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Autore: Atarassia_    12/07/2014    1 recensioni
L'orgoglio è sempre presente nella vita delle persone. Ci avete mai fatto caso?
Essere orgogliosi di qualcosa, di qualcuno e ammirarne ogni gesto, ogni parola, ogni pensiero. Non essere orgogliosi di qualcuno, di qualcosa e rimanerne delusi.
Non chiedere scusa per orgoglio personale. Mettere da parte l'orgoglio e fare qualcosa ce va anche oltre la propria attitudine abituale.
L'orgoglio c'è sempre, in forme diverse è veo, ma c'è. E può essere sia fonte di felicità che motivo di infelicità. L'orgoglio può rendere la realtà rosea in un primo momento e poi distruggerti, dilaniarti in futuro.
Genere: Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Niall Horan, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pride
Capitolo Uno


 
America e Caris sono una l’opposto dell’altra.
America, con le sue scarpe firmate, i tailleur e gli orecchini di perla, è Parigi in tutto il suo splendore. Sempre attenta ad ogni particolare, i capelli costantemente in ordine e le unghie curate. Lei tiene al suo aspetto fisico che, fin da bambina, è stato il suo punto forte e il centro di tutto il suo interesse. Le piace prendersi cura di se stessa e sentire gli sguardi delle persone posarsi su di lei. La madre le ha sempre detto che lei è una persona molto fanatica, ma America trova che quel termine non le si addica. Lei non è “fanatica”,  semplicemente ama i complimenti.
Caris, invece, con le sue maglie larghe e i jeans strappati al ginocchio o poco più su, la sua passione per tutto quello che sa di etnico e per i maglioni di lana, è Amsterdam in tutto il suo essere sciatta. Non ama perdere molto tempo davanti all’armadio per scegliere cosa indossare, né ha tutta la pazienza per aspettare che lo smalto si asciughi perfettamente. Lei è più caotica, disordinata e spensierata. Trova che il rosa sia repellente, il suo colore preferito è il rosso e la matita nera intorno agli occhi è l’unico trucco che si concede. La madre quando era piccola impazziva per vestirla, perché Caris delle magliette con gli unicorni sopra non voleva proprio saperne niente e finiva sempre per rubare le felpe dei Pokémon del fratello. Odiava i codini e i suo capelli, costantemente indomati, le ricadevano sugli occhi nocciola.
Le piacciono i vestiti purché siano neri o rossi e, sotto di essi, indossa sempre scarpe basse, perché non ha l’equilibrio giusto per le scarpe con il tacco, diversamente da America che sembra esserci nata.
Sono proprio antitetiche l’una con l’altra e, per un periodo, durante i primi anni delle elementari, non si potevano nemmeno vedere. Non perdevano tempo ad accapigliarsi e a prendersi a morsi e le maestre non ne potevano veramente più di loro. Poi era bastato vedere la signora all’angolo della strada inciampare e cadere sul marciapiede per scoppiare a ridere e iniziare a parlarsi. E da quel momento avevano iniziato insieme a fantasticare sul loro futuro, sulla casa con la piscina e una grande stanza guardaroba per una, e un viaggio per tutto il mondo e le missioni di volontariato per l’altra. Avevano iniziato a crescere insieme, a prendersi a gomitate e a ridere ogni volta che qualche ragazzo guardava una delle due, a indossare, di nascosto, i vestiti della sorella maggiore di America per fingersi più grandi e poter entrare nei locali. E poi c’erano state le loro fughe in  orario scolastico verso il mare o in centro per fare shopping, le risate in metropolitana alle tre di notte, la prima sbornia e le teste che non cessavano di girare, le prime sigarette e America che non la smetteva di tossire. Erano cresciute insieme sognando e osservando il mondo intorno a loro con occhio attento, quasi critico. E poi era arrivato l’annuncio su Internet e America era impazzita credendo che quello sarebbe stato il suo trampolino di lancio. Così, come profughe, avevano abbandonato le loro case per il dispiacere dei genitori che avevano pensato per loro un altro futuro ed erano approdate a Londra.
America aveva dato da subito dimostrazione del suo carattere testardo e la sua volontà di sentirsi realizzata. Nemmeno i primi “no” erano riuscita a fermarla e alla fine era diventata davvero la stylist degli One Direction. Lei se lo sentiva che seguire quel gruppo le avrebbe permesso poi di aspirare a qualcosa di più importante, di farsi conoscere e approdare nel mondo della moda vero e proprio.
Caris invece si era limitata, la prima settimana, ad esplorare la città da capo a piedi, a visitare i monumenti più importanti e a ciondolare nei parchi. Aveva decretato che non c’è nulla di meglio che mangiare un hot dog sulle rive del Tamigi, e che Portobello Road è la zona più piacevole di tutta la città perché, in mezzo a tutta la gente e tra le varie bancarelle,  lei si sente a casa e cittadina del mondo.
Per America era importante avere una cartellina con modelli di abiti sotto il braccio, la rivista di Vogue sulla scrivania, gli occhiali di Gucci e una tazza di tè rigorosamente senza zucchero.
A Caris bastava il vecchio giradischi di suo padre, l’Atlante per segnare nuove tappe, un plaid a scacchi e i tacos del ristorante messicano sotto casa.
America e Caris sono state da sempre una la notte e l’altra il giorno: diverse ma indispensabili l’una per l’altra.
Ad America piace parlare e farsi ascoltare; a Caris piace stare a sentire gli altri e rivivere le scene attraverso le loro parole. Alcune delle loro serate migliori sono fatte proprio di questo: racconti, sogni a metà, pensieri e le ordinazioni fatte all’ultimo secondo al ristorante cinese.
-Quindi?- chiede Caris all’improvviso spezzando il silenzio e richiamando all’attenzione America che, pur di prendersi ancora qualche secondo per rielaborare le idee, finge di avere problemi ad utilizzare le bacchette cinesi.
-America?- continua l’altra perché quella risposta muta non le piace proprio per niente e teme che l’amica sia ricaduta di nuovo nella sua stessa trappola.
-Cosa?- si decide a mormorare in risposta stizzita e stremata, perché si ricorda di tutte le volte che Caris l’aveva avvertita di andarci con i piedi di piombo e, in quel momento, un “te lo avevo detto” è l’unica cosa che vuole sentirsi dire.
Scuote la testa sotto lo sguardo attento dei due occhi color nocciola e lascia che i capelli ramati le ricadano sulla fronte nascondendo la sua espressione crucciata alla vista dell’altra.
Ma forse nascondersi non serve a nulla, proprio a niente. Oramai lo scenario è lo stesso da molto tempo e Caris ha imparato a cogliere tutti i minimi dettagli, ad interpretare i vari gesti e il tono della voce, giusto quanto basta per prendere atto della gravità della situazione.
America sospira perché è veramente stanca e, se solo avesse tutte le forze e una buona dose di volontà, non esiterebbe nemmeno un secondo a mettere la parola fine a tutta quella situazione.
-Non credo che ci sia molto da dire, sono cose che già sai.- dice alla fine sprofondando con la schiena nel divano di pelle che le ricorda tanto quello visto, attraverso le foto di una rivista, in una delle tante case di Beyoncé.
Caris si alza con un gesto secco dal pavimento ricoperto da uno dei suoi tappeti etnici e, spostando i vari numeri di Vogue impilati sull’altro lato del divano, si siede accanto all’amica.
-Avete fatto passi in avanti?- chiede anche se, in cuor suo, pensa già di conoscere la risposta e l’occhiataccia che le rivolge America sembra confermare tutto.
-Con Niall è impossibile fare dei passi in avanti!-, ribatte infatti con voce quasi stridula, -Insomma, mi sembra solo che la situazione sia ferma al solito punto o che, al massimo, peggiori.- continua esasperata gesticolando e attorcigliandosi una ciocca di capelli intorno all’indice della mano destra, come fa ogni volta che si agita.
-Te lo avevo detto io che ti saresti ritrovata così. Ma tu non mi dai mai retta quando parlo.- sbotta alla fine anche Caris perché di vedere l’amica ridotta in quello stato non ne ha voglia. Forse sbaglia i modi, perché invece di consolarla non fa altro che ribadire le sue colpe, ma lei è fatta così e quando perde le staffe tutti i buoni propositi saltano.
E poi, quel “te lo avevo detto” era proprio inevitabile perché Caris fin da subito aveva immaginato gli sviluppi di quella passione morbosa che America nutriva per Niall.
Una passione che con il tempo era diventata ossessiva, malata, intrattabile. Una passione che era insostenibile da parte di Niall perché, fin dall’inizio, lui aveva messo bene in chiaro le regole e la sua volontà di non volere nulla di serio.
Una passione che era sfuggita al controllo di America, che forse si era trasformata anche in un qualcosa di più profondo.
Il lavoro come stylist degli One Direction era stata sicuramente una benedizione per la giovane ragazza, ma allo stesso tempo le aveva procurato anche molti problemi.
L’aria da svampita e il suo aspetto assai curato aveva attirato, fin dai primi periodi, l’attenzione di Niall e lei, da degna donna qual era, era rimasta affascinata da tutte le lusinghe e gli apprezzamenti che il ragazzo le rivolgeva in ogni occasione.
E così, credendo che da quel gioco ne avrebbero tratto profitto entrambi, aveva aperto le danze con il biondo, ma, in breve tempo, era rimasta vittima di quella trappola che lui, abilmente e forse inconsapevolmente, le aveva teso.
Alla fine era lei che restava stesa tra le coperte del letto, ancora calde  dopo l’amplesso e pur tuttavia già così fredde, a rimuginare su quanto successo mentre lui in fretta e furia si rivestiva. Era lei che, nel buio della notte, soffocava le lacrime nel cuscino, mentre lui lasciava la stanza con un saluto a mezza bocca e un’espressione indifferente sul volto.
Era lei che rimaneva per ore a pensare e a sentirsi sporca, a desiderare che lui tornasse indietro e si sdraiasse al suo fianco, anche per soli cinque minuti, anche solo per augurarle una buonanotte o lasciarle una carezza sulla guancia. Era lei che poi si infilava sotto la doccia e lasciava che l’acqua calda lavasse via tutto il dolore, tutto quello che c’era di negativo in lei, la sensazione di sentirsi usata, violata, un oggetto che lui si rigirava tra le mani come più gli piaceva.
E poi c’era lui che durante il giorno si comportava come se niente fosse successo, che scherzava con tutti e tutte allo stesso modo, che faceva battute divertenti su alcuni personaggi famosi e che non smetteva mai di torturare i lacci delle sue felpe. Niall che la trattava alla pari degli altri, che non le faceva nemmeno un piccolo cenno né le riservava una piccola occhiata che le permettesse di capire che, alle loro notti, ci pensava anche lui.
E lei, i primi periodi, rimaneva in silenzio, andando anche contro il suo stesso carattere; soffriva, ma non riusciva a non aprire la porta della sua stanza ogniqualvolta lui si presentava nel cuore della notte. Poi erano arrivati i crolli anche alla luce del giorno, le fughe in bagno o le passeggiate forzate che si imponeva per non farsi vedere. E anche il suo carattere ne aveva risentito, perché si era fatta più fredda, scorbutica e ogni scusa era buona per rispondere male a tutti, ovviamente a tutti tranne lui.
E Harry, osservandola dall’angolo della stanza, si era accorto di tutto e, sebbene al liceo la matematica non fosse il suo forte, non ci aveva messo molto a fare due più due. Così era diventato il suo confidente, la sua spalla su cui piangere e ogni tanto azzardava anche qualche idea stramba per far capitolare Niall che, nonostante tutto, rimaneva sempre distante.
E America continuava a offrirsi a lui, a lasciare che lui la usasse in quel modo senza nemmeno chiederle il permesso perché, alla fine, non c’era nemmeno bisogno che lo facesse, lei era già pronta ad accettare quel loro strano patto.
America si era totalmente e follemente invaghita di Niall; soffriva è vero, ma quel dolore che provava era in ogni caso una sorta di consolazione.
-Proprio tu parli? Tu hai il coraggio di criticarmi? Te l’ho sempre detto Caris, tu predichi bene e razzoli male!- ribatte alla fine piccata, rivolgendosi all’amica. Raddrizza le spalle e la guarda offesa, arrabbiata e determinata, ma, se la osservi bene, nei suoi occhi puoi scorgere anche un accenno di paura. Perché America è fatta così. Quando si sente messa con le spalle al muro, alla mercé di ogni rischio e capisce che gli altri hanno colto la verità dei fatti, non può fare a meno di attaccare e cercare di difendersi con l’ultimo barlume di dignità rimastole.
E Caris sentendosi chiamata in causa trattiene il fiato. Conosce oramai America da anni e sa che non voleva essere cattiva, che, molto probabilmente, dopo averci riflettuto un poco le chiederà scusa. Vorrebbe replicare, ma con tutta sincerità non saprebbe cosa dire perché l’amica non ha tutti i torti, lei stessa è a conoscenza di essere una tipa con dei pensieri spesso antitetici a quelle che poi sono le sue azioni. Non ha torto per niente America, ma Caris è davvero impotente dinanzi a tutto ciò.
-Lo so benissimo questo, non c’era alcun bisogno che tu me lo ricordassi.- risponde con tono amareggiato, con il tono di una che sa di non avere possibilità di affermare il contrario.
Ma Thomas per lei era e sarebbe sempre stato una questione delicata. Era il suo punto debole, forse il suo sbaglio più grande, ma, testarda come era, non poteva farne a meno. Perché Caris era brava a fare la moralista, a dispensare consigli e cercare di fare la cosa giusta per tutti, ma quando si trattava di se stessa, era tutta un’altra storia. Alla fine, nel bene e nel male, aveva sempre avuto tutto nella vita: un bella famiglia, un’infanzia serena e un’adolescenza vivace.
E Thomas era il fiore all’occhiello, l’ultimo dettaglio che la faceva sorridere sorniona. Con lui si sentiva completa e poco le importavano tutte le conseguenze dell’averlo. Perché loro non potevano fare nulla allo scoperto, erano costretti a muoversi separatamente, a incontrarsi la  notte in squallidi motel o a nascondersi in vecchi campi abbandonati. Dovevano rifuggire gli sguardi indignati della gente, i commenti dei falsi moralisti e tutti i loro “potrebbe essere tuo padre”, ma a Caris poco importava. Certo, alzarsi di soppiatto la notte per attraversare più di mezza città prima di vederlo era anche stancante delle volte, non poterlo sentire ogni volta che le passava per la testa era frustrante e sapere di doverlo condividere la distruggeva. Ma Caris era sempre riuscita a resistere perché lui ogni volta le ripeteva che, ben presto, avrebbe risolto tutta la situazione, che avrebbe chiesto la separazione alla moglie e spiegato la cosa ai figli. E così, lei aspettava e delle volte si sorprendeva a sognare un loro futuro.
L’espressione scioccata di America la richiama all’attenzione e la fissa con astio perché, nonostante tutto, c’è rimasta male. L’amica boccheggia non riuscendo a trovare una risposta adeguata e le sue guancie si colorano di rosso per l’imbarazzo, per la rabbia, per tante cose sottese.
-Caris…- sussurra alla fine e sembra che per il momento possa bastare anche quello. E così rimangono in silenzio, l’una accanto all’altra con un sorriso di scuse sulle labbra e il desiderio che, nelle loro vite, tutto si sistemi al meglio.
 
 

In ritardo come al solito sono riuscita, finalmente, a pubblicare un nuovo capitolo.
Finalmente i miei impegni scolastici sono finiti e potrò dedicarmi completamente alla scrittura! Ora, che ve ne pare del capitolo? Mi sono concentrata sulle ragazze e sul rapporto tra Niall e America. Coloro che avevano letto "Come un fulmine a ciel sereno" avranno notato da subito i cambiamenti e spero che la nuova versione vi piaccia.
Colgo l'occasione per ringraziare tutte le persone che hanno inserito la storia tra le preferite, le seguite o le ricordate, e me tra gli autori preferiti. Ringrazio anche le quattro anime pie che hanno recensito il prologo! 
Se volete, fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo e lasciatemi le vostre recensioni!
Per avere informazioni sulla storia, sui tempi relativi agli aggiornamenti o anche solo per parlare, contattatemi su facebook e su twitter.
A presto.
Con affetto,
Atarassia_



Ps: Volevo ringraziare Iridium Flare per aver betato il capitolo! ^_^
 
   
 
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