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Autore: MagicRat    13/07/2014    3 recensioni
"Camminare per quelle stanze vuote non poteva cambiare niente di ciò che era successo, i morti non sarebbero tornati in vita e chi aveva sofferto non ne avrebbe tratto sollievo, ma lui ne sentiva ugualmente il bisogno. Non aveva rivelato a nessuno il vero motivo, perché dubitava che lo avrebbero compreso."
(Post Muzimono - 2x13)
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Abigail Hobbs, Hannibal Lecter, Will Graham
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il palazzo della memoria di Hannibal Lecter è un edificio imponente, nella sua semplice eleganza. Grandi vetrate si aprono sulle sale dove sono custodite intere collezioni di quadri risalenti al Rinascimento italiano e un notevole numero di testi scientifici.
Will Graham era una delle pochissime persone in grado di far scattare la serratura della massiccia porta di’ingrasso ed era consapevole di avere questa capacità. Hannibal stesso, nel periodo immediatamente precedente la sua fuga, gli aveva concesso di sbirciare oltre le finestre. Lui, però, non aveva mai voluto spingersi troppo oltre, perché sapeva che se ti viene data la possibilità di lasciarti guidare attraverso le sale dalla musica classica che – Will ne era sicuro – si diffonde all’interno del palazzo, non sei poi libero di andartene tanto facilmente.
Così Will si era sempre limitato ad osservare il grande palazzo dall’esterno e dall’esterno, ora, stava guardando quella che era stata la casa di Hannibal Lecter  a Baltimora. Era la prima volta che vi faceva ritorno dopo la sua interminabile permanenza in ospedale. Camminare per quelle stanze vuote non poteva cambiare niente di ciò che era successo, i morti non sarebbero tornati in vita e chi aveva sofferto non ne avrebbe tratto sollievo, ma lui ne sentiva ugualmente il bisogno. Non aveva rivelato a nessuno il vero motivo, perché dubitava che lo avrebbero compreso.
Fece scorrere un dito sulla camicia scura, in corrispondenza a dove sapeva esserci la lunga cicatrice rosa. Sospirò e finalmente si decise ad attraversare la strada e percorrere il vialetto d’ingresso.
Infilò la chiave nella serratura ed entrò.
La prima cosa che sentì furono delle deboli note di una melodia suonata al pianoforte. Strinse forte gli occhi e aspettò fino a quando la musica non sparì.
L’odore di legno antico e lucidato della casa di Hannibal era stato in parte coperto da quello del disinfettante usato dalla polizia. I pochi mobili rimasti erano coperti da grandi teli bianchi e l’interno era buio, tranne che per la poca luce che filtrava attraverso gli scuri. Will accese la luce e salì al piano superiore. Si fermò davanti alla porta della camera da letto, con i fori della pallottole sparate da Alana Bloom. La spinse debolmente e per un attimo l’immagine di Alana scagliata fuori dalla finestra lo colpì con tutta la sua violenza. Di nuovo, chiuse forte gli occhi. Non era per lei che si trovava lì. Riaprì gli occhi e tutto quello che vide fu il pannello di legno con cui era stato sostituito il vetro infranto.
Tornò sui suoi passi e oltre alla stanze della casa, sul corridoio iniziarono ad aprirsi nuove sale. Alcune erano arredate con teche e vetrine illuminate per valorizzare al meglio gli oggetti che custodivano, altre sembravano vuote e dal loro interno provenivano alcuni stralci di conversazioni. Will vi passava davanti senza concedere mai niente di più di una rapida occhiata, quel tanto che bastava per assicurarsi che in nessuna ci fosse ciò che interessava a lui. Le sale si richiudevano dopo il suo passaggio.
Scese nuovamente al piano terra, attraversò il soggiorno e la sala da pranzo, dove fece scorrere il dito sul bordo del grande tavolo rimasto scoperto dal telo bianco. In cucina l’odore del disinfettante era particolarmente intenso. Il punto del pavimento dove il suo sangue si era mescolato a quello di Abigail era stato ripulito. E anche quello di Jack nella dispensa non c’era più.
Da lì si scendeva in cantina.
Will si appoggiò contro lo stipite della porta, con il dito che percorreva ancora una volta la lunga cicatrice.
Sapeva che da qualche parte del palazzo della memoria Hannibal aveva dovuto relegare i suoi ricordi più dolorosi e sapeva anche che, molto probabilmente, quelle sale costituivano le fondamenta dell’intero edificio. Fissò ancora per qualche minuto la botola sul pavimento e poi, molto lentamente, la aprì. Trovò l’interruttore e accese la luce, che tremò, si spense e ricominciando a tremare illuminò fiocamente i gradini mentre Will scendeva.
Nella cantina non era rimasto più nulla. La polizia aveva portato via tutto ciò che aveva trovato e adesso la debole luce non illuminava altro che le pareti di cemento spoglie. Will fece qualche passo verso il centro della stanza, chiuse gli occhi e inspirò l’aria stantia.
“HANNIBAL!” l’urlo che squarciò il silenzio lo fece sobbalzare, il cuore accelerò il suo battito. Will si voltò verso l’angolo buio da cui era provenuto il grido e incespicando fece qualche passo in quella direzione. Camminare era diventato improvvisamente difficile e guardando a terra si accorse che il pavimento era ricoperto di fango e neve sporca di sangue. Non riuscì a trovare nessuno e la voce che aveva sentito – una voce di bambina troppo piccola per provare una simile paura e disperazione – non disse altro.
Il freddo aumentò.
“Hannibal…” Questa volta non fu un grido, ma qualcosa di più simile a una preghiera e Will riconobbe subito chi aveva parlato.
“Abigail!” strizzò gli occhi nel tentativo di vedere qualcosa nel buio intenso della parte più profonda della cantina, senza riuscirci. Avanzò nel fango con una mano tesa davanti a sé, chiamando ancora il noma della ragazza senza ottenere risposta e l’unica cosa che la sua mano incontrò fu la superficie dura del muro. Cercò inutilmente nell’oscurità fino a quando il freddo pungente che si insinuava sotto i suoi vestiti non  lo costrinse a tornare a grandi passi in cucina.
Rimase fermo a riprender fiato appoggiato al muro con le mani sulle ginocchia e dalle sua lebbra uscì un debole verso di disperazione mentre si lasciava cadere a sedere sul pavimento. Le sue scarpe erano pulite, niente fango, né neve né sangue. Non avrebbe trovato nulla, lì dentro. Però quando si fu ripreso decise ugualmente di non uscire dalla casa. Si rialzò e arrivò davanti alla porta dello studio di Hannibal. Appoggiò  la mano sulla maniglia e senza ulteriori esitazioni aprì la porta.
Non era cambiato niente dall’ultima volta: alcuni fogli erano disposti ordinatamente sulla scrivania, la mensole della libreria reggevano i numerosi libri e Hannibal Lecter era seduto su una delle due poltrone al centro della stanza, impeccabile nel suo completo nero, la camicia color porpora e la cravatta perfettamente annodata. Sorrise quando lo vide.
“Buona sera, Will.” indicò con un gesto della mano la poltrona libera davanti a sé “Prego, accomodati.”   
Will andò a sedersi sulla sua solita poltrona, come aveva fatto molte volte in passato.
“Ti è piaciuto quello che hai visto?” chiese Hannibal e attese pazientemente la risposta di Will, che arrivò dopo diversi istanti di silenzio.
“Pensavo che avresti trovato maleducato il mio girovagare per la tua casa. E per  il tuo palazzo.”
“La tua è stata una presenza tollerabile e in ogni caso non avrei potuto fare molto per impedirtelo. Ma non hai risposto alla mia domanda.”
“Non ho prestato molta attenzione a tutto quello che c’era da vedere.” naso e labbra si arricciarono in una smorfia “Magari la prossima volta.” Dopo la prima occhiata, Will non aveva più guardato il dottor lecter. Il suo sguardo si spostava rapidamente sui mobili dello studio, evitando l’uomo che aveva di fronte.
“Eppure ti sei soffermato in un’unica stanza. Quella che chiunque avrebbe evitato. Che io stesso evito. Perché?”
Gli occhi di Will si bloccarono su un punto del pavimento “Sai benissimo perché.”
Hannibal annuì “Quindi e per questo che sei venuto qui? Per cercare Abigail?”
“Ti infastidisce sapere di non essere il motivo principale della mia visita?”
“No. In un certo senso, lo immaginavo.”
“L’hai rinchiusa là sotto…” questa volta tutto ciò che apparve sul volto di Will fu un’espressione di puro dolore.
“Perché sei venuto a cercarla qui, Will? Non sarebbe stato meglio aspettarla sul fiume, pescare con lei?”
“Io… io l’ho aspettata a lungo. Ma lei non è più… non riesco più a vederla.”
Molte volte, mentre si trovava ancora in ospedale, Will aveva atteso inutilmente Abigail sulla sponda del suo fiume e lei non vi aveva più fatto ritorno. Era per questo che era tornato in quella casa e aveva percorso i corridoi del palazzo di Hannibal, per la speranza di riuscire a rivedere  Abigail almeno lì. E invece tutto quello che aveva trovato era la voce della ragazza che pronunciava una debole supplica nell’angolo più buio del palazzo.
Hannibal ricominciò a parlare, strappando Will dai suoi pensieri “Una volta, in questa stanza, tu e Abigail siete stati molto vicini. Le ho sempre detto che non doveva avvicinarsi al mio studio quando ricevevo i miei pazienti, e soprattutto quando dovevi venire tu, lei però una sera mi disobbedì. Disse che voleva sentire la tua voce. Anche lei voleva rivederti, Will.”
Will fissò per la prima volta Hannibal negli occhi e non vide ne rabbia né tristezza. Il suo sguardo era freddo e apparentemente aveva raccontato quell’episodio senza l’intenzione di ferire Will, o di farlo stare meglio. Era successo e lui l’aveva riferito. Ora era Will che doveva decidere quale emozione associare a questo ricordo.
Will si alzò dalla poltrona. Si era trattenuto anche troppo a lungo ormai.
“La tua casa verrà messa all’asta.” Disse mentre si dirigeva verso la porta.
“Tornare ad abitarvi non rientrava nei mie programmi.”
Prima che Will potesse aprire la porta, Hannibal lo richiamò.
“Will.” Lui si voltò e i due si ritrovarono uno di fronte all’altro.
“Ora che sei quello che è successo, faresti ancora le stesse scelte?”
Will pensò a quando aveva rivisto Abigail. Era durato tutto troppo poco perché lui potesse provare sollievo o felicità e poi lei era morta ancora una volta, definitivamente e tra le sue braccia. Aveva tutta la vita per convivere con la sofferenza che tutto ciò gli procurava. Si chiese se anche Hannibal provasse lo stesso dolore. Se fosse ancora in grado di soffrire.
“E tu lo rifaresti?” Aprì la porta e uscì senza guardare più il dottor Lecter. “Arrivederci, Hannibal.”
 
***
 Hannibal Lecter era seduto sulla terrazza del suo nuovo appartamento. Il vento caldo portava l’odore del fiume e le voci dei turisti che si affrettavano verso le entrate dei musei. Hannibal però riusciva a sentire solo il rumore dei passi di Will che si allontanavano. Lì seguì fino all’ultimo, fino a quando nel suo palazzo non ci fu nuovamente silenzio.
“Arrivederci, Will.”
_______________________________

Buon giorno!
Questa è la seconda storia che scrivo su Hannibal e come la precedente non credo sia molto sensata.
Ho cercato di rispettare il più possibile il carattere dei due personaggi e se ho fatto qualsiasi genere di errore ditemelo pure :)
  
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