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Autore: LuLu96    12/07/2014    0 recensioni
Nel 2014 Alex Bonucci parte per un viaggio con uno zaino in spalla e guidata solo dal suo istinto. Lei è diversa, però. Lei è un Asarat, membro di un'antica stirpe di Guardiani. Incontrerà amici e nemici, amore vero e mere consolazioni, rischierà la vita e si sacrificherà. In questo viaggio nel tempo, in mondi diversi, Alex riuscirà a trovare sé stessa e a capire quello per cui vale la pena vivere.

Era un'ora perfetta e stupenda, quella. L'ora in cui la vita risorge e si desta dal sonno, in cui tutti gli animali si alzano e iniziano la lotta per sopravvivere. Mi venne immancabilmente in testa quel proverbio, "Tutte le mattine una gazzella si alza e inizia a correre, perché sa che deve scappare dal leone. Tutte le mattine un leone si alza e inizia a correre, perché sa che deve prendere la gazzella."

Seconda prova di un progetto che mi era venuto in mente tanto tempo fa e che ho voluto riprovare a proporvi. Ditemi che impressioni avete e se vale la pena andare avanti. Spero che vi piaccia!
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La polvere si alzò a coprire la strada, annebbiò la vista e ci entrò negli occhi, che tutti schermammo in qualche modo: chi con la mano, chi con degli occhiali, chi nascondendo il viso, chi rientrando in macchina e sedendosi. Sospirai. Il cielo era ancora semibuio nell'ora che precede l'alba e dal silenzio della radio potevo dedurre che solo noi eravamo fuori. Era un'ora perfetta e stupenda, quella. L'ora in cui la vita risorge e si desta dal sonno, in cui tutti gli animali si alzano e iniziano la lotta per sopravvivere. Mi venne immancabilmente in testa quel proverbio, "Tutte le mattine una gazzella si alza e inizia a correre, perché sa che deve scappare dal leone. Tutte le mattine un leone si alza e inizia a correre, perché sa che deve prendere la gazzella."

Un sorriso ironico mi si aprì sulle labbra mentre fuori dal finestrino vedevo un branco di gazzelle pascolare nella prateria. Il proverbio mi ricordava molto la mia situazione, io la Gazzella e loro il Leone che mi rincorreva. Ma le gazzelle scappano in branco da un branco di leonesse, mentre io ero sola e senza informazioni a scappare da un branco di assassini che ne sapeva fin troppo.

"Non sei sola" disse Gal al mio fianco. Sorrisi senza voltarmi a guardarlo.

"Io e te siamo la stessa persona, Gal"

"Ma siamo comunque due" Era proprio testardo, quando voleva, ma aveva ragione. Mi strinse piano la mano, abbandonata sulla mia coscia. La sua stretta riusciva sempre a tranquillizzarmi, era come se uno strappo invisibile, con lui, fosse ricucito. Beh, in realtà era esattamente così. Io e Galian eravamo la stessa entità divisa tra due corpi che condividevano la stessa mente. All'atto strettamente pratico, Gal era un frutto della mia mente, un gioco della mia fantasia, uno scherzo della mia immaginazione che per qualche mia deformazione genetica, o predestinazione o quello che si vuole, era qualcosa di reale ed esistente, dentro la mia mente e, quando lui voleva, al di fuori di essa, con una vita propria, una sua capacità di intendere e di volere, un cuore, dei sentimenti, una testa, un corpo, un carattere tutti suoi. È nato insieme a me ed è stato destinato a me ed ha sempre vissuto nella mia testa, anche quando io non lo sapevo, quando non lo vedevo, non lo sentivo, non lo percepivo, lui c'era. E grazie al destino che ha fatto sì che io decidessi di farmi quel tatuaggio e che proprio quel giorno quegli assassini abbiamo deciso di provare ad ammazzarmi, ho avuto la consapevolezza di non essere come tutte le altre persone, di non essere normale, ma di essere quello che sono. E così ho conosciuto Gal, l'altra parte della mia mente.

Ricambiai la stretta con un sorriso ancora più grande, per poi tornare ad esaminare i volti di quelli che erano nelle jeep. Una coppia di vecchi con dei teleobiettivi che facevano quasi paura, una famigliola con due gemelli di circa sette anni e un uomo sulla trentina popolavano la prima jeep, quella che alzava il polverone, mentre nella seconda, oltre me e Galian, c'era una coppia col figlio, circa diciottenne, anno più, anno meno. Se davvero tra loro ce n'era uno, tra tutti, speravo che l'Asarat fosse l'uomo sulla trentina. Se davvero era lui, allora sarebbe di sicuro stato già consapevole di ciò che era e avrebbe potuto insegnarmi, togliermi dalla mia ignoranza che più di una volta mi aveva quasi fatta uccidere. Ho letto sul Fugoran che gli Asarat possono viaggiare nel tempo, che a seconda del colore del tatuaggio hanno diversi poteri, simili alla magia, che divetano più forti, più veloci di un normale essere umano, che hanno i sensi più sviluppati, che in qualche modo possono creare delle Gersedan, che avevo ipotizzato essere delle specie di squadre, e ogni Asarat ha un Asarat Faseren, con cui può comunicare telepaticamente e che solo lui, o lei, e i membri della sua Gersedan possono vedere e sentire, a meno che il Faseren stesso non scelga di farsi vedere e sentire anche dagli altri. Tutto ciò che sapevamo io e Gal veniva dal Fugoran, questa... guida... che avevo rubato quando mi avevano rapita l'ultima volta, quella in cui sia io che Gal abbiamo rischiato davvero di perdere la vita. Al solo pensarci sentii un brivido attraversarmi la schiena e il tatuaggio bruciare, lì dove il ferro arroventato aveva premuto. Sentii le dita di Gal stringersi di più sulle mie e il suo corpo irrigidirsi. Quel ricordo faceva male ad entrambi. Scacciai immagini e sensazioni dalla mia mente, la liberai è mi concentrai sulla mia missione: trovare un altro Asarat.

Da quando ho preso consapevolezza di ciò che sono, il mio istinto si è sviluppato più di quanto potessi immaginare. Era come un sesto senso che difficilmente sbagliava. Prima di rendermene conto, però, era passato tanto tempo e avevo sprecato mesi a girovagare senza meta fino a quando non avevo capito che quello che mi avvertiva del pericolo, che mi spingeva a prendere una decisione invece che un'altra, era il mio istinto e che per tutto quel tempo lo avevo combattuto. Mi ero concentrata e  avevo ascoltato. Ero stata stupida, gli Asarat sono sparsi per tutto il mondo, come si suppone che possano trovarsi l'un l'altro senza indizi e senza una guida? Ecco, l'istinto era la guida, come un radar che indica la direzione. L'avevo seguita e mi ero ritrovata in Africa, ai confini tra Kenya e Tanzania, in un gruppo che faceva il Safari nel parco nazionale del Kenya, il Masai Mara. Beh, se non altro era un bel posto e non una topaia.

Tornai a guardare fuori dal finestrino: vicino a zebre e gnu, un branco di branchiosauri stava spuntando da dietro una collinetta. Sorrisi estasiata. Quante cose si perdevano gli umani! Avevo letto sul Fugoran che c'erano dei posti in cui i confini con certe epoche erano talmente sottili che gli Asarat potevano vedere nel presente ciò che era nel passato. La savana africana doveva essere uno di quei posti, doveva essere il punto di confine con l'epoca dei dinosauri. Sorrisi ancora. Fin da quando ero bambina avevo sognato di poter vedere i dinosauri dal vivo e quando avevo imparato come Viaggiare il giurassico era stato la mia prima meta.

Ma i ricordi del passato dovevano aspettare. Se tra i presenti c'era davvero un Asarat, quello era il momento di scoprirlo.

Riportai gli occhi ai volti delle persone che erano sulle jeep. L'uomo sulla trentina guardava in quella direzione, ma non dava cenni di stupore. Certo, se era già cosciente di sicuro aveva già Viaggiato e un branco di dinosauri non doveva essere tanto sorprendente per lui. Si sarebbe controllato, come stavo facendo io. Avrebbe finto, dissimulato, ma avrebbe lanciato uno sguardo, li avrebbe messi a fuoco.

"Oh mio Dio!"

La voce vicina del ragazzo diciottenne sulla mia jeep mi riscosse. Scambiai un veloce sguardo con Gal e mi alzai di scatto.

"Ehi!" dissi con un sorriso avvicinandomi. "Non ti avevo visto, come stai?" Gli occhi del ragazzo mi guardarono confusi. Ero in piedi accanto a lui, mentre i genitori erano seduti e ci guardavano di sbieco, incuriositi.

"Posso spiegarti tutto, ma tu non devi parlarne ora, ok? Reggimi il gioco e poi vieni a sederti con me, ti spiegherò tutto" dissi in Tasurit, una lingua che chiunque facesse parte del nostro mondo, del nostro Herak, conosceva istintivamente. Il ragazzo mi guardò perplesso. Che non avesse capito? Che stesse parlando di un'altra cosa?

"Perché?" chiese poi. Un sospiro di sollievo mi lasciò le labbra.

"Solo fidati di me." risposi con gli occhi fissi nei suoi. "Ti prego"

Ci pensò qualche istante prima di annuire. Annuii anche io poi rimontai il sorriso e ripresi a parlare.

"Allora come te la passi? Che coincidenza incontrarci qui!" L'inglese era diventata la mia seconda lingua, lo parlavo come fosse italiano. Avevo avuto fortuna, almeno con lui. Lo tirai a sedere mentre aspettavo una risposta. Sorrise anche lui.

"Sì, chi l'avrebbe mai detto! Io tutto bene e tu?" Che attore niente male, era stato a dir poco molto convincente e spontaneo. Davvero molto bravo.

"Sì, bene, grazie" risposi sempre sorridendo.

"Scusate... Vi conoscete?" la voce di sua madre ci fece voltare entrambi. Il ragazzo mi guardò allarmato, quindi presi io la parola:

"Sì, siamo nella stessa classe di inglese." risposi alla signora tendendole la mano "Mi chiamo Alex Bonucci, piacere di conoscerla"

"Diminutivo di Alexandra, direi." aggiunse l'uomo con un sorriso bonario "Piacere nostro, siamo i genitori di Matt". Strinsi entrambe le mani dei due adulti e poi feci cenno a Matt di venire a sedersi dietro con me e Gal, anche se lui non poteva vederlo. Si sedette tra noi due e abbassando la voce e istintivamente la testa si chinò verso di me.

"Beh? Cosa diavolo succede? Perché vedo dei dannatissimi dinosauri che dovrebbero essere estinti?" urlò sottovoce. Fissai ancora gli occhi nei suoi e cercai di trasmettergli tutta la calma possibile.

"Ora non è il luogo né il tempo per spiegarti, quando torneremo al campo verrai nella mia tenda e ti spiegherò tutto. Per ora ti basti sapere che non te ne devi preoccupare, che va tutto bene e che tutto è normale, per me e te, ok?" Avevo parlato con calma, la voce ferma e bassa, quasi un sussurro. "E per l'amor del cielo, smetti di parlare in inglese e parla in Tasurit!" lo richiamai con urgenza. Era una lingua creata apposta per noi, per poterci esprimere senza che altri ci capissero, tanto valeva usarla.

"Tasu... che cosa?"

Un sospiro, gli occhi al cielo, la risata di Gal, il mio sorriso di conseguenza. Non avrei mai immaginato che insegnare ai novellini fosse così difficile. Quelle cose io le avevo imparate da sola, cercando di scoprire il più possibile, ascoltando quando io e Gal abbiamo iniziato a parlare, cercando di capire. Questo ragazzo non poteva capire e basta? Gli stavo spiattellando le informazioni su un piatto d'argento, già lavate e senza nocciolo, non era difficile! Ma calma, Al, devi rimanere calma. Sbuffai dal naso e ripresi a parlare con il tono più calmo di cui ero capace. Dovevo comprendere, aveva appena avuto il primo segno di ciò che era, una sconosciuta gli parlava in una lingua mai sentita, ma che comunque capiva, promettendogli che gli avrebbe spiegato tutto e aveva visto un branco di branchiosauri. Dovevo comprendere.

"La lingua in cui sto parlando. Senti? È diversa dall'inglese, dall'italiano, dal francese e da tutte le lingue che tu abbia mai sentito. È la nostra lingua e più la ascolti e ti sforzi di parlarla, più ti verrà naturale e spontanea."

"Ma cosa dici? Tu stai parlando in inglese, è l'unica lingua che conosco, come farei a capire altrimenti?" Domanda scontata e più che legittima.

"È una lingua che è insita in quelli come noi. Hai presente il detto "Nessuno nasce imparato"? Bene, in questo caso non è vero."

"Non è vero"

"Ascolta quando parlo, ascolta attentamente. Ti sembra inglese questo?"

Matt tese le orecchie per ascoltare la mia voce. Scandii tutte le parole cercando di far risultare chiari tutti i suoni, come se stessi parlando a qualcuno che non capisce.

Mi guardò negli occhi. Capii che aveva verificato le mie parole, ma la sfumatura d'espressione che gli balenò nello sguardo era tanto chiara quanto veloce. Per prima ci fu l'espressione di chi ha finalmente trovato quello che stava cercando, poi la curiosità, poi l'illuminazione di chi ha capito. Poi la paura. Paura di una normalità stravolta, del ribaltarsi di tutte le certezze, di quello che ha scoperto di essere.

"Non è possibile" sussurrò, gli occhi sgranati.

"Ehi, ehi, ehi, calma, ok? Resta calmo. Non puoi dare di matto adesso, cerca di controllarti." Gli presi il viso tra le mani costringendolo a guardarmi e contemporaneamente ostruendogli la vista dei branchiosauri col mio corpo. Cercare di calmarlo mentre aveva davanti agli occhi il motivo per cui era in preda al panico non era esattamente la cosa più furba o facile da fare.

"Va tutto bene, è tutto a posto, devi solo stare calmo. Gli altri non devono sospettare niente, o entrambi finiremo da qualche psicologo o direttamente in psichiatria. D'accordo?" Nei suoi occhi sgranati potevo vedere la lotta tra l'urlo liberatorio che voleva lanciare e la necessità di calmarsi che pareva aver capito. Era fondamentale che imparasse a controllarsi in fretta e che non ci facesse scoprire. Avevo visto le conseguenze e non erano piacevoli. Avevo provato sulla mia pelle i trattamenti che ci riservavano nei due Herak, nei due mondi, e entrambi facevano un gran male.

Vidi gli occhi di Matt farsi più chiari e lo sentii annuire con la testa ancora stretta tra le mie mani. La calma aveva vinto la lotta.

"Ok, bravo, benissimo" dissi rilassandomi e lasciandolo andare. Feci un respiro profondo, ma non mi spostai. Non volevo rischiare che, vedendo di nuovo i dinosauri, potesse scoppiare.

"Ok, ora che siamo tutti più calmi, direi che puoi farmi vedere il tatuaggio."

Aggrottò un po' le sopracciglia.

"Come fai a sapere del tatuaggio?" chiese, voltandosi rapido verso i suoi genitori e parlando ancora più piano, curioso e, oserei dire, non poco sospettoso.

"È quello che ci permette di essere ciò che siamo, quello che ci permette di Vedere e di fare tutto il resto. È un segno che è insito in noi, fin dalla nostra nascita. È come se fosse già sotto pelle e l'ago dovesse solo farlo venire fuori. Quando hai deciso di farlo ti sei reso conto di aver sempre saputo cosa e in che punto, vero?" chiesi senza aspettarmi veramente una risposta. Annuì appena, ma lo sguardo sembrava distratto, come rimasto indietro, fermo in un punto precedente del discorso.

"Tutto il resto?" chiese infatti. Delegai la domanda con un gesto della mano.

"Te lo spiego dopo, ora puoi farmi vedere il tatuaggio?" Nella mia voce sentii aspettativa, desiderio ma anche timore. Irrazionale e senza un destinatario. Avevo paura di rimanere di nuovo sola.

Matt si arrotolò la manica della maglietta fino alla spalla, lanciando ogni tanto un'occhiata ai genitori. Sorrisi ironica.

"Auto-regalo di compleanno?"

"Già" rispose lui ridacchiando a sua volta.

Il simbolo era sulla spalla destra, di lato. Era in una cornice circolare simile alla mia, ma il disegno interno era diverso. Si trattava di un disegno in stile maori, simile ad un fuoco. Rimasi come ipnotizzata dal tatuaggio di Matt, non riuscivo a staccare gli occhi. Era come se non avessi più il controllo del mio corpo. Vidi la mia mano destra allungarsi fino a sfiorare il disegno. La pelle del ragazzo era calda, ma il tatuaggio bruciava sotto le mie dita. Il fuoco si tinse appena di rosso davanti ai nostri occhi mentre anche il mio tatuaggio, piccolo tra pollice e indice della destra, prendeva vita, colorandosi di un verde scuro. Le tre liane intrecciate che formavano la cornice iniziarono a muoversi, scorrendo nei nodi della treccia, mentre la triscele all'interno stringeva e rilassava le tre spirali. Entrambi guardammo affascinati. Avevo già visto il mio tatuaggio colorarsi, ma mai così intensamente e mai muoversi in quel modo. Anche il tatuaggio di Matt iniziò a muoversi: la cornice circolare e sempre in stile maori cominciò a girare, le fiamme a muoversi sinuose, come quelle di un fuoco vero. La pelle olivastra del ragazzo bruciava sotto la mia, più chiara. Però non sentivo dolore, non avevo paura. Non mi ero mai sentita vicina a qualcuno in quel modo, oltre che a Gal. Avrei potuto morire per quello sconosciuto, senza pensarci due volte. 

Già, Galian. Sentivo anche il suo tatuaggio muoversi nella mia mente, sentivo che percepiva il calore della pelle di Matt. E lui? Sentiva Gal? Sentiva me come io sentivo lui?

Ad un tratto, nella mia mente, apparve un piccolo cerchio azzurro che irradiava una flebile luce dello stesso colore. All'interno del cerchio, due puntini verde scuro e due rossi, uno più sbiadito dell’altro, più flebili tra gli altri due, tutti vicinissimi. Più lontano, invece, c'erano tanti pallini dello stesso azzurro del cerchio che si muovevano lentamente. La visione durò una frazione di secondo prima di sparire così come era venuta e davanti ai miei occhi misi di nuovo a fuoco il volto di Matt e quello di Galian dietro di lui. Incrociai il suo sguardo e vidi il riflesso del mio. Anche lui aveva visto quello strano cerchio nella mia testa. Fissò gli occhi nei miei e lessi nella sua mente quello che stava dicendo. Annuii e ritrassi la mano dalla spalla di Matt. Ci guardammo qualche secondo senza capire cosa era davvero successo.

"L'hai..." mi schiarii la voce "L'hai visto anche tu?" Non mi aspettavo una risposta affermativa, solo tra Asarat e Faseren poteva esserci contatto telepatico. Invece lo vidi annuire piano.

"Il cerchio con i pallini?"

Annuii a mia volta e mi sedetti dritta.

"Come è possibile?" La voce di Gal arrivò chiara alle mie orecchie mentre nella mia mente apparivano tutte le ipotesi e tutti i dubbi che gli erano sembravano più plausibili.

"Cos'era?" La voce di Matt, spaventata e curiosa "Io... Era come se l'avessi vista nella tua mente, come se ti avessi letto nel pensiero" disse nella nostra lingua.

"Vedi, parlare Tasurit non è così difficile, dopotutto" lo ripresi ironica "Devi fare altri tatuaggi" ripresi cercando di farlo desistere dal fare domande e lasciarmi pensare.

Dovevamo capire troppe cose, prima di tutto cosa era successo e perché all'improvviso sentivo di essere così legata a quel ragazzo.

"Perché?" Domanda che potevo prevedere e evitare. Aggrottai la fronte e appoggiai il mento ad una mano, l'altro braccio avvolto intorno al corpo da sostegno al gomito.

"Per non far capire qual è quello vero."

Spostai appena gli occhi su Matt che già era pronto a partire con un'altra domanda. Mi voltai verso di lui e lo bloccai, la bocca già aperta, con un gesto della mano.

"Basta domande, devo pensare. Stai buono fino a quando non torneremo al campo, poi ne parleremo." Gli dissi con lo stesso tono che avrei usato con un bambino. Riguadagnai la mia posizione e lo sentii sbuffare e mettersi più comodo sul sedile. Aveva già tanto a cui pensare adesso, figuriamoci dopo tutto quello che avrebbe scoperto di lì a poco.

Ma il problema era un altro. Cosa diamine era successo? Ero... Entrata in comunione anche con Matt, ovviamente grazie al contatto con lui, e avevo visto quello strano cerchio. Sembrava un radar, come quello delle navi. Il punto era: era nella mia mente o in quella di entrambi? Matt ha detto di averlo visto nella mia mente, come se mi leggesse nel pensiero, quindi la risposta a questa domanda sembravo averla trovata. Ma allora lo potevo evocare solo con il contatto con Matt? Durava solo una frazione di secondo? Per scoprirlo dovevo provare, ma per quello avrei avuto tempo. Sicuramente era un'altra delle magie che non sapevo fare.

Delegai il problema della fiducia e del legame irrazionale che provavo per Matt da dopo che ci eravamo toccati. Era come me, ecco tutto. Ecco perché mi aveva fatto quell'effetto. Sarebbe successa la stessa cosa quando avremmo trovato un altro Asarat e avrò toccato il suo tatuaggio. Sarebbe stato uguale.

Nel frattempo eravamo arrivati al campo. Scesi dalla jeep salutando i genitori di Matt, mentre il ragazzo, avvisatili che sarebbe venuto con me, mi seguiva verso la mia tenda. Mi chinai ad aprire le cerniere e feci per infilarmi nella tenda. Invece mi voltai e mi alzai, piazzandomi di fronte a Matt.

"Bene, hai visto qual è la mia tenda. Ora, cibo. Due tazze di tè, per me, per te quello che ti pare."

Mi chinai di nuovo ed entrai. Mi lasciai cadere sul letto che, nonostante fosse un materasso per terra con una coperta e un sacco a pelo sopra, era di gran lunga più comodo di altri "letti" in cui avevo dormito. Immagini di un pagliericcio per terra in una stalla del XV secolo, un ramo del giurassico, o più semplicemente di un angolo di pavimento per le strade di Fez mi occuparono la mente facendo sorridere me e Gal steso al mio fianco. Ne avevamo passate di belle da quando eravamo partiti. Ogni tanto la nostalgia di casa si faceva sentire, come in quel momento, e allora sentivamo il nostro letto sotto la schiena, vedevamo camera nostra nella nostra casa, sentivamo l'odore del dopobarba di nostro padre, forte e pungente, e quello  delicato e aromatico del profumo di nostra madre, che aveva sempre avuto il potere di evocare in noi immagini, colori, suoni e odori di un mondo che ci pareva lontano e irraggiungibile, di paesi asiatici che sembravano esistere solo nelle favole.

La voce di Matt riscosse me e Galian dai nostri pensieri che si completavano a vicenda con particolari e dettagli che all'altro sfuggivano.

"Ecco qui il tè" disse mentre si inginocchiava attento a non rovesciare niente e le mani spuntavano da fuori la tenda. Mi alzai e gli presi le due tazze mentre lui, con le mani libere, entrava con un piatto con delle uova e il termos con l'acqua sotto il braccio. Si sedette di fronte a me, a gambe incrociate.

"Perché due tazze? Io non lo bevo"

"Non è per te infatti." risposi alzando appena lo sguardo su di lui. Lo sguardo confuso che gli aveva caratterizzato i lineamenti da quando ci eravamo conosciuti tornò a corrugargli la fronte. Non ebbi bisogno di dire niente che già Gal era apparso al mio fianco. Mi prese di mano la tazza e bevve un sorso, un sorriso stampato sulle labbra.

"Matt" lo apostrofò con un gesto della testa mentre tornava a tuffare il viso nella tazza di plastica "Molto piacere, il mio nome è Galian"

Il volto di Matt cambiò espressione velocemente, come già era successo prima. Era divertente guardare il suo viso che cambiava così repentinamente, interessante studiarne i cambiamenti. Passò dall'espressione confusa con la fronte aggrottata a quella stupita con le labbra semiaperte a quella spaventata con gli occhi sgranati a quella curiosa ma diffidente con lo sguardo attento e gli occhi assottigliati. Sorrisi istintivamente di fronte alle reazioni che avevo visto passare sul suo viso così velocemente e nascosi il volto nella tazza di tè.

"Chi sei tu? Da dove sei spuntato fuori?" Nonostante l'atteggiamento prettamente curioso e calmo, la voce tradiva paura. Ed era logico. Un ragazzo era apparso dal nulla, puff, e lo aveva pure chiamato per nome. Ma stava reagendo abbastanza bene, il ragazzo, davvero niente male. Anche se nel suo sguardo, nascosto dietro tutto il resto, potevo vedere la crisi sempre presente e pronta a scatenarsi. Dovevo riuscire a tenerla lontana, a farla scomparire il più in fretta possibile. Se lui fosse scoppiato, sia io che lui non avremmo fatto una bella fine. Quando uno di noi perde il controllo, prova emozioni forti, il tatuaggio si colora e inizia a pulsare e loro, maledetti loro, erano riusciti a trovare un modo per localizzarlo e arrivare in poco tempo. Ci avevo messo tantissimo tempo per imparare a controllarlo e a tenere a bada emozioni e tatuaggio. Avevo però il sospetto che quello che era successo oggi avesse attirato l'attenzione e che fossero già sulle nostre tracce. Se davvero lo erano, allora non ci restava molto tempo. Fortunatamente eravamo vicini ad un Confine, il che rendeva più difficile per loro capire che si trattava di Asarat, in quanto anche i luoghi o le persone che erano direttamente coinvolti in questa storia sprigionavano energia, e più facile per noi sparire. Bastava fingere uno smarrimento o un rapimento e potevamo sparire nel nulla.

Riallacciai la mente alla realtà in tempo per sentire la risposta di Gal.

"Sempre stato con voi, solo che tu non mi vedevi"

Soffocai una risata. Gal e il tatto erano due universi paralleli.

"Che... Che vuol dire che tu...?" Senza riuscire a finire la frase, Matt si voltò verso di me in cerca di una risposta.

"Penso sia ora per le tue domande"

   
 
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