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Autore: Targaryen    11/07/2014    11 recensioni
In fondo le nostre vite sono come le note della grande arpa. Nasciamo, forgiamo la melodia del nostro tempo e poi moriamo, perché altre note devono seguire e la melodia deve cambiare.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harlock, Miime
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Il Canto delle Stelle'
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“La vita è quel che decidiamo di farne.
I viaggi sono i viaggiatori.
Ciò che vediamo non è ciò che vediamo,
ma quello che siamo.”
(Fernando Pessoa)
 
 
Due note prima dell’oblio
 
 
Immagini, sensazioni, ricordi e speranze si rincorrono sulla superficie di un mondo rinato.
Lo osservo in silenzio, mai pago e mai stanco, e quasi avverto il sospiro del vento mentre seguo le nubi che mutano sotto il mio sguardo. Incuranti di noi, si divertono a dar forma ai nostri pensieri e a sfumarne i colori.
Quante orbite ha inanellato la mia Arcadia? Quanti cicli per dipanare le spire di un fato che pareva aver soffocato la vita? Non lo so, non ricordo.
Gli anni non sono più una misura affidabile per qualcuno che vive da secoli. Il loro scorrere si tramuta in un rumore di fondo, quasi il monotono battere delle ore di un vecchio orologio impolverato. La parete svanisce. L’orologio c’è e continua a scandire il tempo, ma tu non lo noti più.
Si prova una sensazione strana quando non si avverte su sé stessi l’avanzare dell’età. Non è paura e neppure sollievo, ma un diverso modo di porsi dinanzi alla vita, e la consapevolezza che se si commettono errori quasi certamente se ne dovrà sopportare il peso. Non sarà sufficiente esalare l’ultimo respiro per liberarsi dalla colpa, perché quell’ultimo respiro non giungerà a meno di non cessare di respirare per libera scelta.
Un giorno mi dicesti che erano state le troppe risposte ad aver ucciso il tuo popolo, ma io so che non sarà questo ad uccidere noi. La mia natura mortale, non ancora del tutto sopita, mi sussurra pensieri che parlano di una fine diversa.
Avverto le tue dita sfiorare il mio volto e accolgo l’invito con un sorriso. Abbandono l’immagine della Terra che risplende come stella oltre le vetrate, e cerco i tuoi occhi. Due stelle anch’essi, le mie personali stelle.
“E’ tempo di lasciarla andare”, mi dici.
Non rispondo, ma la mia stretta intorno alle tue spalle si rafforza appena un poco.
Sì, è tempo, ma non desidero farlo nonostante gli accordi siano stati presi.
E’ stato deciso che nessuno vivrà su di essa. La Terra sarà un luogo accessibile a tutti, da visitare per periodi limitati di tempo e da conservare finché non sarà il suo Sole a sancirne la definitiva scomparsa. Sarà un santuario, ma questa volta un santuario su cui posare i piedi e non più una fredda illusione. Solo così potrà sopravvivere. Nonostante le guerre che li hanno visti uccidersi l’un l’altro, gli esseri umani sono sempre troppi. Forse, un giorno, troveranno le risposte che cercano e si lasceranno morire, come gli abitanti di Yura, o forse non accadrà mai e l’umanità terminerà il suo viaggio insieme allo spazio e al tempo. Non lo so, e non sono sicuro di voler essere là per vedere.
E’ trascorso così tanto tempo dal giorno in cui giunsi ove giacciono le spoglie del tuo mondo, Meeme, che a volte mi stupisco di come possa ricordare tutto in maniera così vivida. E’ curioso come si rammenti sempre ciò che è stato fonte di gioia, anche se le memorie raccontano di secoli e non di anni, mentre si tende a dimenticare il dolore. Solo se quel dolore è così vasto da diventare parte di te non te ne potrai mai liberare.
Secoli … Ho smarrito il conto delle volte in cui siamo rimasti seduti come ora, abbracciati e perduti nei nostri pensieri. Pensieri di noi, del nostro passato e del nostro futuro, delle nostre colpe e delle nostre vittorie, e dei nostri più segreti desideri.
Un giorno questa vita è divenuta la nostra vita, e la mia libertà la nostra libertà. Non più la mia padrona, ma la mia conquista, e non più nemica di mete verso cui in precedenza non mi concedevo il diritto di veleggiare.
Ho imparato tante cose quel giorno, ma soprattutto ho imparato a non rinunciare a noi per un ideale. L’uomo che ora sono è nato allora, dalle ceneri di uno spettro soffocato dal rimorso e per anni in balia della sua colpa. Cieco di fronte alla speranza, timoroso di fronte all’amore … terrorizzato di stringere la felicità tra le mani e di decidere di nuovo del proprio destino.
Può sembrare bizzarro detto da me, ma ci sono istanti in cui occorre avere paura della libertà. Il ragazzo che ha tramutato in polvere rossa il sangue del suo pianeta natio non temeva la libertà. Era stolto quel ragazzo. Viveva, convinto che la vita potesse esaurirsi in una parola scritta su di una bandiera, e sicuro che quella parola fosse tutto ciò che avrebbe regalato alla sua esistenza un perché.
Ma è fredda la libertà se è un uomo solo ad abbracciarla, come il calice di vino che bevi nel buio della tua stanza per dimenticare e che non possiederà mai il calore di quello sorseggiato in compagnia.
A volte ripenso a quegli anni e quasi non mi riconosco.
Pellegrino tra le stelle, eterno viaggiatore senza casa e senza meta … era questa la vita che sognavo prima di incontrare te. Una vita senza doveri, una vita senza legami. Una vita da assaporare istante dopo istante, come se il passato non avesse importanza e il futuro non avesse valore.
Non cercavo alcuna risposta quella notte. Mi stavo semplicemente arrendendo a noi. Eppure, tra le tue braccia, ho capito cosa c’è in quel vento che mi accarezza la pelle e cosa significa essere davvero liberi.
Liberi di viaggiare all’infinito, ma anche liberi di fermarsi se il cuore lo comanda.
Quando ne sento il desiderio, ordino alla mia Arcadia di lasciare l’orbita e di tuffarsi in quel mare di stelle al cui richiamo tante volte ho ceduto, eppure in fondo al cuore io mi sono fermato. Per la Terra, ma prima ancora per noi. Ho lasciato il ragazzo le cui spalle non erano larghe abbastanza per sostenere le responsabilità di un uomo, e ho fatto finalmente pace con la libertà.
Essa è al mio fianco e accompagna i miei passi, mi è necessaria ma non è più abbastanza.
Ci sono compiti che desidero portare a termine per chiudere finalmente il conto con il mio peccato, e obblighi che mi sono assunto verso di noi e a cui non accetterò mai di venire a meno. Se qualcuno mi ascoltasse ora forse riderebbe, eppure non mi sono mai sentito così libero.
Talvolta la mia mente torna agli amici di un tempo, a quel primo equipaggio che è stato la mia famiglia e che mi ha accompagnato nel primo passo sulla via della redenzione.
Cosa direbbero vedendoci ora?
Ricordo tutto di loro, i volti e le voci … la grinta e la rude gentilezza della vecchia Masu, la simpatia e la generosità del dottor Zero, l’ottimismo e l’allegria di Yattaran, l’entusiasmo di Kei e quel suo amore che non potevo ricambiare, ma che ho sempre cercato di non ferire.
Mi mancano, e so che mancano anche a te.
Ho avuto altri equipaggi negli anni a venire, equipaggi di cui sono onorato di essere stato il capitano, ma quando penso al mio equipaggio penso a loro. Loro che mi hanno visto cadere e risorgere, e che non sono mai riuscito a ringraziare abbastanza. Sono polvere di stelle ormai, ma non sono morti e non lo saranno sino a quando io e te vivremo, e continueremo a sentire i loro passi riecheggiare lungo i corridoi di questa nave.
Passi …
Mi volto verso l’angolo che ospita la tua arpa e non riesco a non sorridere.
Voglio che sia perfetta, come ogni cosa. Sono sciocco, lo so, perché niente può essere perfetto, eppure non riesco a non desiderare che tutto lo sia. E’ così che ci si sente?
Di nuovo non lo so, ma questa è una delle ragioni per cui noi non finiremo come il tuo popolo, Meeme. Non sarà quello il nostro destino, neppure ora che la Terra è rinata e che non ha più bisogno di noi.
Sorridi anche tu e appoggi il capo alla mia spalla.
Dovrei essere terrorizzato, ma non è così. Dovrei sentirmi impreparato a ciò che ci attende, eppure non mi sono mai sentito così pronto per qualcosa. Non abbiamo cercato questo, non abbiamo mai neppure osato sperare in questo, ma ora il solo pensiero che ciò che stiamo per ricevere ci possa essere tolto è inaccettabile.
Ricordi quando me lo dicesti, Meeme?
Il bicchiere che stringevo mi scivolò di mano, e il rumore del vetro che si infrangeva ai miei piedi vibrò attraverso il silenzio della mia anima, dividendo il prima e il dopo. Rimasi a guardarti, congelato in quell’attimo e quasi incapace di respirare. Rammento in maniera confusa gli istanti che seguirono, ma non dimenticherò mai l’oceano di emozioni in cui mi lasciai annegare mentre ti stringevo a me. Impossibile descriverle … incredulità e stupore, ansia, timore, ma anche orgoglio e, sopra ogni cosa, felicità e amore per te.
Avremmo dovuto trascorrere intere notti a parlare di nomi, ma tu dicesti che la scelta spettava a me, e mi sorridesti. Per un attimo mi tuffai nei tuoi occhi in cui l’oro brilla come il sole sui prati, e seppi immediatamente come avrei chiamato nostro figlio. Baciandoti sigillai nel mio cuore questo piccolo, innocente segreto con cui desidero onorarti, e mi persi in te.
In principio ho quasi creduto che insieme al calice, quel giorno, fosse andata in frantumi anche la mostruosa apparizione che tormenta il mio sonno, ma mi sbagliavo.
Talvolta, di notte, sogno ancora.
Il buio mi circonda. Grido. Sento sulla mia pelle il calore insopportabile delle fiamme e poi, dal nulla, esso appare e l’inferno prende forma dinanzi ai miei occhi. Un mondo in agonia, che si contorce divorato dai fantasmi della mia follia.
Le prime volte serravo le palpebre per sottrarmi a quella visione, ma non serviva. Attraverso la carne continuavo a vedere. Ora resto immobile, mentre dolore e rimorso si abbattono su di me. Non mi oppongo alla loro invasione né cerco di fuggire. Li accolgo ed aspetto, finché la tua voce mi desta e le tue braccia mi avvolgono. Fatico a respirare dapprima, il volto di cenere e i capelli intrisi di sudore. Le tue mani scorrono tra di essi e il mio corpo stringe il tuo con disperazione, come se da ciò dipendesse la mia vita.
Mi serve sempre tempo per riprendermi, ma alla fine smetto di tremare. Non parliamo mai, sarebbe inutile. In passato non osavo volgere il capo verso le vetrate, perché il mio incubo era là ad attendermi, ma da quando il volto della Terra è cambiato non temo più di farlo. Ora il mio mondo mi guarda e pare voglia dirmi che mi ha perdonato, che ho pagato abbastanza e che posso occuparmi della mia vita, lasciandolo libero di seguire la sua strada.
Un giorno nostro figlio mi domanderà cosa mi spaventa durante le notti in cui il mio peccato esige il suo tributo, e io dovrò raccontargli tutto. Vorrei che non accadesse mai e che potessi parlargliene senza mostrargli i segni che il passato ha lasciato su di me, ma so che non sarà possibile. Prego che capisca e che anche lui mi perdoni.
Mi hai guardato con severità quando ti ho rivelato i miei timori, e quasi ho provato vergogna, sentendomi per un attimo un bambino sciocco che ha appena detto ciò che non doveva.
“E’ tuo figlio”, mi hai risposto.
Non hai aggiunto altro, ma ho sentito la tua mano stringere quella che tenevo appoggiata sul tuo grembo e il mio cuore quasi si è fermato.
E’ mio figlio … come ho potuto avere simili dubbi? Per lui sarò solo suo padre, non il capitano di un vascello maledetto e, quando crescerà e vedrà l’uomo che è in me, avrà imparato che gli uomini sbagliano, e che la loro grandezza non consiste nel non commettere errori, ma nell’avere la forza per rimediare. E per continuare.
Lascerò andare la Terra, Meeme, ma prima voglio che lui possa vederla com’è ora, verde ed incontaminata, e voglio che sia il primo a posare i piedi su di essa.
Tu sai perché esito. Lo leggo nei tuoi occhi e nel sorriso che mi regali, e d’istinto cerco le tue labbra.
“Non ancora”, sussurro.
“Non ancora”, ripeti tu.
C’è una nota nuova nella tua voce, quasi un’eco allegra che in questi mesi ha contagiato anche me.
“E’ finita?”, mi domandi, il tuo sguardo incatenato al mio.
Mi alzo e aiuto te a fare lo stesso. Lo so che non occorre, ma permettimi di compiere talvolta qualche gesto inutile. Ne sento il bisogno, anche se non ne capisco il perché.
In silenzio raggiungiamo l’angolo che tante volte ci ha visti attendere la sera, le tue mani sulle corde e le mie intorno ad un calice di vino. Mi inginocchio e lascio scorrere le dita sul legno scuro che io stesso ho modellato. E’ liscio e caldo, e le morbide geometrie parlano con la voce di un popolo che solo noi ricordiamo. Mi hai insegnato tu la loro lingua, vite addietro, e mi hai mostrato come tradurre i suoni in segni.
“Quasi”, rispondo, e accarezzo con delicatezza il piccolo spazio che, libero dalle decorazioni, spicca tra un complicato gioco di spirali.
Qui inciderò il suo nome quando nascerà, e lo donerò a te.
La tua mano si solleva e sfiora una corda. Una nota prende vita per un istante e poi si spegne nell’aria immobile.
Sussulto. Sento il nome che ho scelto in quel suono, e di nuovo un pensiero si affaccia alla mia mente.
In fondo le nostre vite sono come le note della grande arpa. Nasciamo, forgiamo la melodia del nostro tempo e poi moriamo, perché altre note devono seguire e la melodia deve cambiare.
Lo sai anche tu, vero?
Non è immortalità la nostra, ma solo una lunga vita che può confondersi con essa. Un giorno un’altra melodia dovrà prenderne il posto e noi ci faremo da parte, e ringrazieremo per aver vissuto la nostra. Non conosco la ragione per cui accadrà, ma sono sicuro che accadrà. E sono sicuro che quando accoglieremo l’oblio lo faremo insieme, e senza rimpianti.


Nota: Il nome, non rivelato, del figlio (o figlia) di Harlock e Meeme è un'idea originale di Dea Bastet, che ringrazio per avermi permesso di utilizzarla in questa e nelle altre fiction della serie.
  
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