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Autore: Hesper    12/07/2014    1 recensioni
Il Comandante è solamente un robot costruito per eseguire gli ordini del suo padrone, il Re Porky. Non ha un'anima, non prova emozioni, non ha nessun ricordo se non ciò che concerne la sua missione; insomma, non ha nessuna qualità propria dell'uomo.
Questo è ciò di cui è convinto, o meglio, di cui l'hanno convinto.
E se ci fosse qualcosa di umano in lui?
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ricordi… Sentimenti…
Ma che cos’erano?
“Solo smancerie per esseri umani”. Questo aveva sentito dire a riguardo.
All’apparenza poteva sembrare che il ragazzo si isolasse dai suoi simili ritenendo vera questa affermazione.
Ma non era così.
Lui, infatti, non era un essere umano. Se lo fosse stato, avrebbe sentito il battito del suo cuore semplicemente appoggiando una mano sul suo candido petto. Se lo fosse stato, il suo corpo non sarebbe coperto da numerose componenti meccaniche. Se lo fosse stato, avrebbe provato disgusto e pena per aver sterminato un abbondante numero di esseri viventi, nonostante questi avessero complicato le cose sia a lui sia ai suoi accompagnatori dell’esercito dei Pigmasks.
Essendo lui dunque un robot, non si curava di molte cose.
Ad esempio, non aveva la cognizione del tempo. Non sapeva che giorno fosse, che ore fossero, e, di conseguenza, non aveva idee su quanti anni avesse. Se glielo avessero chiesto, molto probabilmente avrebbe risposto “tre”, in quanto era da tre anni che era stato costruito.
Ciò che di lui avrebbe creato più inquietudine in un essere umano, però, mettendo da parte la sua voce glaciale, il suo sguardo perennemente guardingo e il suo portamento, il quale avrebbe intimorito chiunque, sarebbe stato il fatto che lui non aveva un nome.
Un nome… Ciò che lo avrebbe distinto dagli altri in tutto e per tutto…
I suoi colleghi lo chiamavano “Comandante”, altri invece “Uomo mascherato”. Il suo padrone, al contrario, lo chiamava “Schiavo-robot”, “Piccolo e adorabile mostro”, oppure “Figlio senz’anima”.
O, quello che, a suo parere, gli si addiceva di più: “Giocattolo”.
Questi appellativi, a cui il giovane era abituato a identificarsi, la dicevano infatti lunga su come lui considerava se stesso e su come gli altri lo vedevano.
Lui, infatti, era semplicemente un burattino senz’anima nelle mani di un dittatore dalle idee distorte. Un corpo vuoto, privato di ogni forma di umanità, pronto ad obbedire a qualsiasi ordine gli venisse impartito, implicasse questo compiere un’azione sbagliata o meno.
Era consapevole di tutto ciò, ma non se ne curava. Per lui non era importante avere un’anima, o essere libero. Tutto ciò di cui aveva bisogno era il rispetto da parte dei subordinati, la capacità di combattere, quindi la forza fisica, e qualcuno da servire.
 
 
Il Comandante, negli ultimi giorni, ebbe molte cose da fare. Il suo padrone gli aveva affidato un compito molto importante, un compito a cui soltanto lui poteva adempiere: trovare ed estrarre quelli che chiamavano “I Sette Aghi”.
Certo, non aveva idea del perché il “Re Maiale” volesse ciò, e quindi cosa avrebbe ottenuto quest’ultimo facendo compiere ciò al suo schiavo più fedele. Ma non ci rifletté su nemmeno per un secondo: quando il Maestro voleva qualcosa, questa doveva assolutamente essere fatta, buona o malvagia che fosse.
Era pieno giorno, e il giovane si era già imbarcato nella Nave Madre in modo tale da poter raggiungere l’isola Tanetane. Il colonnello dei Pigmask gli aveva infatti riferito che il quinto Ago fosse custodito in quel luogo, e che sarebbe semplicemente bastato sconfiggere coloro che lo proteggevano, ovvero il “Trio Barriera”, per poi riuscire a completare la missione.
Insomma, nulla che il Comandante non potesse fare.
Si stava parecchio annoiando durante il viaggio, perciò non poté fare a meno di rivolgere il suo sguardo verso tutto ciò che si trovava fuori da quella nave.
Quest’ultima non stava volando molto in alto, in quanto la partenza era da poco avvenuta; motivo per cui i suoi occhi cerulei riuscirono a vedere, anche se sommariamente, tutto ciò che si trovava sulla terraferma, proprio sotto di lui.
Delle montagne… Una foresta… Un villaggio…
Sempre le stesse cose.
Stava per appoggiare l’ipotesi che la sua non fosse stata una buona soluzione per i suoi problemi, quando qualcosa attirò improvvisamente la sua attenzione.
Proprio sotto di lui, riuscì a scorgere una piccola casa, la quale, separata da tutte le altre, si affacciava verso il limpido mare.
Accadde qualcosa di strano quando la vide. Per un attimo gli sembrava di averla già vista, di conoscere addirittura chi vi abitava. Non ci volle molto, a causa di questi pensieri, perché si distraesse nell’osservare quella minuscola abitazione.
 
 
La superficie cristallina e chiara dell’acqua marina, la leggiadria delle bianche nuvole, le quali componevano le più bizzarre forme sullo sfondo di un limpido cielo azzurro, il verde dei sottili fili d’erba che ricoprivano la riva, un velo di fumo il quale, probabilmente, era appena uscito dalla casa vicina…
Questo era il paesaggio in cui il ragazzo si sentiva circondato, o meglio, di cui si sentiva parte. Il solo fatto di essere immerso nella fresca e pura acqua del mare e di agitare quei suoi esili arti per rimanere a galla lo induceva a fare questa considerazione, che, peraltro, non sarebbe stata del tutto sbagliata. Un luogo perde la sua bellezza se nulla gli dona vita…
Tutto ciò non poté fargli regalo migliore della profonda sensazione di felicità, soddisfazione e rilassamento, tre stati d’animo che furono da lui bene accolti.
Ciò che però riuscì immediatamente ad accentuare quelle emozioni nel giovane fu una persona, un bambino per la precisione, il quale gli stava facendo compagnia.
Capelli del colore del sole pettinati in un ciuffo rivolto verso l’alto, occhi grandi del colore del cielo, i quali sprizzavano da tutti i pori allegria e una voglia matta di giocare, e un brillante sorriso spensierato stampato sulle labbra.
Quella persona, di fatto, lo rappresentava in tutto e per tutto, almeno per quanto concerneva l’aspetto fisico. Non sentiva nemmeno il bisogno di specchiarsi sulla superficie trasparente del mare per trovare se stesso: bastava guardare lui, e cambiare mentalmente il colore dei suoi capelli da biondo a rosso.
Stare in quel luogo con quella persona, poi, lo alimentava di una sicurezza che mai avrebbe potuto provare in altra maniera. Riteneva di potersi fidare di quel bambino che tanto gli assomigliava, di non essere da lui giudicato nemmeno se avesse fatto qualcosa di sbagliato…
Insomma, con lui si sentiva libero.
A forza di guardarlo, una voglia sfrenata di bagnare il suo pallido e asciutto viso lo colse improvvisamente. Voleva giocare con lui, e questa fu la prima idea che gli venne in mente al momento.
Perciò, senza esitare nemmeno per un secondo, sollevò dell’acqua con le sue piccole e candide mani, facendola di conseguenza schizzare verso il volto oramai bagnato del biondino.
Nel vedere l’espressione di quest’ultimo, la quale, da felice, diventò immediatamente colma di sorpresa, il bimbo dai capelli rossi non poté trattenere la rumorosa risata che, una volta uscita dalla sua piccola bocca, lo indusse a chinare il capo all’indietro.
Claus! Non è giusto colpirmi così all’improvviso…” disse l’altro, con un tono di voce a metà tra l’irritazione e lo stupore “E non c’è niente da ridere!”
“Non ho resistito…! E c’è da ridere eccome: avresti dovuto vedere la tua faccia!”
Sentendo ciò, il biondo decise di ricambiare il favore al rosso. Perciò, cogliendolo di sorpresa, bagnò interamente il volto di quest’ultimo, scoppiando in seguito a ridere.
Eh già. Lo aveva proprio ricambiato con la sua stessa moneta.
Il bimbo, a seguito di ciò, si pulì gli occhi dall’acqua salata, guardando con fare giocoso l’altro. Facendo così, infatti, quest’ultimo gli aveva dato il permesso ufficiale di giocare “a schizzarsi” - così i due erano soliti chiamare il suddetto gioco -, e questa, almeno per lui, era un’imperdibile occasione di passare una buona mattinata all’insegna del divertimento.
“D’accordo, è ufficiale: mi hai dichiarato guerra!” disse, con un tono di voce che esprimeva alla perfezione le sue intenzioni.
“A-Aspetta!” esclamò il biondo, comprendendo al volo ciò che il rosso stava per compiere “Non è pericoloso nell’acqua alta?”
“Ma quest’acqua non è tanto alta, dai!”
Vedendolo poi un po’ scettico riguardo l’affermazione che aveva appena fatto, egli cercò di indurlo a giocare provocandolo in questa maniera:
“Sei sempre il solito fifone!”
Il rosso sapeva quanto l’altro bimbo odiasse il fatto che gli dessero del fifone, perciò era sicuro di poter fare centro in quel modo. E infatti fu quello che accadde poco dopo. L’espressione preoccupata del biondino divenne improvvisamente colma di determinazione, e, guardando dritto negli occhi dell’altro, esclamò:
“L’hai voluto tu, allora!”
A seguito di ciò, i due si lanciarono uno sguardo d’intesa, come per decidere quando dare il via ufficiale al gioco che tanto li divertiva.
“Pronti… Via!” esclamarono improvvisamente all’unisono.
Detto ciò, il gioco poté finalmente cominciare. I due continuarono senza sosta a tirarsi l’acqua addosso, sovrastando con delle spensierate risate il rumore delle loro mani che entravano in contatto con il composto salato.
 
 
“Comandante! Stiamo per giungere nell’Isola Tanetane!”
La voce di un soldato dei Pigmask liberò il giovane da quei bizzarri pensieri.
Ma cosa era successo? Perché nella sua testa vi erano quelle strane immagini? Perché, anche se per un attimo, aveva perso la cognizione della realtà, aggrappandosi a qualcosa che non era affatto reale, almeno a parer suo?
Gli sembrava quasi di aver già vissuto tutto ciò, di aver provato quelle emozioni, di essere stato davvero con quel biondino…
Già. Quel biondino.
Gli sembrava di averlo visto parecchie volte… Assomigliava moltissimo a quel ragazzino che gli metteva sempre i bastoni tra le ruote nel suo tentativo di estrarre i Sette Aghi.
Strano. Davvero molto strano.
Ma allo stesso tempo improbabile. Anzi: la parola impossibile ci stava meglio.
Ciò che aveva visto, infatti, non poteva assolutamente essere un ricordo, e su questo il ragazzo non ebbe alcun dubbio. Primo: lui non sarebbe mai andato in quel luogo, peraltro con un umano che gli ricordava un suo nemico; secondo: lui, in quanto robot, non poteva provare emozioni; terzo: non poteva nemmeno ricordare.
Il Comandante dunque, stufo di tutto ciò, si alzò lentamente dal sedile in cui, per quel breve arco di tempo, aveva atteso con impazienza l’arrivo a destinazione.
“Solo un errore nella mia programmazione. Sarà meglio che me lo faccia levare prima che mi distragga un’altra volta” pensò, preparandosi a scendere dalla nave.
 

 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice
Un salve a tutti!
Innanzitutto mi presento (in quanto c’è qualche possibilità che mi vediate ancora): il mio nome è Hesper e mi sono avvicinata alla serie MOTHER quando ero alle scuole medie (e, sì, non ho ancora smesso nonostante siano passati quattro, cinque anni da allora).
A parte questo, passiamo alla mia storia.
Poiché ho visto che in questa sezione ci sono solamente due fan fiction (che, peraltro, avevo già letto e recensito *sì, sono l’unico essere vivente presente in questo Programma Recensioni*), mi sono rimboccata le maniche e ho scritto questa one shot. E con cosa potevo entrare in scena nel fandom se non con una storiella dedicata al mio personaggio preferito della serie, ossia il “Comandante” (senza contare il quaranta per cento di Lucas, altro personaggio che adoro)?
Ad ogni modo, spero davvero di aver fatto un buon lavoro. No, perché l’idea mi è venuta un po’ di getto, ecco tutto.
Non so quanta gente leggerà questa fic, ma, nel caso remoto che qualcuno volesse lasciare una recensione, ne sarei più che felice *comprendetela, non ha mai trovato qualcuno a cui piace la serie*.
Con questo chiudo, e… Spero di poter tornare in sezione con una nuova storia.
Un saluto,
-Hesper
  
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