del Cielo primaverile che ha ai vertici le tre stelle Arturo (alpha Bootes), Spica (alpha Virginis) e Denebola (beta Leonis).
La filastrocca  è una celebre comptine, Ainsi font, di cui trovate il testo qui ed una versione cantata qui. Mi raccomando di girare le mani correttamente.
 
Death Mask è calabresissimo, della costa ionica, a sud di Crotone, e porta con sé la ferinità della sua terra e di quella spiaggia di sabbia nera di origine vulcanica. Il proverbio che cita ad Andrea, la cui storia sto raccontando qui, significa, letteralmente, Il contadino che non ammazza il maiale non può appendere le salsicce alle travi. Una versione più pragmatica del classico non puoi fare una frittata senza rompere le uova.
 
Saga mette in scena il cosiddetto sposalizio mistico, quello che intercorre tra un Santo e la divinità, quando l’uomo – o la donna – donano se stessi al divino. Solo che mentre dovrebbe essere lui, l’uomo, la parte attiva – la spada è l’archetipo maschile per eccellenza – si ritrova a vivere un ribaltamento di ruoli quando Athena gli chiede di ucciderla. Usando proprio quel pugnale con cui aveva tentato di eliminarla qualche anno prima.
 
Shura è una spada spezzata. Nel mio headcanon è ed è sempre stato il Campeador, l’appellativo di Rodrigo Diaz di Vivar.  Quando ho scoperto che anche la Teshirogi aveva chiamato El Cid il precedente Capricorno ho pensato di averci azzeccato. O di aver fatto un accostamento becero, facite vobis. Campeador è la forma latina del cognome Campi Doctor, che si assegnava a chi avesse sostenuto e vinto un combattimento giudiziario. El Cid riprende l’arabo Sidi (=mio signore).
 
Sion e Doko. Perché sì. Perché c’è stato un chiarimento fra di loro. Ovviamente fuori scena. Altrimenti il lettore avrebbe mangiato la foglia all’istante. Il verso citato a memoria da Doko è il numero quattro del Salmo 23, secondo la Nuova Diodati: «Quand'anche camminassi nella valle dell'ombra della morte, non temerei alcun male, perché tu sei con me; il tuo bastone e la tua verga sono quelli che mi consolano.».
 
Aphrodite nel mio mondo si chiama Yngve. Yngve, come Malmsteen. Il suo nome significa “della tribù degli Ingaevoni”, quei germani occidentali di cui parla anche Tacito nel suo Germania, e che comprendeva Sassoni, Angli, Iuti e Frisoni. La radice del nome Yngvi si fa risalire a quella del dio Freyr, dio della bellezza e della fecondità.
L’avversario di Yngve/Aphrodite è un Draugr, un revenant di matrice scandinava. Indica un po’ tutti coloro che tornano a camminare dopo la morte, dai vampiri, ai fantasmi agli zombi. Il villaggio di Gammelstad esiste davvero e lo trovate a Nord, sulle sponde del mare di Botnia. Lo Småland è una regione storica della Svezia meridionale.
 
Aldebaran e Milo li vedo come due ottimi amici. Sarà che Toro e Scorpione sono due Segni complementari, sarà che, essendo entrambi Segni Fissi sono molto pratici e pragmatici, ma li vedevo bene, assieme. E sì, il sacrificio del Toro, con lo Scorpione che fa sì che si compia, strizza l’occhio ai misteri del dio Mitra, in cui il Toro era il sacrificio e lo Scorpione, animale ctonio per eccellenza, artigliava i testicoli dell’animale (e quindi la sua vitalità e la sua fecondità) alla terra. Parlerò di quell’incresciosissimo incidente a breve. Promesso.
 
Shaka e Mu sono stati i più difficili da inquadrare. Shaka, nella mia testa, è nato in India, ma da genitori europei. Inglesi, credo. Solo dopo ha iniziato a manifestare i segni della sua vera natura (non un Buddha, ma un bodhisatt’va, ossia colui che ha esperito l’Illuminazione (bodha), ma che continua a reincarnarsi per aiutare gli uomini a spezzare il vincolo del samsàra). Ho fatto girare tutta la storia sul significato del verbo inglese to pretend, che è un po’ la chiave per comprendere tutta la saga del Santuario. La raccolta delle ciliegie prende spunto da una fan art trovata anni fa su deviantart in cui i Santi d’Oro bambini raccoglievano delle ciliegie e finivano per addormentarsi ai piedi della statua della dea Athena, dove Aiolos e Saga finivano poi per trovarli dopo una lunga ricerca.
A chiamare Salamandra il povero Rhadamantys è stato il piccolo Gio. Che da bravo Gemelli, ha la vista lunga, lui.
 
Οι νεότεροι αδελφοί significa fratelli minori, sempre se non ho fatto qualche casino. E non potevano che essere Aiolia, con il suo amore indefesso – ed anche un po’ ottuso – nei confronti di Aiolos, e Kanon –  che nel mio headcanon si chiama Viktoras, vittorioso. Con Rhadamanthys della viverna come special guest star. Ubi maior, ecc. ecc.
 
Aiolos compare nel finale, assieme a Sasha e a Sisifo. E agli altri Gold saint. Perché nella mia testa c’era un motivo per cui i Santi di questa e della precedente Guerra Sacra avessero lo stesso aspetto – pur se qualcuno s’è perso strada facendo, vedi Aphrodite e Death Mask che c’azzeccano con Albafica (sic!) e Manigoldo come i cavoli a merenda.
Il verso biblico citato da Sasha, per bocca di padre Isacco (farina del mio sacco, ah ah) appartiene al Vangelo di Giovanni, capitolo 15, versetto 13, nella traduzione della Nuova Diodati: «Nessuno ha amore più grande di questo: dare la propria vita per i suoi amici.».
Nella mia visione degli Olimpici, non si chiamano quasi mai per nome, ma attraverso un appellativo. Athena è dunque La Fanciulla.
Cronide è il patronimico per Zeus, che significa Figlio di Crono. Xenios è un altro appellativo di Zeus, nelle sue funzioni di protettore dell'ospite e dello straniero (xenos).
Con barbaro i Greci non intendevano le popolazioni nomadi oltre il confine, ma quasi tutti gli stranieri di cui non capivano il linguaggio. Barbaros è un termine onomatopeico che allude alla balbuzie, o anche alla non fluidità d'eloquio di quelle popolazioni che non parlavano il greco (scusate tanto, eh).
I ragazzi sono gli eroi del futuro è la traduzione letterale di una strofa di Pegasus Fantasy, prima sigla d'apertura di Saint Seiya:
聖闘士星矢 少年はみんな/
聖闘士星矢 明日の勇者 oh yeah!
(Saint Seiya Shonen wa minna/
Saint Seiya Ashita no Yuusha - oh yeah!)
(Saint Seiya, ogni ragazzo
Saint Seiya, è un eroe di domani - oh yeah!).
Toxòtis è il termine greco con cui si indica il Segno Zodiacale del sagittario.
Anissa, Alexandra, Glaucopis, Areia, Pallas, Parthenos, Tritogenia, Polias, Ergane, Promachos, Itonia, Atritonia, sono tutti epiteti di Athena. Anche se il suo epiteto ad Atene era uno e uno solo: Thea. La Dea.
   
 
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