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Autore: TangerGin    11/07/2014    4 recensioni
Ho smesso di pensare che tu fossi il mio ossigeno, e quel puzzle alla fine lo sto completando.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Niall Horan, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Smettere.

 
 
Ho smesso di fumare.
Due giorni fa ho buttato il mio ultimo pacchetto di sigarette, nel cestino, come se fosse un gesto spontaneo e di poca importanza perché tu mi hai insegnato che bisogna fare così, con le cose grandi. Bisogna fingere che sia tutto piccolo e minuscolo almeno così, forse, risulta tutto più semplice. E allora ti ho seguito, e quel pacchetto l’ho gettato via. Se mi fermo a pensarci, ho una voglia matta di nicotina, ma c’è la tua foto sulla parete ai piedi del letto e allora stringo i denti e penso da altro.
Penso a quando abbiamo scattato quella foto, eravamo a Dublino e pioveva come Dio la manda, però i tuoi capelli sono talmente biondi che non solo illuminavano il tuo viso, ma illuminavano di rimando anche me. Ed è sempre stato un po’ così, con te: io sempre circondata da ombre, e te come una luce fortissima che rischiarava il tutto. È per questo che stavamo bene, assieme, anche se c’era October che sosteneva il contrario perché i colori devono essere sempre complementari, invece voi non ci azzeccate nulla, diceva.
Forse non aveva tutti i torti.
 

Ho smesso di mangiarmi le unghie.
Ho comprato uno di quegli smalti dal sapore amaro – e mi ci sto pure abituando a quel sapore, un po’ come mi ero abituata ai tuoi sonni pesanti, al tuo russare d’estate – ma vedo le pellicine che si rimarginano, il contorno delle unghie non più frastagliato allora sì, dico che sto facendo un buon lavoro.
L’importante è che, da fuori, tutti quei brandelli non si notino, 'ché se anche sono dentro almeno lo so solo io. E lo sai tu, credo. Almeno, un tempo conoscevi bene quei frammenti sparsi che mi componevano in modo confuso e disordinato. “Sei come un puzzle assemblato male” mi hai detto una sera, bevevi una birra doppio malto e non mi fissavi mica, guardavi il bordo di quel boccale pesante e seguivi il suo contorno con il pollice, distratto.
Avevi ragione, sai? I pezzi ci sono tutti, ma evidentemente, quando ero con te, ho cercato di farli concordare a forza, e non mi sono curata del fatto che fossero esattamente al loro posto. Mi sei servito tu, a farmelo capire, ma adesso mi ritrovo con mille e più cocci da far combaciare e da sola è davvero una fatica cane - ma ti giuro che ci sto riuscendo.
 

Ho smesso ti tingermi i capelli.
Erano rovinati, ma ero certa che mi piacessero in quel modo. Forse perché rispecchiavano quella sciatteria che governa più o meno ogni angolo della mia vita, credevo che mi rappresentassero. Ma mi sono svegliata una mattina, e quella matassa nera stinta sembrava come staccata da me, dal mio corpo. Lo so che ti è sempre piaciuto, quel nero prepotente, ma sono tornata al mio castano topo, e dopotutto non mi dispiace mica. Ho smesso di fingermi qualcosa che non sono, anche se quel qualcosa ti aveva portato da me – però alla fine ti ci ha anche allontanato, allora non ha più molto senso fare questi discorsi. Adesso ho anche i capelli corti, e probabilmente odieresti questo taglio, però le mie orecchie ti piacevano e adesso sono talmente in risalto che ogni tanto rido, quando le vedo sbucare dietro ciuffi distratti. Ci sta che rideresti anche tu, e sotto sotto vorrei poterti vedere solo per saperlo.
 

Poi c'è che ho smesso di credere che tu fossi necessario.
Non erano le tue risate impacciate e inopportune a rendermi più forte, non erano le tue braccia magre, né i tuoi occhi celesti che mi cercavano tra le lenzuola. In tutto questo tempo, ho sempre pensato che, se adesso sto mettendo in ordine i vagoni della mia vita, fosse solo per poter iniziare a viaggiare su quel treno assieme a te, perché non riuscivo a vedermi in altro modo. Te, accanto a te, con te che guardi fuori dal finestrino, con le palpebre chiuse. Invece quel treno esiste, è vero, ma esiste solo esclusivamente per me. È un viaggio che fa paura, ma so di doverlo fare da sola, adesso l'ho capito. Sì, ci ho messo parecchio tempo, e se ti avessi ascoltato più attentamente probabilmente adesso, su questi vagoni ancora da restaurare, ci saremmo assieme. Ma ho smesso anche di guardare al passato come un qualcosa di dorato e dolce, non è più miele. Voglio ricordarti, è vero, ma non voglio rimpiangerti.

 
Probabilmente ti ho amato, non lo so.
C’era l’impazienza nell’aspettare che tu rispondessi dopo tre squilli, c’era la serenità delle serate passate sul divano, assopita contro il cuscino giallo e con le corde della tua chitarra che mi cullavano via. C’era che sapevo riconoscere ogni inflessione della tua voce, conoscevo ogni ruga del tuo viso infantile, ma adesso mi chiedo se esistono ancora quelle note strane mentre canti, oppure quelle espressioni che io, e solo io, riuscivo a decifrare. Ci sta che adesso non ci siano più, ma ci sono state, e forse erano quelle l’amore.
Probabilmente anche tu mi hai amato, così mi hai detto sugli scogli, avevo un vestito leggero e faceva un freddo assurdo, ma eravamo talmente giovani che, se ci ripenso, il freddo era solo un’idea lontana e così era anche l'amore.
Anche tu, adesso, sei solo un’idea lontana, ma sei stato fondamentale.
 
In tutto questo, so che mi dispiace.
Vorrei potertelo dire in faccia, perché sono delle parole che avrebbero davvero bisogno di un viso contro il quale scontrarsi, ma devo limitarmi ad un foglio, e me lo faccio bastare.
Mi dispiace per la mia gelosia cancerogena, per il mio malessere corrosivo, per tutti quei pensieri negativi che avevano inziato a diventare la routine di cui ci avvelenavamo ogni giorno. Mi dispiace per le lacrime che ho versato sotto casa, talmente amare e acide da costringerti a restare, quando te lo leggevo in volto che desideravi solo la libertà - ma avevo quei paraocchi della disperazione a convincermi del contrario. Mi dispiace averti trascinato in quella che si è poi rivelata come una prigione, ma credimi, lo era per entrambi. Ho creduto troppo in te, perché non riuscivo a considerarmi come un essere vivente e pensante, e ti ho addossato delle responsabilità che non erano tue. Avevo smesso di vedermi, e quando mi specchiavo c’ero io, è vero, ma dietro di me c’era anche la tua immagine luminosa, ne avevo bisogno, e mi dispiace.
 

Sono passati quattro anni, e adesso ti vedo riflesso nelle vetrine delle edicole, stampato sul giornale, brillare in televisione, e tutto sembra tremendamente, ma anche piacevolmente, lontano. Sorridi di un sorriso che non conosco, e questo mi rincuora, perché capisco che non eri tutto ciò che avevo scoperto, c’era molto di più, e tutto quel “di più” te lo tieni stretto, e lo stai dosando bene, e sei sempre stato bravo nel mostrati a piccole gocce. 
Sono passati cinque anni e ho smesso di fumare, ho smesso di mangiarmi le unghie, ho smesso di tingermi i capelli, e ho smesso di pensare che tu fossi il mio ossigeno, e quel puzzle alla fine lo sto completando, sai? Vorrei che tu potessi vederlo, ad opera finita, vorrei che tu potessi vedere il mio treno sistemato, i vagoni tirati a lustro, la locomotiva fumante e scoppiettante, e vorrei che tu potessi assistere a tutto questo perché vorrei che tu fossi fiero di me.
Perché sì, saresti davvero fiero di me.

 

 
   
 
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